LIBERALIZZAZIONE somministrazione - illegittimi atti del Comune di limitazione
[img width=300 height=199]http://www.confcommerciolecce.it/wp-content/uploads/2015/03/Somministrazione-alimenti-e-bevande.jpg[/img]
[color=red][b]T.A.R. Lombardia, Brescia, Sezione I, 9 maggio 2016 n. 625[/b][/color]
FATTO
Riferisce la ricorrente di avere recentemente avviato un’attività di pasticceria, insediandosi nell’immobile (avente da diversi decenni una destinazione commerciale) sito in Desenzano, Piazza Malvezzi n. 53.
In data 30/4/2015 la Società presentava SCIA avente per oggetto la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande. Il dirigente dell’Area Servizi al Territorio del Comune di Desenzano riscontrava la segnalazione, dando notizia dell’avvio del procedimento finalizzato al divieto alla prosecuzione dell’attività. Dopo aver esaminato le controdeduzioni dell’istante, l’amministrazione comunale emetteva l’impugnata ordinanza inibitoria e dichiarava cessati gli effetti della SCIA presentata.
Il provvedimento richiamava il regolamento approvato dal Consiglio comunale per il rilascio delle autorizzazioni in materia, che ha demandato alla Giunta il compito di individuare le zone soggette a tutela (nelle quali è preclusa l’apertura di nuovi esercizi pubblici di somministrazione) e la deliberazione giuntale 7/7/2014 n. 170, che traccia i confini dell’area del Centro storico di Desenzano contemplata dal divieto. Di seguito, sottolineava che la direttiva comunitaria 2006/123/CE colloca la protezione dell’ambiente urbano tra i motivi imperativi di interesse generale che giustificano una compressione della libertà di iniziativa economica privata. Il Centro storico risale al 1500 e riveste una particolare rilevanza storico artistica. In particolare, Piazza Malvezzi è già stata interessata da interventi finalizzati al contenimento del traffico veicolare, e su di essa gravita giornalmente una popolazione di gran lunga superiore a quella residente, registrandosi una saturazione della rete distributiva commerciale: per tale ragione, non è individuabile una misura meno restrittiva del divieto introdotto che consenta di tutelare l’interesse generale tutelato, e la scelta adottata si rivela congrua nel bilanciamento tra le esigenze di liberalizzazione e di promozione della concorrenza e la salvaguardia degli interessi generali.
Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione, la Società ricorrente censura i provvedimenti in epigrafe, deducendo i seguenti motivi in diritto:
a) Incompetenza della Giunta ai sensi degli artt. 42 e 48 del D. Lgs. 267/2000, dal momento che l’organo consiliare, unico titolare del potere normativo, ha inopinatamente delegato l’adozione di disposizioni di natura regolamentare;
b) Violazione degli artt. 3, 41, 97 e 117 della Costituzione, della direttiva CEE 12/12/2006 n. 2006/123/CE, del D. Lgs. 59/2010, dell’art. 31 del D. Lgs. 201/2011, del D.L. 1/2012 conv. in L. 27/2012, eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità manifesta, in quanto:
• le disposizioni regionali (introdotte con L.r. 6/2010) non possono incidere in alcun modo sulla disciplina della concorrenza e sono comunque recessive rispetto alla normativa statale entrata in vigore successivamente;
• l’art. 31 richiamato prevede al comma 2 la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio, senza vincoli di qualsiasi natura salvo quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano e i beni culturali, che in ogni caso devono obbedire ai canoni di adeguatezza e proporzionalità delle finalità pubbliche perseguite (cfr. D.L. 1/2012);
• in via subordinata, la previsione del regolamento adottato dal Comune (art. 3 comma 2) confligge comunque con la previsione della norma regionale (art. 69 L.r. 6/2010), poiché dal tenore letterale del primo si desume un’ingiustificata ulteriore restrizione alla concorrenza;
• alcuna motivazione è stata fornita dalla Giunta a conforto della radicale esclusione delle attività commerciali di somministrazione dalla zona delimitata del Centro storico, attraverso un’analisi puntuale di dati economici e l’elaborazione di relazioni sul contesto socio-ambientale;
• la necessità di tutelare la vivibilità, il rispetto dei residenti, la quiete e l’ordine pubblico non può essere unilateralmente risolta con l’inibizione di una particolare tipologia di iniziativa economica;
• l’ordinanza è dunque viziata da illegittimità derivata dai vizi dei provvedimenti presupposti;
• le competenze sui limiti alla libertà di iniziativa economica non spettano al dirigente ma agli organi sovraordinati;
• il provvedimento dirigenziale difetta in ogni caso totalmente del necessario supporto motivazionale in ordine alla presunta incidenza dell’apertura dell’esercizio sulla tutela dei beni storico artistici del Comune, e non sono state indicate le misure restrittive alternative che avrebbero permesso di perseguire il medesimo interesse;
• contrariamente ai propositi finalizzati al contenimento degli afflussi di pubblico, il Comune organizza ogni mercoledì nel Centro storico (con fulcro proprio in Piazza Malvezzi) la manifestazione denominata “notte bianca”, che raccoglie un numero rilevante di pubblico (documentazione fotografica – doc. 13).
Si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale, formulando un’eccezione in rito e chiedendo nel merito la reiezione del gravame.
Con ordinanza 4/9/2015 n. 1655, questo Tribunale ha motivatamente accolto la domanda cautelare.
Alla pubblica udienza del 13/4/2016 il ricorso veniva chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il thema decidendum del presente ricorso verte sulla legittimità degli atti con i quali il Comune di Desenzano del Garda ha individuato un’area, nell’ambito del centro storico, entro la quale è precluso l’insediamento di nuove attività di somministrazione di alimenti e bevande.
0. Il Comune ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del gravame per omessa tempestiva impugnazione della deliberazione giuntale 7/7/2014 n. 170, che avrebbe introdotto disposizioni immediatamente pregiudizievoli anche per l’esercizio commerciale de quo (così come per i gestori delle attività insediate nella zona del Centro storico assoggettata alle restrizioni).
0.1 Come già sottolineato nell’ordinanza cautelare di accoglimento n. 1655/2015, l’eccezione va disattesa, in quanto l’esercizio della ricorrente non è storicamente attivo in Desenzano, ma si è insediato solo recentemente nell’immobile di Via Malvezzi n. 53 (affermazione di pag. 3 del ricorso, non specificamente contestata dal Comune), per cui in capo alla Società esponente l’interesse a impugnare l’antecedente deliberazione giuntale n. 170/2014 è sorto unicamente allorché della stessa è stata fatta concreta e lesiva applicazione nei propri confronti (con l’ordinanza n. 110/2015), al fine di ordinare il parziale divieto di prosecuzione dell’attività indicata nella SCIA presentata il 30/4/2015.
[color=red][b]Nel merito, il ricorso è fondato e merita accoglimento. [/b][/color]
1. Per quanto concerne il primo motivo, la difesa comunale ha affermato l’avvenuto rispetto della ripartizione delle competenze delineata dal T.U.E.L., dal momento che il Consiglio comunale avrebbe correttamente esercitato la potestà regolamentare con l’esclusione dell’insediamento di nuove attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande in presenza di motivi imperativi di interesse generale (indicati dall’art. 64 del D. Lgs. 59/2010 e dall’art. 69 della L.r. 6/2010), rimettendo alla Giunta (titolare di una competenza generale e residuale) la sola individuazione delle “aree soggette a tutela”.
Detto ordine di idee non merita condivisione.
1.1 Ad avviso del Collegio l’esercizio della competenza spettante all’organo immediatamente rappresentativo della volontà popolare del territorio è stato esercitato in via meramente formale, attraverso il semplice riepilogo delle disposizioni normative di rango primario. Infatti, come anche evidenziato nell’atto di ricorso (pagina 10), le locuzioni racchiuse nell’art. 69 della L.r. 6/2010 sono state pressoché integralmente riproposte nell’art. 3 comma 2 del regolamento, mentre la perimetrazione delle aree coinvolte dal divieto è stata delegata alla Giunta senza introdurre o specificare criteri di maggior dettaglio rispetto a quelli già previsti dal legislatore, rivendicando una potestà già riconosciuta dalla legge regionale. In buona sostanza, il contenuto della potestà riservata all’organo consiliare risulta svuotato e trasferito “in toto” alla Giunta, in tal modo violando l’ordine di ripartizione delle competenze stabilito dal T.U.E.L. Certamente il legislatore ha già elencato, in modo puntuale, i parametri da osservare per la (eventuale) regolamentazione dell’apertura di nuovi esercizi, e tuttavia ciò non esclude assolutamente una pianificazione “di secondo livello” nell’ambito della cornice generale definita dagli atti di normazione primaria, destinata ad essere poi tradotta in scelte concrete dall’organo esecutivo (Giunta comunale). Non può infine accedersi alla prospettazione della difesa dell’amministrazione nella parte in cui afferma che l’atto giuntale impugnato “non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, trattandosi palesemente di atto a contenuto discrezionale, assunto nel bilanciamento degli opposti interessi in gioco.
2. Il gravame è altresì fondato con riferimento ai motivi sostanziali sollevati dalla parte ricorrente.
[b]Il Comune ha osservato che la gravata deliberazione consiliare ha evocato la normativa statale (art. 64 del D. Lgs. 59/2010) e regionale (art. 69 comma 2-bis della L.r. 6/2010), le quali autorizzano la previsione di un sistema di programmazione dell’apertura di nuovi esercizi connotato da divieti e limitazioni, nei casi “in cui ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale di viabilità rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi di controllo in particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità. In ogni caso, resta ferma la finalità di tutela e salvaguardia delle zone di pregio artistico, storico, architettonico e ambientale …”. Inoltre, secondo l’amministrazione, l’art. 30 comma 5-ter del D.L. 69/2013 conv. in L. 98/2013 ha novellato l’art. 31 del D.L. 6/12/2011 n. 201 conv. in L. 22/12/2011 n. 214, assegnando a Regioni e Enti locali l’ampio potere di prevedere zone interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove questi ultimi possano insediarsi. [/b]
[color=red][b]Detta impostazione non si rivela persuasiva. [/b][/color]
2.1 Ripercorrendo il panorama normativo nazionale in materia di somministrazione di alimenti e bevande, il legislatore ha emanato il D. Lgs. 26/3/2010 n. 59 in attuazione della Direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno: dopo aver stabilito che l'apertura al pubblico degli esercizi di cui alla L. 25/8/1991 n. 287 è soggetta ad autorizzazione rilasciata dal Comune competente per territorio, ha disposto all’art. 64 comma 3 che “al fine di assicurare un corretto sviluppo del settore, i comuni, limitatamente alle zone del territorio da sottoporre a tutela, adottano provvedimenti di programmazione delle aperture degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico … , ferma restando l'esigenza di garantire sia l'interesse della collettività inteso come fruizione di un servizio adeguato sia quello dell'imprenditore al libero esercizio dell'attività” ed ha specificato, altresì, che “tale programmazione può prevedere, sulla base di parametri oggettivi e indici di qualità del servizio, divieti o limitazioni all'apertura di nuove strutture limitatamente ai casi in cui ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi di controllo in particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità; in ogni caso, resta ferma la finalità di tutela e salvaguardia delle zone di pregio artistico, storico, architettonico e ambientale e sono vietati criteri legati alla verifica di natura economica o fondati sulla prova dell'esistenza di un bisogno economico o sulla prova di una domanda di mercato, quali entità delle vendite di alimenti e bevande e presenza di altri esercizi di somministrazione”. Nella sequenza delle norme in materia delle c.d. liberalizzazioni, anche la normativa successiva – art. 31 comma 2 del D.L. 201/2011 conv. in L. 214/11, come modificato dal D.L. 1/2012 e dal successivo D.L. 69/2013 – ripropone il contenuto delle precedenti norme (art. 3 del D.L. 223/2006 e art. 64 del D. Lgs. 59/2010) e al generale principio di libera apertura di nuovi esercizi antepone la deroga costituita dai limiti e dai vincoli “connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali”. Prosegue la disposizione statuendo che “Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012, potendo prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali solo qualora vi sia la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali”.
2.2 La giurisprudenza è dell’avviso che, malgrado le riforme ispirate alla cd. “spinta liberalizzatrice”, deve ancora oggi ammettersi la sussistenza di un potere di limitazione e di contingentamento dell’esercizio di attività in tale settore. Tale potere va inteso non più nel senso del permanere della competenza dei Comuni a programmare mediante Piani di sviluppo della rete commerciale (ormai aboliti) bensì, in coerenza all’evoluzione legislativa di impronta comunitaria, nel senso che l’amministrazione comunale ha l’onere di condurre un’approfondita istruttoria al fine di fugare qualsiasi dubbio in merito all’incompatibilità nel caso concreto della domanda presentata rispetto alla specifica condizione dei luoghi interessati dalla nuova attività (T.A.R. Campania Napoli, sez. III – 14/3/2015 n. 1564).
[b]2.3 Osserva il Collegio che l’art. 31 comma 2 del D.L. 6/11/2011 n. 201 conv. in L. 22/12/2011 n. 214 statuisce, in ossequio alla normativa comunitaria e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, che “costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali”. A sua volta l’art. 1 del D.L. 24/1/2012 n. 1 conv. in L. 24/3/2012 n. 27 stabilisce l’abrogazione di ogni norma che ponga “divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite, …” (comma 1 lett. b), e prevede che “le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all'accesso ed all'esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all'ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l'utilità sociale, con l'ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica” (comma 2). [/b]
2.4 In una fattispecie parzialmente sovrapponibile a quella in esame (si trattava dell’inibizione di alcune attività commerciali all’interno nel Centro storico) questa Sezione ha evidenziato come ”rispetto alla predetta cornice normativa tesa alla massima apertura alla concorrenza, la totale preclusione introdotta dalla deliberazione impugnata con riguardo al Centro storico risulta irragionevole e sproporzionata, ove rapportata ad un’attività economica quale è quella concretamente intrapresa dalla ricorrente (vendita di materiale erotico o pornografico mediante apparecchi automatici). Il Comune ha diffusamente illustrato le ragioni sottese alla scelta, con la valorizzazione della funzione di aggregazione sociale degli esercizi di vicinato, la possibilità di interscambio e incontro tra cittadini, il presidio dell’integrità del territorio, il sostegno alle attività locali, la salvaguardia dell’identità dei prodotti e delle peculiarità dei luoghi, lo sviluppo di un turismo di qualità. Tuttavia difetta totalmente il bilanciamento dei predetti interessi con il valore comunitario della concorrenza e la spinta alla piena liberalizzazione delle attività economiche promossa dalla normativa comunitaria e nazionale. Gli obiettivi da perseguire, seppur meritevoli, non appaiono integrare le “gravi ragioni di interesse generale” che dovrebbero sostenere la previsione regolamentare totalmente ostativa all’insediamento, perché in questo senso non risultano compiuti approfondimenti istruttori, attraverso un’analisi puntuale di dati economici delle attività già insediate nel centro storico ovvero l’elaborazione di relazioni aggiornate sul contesto socio-ambientale. L’amministrazione locale è in buona sostanza tenuta a compiere un accurato bilanciamento tra le esigenze di liberalizzazione e di tutela della concorrenza e la tutela di valori quali la salute, l’ambiente ed i beni culturali, potendo in teoria concludere per l’introduzione di vincoli e divieti per zone territoriali laddove nessun’altra misura meno restrittiva ed invasiva della libertà di iniziativa economica privata consenta di tutelare efficacemente gli anzidetti valori (cfr. per un precedente T.A.R. Lazio Roma, sez. II-ter – 18/10/2013 n. 9016)”.
2.5 Il provvedimento dirigenziale impugnato sottolinea il rilievo storico e artistico di Piazza Malvezzi, i precedenti atti di contenimento del traffico veicolare, l’afflusso di un numero di persone ben superiore ai cittadini residenti e la saturazione della rete distributiva commerciale. Ebbene, le condivisibili premesse sfociano in una conclusione apodittica e del tutto sfornita di supporto probatorio. La salvaguardia del patrimonio storico-artistico rappresenta un obiettivo imprescindibile, e tuttavia il drastico divieto di nuove attività di somministrazione non può fondarsi sul (meramente) dichiarato eccesso di offerta commerciale, non accompagnato da dati economici e da dettagliate analisi oggettive delle tipologie di esercizi e del flusso di turisti. [color=red][b]L’amministrazione ha completamente omesso sia di soppesare in concreto gli opposti valori in conflitto, sia di prospettare e vagliare soluzioni alternative e meno impattanti sull’iniziativa privata, nel rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza, aderendo direttamente all’opzione che azzera ogni ulteriore attività di somministrazione.[/b][/color] Al contrario, le iniziative di cui parte ricorrente ha dato conto (riportando l’esempio delle “Notti bianche” organizzate nel periodo estivo) – seppur temporalmente e numericamente limitate – appaiono ispirate a scopi diametralmente opposti a quelli perseguiti con i provvedimenti impugnati, introducendo altresì profili di contraddittorietà e irragionevolezza nell’agire amministrativo. In definitiva, il Comune non ha compiuto i dovuti approfondimenti e il necessario bilanciamento, nella sostanza, degli interessi coinvolti.
2.6 Quanto alla normativa regionale applicata dall’amministrazione, l’art. 69 comma 2-bis della L.r. 6/2010 statuisce che “Ferma restando l'esigenza di garantire sia l'interesse della collettività inteso come fruizione di un servizio adeguato sia quello dell'imprenditore al libero esercizio dell'attività, nei criteri di cui al comma 2 i comuni, al fine di assicurare un corretto sviluppo del settore, adottano, limitatamente alle zone del territorio da sottoporre a tutela, provvedimenti di regolamentazione delle aperture degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico. Tale regolamentazione può prevedere, sulla base di parametri oggettivi ed indici di qualità del servizio, divieti o limitazioni all'apertura di nuovi esercizi di somministrazioni limitatamente ai casi in cui ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità, rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi di controllo, in particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità. In ogni caso, resta ferma la finalità di tutela e salvaguardia delle zone di pregio artistico, storico, architettonico e ambientale e sono vietati criteri legati alla verifica di natura economica o fondati sulla prova dell'esistenza di un bisogno economico o sulla prova di una domanda di mercato, quali entità delle vendite di alimenti e bevande e presenza di altri esercizi di somministrazione”. La disposizione è stata trasfusa nel regolamento del Comune di Desenzano in modo non perfettamente conforme e potenzialmente più restrittivo. In luogo delle “ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità che rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico senza incidere in modo gravemente negativo sui flussi di controllo…” è stato unicamente trascritto che “possono incidere in modo gravemente negativo sui flussi di controllo …”. L’eliminazione della locuzione che sottolinea l’impossibilità di accogliere ulteriori flussi di pubblico, in verità, può rivelarsi neutrale rispetto alla sua concreta applicazione, che è nei fatti avvenuta in violazione dei parametri di proporzionalità e di corretta istruttoria.
[b]In conclusione la pretesa impugnatoria è fondata e merita accoglimento, per le ragioni precisate. [/b]
3. Il Collegio deve prendere atto della rinuncia alla domanda risarcitoria, dato che (come esplicitato dalla ricorrente nella memoria finale del 10/3/2016) il decreto cautelare ha evitato l’insorgenza di pregiudizi economici per la ricorrente.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla l’ordinanza dirigenziale 29/6/2015 n. 110 e, in parte qua, le deliberazioni del Consiglio e della Giunta comunale impugnate.
Condanna il Comune di Desenzano del Garda a corrispondere alla ricorrente la somma di 3.000 € a titolo di compenso per la difesa tecnica, oltre a oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2016 con l'intervento dei magistrati:
Alessandra Farina, Presidente
Stefano Tenca, Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani, Consigliere