Data: 2016-06-14 07:07:56

CONCESSIONE DEMANIALE - obbligo della preventiva gara (TAR 9 giugno 2016)

CONCESSIONE DEMANIALE - obbligo della preventiva gara (TAR 9 giugno 2016)

[color=red][b]TAR TOSCANA, SEZ. I – sentenza 9 giugno 2016 n. 987[/b][/color]

N. 00987/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01342/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1342 del 2012, proposto da:

Società Immobiliare Milanese 2006 S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Duccio Maria Traina, presso cui ha eletto domicilio in Firenze, Via Lamarmora 14;

contro

Comune di Piombino, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Renzo Grassi, con domicilio eletto presso Luca Capecchi in Firenze, Via Bonifacio Lupi 20;

per l’accertamento

dell’inadempimento da parte del Comune dell’obbligo assunto all’art. 6 della Convenzione urbanistica rep. n. 1924 “relativa al Piano di Recupero per la razionalizzazione dell’intervento unitario n. 42/a – D11 di cui all’art. 46 delle Norme tecniche di attuazione del vigente P.R.G.”, stipulata in data 23.07.2003 e registrata in data 15.08.2003 tra detto Comune e le Società “Agricola Populonia S.r.l.” e “Agricola di Poggio dell’Agnello s.r.l.”, cui è subentrata la società “Immobiliare Milanese 2006 s.r.l. e la conseguente condanna di detto Comune al risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi dalla ricorrente in conseguenza di detto adempimento o, in subordine, alla corresponsione dell’indennizzo di cui agli artt. 11, comma 4 e 21-quinques l. n. 241/1990, in entrambi i casi nella misura che sarà ritenuta di giustizia;

per la dichiarazione di nullità in parte qua

della Convenzione urbanistica rep. n. 1924 “relativa al Piano di Recupero per la realizzazione dell’intervento unitario 42/a – D11 di cui all’art. 46 delle Norme Tecniche di Attuazione del vigente P.R.G.” stipulata in data 23.07.2003 e registrata in data 15.08.2003 tra detto Comune e la Societa’ “Agricola Populonia S.r.l.” e “Agricola di Poggio dell’Agnello S.r.l.” cui e’ subentrata la ricorrente, nella parte in cui, all’art. 15.2, vieta la “cessione separata” delle aree e dei fabbricati della struttura turistico-ricettiva di “Poggio all’Agnello”.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Piombino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2015 il dott. Bernardo Massari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Le società Agricola Populonia s.r.l. e Agricola Poggio all’Agnello, proprietarie di alcuni terreni siti nel Comune di Piombino, stipulavano con il Comune in data 23 luglio 2003 una convenzione relativa ad un “Piano di recupero per la realizzazione di un intervento unitario” mirante al recupero funzionale del Podere di “Poggio all’Agnello”.

Con la suddetta convenzione, della durata di 10 anni, si prevedeva la realizzazione di un nuovo complesso turistico ricettivo con l’obbligo di cessione di aree destinate a parcheggi pubblici e opere di urbanizzazione. Il Comune, a sua volta, si obbligava “ad individuare nell’ambito del Piano particolareggiato del Parco di Baratti e Populonia idonea soluzione per consentire la creazione di una spiaggia attrezzata nel golfo di Baratti al fine di assicurare al nuovo complesso turistico ricettivo un servizio aggiuntivo sul mare”.

Si precisava, infine, che la nuova struttura avrebbe dovuto configurarsi come “azienda produttiva a gestione unitaria” con divieto di cessione o gestione separata di parte delle aree e dei fabbricati.

L’odierna ricorrente, avente causa di Agricola Populonia s.r.l. e Agricola Poggio all’Agnello, ultimava la struttura ricettiva nel novembre del 2010 aprendola al pubblico nel marzo 2011 e, in vista dell’avvio dell’attività, sollecitava il Comune a garantirle, in esecuzione dell’art. 6 della convenzione, una porzione di spiaggia riservata del Golfo di Baratti. L’amministrazione, con nota del 16 giugno 2010, comunicava, allo stato, l’inesistenza di ulteriori ambiti demaniali marittimi a disposizione e invitava l’interessata a presentare “istanza di concessione per finalità turistico ricreative in relazione a eventuali nuovi spazi da assegnare individuati con gli strumenti di pianificazione attualmente in fase di formazione”.

Riscontrando il suddetto invito l’Immobiliare Milanese individuava una porzione di costa che “debitamente attrezzata e curata, garantirebbe il naturale …accesso al servizio mare spiaggia per i fruitori della struttura di Poggio all’Agnello”.

Per contro il Comune subordinava l’avvio del procedimento alla definizione del Piano particolareggiato del Parco di Baratti e Populonia e successivamente, con la deliberazione consiliare n. 22 del 29 febbraio 2012, approvava tale Piano senza individuare alcuna porzione di costa da riservare alla fruizione della struttura di Poggio all’Agnello.

Conseguentemente la società in intestazione agiva con il presente ricorso per l’accertamento dell’inadempimento da parte del Comune alle obbligazioni nascenti dalla Convenzione e la conseguente condanna del medesimo al risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi o, in subordine, alla corresponsione dell’indennizzo di cui agli artt. 11, comma 4 e 21-quinques l. n. 241/1990. Instava, inoltre, per la dichiarazione di nullità, in parte qua, della Convenzione urbanistica stipulata in data 23.07.2003 nella parte in cui, all’art. 15.2, vieta la “cessione separata” delle aree e dei fabbricati della struttura turistico-ricettiva di “Poggio all’Agnello”.

Venivano dedotte le censure che seguono:

1. Inadempimento del Comune all’obbligo assunto con l’art. 6 della Convenzione urbanistica del 23 luglio 2003.

2. Risarcimento del danno.

3. In subordine istanza di corresponsione di equo indennizzo ex art. 21 quinquies l. n. 24171990.

4. Nullità, in parte qua, della Convenzione urbanistica stipulata dalle parti.

Si costituiva in giudizio il Comune di Piombino opponendosi all’accoglimento del gravame.

Alla pubblica udienza del 10 dicembre 2015, dopo il deposito di memorie e repliche, il ricorso veniva trattenuto per la decisione.

DIRITTO

[b]La società ricorrente domanda il risarcimento del danno subito in conseguenza dell’asserito inadempimento del Comune di Piombino all’obbligazione nascente dall’art. 6 della Convenzione urbanistica del 23 luglio 2003, relativa al “Piano di Recupero per la realizzazione dell’intervento unitario n. 42/a -D11 di cui all’art. 46 delle NTA del vigente PRG”, comportante l’assunzione da parte delle Società di obblighi di cessione gratuita al medesimo Comune di alcune aree da destinare a parcheggi pubblici e opere di urbanizzazione, a fronte dell’obbligo da parte di quest’ultimo di individuare “nell’ambito del Piano particolareggiato del Parco di Baratti e Populonia” un area finalizzata a “consentire la creazione di una spiaggia attrezzata” onde “assicurare al nuovo complesso turistico ricettivo un servizio aggiuntivo sul mare”.[/b]

Non essendo previsto un termine diverso, l’Amministrazione avrebbe dovuto assolvere a tale obbligo contestualmente alla realizzazione dell’intervento, e comunque entro il termine di scadenza della stessa, ovvero entro il 7.11.2011. Tanto in ragione della natura delle convenzioni urbanistiche che, secondo consolidata giurisprudenza, si atteggiano quali accordi sostitutivi del provvedimento ex art. 11 1. n. 241/1990, e quindi come fonte generatrice di diritti e obblighi per le parti contraenti (cfr. T.A.R. Toscana, sez. I, 16/09/2009 n. 1446). E ciò senza che l’accordo di natura negoziale si ponga in contrasto con le finalità di pubblico interesse che devono sempre sorreggere l’azione della P.A., posto che quest’ultima, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, può recedere unilateralmente dalla convenzione o revocarla, fatto salvo, in ogni caso, l’obbligo di indennizzare il privato degli eventuali pregiudizi subiti.

[b]Il Comune, rinunciando al recesso, non avrebbe adempiuto all’obbligo, tanto che, nel Piano Particolareggiato approvato solo 8 mesi dopo, non ha individuato alcun tratto del golfo in cui la Società potesse realizzare una spiaggia attrezzata.[/b]

Di qui l’inadempimento di controparte e la sua responsabilità ex art. 1218 cod. civ. ritenuta del tutto compatibile con la natura delle convenzioni urbanistiche (Cons. Stato, sez. IV, 23/08/2010 n. 5904: T.A.R. Toscana, n. 1446/2009), seguendone, quanto al profilo soggettivo, che chi chiede il risarcimento del danno ha solo l’onere di allegare l’inadempimento o l’inesattezza dell’adempimento, ma non la colpa, dovendo il difetto di colpa o la non qualificabilità della stessa in termini di gravita essere allegate e provate dal debitore (Cass. civ., sez. II, 23/09/2011 n. 19496).

In ordine alla quantificazione del danno la ricorrente evidenzia che esso si determina sia in relazione al mancato guadagno, ossia alla perdita di clientela (fissata in € 2.286.343,00), sia nella diminuzione del valore del complesso aziendale (stimato in € 7.608.305,00) giacché privato della possibilità di avvalersi del servizio spiaggia richiesto normalmente dalla clientela, senza contare le somme sborsate per il primo anno per procurarsi aliunde i servizi balneari ritenuti essenziali (determinate in € 31.266,00) e quindi in totale di € 9.354.468,00.

In subordine la ricorrente, pur ritenendo non sussistere i presupposti per qualificare la delibera di adozione del Piano Particolareggiato del Parco di Baratti come recesso implicito dalla Convenzione, chiede che le venga corrisposto un indennizzo ex art. 21 quinquies l. n. 24171990, per il pregiudizio subito, da determinarsi ad opera del Giudice, tenuto conto della quantificazione del danno in precedenza operata.

Infine, la deducente rileva che la convenzione (art. 15, co. 2) impone l’obbligo di gestione unitaria della struttura, vietando perciò “la gestione e/o cessione separata di parte delle aree del fabbricato”. Tale clausola sarebbe nulla per violazione di norme imperative, ex art. 1418 cod. civ., incidendo illegittimamente sul contenuto delle potestà dominicali del proprietario e la pretesa sarebbe azionabile in ogni tempo, dovendosi escludere l’applicabilità dell’art. 31, co. 4, c.p.a. e del termine decadenziale ivi stabilito, dal momento che la res controversa si pone al di fuori dell’ambito dell’attività provvedimentale dell’Amministrazione.

Quanto alla domanda risarcitoria si osserva quanto segue.

Va in primo luogo rilevato che l’art. 6 della Convenzione cui si richiama la ricorrente per affermare l’esistenza di un obbligo pattizio che l’Amministrazione avrebbe disatteso, si limita ad affermare che “Il comune di Piombino si impegna ad individuare nell’ambito del Piano particolareggiato del Parco di Baratti e Populonia idonea soluzione per consentire la creazione di una spiaggia attrezzata nel golfo di Baratti al fine di assicurare al nuovo complesso turistico ricettivo un servizio aggiuntivo sul mare”.

L’obbligazione aveva quindi non un contenuto “reale”, ma individuava la condotta che l’Amministrazione avrebbe dovuto tenere per eventualmente pervenire al risultato specificato nell’art. 6 della convenzione. Ad avviso del Collegio; si versa, quindi, nell’ipotesi di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, alla luce della quale va verificata la diligenza tenuta dal debitore nell’espletamento dell’obbligazione con ogni conseguenza in merito alla sussistenza del nesso causale tra inadempimento e danno (ex multis, Cass. civ., sez. II , 8 settembre 2015 n. 17758).

L’indagine postula, quindi, il riscontro dell’idoneità dell’attività posta in essere in concreto dall’Ente per pervenire al risultato in questione.

Tanto, anche alla stregua del principio per cui la pubblica amministrazione deve sempre agire al fine del perseguimento dell’interesse pubblico articolando la propria attività nei limiti del rispetto della legge e attraverso schemi procedimentali da questa consentiti. E ciò in virtù del carattere formale dell’organizzazione della pubblica amministrazione, posto a tutela di interessi pubblici indisponibili che non consente, in sintonia con i valori di imparzialità e di buon andamento enunciati dall’art. 97 Cost., il riconoscimento di pretese che non rientrino nell’ambito dei moduli legali di condotta (sul principio cfr., Cons. Stato, sez. V 22 dicembre 2014 n. 6248).

Nel caso di specie il Piano particolareggiato (adottato senza alcuna osservazione dal parte della ricorrente) prevedeva la possibilità di realizzare due spiagge attrezzate e, in vista del rilascio delle relative concessioni, il Comune ha provveduto a pubblicare le istanze proposte da due soggetti (in favore dei quali veniva poi disposta l’assegnazione) ponendo in essere una procedura comparativa alla quale la ricorrente non ha inteso partecipare, erroneamente ritenendo che il proprio diritto ricevesse diretta legittimazione dalla sottoscrizione della convenzione.

Né può ritenersi che il precedente concessionario (nella specie il sig. Bertini Massimo) alla luce dei principi comunitari potesse vantare alcun tipo di aspettativa alla conferma della concessione in essere (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 16 febbraio 2016 n. 47, T.A.R. Liguria, sez. I 27 gennaio 2016 n. 839).

[color=red][b]Il Comune di Piombino era infatti obbligato, sulla scorta dei principi di derivazione comunitaria, a tutela della concorrenza (imparzialità, trasparenza, parità di trattamento) a far precedere l’assegnazione della concessione da una procedura competitiva non ostandovi l’art. 36 Cod. nav. in tema di diritto di insistenza, giacché anche tale norma va interpretata e applicata alla stregua dei principi appena ricordati(Cons. Stato, sez. VI, 7 marzo 2016 n. 889, id., 6 novembre 2015 n. 50489).[/b][/color]

[b]Da quanto sin qui argomentato discende che il Comune non avrebbe potuto obbligarsi direttamente, nel senso divisato da controparte, a individuare ed assegnare alla Immobiliare Milanese un tratto di costa da adibire a spiaggia attrezzata, in primo luogo perché ciò avrebbe comportato l’abdicazione dal potere di pianificazione territoriale assegnatogli dalla legge, ossia di un’ attribuzione ampiamente discrezionale quanto ai contenuti, ma certamente non libera quanto a mezzi e forme, con l’esclusione della possibilità di utilizzare gli strumenti codificati per funzioni differenti da quelle attribuite ad essi dalla legge in vista dell’esclusiva soddisfazione di un interesse privato (TRGA Trento 7 febbraio 2013 n. 369; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, 4.2.2010, n. 1524).[/b]

In secondo luogo, nella successiva fase di assegnazione del lotto di spiaggia disponibile l’amministrazione avrebbe dovuto operare ricorrendo al modulo procedimentale della procedura comparativa.

Una diversa interpretazione condurrebbe necessariamente a considerare nulla, ex art. 1418 cod. civ., la clausola in parola, senza che in proposito possa, come sostenuto dalla ricorrente nelle sue memorie, invocarsi la responsabilità del Comune per aver taciuto l’esistenza di tale possibile nullità a fronte dell’affidamento incolpevole della controparte. E’ evidente, infatti, che in concreto la natura di operatore professionale del contraente vale ad escludere l’esistenza dell’affidamento senza colpa in relazione all’applicazione di norme conoscibili dall’interessato e dell’univocità della loro interpretazione e della conoscenza o conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità o inefficacia (Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2015 n. 9636; T.A.R. Emilia-Romagna, sez. I, 26 febbraio 2015 n. 191).

Quanto alla circostanza che il Piano prevedesse “solo” l’ampliamento della concessione già in essere di cui era titolare il sig. Bettini e la ricollocazione di quella assegnata al sig. Bracciali e, quindi, in concreto non vi sarebbe stata nessuna possibilità per la ricorrente di aggiudicarsi un lotto libero, la tesi è contraddetta dalla necessità, che altrimenti non sarebbe sussistita, per entrambi i soggetti citati, di presentazione di un’istanza e dal successivo procedimento avviato dal Comune con la pubblicazione delle medesime e la conseguente assegnazione in assenza di ulteriori domande o osservazioni di concorrenti.

[b]Ma la responsabilità dell’Amministrazione può essere esclusa anche in ragione di un concorrente profilo che merge in ordine alla condotta tenuta dalla ricorrente.[/b]

Come rilevato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 3 del 23 marzo 2011) interpretando il comma 3 dell’art. 30 c.p.a., “il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.

L’assunto, pur senza evocare in modo esplicito il disposto dell’art. 1227 c.c., si conforma al principio secondo cui l’omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno che sarebbe stato evitabile con l’ordinaria diligenza (T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 9 aprile 2015 n. 646).

Invero, la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, comma 3, c.p.a., è ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un’interpretazione evolutiva del capoverso dell’art. 1227 c.c., sicché, pur non sussistendo una pregiudizialità di rito già nel quadro normativo anteriore all’entrata in vigore del c.p.a., deve considerarsi immanente nell’ordinamento il principio che la mancata impugnazione del provvedimento amministrativo costituisce un comportamento contrario a buona fede, qualora sia accertato che una tempestiva reazione giudiziaria avrebbe evitato o mitigato il danno (Cons. Stato, sez. V, 1 dicembre 2014 n. 5917).

Ne discende che, allo scopo di far valere la propria aspettativa all’assegnazione di un tratto della spiaggia di Baratti, la ricorrente avrebbe potuto (o dovuto) in primo luogo impugnare il Piano Particolareggiato del Parco di Baratti, ove interpretato nel senso di non consentire l’individuazione di una porzione della spiaggia idonea a soddisfare la clausola della convenzione; in secondo luogo partecipare al procedimento di assegnazione delle concessioni ovvero opporsi agli esiti del medesimo. Ma come si è già rilevato nessuno di tali atti è stato compiuto dalla ricorrente.

La conclusione cui perviene il Collegio vale ad escludere anche la fondatezza della domanda subordinata di indennizzo ex 21-quinques l. n. 241/1990.

La norma, infatti, comporta l’obbligo di ristoro in forma indennitaria del pregiudizio arrecato ai soggetti direttamente interessati nel caso di revoca di provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, ma tale revoca non è mai stata posta in essere dal Comune che continua a rivendicare la perdurante efficacia della Convenzione, né può ritenersi che essa sia intervenuta per atto implicito giacché questo comporta la possibilità di desumerne in modo non equivoco una specifica volontà provvedimentale, nonché la necessità che l’atto si configuri come l’unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 24 maggio 2016, n. 1270).

La ricorrente avanza anche una domanda volta a conseguire la dichiarazione di nullità, in parte qua, della Convenzione urbanistica nella parte in cui, all’art. 15.2, vieta “la gestione e/o cessione separata di parte delle aree del fabbricato” delle aree e dei fabbricati della struttura turistico-ricettiva di “Poggio all’Agnello”.

La clausola convenzionale sarebbe nulla per violazione dell’art. 832 cod. civ. e dell’art. 42 Cost. in quanto imporrebbe irragionevoli limiti alla fruizione e circolazione del bene in questione che non sarebbero neppure compatibili con i poteri pubblicistici di cui è titolare il Comune in materia di pianificazione, posto che al diritto urbanistico spetta di conformare i beni e le loro possibili forme di utilizzazione, mentre al diritto civile sarebbe attribuito il compito di regolare l’appartenenza degli stessi.

La tesi non è condivisibile.

Non si può ritenere, infatti, che la clausola in parola esorbiti dai limiti entro i quali può essere esercitato il potere di pianificazione urbanistica del Comune dal momento che detto potere può essere attuato anche attraverso moduli consensuali, con reciproca concessione di oneri e benefici tra la parte privata e quella pubblica, come avviene con le convenzioni accessive al provvedimento generale che costituiscono strumenti di attuazione, rivestendo carattere negoziale a valenza pubblicistica, e perciò sono soggette alla disciplina di diritto pubblico degli accordi ex art. 11, l. 7 agosto 1990 n. 24 (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 18 gennaio 2016 n. 163; T.A.R. Salerno, sez. I, 5 luglio 2002 n. 670).

In tale ipotesi, come rilevato da controparte, il proprietario, a fronte dei vantaggi conseguiti, può disporre liberamente del proprio bene ed accettare vincoli negoziali limitativi del proprio diritto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 gennaio 2003, n. 33; id. 14 ottobre 2014, n. 5072). Infatti, la natura negoziale della convenzione preclude, in forza dell’efficacia vincolante riveniente dall’articolo 1321 cod. civ., a ciascuna delle parti del rapporto di sottrarsi all’adempimento delle obbligazioni liberamente assunte, salve le ipotesi di invalidità del negozio per vizi della volontà, che nel caso neppure sono stati prospettati.

Per altro verso può rilevarsi che l’imposizione dell’obbligo di gestione unitaria, coniugato a quello di conservazione dell’unicità dell’assetto proprietario, non appare sproporzionato o irragionevole, rintracciando la sua ratio nella volontà dell’Amministrazione di conservare la compatibilità del nuovo insediamento turistico alberghiero con il comparto urbanistico e con i vincoli derivanti dagli assetti pianificatori generali che verrebbero stravolti ove si consentisse una vendita frazionata dal bene così da generare una sorta di condominio di singole unità abitative destinate agli usi più vari, non necessariamente turistici.

Di contrario avviso è del resto la prevalente giurisprudenza amministrativa che, in maniera rigorosa, ritiene che l’unitarietà della struttura e dell’attività gestionale delle residenze turistico-alberghiere appare del tutto incompatibile con qualsiasi forma di frazionamento della proprietà del complesso immobiliare (Cons. Stato, Sez. IV, 29 maggio 2008 n. 2584; T.A.R. Toscana, Sez. III, 17 settembre 2013 n. 1278).

Si è perfino rilevato che il mutamento della destinazione d’uso da turistico-alberghiera a residenziale delle unità di un complesso ricettivo può concretizzare una non consentita fattispecie lottizzatoria anche nel caso in cui per le singole opere facenti parte della lottizzazione sia stato rilasciato il permesso di costruire (T.A.R. Lazio, sez. II, 13 giugno 2014 n. 6313).

In definitiva, per le ragioni illustrate, anche tale domanda va rigettata.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza come in dispositivo liquidate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in € 3.000,00, oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Armando Pozzi, Presidente

Bernardo Massari, Consigliere, Estensore

Pierpaolo Grauso, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 09/06/2016.

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