Condannato un DIRIGENTE per MANCATA LIBERALIZZAZIONE - Corte Conti 303/2011
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA SARDEGNA
sent. n. 303 del 18/05/2011
Presidente: SCANO Mario Pietro Paolo
Estensore: CANU Antonio Marco
Sent. n. 303/2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA SARDEGNA
composta dai seguenti magistrati
dott. Mario Pietro Paolo SCANO Presidente
dott. Marino BENUSSI Giudice
dott. Antonio Marco CANU Giudice estensore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul giudizio di responsabilità instaurato ad istanza del Procuratore regionale della Corte dei conti per la Regione Sardegna nei confronti di
Emilio BOI (CF BOIMLE42H04F982Z), nato a Nurallao il 4/6/1942, rappresentato e difeso dagli avv.ti Eulo COTZA e Paolo COTZA, presso il cui studio, sito in Cagliari, piazza Michelangelo 14, è elettivamente domiciliato.
Visto l’atto di citazione del 7 dicembre 2010, iscritto al n. 22526 del registro di Segreteria.
Uditi, nella pubblica udienza del 3 maggio 2011, il relatore Consigliere Antonio Marco CANU, nonché l’avv. Eulo COTZA per il convenuto e il Pubblico Ministero nella persona del Vice procuratore generale Antonietta BUSSI.
FATTO
Il Procuratore regionale della Corte dei conti per la Regione Sardegna ha promosso azione di responsabilità nei confronti del sig. Emilio BOI, chiedendone la condanna a pagare alla Regione Autonoma della Sardegna la somma di euro 14.000, oltre a rivalutazione, interessi e spese di giustizia.
Il danno contestato di cui si chiede il risarcimento consiste in parte della somma al cui pagamento la Regione Autonoma della Sardegna è stata condannata in esecuzione della sentenza del TAR Sardegna n. 2186 del 2009, resa sul ricorso proposto dal sig. Roberto CHESSA.
Espone l’attore che il sig. CHESSA, in data 25 novembre 1998, ha presentato al competente Assessorato al Turismo, Artigianato e Commercio richiesta di autorizzazione per l’apertura di un’agenzia di viaggi e turismo nel comune di Nuoro.
L’istanza è stata rigetta con provvedimento n. 787 del 27 agosto 1999 dell’allora direttore generale Emilio BOI.
Il provvedimento, adottato in conformità al parere reso, dopo ripetuti rinvii, dal Comitato tecnico istituito ai sensi della legge regionale n. 13/1998 disciplinante la materia, era motivato con la mancanza di posti all’interno del contingente numerico previsto dal Piano pluriennale di razionalizzazione delle agenzie di viaggio e turismo nella Regione Autonoma della Sardegna.
Rimasta senza seguito la diffida presentata dal CHESSA al direttore generale a concedere l’autorizzazione in difformità dal parere suddetto, l’interessato ha proposto ricorso innanzi al TAR Sardegna.
In data 18 novembre 1999 due funzionari della Regione firmavano una relazione, da trasmettere alla Presidenza della Giunta regionale, servizio legislativo, nella quale si sosteneva in maniera esplicita che il Piano regionale non poneva limitazioni al numero delle agenzie di viaggio e che un’interpretazione contraria sarebbe stata da considerare alla stregua di un vero e proprio infortunio ermeneutico.
Con nota del 9 dicembre 1999, il dott. BOI esprimeva avviso nettamente contrario a quello manifestato nella suddetta relazione e sollecitava quindi la resistenza in giudizio dell’amministrazione.
Con sentenza n. 582/2000 il TAR ha accolto il ricorso, affermando, in sintesi, che il piano regionale non conteneva alcuna limitazione al numero massimo delle agenzie autorizzabili.
Con successivo ricorso proposto nell’ottobre 2001, il CHESSA ha quindi chiesto al TAR la condanna della Regione Autonoma della Sardegna al risarcimento dei danni conseguenti al diniego illegittimo di autorizzazione nel periodo compreso tra la data del diniego stesso e quella (11 marzo 2001) di rilascio dell’autorizzazione.
Nella sentenza con cui ha accolto la domanda il TAR ha definito come inescusabile l’ignoranza, da parte dell’amministrazione, della disciplina applicabile. La Regione Autonoma della Sardegna è stata quindi condannata a pagare al CHESSA la somma di euro 51.000,00 a titolo di risarcimento del danno, più rivalutazione, interessi e spese di giudizio, liquidate in euro 2.000,00. La sentenza non è stata appellata.
Ritenendo sussistente la responsabilità del dott. BOI in relazione alla causazione del danno erariale sofferto dalla Regione autonoma della Sardegna, allo stesso è stato notificato il prescritto invito a dedurre.
Le deduzioni presentate dal presunto responsabile, sinteticamente riassumibili nella tesi della legittimità del proprio operato alla luce delle prescrizioni del piano regionale e della prassi sino ad allora seguita, non sono state ritenute sufficienti a superare gli addebiti, se non con riguardo alla limitazione della responsabilità alla parte dei danni maturata sino alla data del collocamento a riposo dell’interessato, avvenuta il 3 gennaio 2000, talché il Procuratore regionale ha provveduto a emettere l’atto di citazione in giudizio.
Ad avviso dell’attore, la causa esclusiva del danno contestato va rinvenuta nella condotta del BOI che, nella qualità di direttore generale dell’Assessorato al Turismo, Artigianato e Commercio all’epoca rivestita, ha adottato l’atto illegittimo, annullato dal TAR, che ha dato origine alla situazione di pregiudizio patrimoniale del privato.
Sarebbe infatti chiaro, come evidenziato dalla sentenza del TAR n. 2186/09, che l’amministrazione regionale non si sarebbe trovata costretta a rifondere quei danni se non fosse stato adottato quel provvedimento prevedibilmente censurabile e, infatti, puntualmente censurato con esito favorevole in sede giurisdizionale.
Ad avviso dell’attore, dalla lettura del Piano regionale non sarebbe stato possibile trarre alcuna indicazione di un contingentamento numerico delle autorizzazioni rilasciabili per l’apertura delle agenzie di viaggio.
Aver adottato il provvedimento di diniego e non averlo ritirato dopo la relazione dei due funzionari regionali che concludeva per l’inesistenza di alcun limite numerico alle autorizzazioni regionali in materia farebbe assumere alla condotta del convenuto il carattere della colpa grave.
Per quanto riguarda il danno addebitabile, il Procuratore regionale ha ritenuto di accogliere sul punto le argomentazioni del convenuto, imputandogli solo la parte di danno maturata dalla data di adozione del provvedimento al momento in cui, per effetto della sua cessazione dal servizio, avvenuta il 3 gennaio 2000, è venuta meno la sua possibilità di incidere sulla vicenda, salvo l’accertamento di eventuali altre responsabilità per la restante quota di danno.
Instaurato il giudizio, il convenuto si è costituito a ministero degli avvocati Eulo COTZA e Paolo COTZA.
In primo luogo, la difesa rileva che l’affermazione di parte attrice secondo cui l’atto annullato dal TAR è stato adottato dal BOI è erronea, in quanto l’atto in questione risulta sottoscritto da altro dirigente del medesimo plesso organizzativo, il dott. Giuseppe DUCE, così come la pertinente nota di trasmissione.
Il dott. DUCE era all’epoca sostituto del Direttore generale, designato alle funzioni vicarie con precedente provvedimento generale. Il convenuto, all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato innanzi al TAR, era assente dal servizio per ferie.
Che la pratica fosse stata ponderatamente e consapevolmente seguita dal dott. DUCE emerge anche dalle considerazioni critiche da lui svolte in ordine alle valutazioni espresse dai dirigenti VALDES e MANCUSO e dalla sua esplicita assunzione di responsabilità nel caso, quando ha deciso di apporre la sua firma sul provvedimento nonostante il rifiuto dei predetti dirigenti di sottoscrivere lo schema di determinazione.
La determinazione negativa è analoga ad altra assunta dal medesimo dott. DUCE, al quale il convenuto passò le consegne il 21 dicembre 1999, anche se formalmente il collocamento a riposo del BOI avvenne il 3 gennaio 2000.
In disparte tali puntualizzazioni, che dovrebbero essere conclusive in ordine all’estraneità del convenuto al danno patito dalla Regione Autonoma della Sardegna, la difesa osserva comunque che, ben prima della nomina del BOI a Direttore generale dell’Assessorato, il piano regionale pluriennale di razionalizzazione delle agenzie di viaggio e turismo, adottato ai sensi della l.r. 13/1988, anche prima della sua definitiva approvazione, ha costituito la normativa di riferimento per l’Autorità regionale e per gli operatori del settore. Anche a seguito di una richiesta di parere del BOI, il Comitato tecnico delle Agenzie di Viaggio-Turismo aveva confermato che rimanevano vigenti i contingenti numerici previsti in detto piano, nelle more dell’approvazione di esso.
Detta approvazione venne data dalla Giunta regionale che, pur dando atto dell’evoluzione degli indirizzi ed orientamenti emersi a livello comunitario e nazionale con riguardo ai poteri pubblici di organizzazione dell’esercizio delle agenzie di viaggio, aveva tuttavia disposto di approvare il piano nella sua formulazione, ivi compreso l’aspetto del contingentamento del numero delle agenzie.
In definitiva, sostiene la difesa che il rigetto di autorizzazione alla ditta CHESSA sia stato coerente con la normativa vigente come interpretata dal Comitato tecnico e con le indicazioni della Giunta regionale, i cui atti rappresentavano un indirizzo interpretativo ed applicativo inderogabile per i dirigenti della Regione.
In questo contesto, sarebbero da ritenere sorprendenti le affermazioni del TAR in ordine all’inesistenza nel Piano regionale di un tetto massimo di agenzie autorizzabili, che oltre tutto si porrebbero in contraddizione con precedenti decisioni dello stesso TAR. Tali affermazioni sarebbero state favorite dalla carenza di contraddittorio processuale, connesso alla mancata costituzione in giudizio della Regione Sardegna, nonostante il dott. BOI avesse tempestivamente e motivatamente sollecitato la resistenza in giudizio, controdeducendo alle tesi dei dipendenti regionali VALDES e MANCUSO, il cui accoglimento si sarebbe risolto sostanzialmente in un’inammissibile disapplicazione provvedimentale degli atti del Comitato tecnico e della Giunta.
Dalle considerazioni svolte si evince altresì l’inesistenza di qualsiasi profilo di dolo o colpa grave nella condotta del convenuto, che non potrebbe essere riscontrato neppure con il mero rinvio alle statuizioni del TAR, stante il noto e pacifico principio della separatezza ed autonomia del giudizio innanzi alla Corte dei conti anche rispetto al giudizio amministrativo.
Sono state quindi formulate conclusioni di irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità e comunque infondatezza nel merito dell’atto introduttivo del giudizio.
In via subordinata, è stato chiesto che la responsabilità del convenuto sia commisurata alla richiamata situazione di incertezza ed al danno effettivamente arrecato, tenendo conto del trascurabile apporto causale alla produzione dell’asserito pregiudizio erariale, in ogni caso, e sempre in via subordinata, con esercizio del potere riduttivo. Con vittoria di spese, diritti ed onorari. Sono stati prodotti n. 22 documenti.
Nell’udienza del 3 maggio 2011, il difensore del convenuto ha integralmente confermato le riportate conclusioni.
Il Pubblico ministero, pur dando atto che il provvedimento di diniego dell’autorizzazione all’apertura dell’agenzia di viaggi è stato emesso da altro dirigente dell’Assessorato, ha confermato la richiesta di condanna formulata in citazione, osservando che la condotta censurata non riguardava solo l’emissione di detto atto, ma anche il suo omesso ritiro, che è addebitabile al convenuto.
Ad avviso del Pubblico ministero, il BOI ha seguito l’intero iter della pratica, fatta eccezione per i quindici giorni in cui si è assentato per ferie. Il dott. DUCE, che lo ha sostituito in tale periodo, non potrebbe essere considerato in colpa grave, avendo dovuto adottare celermente l’atto di diniego a seguito della diffida presentata dall’interessato.
Peraltro, come si evince dal documento n. 4 presentato dalla difesa, il BOI avrebbe apposto a margine di detta diffida una richiesta ai funzionari preposti di predisporre un provvedimento di diniego, per cui eventualmente la Sezione potrebbe disporre l’acquisizione di detto documento.
In replica, l’avv. COTZA, dopo aver ribadito le argomentazioni difensive esposte in sede di costituzione in giudizio, ha escluso che il dirigente che ha adottato l’atto di diniego dell’autorizzazione fosse stato in qualche modo obbligato a farlo. Vero è invece che tale atto era coerente con una interpretazione della normativa e delle prescrizioni contenute nel piano regionale che il convenuto condivideva e sosteneva, ma tale interpretazione era conforme ad un preciso indirizzo dato dall’Assessore dell’epoca, che lo aveva chiaramente enunciato sia nel corso della riunione del Comitato tecnico regionale del 19 gennaio 1999 (doc. 11 delle produzioni difensive) sia nella relazione alla Giunta in sede di discussione della delibera di approvazione del piano regionale del 2 febbraio 1999 (doc. 12 delle produzioni difensive).
DIRITTO
Come è noto, la responsabilità amministrativa trova i suoi elementi costitutivi nel danno ingiusto per la Pubblica amministrazione, nella condotta antigiuridica dell’agente pubblico (ovvero posta in essere nell’esercizio delle funzioni ed in violazione dei doveri di servizio), nel nesso causale tra la condotta ed il danno, ed infine nel dolo o nella colpa grave nella consumazione del fatto illecito.
La prova della sussistenza di ciascuno di tali elementi incombe, secondo l’ordinaria ripartizione del relativo onere, sull’attore.
Nel caso in esame, il danno sopportato dall’amministrazione regionale è consistito nel risarcimento che la stessa ha dovuto corrispondere ad un privato per il danno a costui inferto in conseguenza del ritardato rilascio dell’autorizzazione all’apertura di un’agenzia di viaggi, sulla base di una sentenza del TAR di Cagliari, che ha riconosciuto il diritto dell’interessato. L’esistenza e la consistenza di tale danno, per la parte in cui esso è stato addebitato al convenuto, sono incontestate tra le parti.
Ad avviso dell’attore, le condotte causative del danno de quo sarebbero da rinvenire nell’adozione dell’atto di diniego della richiesta autorizzazione prima e nel mancato ritiro di detto atto poi (v. pag. 7-8 della citazione), entrambe imputate all’odierno convenuto, nella sua qualità, all’epoca dei fatti, di Direttore generale dell’Assessorato regionale del Turismo, Artigianato e Commercio.
La prima di tali condotte, tuttavia, come esattamente eccepito dalla difesa e riconosciuto in udienza dallo stesso rappresentante del Pubblico ministero, non è riferibile al convenuto, risultando pacificamente, dall’esame dell’atto e della relativa nota di notifica all’interessato, che la determinazione negativa in questione (n. 787 del 27/8/1999) reca la firma del dott. Giuseppe DUCE (v. fgl. 117-119 del fascicolo depositato dalla Procura regionale). E’ stato chiarito dalla difesa del BOI che il DUCE era un dirigente dell’Assessorato che aveva tra i suoi incarichi quello di sostituire il convenuto nei periodi di sua assenza dal servizio, come quella verificatasi nel lasso di tempo dal 23/8 al 13/9 1999, durante il quale il BOI ha usufruito di ferie (v. doc. n. 3 delle produzioni difensive).
Ciò posto, l’esame della fondatezza dell’assunto accusatorio va circoscritta alla seconda delle condotte censurate, dovendosi ritenere che anche il mancato ritiro dell’atto di diniego abbia avuto incidenza nella causazione del danno erariale. E’ di tutta evidenza, infatti, che qualora il convenuto avesse esercitato il potere di autotutela, il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione richiesta sarebbe terminato positivamente per il privato ben prima di quanto non sia avvenuto.
La materia del turismo rientra nell’ambito della potestà legislativa esclusiva della Regione Autonoma della Sardegna. Con legge regionale n. 13 del 13 luglio 1988 è stata introdotta la disciplina regionale delle agenzie di viaggio e turismo, la quale, all’art. 5, prevede che l’apertura e l’esercizio di tali agenzie sia soggetta ad autorizzazione regionale, previo parere del comitato tecnico consultivo previsto dal successivo art. 21.
L’art. 4 della legge prevede altresì che, al fine di favorire un più razionale assetto delle agenzie di viaggio e turismo della Sardegna, l’Assessorato regionale competente provvede alla formazione di un piano di adeguamento della rete delle agenzie medesime rispetto alle esigenze della domanda turistica, in coerenza con gli obiettivi della programmazione regionale di sviluppo.
In particolare, il piano è finalizzato “ad assicurare il miglioramento della qualità, funzionalità, produttività e professionalizzazione dei servizi di agenzia, e ad instaurare il massimo opportuno equilibrio fra la consistenza della rete ed il volume di domanda derivante dai seguenti fattori:
a) movimento turistico;
b) ricettività turistica;
c) popolazione residente”.
La legge stabilisce che il Piano, adottato con decreto dell’Assessore regionale del turismo, sia pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna e, dopo la definizione delle eventuali osservazioni presentate al competente Assessorato dalle Province, dai Comuni e dalle aziende interessate, sia definitivamente approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale, su conforme deliberazione della Giunta medesima ed iniziativa di proposta dell’Assessorato regionale del turismo, e quindi pubblicato per esteso nel Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna.
All’aggiornamento pluriennale del Piano deve provvedersi, di norma, con cadenza quinquennale.
Il Piano di razionalizzazione in questione è stato adottato con decreto dell’Assessore regionale del Turismo, Artigianato e Commercio n. 282 del 31 maggio 1990 e pubblicato sul S.S. del B.U.R.A.S. n. 40 del 10 ottobre 1990.
Peraltro, decorso il termine previsto per la presentazione delle osservazioni, non è stata deliberata la formale approvazione dello stesso sino al 1999 (delibera G.R. del 2/2/1999 e decreto del Presidente della G.R. n. 107 del 22/7/1999).
Tuttavia, anche precedentemente alla sua formale approvazione, il Piano è stato di fatto applicato dalla Regione e si è instaurata, pur, per quanto consta, in assenza di formali direttive in proposito, una prassi interpretativa a tenore della quale si è ritenuto che il documento avesse previsto una limitazione al numero delle agenzie autorizzabili (per quanto, come si desume dalla lettura degli atti, v. in particolare quanto emerge dal verbale della seduta del Comitato tecnico regionale del 19 gennaio 1999, tale limite non è stato sempre inteso come assolutamente insuperabile).
Il provvedimento di diniego che ha dato origine alla vicenda di cui ci si occupa è stato motivato infatti, in conformità al parere reso, in data 30 giugno 1999, dal Comitato tecnico regionale presieduto dal convenuto, proprio con la “persistente mancanza di posti all’interno del contingente numerico previsto dal Piano di razionalizzazione delle agenzie di viaggi e turismo che non consente il rilascio di nuove autorizzazioni”.
Già nella fase di predisposizione della determinazione negativa, peraltro, erano emerse all’interno dell’Assessorato profonde perplessità circa la legittimità di detto orientamento, manifestate in particolare dall’ing. Giorgio VALDES, coordinatore f.f. del Servizio AA.GG. e Turismo, e dalla dott.ssa Michela MANCUSO, coordinatrice f.f. del Settore Programmazione, Studi e Promozione Turistica.
Costoro, in una nota congiunta del 27/8/1999 indirizzata alla Direzione generale dell’Assessorato (v. doc. n. 4 delle produzioni difensive), avevano rilevato che, a loro parere, il Piano regionale era improntato ad un criterio di flessibilità che avrebbe consentito il superamento dei limiti numerici per specifiche circostanze determinate dalle contingenti realtà turistiche ed economiche e dagli orientamenti in materia (richiamati anche nella delibera della G.R. di approvazione del Piano) emersi sia dalla più recente giurisprudenza della Corte costituzionale che dalle osservazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Aggiungevano che in merito all’insuperabilità del limite numerico indicativamente previsto dallo stesso piano vi erano fondate perplessità, peraltro confermate da precedenti atti adottati dall’organo di direzione politica e siglati dall’attuale Direttore generale.
Non avendo il dott. DUCE ritenuto condivisibili tali osservazioni (v. nota di risposta del 30/8/1999, doc. n. 5 delle produzioni difensive), l’atto negativo è stato quindi adottato e contro di esso il privato ha presentato un articolato ricorso al TAR, il cui contenuto è riportato nel successivo ricorso proposto per il risarcimento del danno (v. fgl. 34-49 del fascicolo depositato dal Procuratore regionale, in part. fgl. 37-46).
E’ in questa fase, in cui doveva decidersi se resistere in giudizio, che il convenuto, rientrato dalle ferie, si è occupato della pratica.
I funzionari VALDES e MANCUSO hanno predisposto in proposito una corposa relazione, a esito della quale hanno concluso, tra l’altro, affermando: che il piano non ha posto limitazioni al numero delle agenzie di viaggio, che una interpretazione di esso in senso contrario sarebbe stata errata e comunque contrastante con principi comunitari, con quelli costituzionali e con quelli posti dalla legge quadro e dalla legge regionale, con le indicazioni del Piano e, infine, con i principi in tema di liberalizzazione nei campi dell’economia e dei servizi, che in attesa di un necessario intervento legislativo disciplinante ex novo la materia, in conformità ai suddetti principi, non sarebbe stato possibile porre limitazioni numeriche all’apertura di nuove agenzie, che, in subordine, si sarebbe potuto utilizzare l’aumento annuo numerico consentito dallo stesso Piano, permettendo nell’immediato l’apertura di altre 36 agenzie e/o sedi secondarie.
Il convenuto, tuttavia, ha ritenuto di non condividere le conclusioni sopra riportate, e sollecitato dal Servizio legislativo della Presidenza della G.R., ha predisposto le controdeduzioni al ricorso del CHESSA (v. doc. n. 18 delle produzioni difensive).
In sintesi, il BOI ha sostenuto la tesi, supportata da asseriti indirizzi interpretativi dati dalla Giunta regionale, che il contingentamento numerico delle agenzie di viaggi autorizzabili fosse l’effetto di previsioni della legge regionale n. 13/1988 (in part. l’art. 4) e del Piano regionale. Pur dando atto dell’esistenza di principi costituzionali e comunitari confliggenti con la normativa regionale, talché la resistenza in giudizio per la Regione è stata prospettata come non facile, il convenuto ha ritenuto giuridicamente non percorribile la strada di un adeguamento a detti principi in via amministrativa, ritenendo indispensabile procedere mediante riforme legislative.
Come detto in narrativa, il TAR Sardegna, con sentenza n. 582 dell’8 giugno 2000, ha accolto il ricorso del privato, con motivazione, riportata nella parte in fatto della successiva sentenza n. 2186 del 16 dicembre 2009 (v. fgl. 26-27 del fascicolo depositato dalla Procura regionale), particolarmente netta nell’escludere che il Piano regionale contenesse alcuna specifica previsione in ordine ad un tetto massimo inerente le agenzie autorizzabili. Al contrario, ha osservato il giudice amministrativo, in diversi punti del Piano sono rinvenibili precise considerazioni in ordine all’impossibilità di prevedere un contingentamento massimo di agenzie (come è stato fatto in altre Regioni, con norme lesive del principio concorrenziale) ed alla necessità di garantire una maggiore libertà di accesso.
Ritiene la Sezione che, alla luce dello svolgimento dei fatti come sopra riportato, la condotta del convenuto non possa che essere considerata antigiuridica e affetta da colpa grave.
Con riguardo al primo aspetto, l’interpretazione data dal BOI della normativa regionale e più in particolare, per quanto qui interessa, delle prescrizioni del Piano regionale, appare palesemente erronea, come era stato chiaramente posto in evidenza già nella relazione predisposta dal VALDES e dalla MANCUSO e poi confermato dal TAR.
E’ chiaro che l’intento del legislatore regionale del 1988, laddove aveva previsto la formazione di un piano di adeguamento della rete delle agenzie di viaggio rispetto alle esigenze della domanda turistica, in coerenza con gli obiettivi della programmazione regionale di sviluppo e finalizzato “ad instaurare il massimo opportuno equilibrio fra la consistenza della rete ed il volume di domanda”, era effettivamente ispirato ad una logica “dirigistica” del settore, in conformità alle teorie sulla pianificazione economica all’epoca ancora in auge, sebbene già entrate in crisi.
Resta però il fatto che la norma di legge non era certo univocamente interpretabile come volta ad introdurre limiti puramente numerici alle agenzie di viaggi autorizzabili, e comunque tali limiti avrebbero potuto essere tratti solo dal documento di pianificazione in essa previsto, ove li avesse contenuti.
Ma, come ben evidenziato nella relazione VALDES-MANCUSO, non solo il Piano adottato nel 1990 non ne prevedeva, ma addirittura escludeva espressamente di poterli introdurre, alla luce dei principi di diritto comunitario e quindi della concreta possibilità che eventuali vincoli e restrizioni all’espansione delle agenzie di viaggio, analoghi a quelli previsti in leggi di altre regioni, non superassero il vaglio della Corte costituzionale o della Corte di giustizia delle Comunità europee (v. pag. 60, fgl. 171 del fascicolo depositato dalla Procura regionale). Talché, si affermava, la legge regionale andava apprezzata proprio perché consentiva di raggiungere un punto di equilibrio tra l’esigenza di prevedere una programmazione dell’attività economica nel settore e quella di evitare di porvi limiti rigidi e vincolanti.
Si può quindi affermare, senza tema di smentite, che il Piano in questione non prevedeva alcun limite numerico alle agenzie di viaggi nella Regione Sardegna e fargli dire il contrario equivarrebbe a “facere de albo nigro”.
Semmai, il documento di programmazione si proponeva, nell’ottica di perseguire lo scopo di razionalizzazione dell’attività delle agenzie di viaggi e turismo per il quale era stato introdotto, di indicare una griglia di criteri di priorità per l’autorizzazione all’apertura di nuove agenzie, individuandoli come segue (v. pagg. 184-185, fgl. 180-181 del fascicolo di Procura):
“1) standard elevato in termini di capitale impegnato nell’impresa (nella prassi come condizione minima per l’apertura di una buona agenzia sono richiesti 100 milioni) e di personale (almeno due dipendenti);
2) presenza di adeguata strumentazione informatica e telematica e di personale in grado di gestirla, verificabile entro sei mesi dall’inizio dell’esercizio;
3) svolgimento di attività incoming in collegamento con la presentazione di particolari programmi (ad es. destagionalizzanti);
4) apertura annuale verificata;
5) valorizzazione di forma di collaborazione (grouping, consorzi, ecc.);
6) collocazione in zone interne non coperte;
7) filiali e/o succursali di agenzie efficienti già operanti;
8) localizzazione rispetto al sistema di agenzie esistente”.
Appare quindi evidente che, nell’impostazione del Piano, la decisione sul rilascio dell’autorizzazione regionale dovesse essere il risultato dell’applicazione ragionata dei suddetti criteri e non potesse viceversa essere collegata ad un mero dato numerico, non previsto e oltre tutto applicato senza alcuna flessibilità (in contrasto peraltro con una prassi pregressa, come si è avuto modo di accennare).
Del resto, che il Piano in questione non abbia introdotto alcun limite numerico alle agenzie autorizzabili è dimostrato, ad abundantiam, dal fatto che né il convenuto nelle controdeduzioni al ricorso al TAR proposto dal privato, né i suoi pur abili difensori nel presente giudizio sono stati in grado di indicare un solo passaggio, una pagina, un rigo di tale documento di programmazione che potessero giustificarne l’interpretazione “vincolistica”.
E’ vero che il Piano contiene, a pag. 183 (v. fgl. 179 del fascicolo della Procura regionale), una tabella numerica che indica la quantità delle agenzie di viaggi ipotizzate al 1995 per ogni provincia, date alcune condizioni di partenza, tabella che è stata effettivamente considerata come la fonte dei limiti numerici presi in considerazione per il rilascio delle autorizzazioni. Ma, a meno di non effettuare un’operazione (che, più che erronea, dovrebbe essere qualificata come dolosa) di estrapolazione dal contesto, è di tutta evidenza dalla lettura del documento che tale tabella si limitava a quantificare una possibile proiezione in futuro dei livelli massimi di sviluppo delle agenzie di viaggi in ambito provinciale, con la chiara avvertenza però che l’affidabilità di tale proiezione era pesantemente condizionata da una serie di fattori di difficile prevedibilità. Tant’è che si affermava chiaramente la natura esemplificativa e con valore solo indicativo dei valori numerici ivi contenuti e a scanso di equivoci (inutilmente, purtroppo) subito dopo la tabella il documento si preoccupava di affermare che “naturalmente [!] tali indicazioni non sono vincolanti” (v. pag. 184, fgl. 180 del fascicolo di Procura).
Orbene, come ad una frase di così chiaro significato possa esserne dato uno che è il suo esatto contrario è incomprensibile, tanto più nel momento in cui si fosse avvertito chiaramente (e il convenuto aveva dimostrato di esserne pienamente consapevole) che un’interpretazione siffatta, già di per sé assolutamente ingiustificabile su un piano letterale, si sarebbe posta persino in contrasto con chiari indirizzi della normativa e della giurisprudenza comunitarie e nazionali di liberalizzazione del settore.
Non può quindi concordarsi con la difesa del ricorrente quando ritiene che le affermazioni fatte dal TAR in ordine alla inesistenza di un contingentamento numerico siano dipese dalla mancata costituzione dell’amministrazione regionale, in quanto non si individua alcuna seria ragione per la quale il TAR potesse opinare diversamente.
Anche il richiamo alla quasi coeva ordinanza del TAR Sardegna n. 395 del 12 gennaio 2000 (pubblicata in G.U. n. 28 del 5/7/2000), con la quale è stata sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 4 della l.r. 13/1988, non conforta la tesi difensiva.
In quell’occasione, il TAR ha esaminato un provvedimento di diniego all’apertura in Sardegna della filiale di un’agenzia di viaggi già autorizzata dalla regione Lombardia. Al giudizio della Corte costituzionale è stato quindi sottoposto, in via prioritaria, il dubbio di costituzionalità dell’art. 6 della legge, il quale assoggettava appunto ad autorizzazione, nei limiti previsti dal precedente art. 4, anche succursali e filiali delle agenzie di viaggi, ritenendo (fondatamente) il rimettente che i principi costituzionali, come peraltro già applicati dalla Corte costituzionale in un precedente riguardante analoga norma di altra Regione, non consentissero di sottoporre tout court al regime autorizzatorio le filiali di agenzie la cui apertura fosse stata già autorizzata da altre Regioni.
Ne deriva che il TAR ha esaminato la questione del contingentamento derivante dal connesso art. 4 della legge in maniera non approfondita, e comunque in nessun passo della suddetta ordinanza si evince che il TAR abbia ritenuto che detto contingentamento fosse basato su un limite meramente numerico. In realtà, come sembra emergere chiaramente dalla motivazione in diritto dell’ordinanza, il giudice amministrativo, per la parte che interessava più specificamente l’art. 4, riteneva di dubbia legittimità costituzionale la previsione stessa di un contingentamento, su qualsivoglia presupposto basato, perché introducente un sistema più restrittivo rispetto a quello previsto dalla legge 17 maggio 1983, n. 217, che subordinava l’autorizzazione de qua esclusivamente al possesso, da parte del titolare e del direttore tecnico, di determinati requisiti culturali ed al rilascio dell’autorizzazione di pubblica sicurezza.
Da tale ordinanza quindi non si può arguire l’esistenza, all’interno della giurisprudenza dello stesso TAR Sardegna, di alcuna incertezza interpretativa sul punto che interessa.
Allo stesso fine non soccorre il riferimento alla sentenza dello stesso TAR n. 439 del 2003 (doc. n. 16 delle produzioni difensive), afferente un settore, quello degli impianti di distribuzione GPL, affatto diverso da quello di cui si discute.
In definitiva, l’unico argomento difensivo si riduce all’affermazione dell’esistenza di un indirizzo interpretativo dato dall’Assessore regionale dell’epoca, dal quale il BOI non si sarebbe potuto discostare a pena di sanzioni disciplinari. In proposito, è stato invocato il combinato disposto degli artt. 8, comma 1 lett. a) e 21 della l.r. 13/11/1998, n. 31.
La prima delle citate disposizioni prevede che “la Giunta regionale, il Presidente e gli Assessori, secondo le rispettive competenze, esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi da conseguire e i programmi da attuare da parte dell’Amministrazione ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano in particolare:
a) le decisioni in materia di atti normativi e l’adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo e applicativo”.
A sua volta, l’art. 21, al comma 4, dispone che “i dirigenti esercitano le funzioni loro attribuite nel rispetto della legge, dei regolamenti e degli atti di indirizzo emanati dalla Giunta, dal Presidente e dagli Assessori”.
Ad avviso della Sezione, è però da escludere che un siffatto indirizzo sia stato mai dato.
Nel verbale della riunione di Giunta del 2 febbraio 1999 (doc. n. 12 delle produzioni difensive), l’Assessore regionale del Turismo, Artigianato e Commercio, dopo aver relazionato sulla necessità di completare l’iter di legge per l’approvazione del Piano regionale di che trattasi, aveva evidenziato che, nel periodo di tempo successivo all’adozione di detto documento, erano emersi indirizzi ed orientamenti in ordine ai poteri pubblici di organizzazione delle Agenzie di viaggio marcatamente diversi da quelli pacifici al tempo della l.r. n. 13/1988, che aveva disciplinato la materia, di cui si sarebbe dovuto tenere doverosamente conto in sede di riordino della disciplina medesima.
L’Assessore, peraltro, riteneva di dover proporre, nelle more di tale riassetto normativo, la formale approvazione del Piano nel testo a suo tempo adottato, proponendo quindi che lo stesso conservasse la sua “efficacia di effetti [sic] fino al completo raggiungimento delle sue previsioni e, comunque, fino a sua revisione o superamento con altro strumento di regolamentazione delle attività dallo stesso disciplinate”.
Come si può notare, non risulta in alcun modo che l’Assessore con tale affermazione intendesse dare alle prescrizioni del Piano il significato che esso avrebbe avuto secondo il convenuto.
Un’esplicita affermazione in tal senso è invece riportata nel verbale della seduta del Comitato tecnico del 19 gennaio 1999 (doc. n. 11 delle produzioni difensive), presieduto dall’Assessore stesso, il quale propose, ai fini dell’adozione dei pareri sulle istanze all’ordine del giorno della seduta, di procedere “tenendo conto delle previsioni della rete delle Agenzie attualmente stabilite dal Piano per le singole province, atteso che tali contingenti numerici devono essere ritenuti quelli necessari, ordinariamente, a garantire il razionale assetto e gestione del servizio”.
Non può tuttavia attribuirsi a tale affermazione il significato di un formale atto di indirizzo interpretativo. Può indubbiamente comprendersi che l’orientamento manifestato in quell’occasione dall’Assessore fosse espressione di una precisa volontà politica, che non può però assurgere a dignità di atto di indirizzo interpretativo di una norma giuridica, che richiederebbe non solo una veste formale adeguata, ma anche il supporto di un apparato motivazionale ancorché minimo.
Peraltro, anche qualora il convenuto avesse ritenuto di trovarsi di fronte ad un atto di indirizzo siffatto, non potrebbe condividersi la tesi difensiva secondo cui egli nulla avrebbe potuto fare per contrastarlo.
Infatti, il comma 5 dell’art. 21 poc’anzi richiamato prevede espressamente che “i dirigenti hanno l’obbligo di esprimere al Presidente della Giunta o all’Assessore ovvero al dirigente sovraordinato il loro dissenso per le direttive e i provvedimenti ritenuti illegittimi; hanno inoltre la facoltà di esprimere il loro parere per ragioni attinenti al merito. Su ordine scritto, essi sono tenuti a dare attuazione alle direttive e ai provvedimenti per i quali abbiano espresso il loro dissenso, qualora non si tratti di atti vietati dalla legge penale”.
In definitiva, la condotta del convenuto deve essere valutata come contraria ai suoi obblighi di servizio per non avere egli provveduto all’annullamento dell’atto illegittimo, considerato l’evidente interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, in presenza di un contenzioso dal prevedibile esito negativo per la Regione, pur avendo o dovendo avere la chiara consapevolezza delle ragioni di illegittimità dell’atto e tenuta presente l’inesistenza di direttive interpretative ostative, che in ogni caso avrebbe avuto il dovere di contrastare, con atto di motivato dissenso.
Le ragioni che inducono a ritenere antigiuridica la condotta del convenuto danno anche conto, in parte, della natura gravemente colposa della stessa.
Infatti, la gravità della colpa si riscontra in tutti quei casi in cui la condotta si sia estrinsecata nell’emanazione (o, come nel caso di specie, nell’omessa rimozione) di atti amministrativi di cui sia palese l’illegittimità, alla stregua del chiaro dettato normativo, per tale intendendosi quello la cui interpretazione non possa dare luogo a dubbi di sorta.
Né vale ad escludere la sussistenza dell’elemento psicologico il rilievo dell’esistenza di una prassi contraria, per un duplice ordine di ragioni.
In primis, non è valorizzabile al riguardo una prassi che sia palesemente contra legem (in senso conforme, Sezione 3^ di appello, n. 177 del 5/04/2006).
In secundis, come si è avuto modo di accennare, anche nella ritenuta esistenza di vincoli quantitativi alle autorizzazioni rilasciabili, l’amministrazione regionale ne aveva in passato ammesso la derogabilità. Considerando che i contingenti numerici tratti dalla tabella contenuta nel Piano regionale costituivano una mera proiezione sulla base di dati elaborati all’epoca della redazione del documento (1989) e che quindi, a tutto voler concedere, gli stessi avrebbero dovuto quanto meno essere aggiornati, vi sarebbero stati spazi per considerare ammissibile una motivata deroga anche ai presunti contingenti numerici, come del resto indicato nella relazione VALDES-MANCUSO.
Ma, a connotare di gravità la condotta del convenuto, concorre anche la facile prevedibilità del danno che sarebbe derivato all’amministrazione dalla negata autorizzazione.
Occorre all’uopo ricordare che, in epoca di poco precedente a quella dei fatti di causa, e precisamente il 22 luglio 1999, era stata pubblicata la famosa sentenza n. 500 della Corte di cassazione che, innovando ad una giurisprudenza che, come si legge nella stessa sentenza, era stata definita dalla dottrina “monolitica o addirittura pietrificata”, aveva ammesso la risarcibilità dei danni provocati dalla lesione anche degli interessi legittimi cd. pretensivi.
Poiché detta pronuncia ebbe vasta eco sui mezzi di informazione e anche su pubblicazioni diverse da quelle specialistiche, non può ritenersi che il convenuto, nella sua qualità di Dirigente pubblico, non ne fosse a conoscenza.
Non avrebbe quindi potuto sfuggirgli che il tetragono e pervicace rifiuto a seguire il motivato invito proveniente dai dirigenti del suo Assessorato a mutare avviso non solo avrebbe esposto a sicura sconfitta nel giudizio impugnatorio proposto dal privato l’amministrazione, ma avrebbe comportato per quest’ultima il concreto rischio di essere condannata a corrispondere il risarcimento del danno sopportato dal privato medesimo per l’illegittimo diniego dell’autorizzazione da lui richiesta.
Per le ragioni esposte, va quindi riconosciuta la colpevolezza del convenuto, cui non consegue tuttavia la condanna dello stesso all’integrale risarcimento del danno contestato.
In primo luogo, va infatti considerato che alla causazione del danno hanno concorso, in misura prevalente, le condotte di soggetti rimasti estranei al giudizio, quali quelle del firmatario dell’atto di diniego e dei componenti, diversi dal convenuto, del Comitato tecnico che espresse il parere negativo all’autorizzazione (la giurisprudenza contabile ammette pacificamente che anche i pareri incidano causalmente nella determinazione del danno, ex multis v. Sezione 1^ di appello, n. 46 del 23/02/1998).
In secondo luogo, la interpretazione erronea delle prescrizioni del Piano regionale, che sicuramente risale ad epoca precedente a quella in cui il convenuto ha assunto il ruolo di Direttore generale dell’Assessorato, è indice di una disfunzione nell’azione amministrativa non certo interamente addebitabile al convenuto, ma che una qualche incidenza nella vicenda di cui ci si occupa ha avuto, talché non appare equo riversare integralmente sul BOI la responsabilità del danno contestato.
Per le considerazioni svolte, la condanna del convenuto va limitata alla somma di euro 5.000,00.
Sulla somma come sopra determinata è altresì dovuta, in conformità a prevalente indirizzo di questa Corte, la rivalutazione monetaria da calcolarsi secondo gli indici ISTAT a decorrere dalla data di consumazione dell’evento dannoso, da individuarsi in quella del pagamento effettuato in favore del privato, e fino alla pubblicazione della presente sentenza. Dalla data di detta pubblicazione e sino al soddisfacimento del credito sono altresì dovuti, sulla somma come sopra rivalutata, gli interessi nella misura del saggio legale.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, definitivamente pronunciando, condanna Emilio BOI al pagamento, in favore della Regione Autonoma della Sardegna, della somma di euro 5.000,00 (diconsi euro cinquemila e zero centesimi), oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali da calcolare come indicato in parte motiva.
Condanna altresì il suddetto convenuto al pagamento, in favore dello Stato, delle spese del giudizio, che sino alla presente sentenza, si liquidano in euro
272,18 --------------------------------------------------------------------------
(diconsi euro duecentosettantadue/18).
Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio del 3 maggio 2011.