[b]Autorizzazioni per gli ambulatori e regime sanzionatorio delle violazioni[/b]
PARERE 14/12/2015-562614, AL 41948/15, AVV. FRANCESCO SCLAFANI
Con la nota che si riscontra, è stato chiesto il parere di questa Avvocatura
in merito al rapporto tra l’art. 193 T.U. Leggi Sanitarie e l’art. 12 della Legge
regionale del Lazio n. 4/2003 per quanto concerne la disciplina autorizzativa
degli ambulatori e il regime sanzionatorio delle relative violazioni.
In particolare codesta Amministrazione chiede di conoscere l’avviso della
scrivente sui seguenti quesiti:
1) “se le leggi regionali e le relative normative di attuazione riempiano
ed in parte sostituiscano oggi l’art. 193 T.U. Sanità pubblica;
2) se l’utilizzo di spazi ulteriori rispetto a quelli della planimetria autorizzata
o l’esercizio di prestazioni e attività mediche diverse e/o ulteriori rispetto
a quelle autorizzate rappresentino fattispecie cui comminare la sanzione
amministrativa di cui all’art. 193 4° comma primo periodo T.U. sanità pubblica
e all’art. 12 2° comma L.R. n. 4/2003, oppure la sanzione amministrativa
di cui all’art. 193 4° comma secondo e terzo periodo e all’art. 12, 1° comma
L.R. n. 4/2003” .
Con l’istituzione del servizio sanitario nazionale, la legge n. 833/1978 ha
devoluto alle singole regioni il compito di disciplinare il regime autorizzatorio
e di vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato.
Ciò emerge dall’art. 43, primo comma, l. n. 833/1978 in cui si legge che
“la legge regionale disciplina l’autorizzazione e la vigilanza sulle istituzioni
sanitarie di carattere privato” tra le quali rientrano gli ambulatori ai sensi
dell’art. 4, comma 2, l. n. 412/1991 (secondo il quale “dette istituzioni sanitarie
(gli ambulatori) sono sottoposte al regime di autorizzazione e vigilanza
sanitaria di cui all’art. 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833”).
Con tale disposizione la l. n. 833/1978 ha voluto sostituire il regime autorizzatorio
e sanzionatorio di cui al T.U. delle Leggi Sanitarie del 1934 con
un nuovo regime di competenza regionale.
Peraltro, l’art. 8-ter d.lgs. 502/1992, dopo aver ribadito che la realizzazione
di strutture e l’esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie sono subordinate
ad autorizzazione, dispone che spetta alle regioni determinare modalità
e termini per la richiesta e il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione di
strutture e all’esercizio di attività sanitaria e sociosanitaria.
Che si tratti della sostituzione di un regime statale con un regime regionale
- peraltro in linea con la riforma del Titolo V della Costituzione - risulta
anche dal fatto che il citato art. 43 l. 833/1978 contiene una disciplina transitoria
secondo la quale fino all’emanazione della legge regionale restano in vigore
alcune disposizioni, anche del T.U. delle leggi sanitarie (artt. 194, 195,
196, 197 e 198), “intendendosi sostituiti al Ministero della Sanità la regione
e al medico provinciale e al prefetto il presidente della giunta regionale”.
Tra le suddette norme del T.U. delle leggi sanitarie non viene richiamato
l’art. 193 il quale pertanto è rimasto in vigore anche dopo l’emanazione delle
varie leggi regionali; ciò in quanto tale norma disciplina un reato e le regioni
non possono legiferare in materia penale. Sul punto Cass. Pen. Sez. III, 12
gennaio 1998, n. 2688 ha sottolineato che, a seguito della istituzione del servizio
sanitario nazionale, ex l. 833/1978, che con l’art. 43 ha devoluto alle regioni
il compito di disciplinare le autorizzazioni relative alle istituzioni
sanitarie di carattere privato, si è venuto a limitare l’ambito di applicazione
dell’art. 193 T.U. leggi sanitarie soltanto a quelle attività per le quali le diverse
leggi regionali continuano a richiedere un provvedimento permissivo.
Tuttavia, ai fini del parere richiesto, rileva in particolare il quarto comma
dell’art. 193 T.U. leggi sanitarie che presenta problemi di compatibilità o coordinamento
con l’art. 12, primo e secondo comma L.R. Lazio n. 4/2003. Tale disposizione
del T.U. cit. non contiene una norma penale in quanto opera
“indipendentemente dal procedimento penale” e disciplina l’esercizio delle funzioni
amministrative concernenti la vigilanza sul rispetto del regime autorizzatorio
prevedendo la chiusura delle strutture sanitarie aperte senza autorizzazione
o in violazione delle prescrizioni contenute nell’atto di autorizzazione.
Ebbene, per quanto concerne il primo quesito, si osserva che l’art. 43 l.
833/1978 ha devoluto alla competenza regionale la disciplina sia dell’autorizzazione
che della vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato. Pertanto,
deve ritenersi che con l’entrata in vigore della L.R. Lazio n. 4/2003 le
sanzioni amministrative per l’esercizio dell’attività sanitaria e socio-sanitaria
in assenza o in violazione dell’autorizzazione siano quelle previste dall’art.
12, primo e secondo comma, L.R. cit. e non dall’art. 193, quarto comma T.U.
leggi sanitarie. Ciò in quanto l’esercizio della potestà sanzionatoria rientra
nell’ambito dell’attività di vigilanza.
Sul secondo quesito si osserva quanto segue.
L’esercizio di prestazioni diverse rispetto a quelle autorizzate rientra nella
previsione del primo comma dell’art. 12 L.R. cit. che riguarda espressamente
le attività diverse.
L’esercizio di prestazioni ulteriori rispetto a quelle autorizzate, pur non
essendo letteralmente contemplato dall’art. 12, deve ritenersi assimilabile all’esercizio
di una attività diversa da quella autorizzata in quanto anche qui
l’autorizzazione c’è ma l’attività svolta non è conforme a quella autorizzata.
Infine, l’esercizio dell’attività autorizzata ma su spazi ulteriori rispetto alla
planimetria indicata nell’autorizzazione, deve ritenersi anch’esso assimilabile
all’esercizio di un’attività diversa da quella autorizzata e quindi soggetto alla
disciplina di cui al primo comma dell’art. 12 L.R. cit. Ciò perché, analogamente
a quanto osservato per le attività ulteriori, anche in tal caso l’autorizzazione
c’è ma l’attività svolta non è conforme a quella autorizzata. Deve ritenersi infatti
che il concetto di diversità non riguardi solo il tipo di attività, bensì ogni
difformità rilevante rispetto alle prescrizioni contenute nell’atto autorizzativo.
Tale interpretazione, non solo è compatibile con la lettera della norma
dove non viene specificato il tipo di diversità, ma è conforme anche alla ratio
dell’art. 12 L.R. cit. che prevede due illeciti amministrativi di differente gravità
a cui corrisponde un diverso regime sanzionatorio: a) il primo comma riguarda
la fattispecie meno grave di colui che ottiene l’autorizzazione ma non la rispetta
perché non svolge l’attività autorizzata, bensì un’attività diversa (per
tipo, modalità di esercizio, estensione degli spazi utilizzati, ecc.); b) il secondo
comma riguarda la fattispecie più grave di colui che invece non si sottopone
nemmeno al regime autorizzatorio ed esercita l’attività sanitaria o socio-sanitaria
in totale carenza della prescritta autorizzazione.
Infine, il diverso grado di offensività delle suddette tre fattispecie non impedisce
che siano ricondotte ad un’unica tipologia di illecito in quanto il legislatore
regionale ha previsto un range sanzionatorio abbastanza ampio (euro
5.000 - 50.000) nel quale può essere individuata la giusta sanzione.
Il presente parere è stato sottoposto al Comitato Consultivo dell’Avvocatura
dello Stato, ai sensi dell’art. 26 legge n. 103/1979, il quale si è espresso
in conformità.
RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016
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