Data: 2016-06-03 06:22:32

DIVIETO DI INDOSSARE IL VELO sul posto di lavoro - legittimo per UE

DIVIETO DI INDOSSARE IL VELO sul posto di lavoro - legittimo per UE

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[color=red][b]Corte di giustizia UE N. 54/2016 : 31 maggio 2016
Conclusioni dell'Avvocato generale nella causa C-157/15[/b][/color]

Secondo l’avvocato generale Kokott il divieto di indossare un velo in un’impresa può essere ammissibile

COMUNICATO STAMPA n. 54/16
Lussemburgo, 31 maggio 2016
Conclusioni dell’avvocato generale nella causa C-157/15

Samira Achbita e Centrum voor gelijkheid van kansen en voor
racismebestrijding / G4S Secure Solutions NV

Secondo l’avvocato generale Kokott il divieto di indossare un velo in un’impresa
può essere ammissibile

Ove il divieto si basi su una regola aziendale generale, secondo cui sono vietati segni politici,
filosofici e religiosi visibili sul luogo di lavoro, tale divieto può essere giustificato al fine di realizzare
la legittima politica di neutralità religiosa e ideologica perseguita dal datore di lavoro
La sig.ra Samira Achbita, di fede musulmana, era occupata come receptionist presso la società
belga G4S Secure Solutions, che fornisce servizi di sorveglianza e sicurezza nonché di
accoglienza. Quando, dopo tre anni di attività presso tale impresa, ha insistito di poter indossare in
futuro un velo islamico al lavoro, è stata licenziata, in quanto presso la G4S è vietato portare segni
religiosi, politici e filosofici visibili. Con il sostegno del centro belga per le pari opportunità e la lotta
al razzismo, la medesima ha citato per danni la GS4 dinanzi ai giudici belgi, rimanendo
soccombente nei primi due gradi di giudizio. La Corte di cassazione belga, attualmente investita
della controversia, chiede alla Corte, in tale contesto, precisazioni quanto al divieto, previsto dal
diritto dell’Unione, di discriminazioni fondate sulla religione o sulle convinzioni personali1
.
[b]Nelle sue conclusioni odierne, l’avvocato generale Juliane Kokott sostiene che non costituisce
una discriminazione diretta fondata sulla religione il divieto posto ad una lavoratrice di fede
musulmana di indossare un velo islamico sul luogo di lavoro se tale divieto si fonda su una regola
aziendale generale intesa a vietare sul posto di lavoro segni politici, filosofici e religiosi visibili e
non poggia su stereotipi o pregiudizi nei confronti di una o più religioni determinate oppure nei
confronti di convinzioni religiose in generale. In un tale caso, infatti, non vi sarebbe un trattamento
meno favorevole sulla base della religione.[/b]
Certo, il divieto in questione potrebbe costituire una discriminazione indiretta fondata sulla
religione2, [b]tuttavia tale discriminazione3 potrebbe essere giustificata al fine di attuare una
politica legittima4 di neutralità religiosa e ideologica perseguita dal datore di lavoro nella propria
azienda, sempreché in tale contesto il principio di proporzionalità venga rispettato.[/b]
In un caso come quello in esame, il controllo di proporzionalità è una questione delicata, in
relazione alla quale la Corte dovrebbe conferire alle autorità nazionali – e in particolare ai giudici
nazionali – un certo potere discrezionale, da esercitare nel rigoroso rispetto delle prescrizioni del
diritto dell’Unione. Spetterebbe, quindi, in definitiva, alla Corte di cassazione belga ponderare
equamente, nel caso di specie, gli interessi in gioco, tenendo conto di tutte le circostanze rilevanti
del caso concreto (in particolare delle dimensioni e della vistosità del segno religioso, del tipo di
attività della lavoratrice e del contesto in cui ella è tenuta a svolgerla, nonché dell’identità nazionale
del Belgio).
La sig.ra Kokott ritiene tuttavia che sia pacifico, in linea di principio, che il divieto di cui trattasi sia
idoneo a conseguire la finalità legittima perseguita dalla G4S di neutralità religiosa e ideologica.
Siffatto divieto risulta anche necessario alla realizzazione di tale politica imprenditoriale.
Alternative meno restrittive e cionondimeno parimenti idonee non sono state rese note nel
procedimento dinanzi alla Corte.
Per quanto riguarda, infine, il controllo di proporzionalità senso stretto, la sig.ra Kokott
considera che molti elementi depongono nel senso che il divieto controverso non arreca, nella
specie, un eccessivo pregiudizio ai legittimi interessi delle lavoratrici in questione e deve pertanto
essere considerato proporzionato.
Certo, la religione rappresenta per molte persone una parte importante della loro identità e la
libertà di religione costituisce uno dei fondamenti di una società democratica.
Tuttavia, mentre un lavoratore non può «mettere nell’armadietto» il proprio sesso, il colore della
propria pelle, la propria origine etnica, il proprio orientamento sessuale, la propria età o il proprio
handicap non appena entra nei locali del proprio datore di lavoro, dallo stesso lavoratore può
essere pretesa una certa riservatezza per quanto attiene all’esercizio della religione sul luogo di
lavoro, sia che si tratti di pratiche religiose o di comportamenti motivati dalla religione sia che si
tratti – come nella specie – del suo abbigliamento. [b]Il grado di riservatezza che può essere preteso
da un lavoratore dipende da una valutazione complessiva di tutte le circostanze rilevanti del
singolo caso concreto.[/b]

[i]1 Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di
trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16). Per motivi di semplificazione
nel prosieguo si parlerà solo di “discriminazione fondata sulla religione”.
2
Infatti, tale disposizione sarebbe idonea, di fatto, a mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che
professano una determinata religione o ideologia, nel caso in esame le dipendenti di fede musulmana.
3
In quanto requisito essenziale, determinante e legittimo per lo svolgimento dell’attività lavorativa ai sensi dell’articolo 4,
paragrafo 1, della direttiva.
4
La politica di neutralità di cui trattasi non eccederebbe i limiti del potere discrezionale imprenditoriale. Tale politica
addirittura si imporrebbe presso la G4S, e non solo a causa della varietà dei clienti, ma anche a causa della particolare
natura delle attività svolte in tale contesto dal personale della G4S. Tali attività sono caratterizzate dal costante contatto
faccia a faccia con persone esterne e rappresentano per il pubblico non solo l’immagine della G4S stessa, ma,
soprattutto, l’immagine dei suoi clienti.[/i]

IMPORTANTE: Le conclusioni dell'avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia. Il compito
dell'avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella
causa per la quale è stato designato. I giudici della Corte cominciano adesso a deliberare in questa causa.
La sentenza sarà pronunciata in una data successiva.
IMPORTANTE: Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell'ambito di una controversia
della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla
validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale
risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri
giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.
http://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2016-05/cp160054it.pdf

Documento non ufficiale ad uso degli organi d'informazione che non impegna la Corte di giustizia.
[b]Il testo integrale delle conclusioni è pubblicato sul sito CURIA il giorno della lettura.[/b]

http://curia.europa.eu/juris/documents.jsf?num=C-157/15

riferimento id:34437

Data: 2016-06-04 06:40:42

Re:DIVIETO DI INDOSSARE IL VELO sul posto di lavoro - legittimo per UE

Nessun problema se la regola della neutralità è esplicita. Invece almeno in Italia molti non si danno la briga di fissare regole puntuali, preferendo richiamare e predicare arbitrariamente. Per fortuna c'è Cass. civ. Sez Lavoro n. 4307 del 1993. Più in generale, non si può cianciare di comportamenti non consoni senza indicare quale esatto dovere è stato violate (Consiglio di Stato Sezione 5, 12 maggio 2011, n. 2815).

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