PEC con file .doc invece che .pdf - per la CASSAZIONE la notifica è valida
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[color=red][b]Cassazione Sez. UNITE CIVILE, Sentenza n.7665 del 18/04/2016, udienza del 23/02/2016[/b][/color]
Presidente AMOROSO GIOVANNI Relatore CIRILLO ETTORE
per una serie motivi fatti valere con il ricorso introduttivo e con
memoria aggiunta:
a) illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 335, della
legge n. 311 del 2004 in relazione agli articoli 3 e 53 Cost.;
b) violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2 del DPR n. 138
del 1998 - Eccesso di potere per sviamento - violazione del
principio di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione
- eccesso di potere per erroneità dei presupposti;
c) violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, comma 335, della
legge n. 311 del 2004 anche in combinato disposto con la de-
terminazione dell'Agenzia del territorio del 16.2.2005 - violazione
dell'articolo 7 dello Statuto del contribuente anche in combinato
disposto con l'articolo 3 della legge n. 241 del 1990 -
carenza di motivazione - motivazione apparente;
d) violazione e falsa applicazione dell'articolo 9 del RDL n. 662 del
1939 e dell'articolo 61 del DPR n.1142 del 1949;
e) eccesso di potere per sviamento - illogicità manifesta - erroneità
dei presupposti sotto altro profilo;
f) violazione dell'articolo 7 della legge n. 241 del 1990 e dell'articolo
10 dello Statuto del contribuente: mancata comunicazione
dell'avvio del procedimento di revisione catastale;
g) incompetenza della giunta comunale a formulare la richiesta di
revisione del classamento.
h) carenza di istruttoria - eccesso di potere per erroneità dei presupposti
- carenza di motivazione - violazione e/o falsa applicazione
dell'articolo 1, comma 335, della legge n. 311 del 2004;
i) illegittimità dell'individuazione delle microzone secondo altro
profilo - eccesso di potere per erroneità dei presupposti;
j) violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2 del DPR n. 138
del 1998 - eccesso di potere per sviamento - violazione del
principio di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione
- eccesso di potere per erroneità dei presupposti.
3. L'Avvocatura dello Stato ha resistito eccependo il difetto di giurisdizione
del giudice amministrativo, nonché l'irricevibilità e
l'inammissibilità del ricorso sotto diversi profili. Il Comune di Lecce,
invece, ha sostenuto la posizione dei ricorrenti nei confronti
dell'amministrazione e ha contestato le censure mosse al Comune.
4. Il TAR ha accolto il ricorso (TAR-Puglia, sez. Lecce, 11 luglio
2013, n. 1621).
In particolare, in punto di giurisdizione, ha ritenuto che dal combinato
disposto delle norme processuali tributarie si evince che gli
atti regolamentari e gli atti amministrativi generali in materia fiscale
possono essere disapplicati dalla C.t.p. e dalla C.t.r., ma non
sono impugnabili davanti alle stesse. Ha condiviso, inoltre, il principio
di diritto (Cons. Stato, sez. V, 30 settembre 2004 n. 6353)
secondo cui la giurisdizione tributaria è delimitata dall'impugnazione
degli atti tipici previsti dall'articolo 19 proc. trib. (D.Lgs. n.
546 del 1992) e, in ogni caso, dal fatto che l'atto impugnato concerna
aspetti di carattere esecutivo. Ha osservato che, viceversa,
nell'esercizio di un potere discrezionale, per di più a carattere generale,
trattandosi di atti a contenuto normativo destinati ad incidere
su una pluralità indifferenziata di soggetti, nei confronti degli stessi
non vi era giurisdizione del giudice tributario ma di quello amministrativo.
Pertanto, al di fuori dell'area delle controversie riservate
alla giurisdizione del giudice tributario, erano impugnabili davanti
al giudice amministrativo i regolamenti governativi, ministeriali o
di enti locali che istituiscono o disciplinano tributi di qualsiasi genere,
in quanto concernenti interessi legittimi (Cons. Stato, sez. IV,
15 febbraio 2001, n. 735; Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 2001,
n. 732). Ha aggiunto che la giurisdizione del giudice tributario deve
ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura fiscale del rapporto,
con la conseguenza che l'attribuzione alla giurisdizione tributaria
di controversie non aventi tale natura comporta la violazione
del divieto costituzionale di istituire giudici speciali posto
dall'articolo 102, secondo comma, Cost. (Corte cost., sentenze n.
141 del 2009, n. 130 e n. 64 del 2008). Inoltre, l'articolo 7 dello
Statuto del contribuente secondo cui la natura tributaria dell'atto
non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa,
quando ne ricorrano i presupposti, comporta, salvo espresse previsioni
di legge, una naturale competenza del giudice amministrativo
sull'impugnazione di atti amministrativi a contenuto generale
o normativo, come i regolamenti e le delibere tariffarie, atti (aventi
natura provvedimentale) che costituiscano un presupposto
dell'esercizio della potestà impositiva e in relazione ai quali esiste
un generale potere di disapplicazione del giudice cui è attribuita la
giurisdizione sul rapporto tributario (Cass. 13 luglio 2005, n.
14692). Ha concluso affermando che, nella specie, la questione
controversa non attiene all'atto finale impositivo, bensì ai presupposti
atti amministrativi, di carattere generale, riguardanti il pro-
cedimento di revisione dei classamento degli immobili e l'intera attività
di microzonizzazione del territorio leccese, nei confronti dei
quali le posizioni dei contribuenti erano d'interesse legittimo.
5. Per la riforma di tale decisione ha proposto appello l'Avvocatura
dello Stato invocando, tra l'altro, il difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo.
Il Consiglio di Stato ha accolto tale tesi ritenendo la vertenza devoluta
al giudice tributario (Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2014, n.
1903).
Il giudice d'appello ha rilevato che l'Ungaro aveva impugnato gli
atti amministrativi sopra indicati solo dopo la notificazione dell'avviso
di accertamento catastale per revisione e classamento della
rendita e quindi dinanzi a un giudice non più fornito di giurisdizione
a norma dell'articolo 74 della legge n. 342 del 2000. Ha ritenuto,
infatti, che tale norma realizzerebbe due diversi effetti: (a) quello
di rendere efficace, lesivo e impugnabile il provvedimento e (b)
quello di attribuire la giurisdizione sull'atto in via principale, e non
più incidentale, al giudice tributario, togliendola al giudice amministrativo
essendo consentito d'impugnare immediatamente, visto
l'obbligo di rispettare il termine decadenziale, il provvedimento lesivo,
proponendo il ricorso di cui all'articolo 2, comma 3, proc. trib.,
ossia facendo riferimento alla disposizione che consente al giudice
tributario di risolvere «in via incidentale ogni questione da cui dipende
la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione,
fatta eccezione per le questioni in materia di querela di
falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità
di stare in giudizio,» Il che significherebbe, per il Consiglio di Stato,
che il ricorso di cui all'articolo 2, comma 3, proc. trib., proposto a
norma dell'articolo 74 cit., non sarebbe più di mera pregiudizialità,
ma aggredirebbe direttamente l'atto presupposto, ossia quello generale
di pianificazione in tema di attribuzione o modificazione delle
rendite catastali per terreni e fabbricati, senza attendere la mediazione
dell'atto impositivo, atteso che non risulta compatibile con il
breve termine decadenziale.
6. Raffaele Ungaro, Codacons, Adusbef Puglia, Adoc Provinciale di
Lecce propongono ricorso ex articoli 360 n.1 cod. proc. civ. e 110
cod. proc. amm. chiedendo che sia affermata la giurisdizione del
giudice amministrativo. Osservano che l'articolo 2, comma 3, proc.
trib. consente una delibazione meramente incidentale da parte del
giudice tributario di atti amministrativi generali, ovverosia di atti
costituenti presupposto dell'atto impositivo, per risolvere la vertenza
sottoposta alla sua attenzione e relativa al singolo rapporto
impositivo tra Stato e contribuente, senza alcuna possibilità di allargamento
del potere del giudice tributario di annullamento di atti
generali e cogenti, con conseguente violazione del divieto costituzionale
di creazione di giudici speciali.
7. L'Agenzia delle entrate e il Ministero dell'economia e delle finanze
resistono con controricorso. L'intimato Comune di Lecce si
difende aderendo alle tesi dei ricorrenti. I ricorrenti e l'ente locale
si difendono anche con memorie.
[color=red][b]CONSIDERATO IN DIRITTO[/b][/color]
1. I ricorrenti, nella memoria difensiva, eccepiscono preliminarmente
la nullità del controricorso erariale per vizi formali della sua
notificazione effettuata con PEC, in ragione della asserita violazione
delle regole dettate dall'articolo 3-bis, co. 4) - 5), della legge n. 53
del 1994 e dall'articolo 19-bis del provvedimento ministeriale del
16 aprile 2014.
[color=red][b]L'eccezione non è fondata. Opera, infatti, nella fattispecie l'insegnamento,
condiviso e consolidato nella giurisprudenza di questa
Corte, secondo cui «il principio, sancito in via generale dall'articolo
156 del codice di rito, secondo cui la nullità non può essere mai
pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale
anche per le notificazioni, anche in relazione alle quali - pertanto -
la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l'atto, malgrado
l'irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del
destinatario» (Cass., sez. lav., n. 13857 del 2014; conf., sez. trib.,
n. 1184 del 2001 e n. 1548 del 2002). Il risultato dell'effettiva conoscenza
dell'atto che consegue alla consegna telematica dello
stesso nel luogo virtuale, ovverosia l'indirizzo di PEC espressamente
a tale fine indicato dalla parte nell'atto introduttivo del giudizio
di legittimità, determina infatti il raggiungimento dello stesso
scopo perseguito dalla previsione legale del ricorso alla PEC. Nella
specie i ricorrenti non adducono né alcuno specifico pregiudizio al
loro diritto di difesa, né l'eventuale difformità tra il testo recapitato
telematicamente, sia pure con estensione.doc in luogo del formato.pdf,
e quello cartaceo depositato in cancelleria. La denuncia
di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela
l'interesse all'astratta regolarità del processo, ma garantisce solo
l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte
in conseguenza della denunciata violazione (Cass., sez. trib., n.
26831 del 2014). Ne consegue che è inammissibile l'eccezione con
la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare
anche le ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale
abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di
difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale
della Corte.[/b][/color]
2. L'intimato Comune di Lecce, nella memoria difensiva, si sofferma
sulla propria posizione ilk, -InTrAjja nel giudizio di legittimità. Sul
punto non possono esserci dubbi sul fatto che la sua costituzione,
pur effettuata mediante «atto d'intervento ad adiuvandum», altro
non sia che un controricorso in adesione alle tesi dei ricorrenti. Infatti,
quando il litisconsorte processuale si limita ad aderire alla richiesta
della parte ricorrente senza formulare una propria diversa
domanda di annullamento totale o parziale della decisione, si è in
presenza di una costituzione in giudizio processualmente valida,
anche se subordinata alla sorte dell'impugnazione diretta. Né al riguardo
è necessaria la proposizione di un ricorso incidentale, atteso
che la facoltà di contraddire da parte di chi abbia ricevuto la notifica
del ricorso non implica necessariamente l'assunzione di una posizione
antitetica a quella del ricorrente, ma comprende anche l'ipotesi
di adesione, parziale o totale, alle relative richieste in sintonia
con il principio dell'articolo 24 Cost. che garantisce l'esercizio della
facoltà di difesa in ogni stato e grado del giudizio. Altrimenti, si
negherebbe alla parte portatrice di un interesse convergente o analogo
a quello dell'impugnante, che non abbia a sua volta ritenuto
di proporre una propria impugnazione, di costituirsi nel giudizio di
legittimità e rendere note le proprie posizioni: esigenza, questa, cui
è finalizzato il combinato disposto di cui agli articoli 331 e 370 cod.
proc. civ. (Cass., sez. II, n. 7564 del 2006).
3. Il ricorso è fondato.
Il decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546, nel definire all'articolo
2 l'oggetto della giurisdizione tributaria, prima elencava al
comma 1 i tributi di riferimento, poi al comma 2 stabiliva che «Sono
inoltre soggette alla giurisdizione tributaria le controversie concernenti
le sovraimposte e le imposte addizionali nonché le sanzioni
amministrative, gli interessi ed altri accessori nelle materie di cui
al comma l», infine al comma 3 prevedeva che «Appartengono
altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli
possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura,
l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo
fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella
nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento
delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della
rendita catastale».
Il successivo articolo 3, comma 37, della legge 28 dicembre 1995,
n. 549 si limitava a modificare il solo comma 1, mentre l'articolo 3,
comma 37, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 sostituiva l'intero
testo dell'articolo 2, che al comma 1 ridisegnava l'oggetto generale
della giurisdizione tributaria, inserendo anche «le controversie
aventi ad oggetto ... le sovrimposte addizionali, le sanzioni amministrative,
..., gli interessi e ogni altro accessorio», con disposizione
analoga a quella del vecchio testo del comma 2; riscriveva, inoltre,
il comma 2 con la previsione che «Appartengono altresì alla giurisdizione
tributaria le controversie promosse dai singoli possessori
concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione,
il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori
a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le
controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole
unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale»,
con disposizione analoga al vecchio testo del comma 3; riscriveva,
infine, il comma 3 nel senso che «Il giudice tributario
risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione
delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione
per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o
la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio».
I commi 1 e 2 erano modificati dall'articolo 3 -bis, comma 1, lett.
a) - b), del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203, lasciando
inalterate le parti che qui vengono in riguardo. Lo stesso dicasi per
l'articolo 9, comma 1, lett. a), n. 2), del decreto legislativo 24 settembre
2015, n. 156 (a decorrere dal 1° gennaio 2016).
4. Sul comma 1 è intervenuta la Corte costituzionale che, con sentenza
5 maggio 2008, n. 130, ne ha dichiarato l'illegittimità, nella
parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie
relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche
laddove esse conseguano alla violazione di disposizioni non aventi
natura tributaria.
Sul comma 2 è ancora intervenuta la Corte costituzionale che, con
sentenza 10 marzo 2008, n. 64, ne ha dichiarato l'illegittimità riguardo
al secondo periodo, nella parte in cui stabilisce che appartengono
alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative
alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche
e, con sentenza 8 febbraio 2010, n. 39, ha dichiarato l'illegittimità
del comma 2, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione
del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone
per lo scarico e la depurazione delle acque reflue.
3. Il decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546, nel definire all'articolo
7 i poteri dei giudici tributari, al comma 5 stabiliva e stabilisce
tuttora che «Le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un
regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non
Io applicano, in relazione all'oggetto dedotto in giudizio, salva l'eventuale
impugnazione nella diversa sede competente».
Il medesimo decreto legislativo, nel definire all'articolo 19 gli atti
impugnabili, stabiliva tra l'altro che «Il ricorso può essere proposto
avverso: f) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate
nell'articolo 2, comma 3» che all'epoca prevedeva che «Appartengono
altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse
dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione,
la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione
dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa
particella nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento
delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della
rendita catastale».
Il testo dell'articolo 19 lett. f) non è stato aggiornato per molti anni
nonostante il sopravvenuto articolo 3, comma 37, della legge 28
dicembre 2001, n. 448 che portava al comma 2 dell'articolo 2 l'originaria
previsione del comma 3 e riscriveva quest'ultimo nel senso
che «Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione
da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria
giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela
di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla
capacità di stare in giudizio».
Solo di recente la lett. f) dell'articolo 19 è stata adeguata dall'articolo
12, comma 3, lett. a), del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, nel senso
che «Il ricorso può essere proposto avverso: gli atti relativi alle
operazioni catastali indicate nell'articolo 2, comma 2».
5. La legge 21 novembre 2000, n.342, nel regolare all'articolo 74
l'attribuzione e la modificazione delle rendite catastali, stabilisce
che «Dall'avvenuta notificazione decorre il termine per proporre il
ricorso di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre
1992, n. 546 e successive modificazioni».
All'epoca dell'entrata in vigore della suddetta disposizione il richiamato
comma 3 dell'articolo 2 proc. trib. prevedeva che «Appartengono
altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse
dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione,
la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione
dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa
particella nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento
delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della
rendita catastale».
Il testo dell'articolo 74 non è stato mai aggiornato nonostante l'articolo
3, comma 37, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, che
portava al comma 2 dell'articolo 2 l'originaria previsione del comma
3 e riscriveva quest'ultimo nel senso che «Il giudice tributario risolve
in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione
delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione
per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o
la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio».
6. Il senso del perdurante rinvio «all'articolo 2, comma 3, del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e successive modificazioni»
non è quello di richiamare nella legge 21 novembre 2000,
n.342, all'articolo 74, qualsivoglia testo del ridetto del comma 3,
anche il più eterogeneo, ma quello di rinviare a tutte modificazioni
del processo tributario riguardanti «le controversie promosse dai
singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura,
l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo
fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella
nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento
delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della
rendita catastale».
Trattasi di materia che - dopo la legge 28 dicembre 2001, n. 448 -
è stata portata dal comma 3 al comma 2, così come ha chiarito
anche l'intervento sull'articolo 19 lett. f) fatto dal D.L. 2 marzo
2012, n. 16.
Dunque, laddove la legge 21 novembre 2000, n.342, all'articolo 74
stabilisce che «Dall'avvenuta notificazione decorre il termine per
proporre il ricorso di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto legislativo
31 dicembre 1992, n. 546 e successive modificazioni», si
deve leggere ed intendere "comma 2" per effetto indotto dall'articolo
3, comma 37, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, così rac-
cordandosi anche con l'intervento sull'articolo 19 lett. f) del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 fatto dal D.L. 2 marzo
2012, n. 16.
7. Del resto il nuovo testo deàtl'articolo 2, comma 3, del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 appare del tutto eccentrico
laddove afferma che «Il giudice tributario risolve in via incidentale
ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti
nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in
materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone,
diversa dalla capacità di stare in giudizio» con disposizione che si
correla all'articolo 7 laddove al comma 5 stabilisce che «Le commissioni
tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un
atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in
relazione all'oggetto dedotto in giudizio, salva l'eventuale impugnazione
nella diversa sede competente».
Dunque, quello che si viene qui a delineare è un sistema coerente
che collega l'attribuzione e la modificazione delle rendite catastali
(articolo 74 cit.) alla specifica norma processuale tributaria di riferimento
(articolo 2, nuovo comma 2, cit.) e la disapplicazione di
un regolamento o un atto generale (articolo 7, comma 5, cit.) con
la generale cognizione incidentale del giudice tributario (articolo 2,
nuovo comma 3, cit.), in piena coerenza logica e giuridica.
Ne emerge chiara la distinzione tra le cd. operazioni catastali individuali
- devolute alle commissioni tributarie dagli articoli 2, comma
2 (già 3), e 19, lett. f), proc. trib. - e gli atti generali di qualificazione,
classificazione etc. - devoluti al giudice amministrativo in
sede d'impugnazione diretta e ai giudice tributario solo in via di
mera disapplicazione.
8. Nessuna disposizione del decreto legislativo 31 dicembre 1992,
n. 546 attribuisce alle commissioni tributarie un potere direttamente
incisivo degli atti generali in deroga alla tipica giurisdizione
di legittimità costituzionalmente riservata agli organi della giustizia
amministrativa. Non vi è spazio - sia nel vecchio contenzioso fiscale
di cui al DPR n. 636 del 1972 sia nel processo tributario di cui al
D.Lgs. n. 546 del 1992 - per l'impugnazione di atti che possono
coinvolgere un numero indeterminato di soggetti con pronuncia
avente efficacia nei confronti della generalità dei contribuenti
(Cass., sez. un., n. 3030 del 2002), atteso che l'azione del contribuente
dinanzi alla commissioni tributarie viene ad essere esercitata
- ai sensi dell'articolo 19 del menzionato D.Lgs. - mediante
l'impugnazione di specifici atti impositivi o di riscossione o di determinati
atti di rifiuto (Cass., sez. un., 13793 del 2004).
Sicché, senza la "mediazione" rappresentata dall'impugnativa
dell'atto impositivo, di riscossione o di diniego, il giudice tributario
non può giudicare della legittimità degli atti amministrativi generali,
dei quali può conoscere solo incidenter tantum e unicamente
ai fini della disapplicazione nella singola fattispecie dell'atto amministrativo
presupposto dell'atto impugnato (Cass., sez. un., n. 6224
del 2006).
La controversia sugli atti amministrativi generali esula pertanto
dalla giurisdizione delle commissioni tributarie, il cui potere di annullamento
riguarda soltanto gli atti indicati dall'articolo 19 del precitato
D.Lgs. o a questi assimilabili, e non si estende agli atti amministrativi
generali, dei quali l'articolo 7 dello stesso D.Igs. consente
soltanto la disapplicazione, ferma restando l'impugnabilità
degli stessi dinanzi al giudice amministrativo.
9. Né è sostenibile che per quanto riguarda gli atti generali di formazione,
aggiornamento e adeguamento del catasto l'articolo 74
della legge 21 novembre 2000, n. 342 voglia derogare al normale
riparto della giurisdizione tra giudice tributario e amministrativo.
Una volontà di tale genere non ha certamente espresso tale disposizione
laddove, per un verso, richiama l'articolo 2, comma 3 (ora
2), del ridetto D.Lgs., atteso che la disposizione richiamata resta
nell'ambito dell'ordinaria impugnazione degli esiti fiscalmente rilevanti
delle cd. operazioni catastali individuali; per un altro, il nuovo
testo del comma 3, regola la risoluzione in via incidentale di ogni
questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti
nella giurisdizione delle commissioni tributarie, da cui non è rica-
vabile una giurisdizione tributaria di legittimità sugli atti amministrativi
generali con pronuncia avente efficacia nei confronti della
generalità dei contribuenti pur se territorialmente stabiliti.
Dunque, sul piano della giurisdizione, il fatto che al contribuente
Ungaro fosse stato già notificato un atto individuale impugnabile
autonomamente in forza della legge 21 novembre 2000, n.342 (articolo
74) e del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (articoli
2 e 19) non implica che si fosse di per sé stessa consumata,
riguardo agli atti dell'amministrazione sulle cd. microzone del territorio
comunale di Lecce, quella giurisdizione generale di legittimità
che è costituzionalmente e unicamente riservata agli organi
della giustizia amministrativa.
10. Ogni questione sull'interesse ad agire dell'Ungaro, di cui pare
dubitare la difesa erariale, resta al di fuori dalla delibazione sulla
giurisdizione, che è legata invece al petitum sostanziale fatto valere
in giudizio e alle regole del processo sulla devoluzione ai vari comparti
giurisdizionali. Peraltro, ogni dubbio sul legittimo innesco del
giudizio dinanzi al giudice amministrativo è ancor più infondato ove
si ponga mente al ruolo rivestito dai soggetti co-ricorrenti, e cioè
le articolazioni locali di organizzazioni di tutela radicate sul piano
nazionale, cioè Adusbef, Aduc e Codacons. Infatti, ampia giurisprudenza
civile, penale e amministrativa ha accertato che il Codacons,
per statuto, promuove azioni giudiziarie a tutela degli interessi degli
utenti, dei consumatori, dei risparmiatori e dei contribuenti (ex
multis Cons. Stato, sez. III, n. 5043 del 2015, § 2.3); analogamente
l'Aduc e l'Adusbef operano nell'ambito della difesa dei diritti
dei cittadini in quanto utenti e consumatori. Trattandosi di soggetti
esponenziali d'interessi diffusi (v. decreto legislativo 6 settembre
2005, n. 206), le suddette associazioni mai potrebbero attivare un
ricorso dinanzi alla giustizia tributaria, non essendo destinatari di
alcun provvedimento rilevante ai fini dell'impugnazione ex legge 21
novembre 2000, n.342 (articolo 74) ed ex decreto legislativo 31
dicembre 1992, n. 546 (articoli 2 e 19). Le suddette, invece, agiscono
quali associazioni a tutela d'interessi collettivi e, dunque, la
loro domanda di annullamento erga omnes degli atti della P.A. relativi
alle microzone del territorio comunale di Lecce non potrebbe
che essere diretta al giudice amministrativo, invocandosi proprio
quella giurisdizione generale di legittimità che è costituzionalmente
riservata al monopolio del comparto costituito dal Tribunale amministrativo
regionale e dal Consiglio di Stato.
11. Orbene, quando si procede all'attribuzione di ufficio di un nuovo
classamento ad un'unità immobiliare a destinazione ordinaria, l'Agenzia
competente deve specificare se il mutamento è dovuto a
una risistemazione dei parametri relativi alla microzona in cui si
colloca l'unità immobiliare e, nel caso, indicare l'atto con cui si è
provveduto alla revisione dei parametri relativi alla microzona, a
seguito di significativi e concreti miglioramenti del contesto urbano
(ex multis Cass., sez. trib., n. 9629 del 2012), trattandosi di uno
dei possibili presupposti del riclassamento (ex multis Cass., sez.
trib., n. 11370 del 2012).
In particolare quando si tratta di un mutamento di rendita inquadrabile
nella revisione del classamento delle unità immobiliari private
site in microzone comunali ai sensi dell'articolo 1, comma 335,
della legge 30 dicembre 2004, n. 311, la ragione giustificativa non
è la mera evoluzione del mercato immobiliare, né la mera richiesta
del Comune, bensì l'accertamento di una modifica nel valore degli
immobili presenti nella microzona, attraverso le procedure previste
dal successivo comma 339 ed elaborate con la determinazione direttoriale
del 16 febbraio 2005 (G.U. n. 40 del 18 febbraio 2005)
cui sono allegate linee guida definite con il concorso delle autonomie
locali.
Nello specifico, l'intervento è possibile nelle microzone «per le quali
il rapporto tra il valore medio di mercato... e il corrispondente valore
medio catastale si discosta significativamente dall'analogo rapporto
relativo all'insieme delle microzone comunali» (comma 335).
Per l'articolo 2, comma 1, del d.p.r. 23 marzo 1998, n. 138, la
microzona è una porzione dei territorio comunale, spesso coincidente
con l'intero Comune, che presenta omogeneità nei caratteri
di posizione, urbanistici, storico-ambientali, socioeconomici, nonché
nella dotazione dei servizi e infrastrutture urbane; in ciascuna
microzona le unità immobiliari sono uniformi per caratteristiche tipologiche,
epoca di costruzione e destinazione prevalenti.
Questo insieme di disposizioni ribadisce e presuppone che il singolo
classamento debba avvenire mediante l'utilizzo e la modifica del
reticolo di microzone, avente portata generale in ambito comunale.
Si tratta di atti amministrativi, non dissimili da altri di valenza urbanistica
e di natura pianificatoria o programmatoria per la P.A.,
essendo volti a risolvere specifici problemi tecnico-estimativi posti
in astratto dall'ordinamento fiscale e destinati ad operare nei confronti
di una generalità indeterminata di destinatari, individuabili
solo ex post.
12. Sul piano processuale, dalla natura generale, unitaria e inscindibile
del contenuto e degli effetti degli atti amministrativi generali
discende sia la mancanza di esigenza di notifica ad almeno uno dei
destinatari (non individuabili a priori), sia che il loro annullamento
in sede giudiziale determina il venire meno degli effetti nei confronti
di tutti i destinatari, compresi quelli rimasti estranei alla controversia
(ex muitis Cons. Stato, sez. VI, n. 6153 del 2014). La giurisprudenza
amministrativa ha più volte posto in rilievo sia che il dovere
generale di riconoscere la rimozione per annullamento di un atto
generale o presupposto, con conseguente ripristino ex tunc della
situazione giuridica preesistente, prescinde dall'estensione del giudicato
ai soggetti che non hanno assunto la qualità di parti nel giudizio
(es. Cons. Stato, sez. V, n. 1068 del 2005), sia che il giudicato
di annullamento di atti generali o indivisibili si estende a tutti i
soggetti interessati, pur non aventi qualità di parte (es. Cons.
Stato, sez. VI, n. 211 del 1981 e n. 224 del 1998).
È, inoltre, principio consolidato quello secondo cui in terna di
prestazioni patrimoniali imposte aventi natura tributaria, ai fini
del riparto della giurisdizione occorre distinguere tra l'impugnativa
di atti generali (o a contenuto normativo), che fissano i criteri
per la determinazione delle prestazioni pecuniarie, e l'impugna-
zione di concreti provvedimenti con i quali l'amministrazione determina
l'ammontare della prestazione e/o ne impone l'esecuzione,
atteso che nel primo caso gli atti costituiscono espressione
di potestà discrezionale e incidono su posizioni di interesse legittimo
tutelabili dinanzi al giudice amministrativo (ex multis Cons.
Stato, sez. VI, n. 6353 del 2004), laddove s'impugnino le operazioni
dell'amministrazione per denunciarne i vizi tipici previsti dagli
articoli 2 e seguenti della legge n. 1034 del 1971 (Cass., sez. un.,
n. 675 del 2010) e ora dall'articolo 7 del codice del processo amministrativo.
Di contro si è ripetutamente affermato che la giurisdizione tributaria
ha per oggetto sia Pan che il quantum della pretesa tributaria
e comprende anche l'individuazione del soggetto tenuto
al versamento dell'imposta o dei limiti nei quali esso, per la sua
qualità, sia obbligato, ma non ricorre allorquando non è in
discussione l'obbligazione tributaria e neppure il potere impositivo
sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio
del rapporto tributario; non tutte le controversie nelle quali
abbia incidenza una norma fiscale si trasformano in controversie
tributarie devolute alle relative commissioni (Cass., sez.
un., n. 7256 del 2013).
Né rileva la tendenza all'allargamento della giurisdizione tributaria
che, iniziato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448, è proseguito
con leggi successive e con l'evolversi della giurisprudenza di legittimità.
Vale, infatti, il richiamo della Corte costituzionale ai limiti
intrinseci a tale giurisdizione non ampliabili ad libitum (sent. n.64
e n.130 del 2008, n.39 del 2010). Mentre è stata riconosciuta sì la
facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti
adottati dal fisco, ma solo a condizione che si prospetti una ben
individuata pretesa e/o uno specifico pregiudizio rilevante per il
contribuente (Cass., sez. trib., n.17010 del 2012, in tema d'interpello)
o collegato all'interesse fiscale diretto e immediato di un ente
territoriale (Cass., sez. un., n. 15201 del 2015).
13. In conclusione, la circostanza che il 21 dicembre 2012 sia stato
notificato all'Ungaro l'avviso di accertamento catastale per revisione
del classamento e della rendita non può incidere sulla perdurante
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a conoscere
dell'impugnazione diversamente diretta all'annullamento degli
atti amministrativi generali (che hanno accertato la modifica del
valore degli immobili presenti nelle microzone comunali, attraverso
le procedure previste dai ridetti commi 335-339 e dalla menzionata
determinazione direttoriale del 16 febbraio 2005) e proposta anche
da associazioni di categoria dei consumatori e degli utenti per l'interesse
collettivo a contestare l'introduzione di un aggravio aggiuntivo
alle necessità del vivere e correlato a diritti fondamentali tutelati
e riconosciuti dall'ordinamento (cfr. articolo 2, comma 2, cod.
cons.) in favore dei consumatori e degli utenti medesimi, fra i quali
assoluta preminenza è da riconoscersi ai diritti economici relativi
alle necessità del vivere, quali la casa.
Dunque resta fuori dal perimetro della giurisdizione amministrativa
solo il segmento del ricorso introduttivo riguardante la contestuale
impugnazione dell'avviso di accertamento catastale per revisione
del classamento e della rendita che è devoluta alle commissioni
tributarie quale cognizione riguardo alla mera operazione catastale
individuale.
Sul punto si rammenta che il principio di autonomia delle singole
giurisdizioni in materia di verifica della validità degli atti amministrativi
non esclude che il giudice tributario, dinanzi al quale sia
stata prospettata l'illegittimità di un atto costituente presupposto
di quello impositivo, possa disporre la sospensione del processo,
nel caso in cui la medesima questione formi oggetto di uno specifico
giudizio pendente dinanzi al giudice amministrativo (Cass., sez.
trib., n. 16937 e n. 18992 del 2007; v. Cass., sez. un., n. 6265 del
2006). Qualora poi, indipendentemente dalla sospensione, sia intervenuta
al riguardo una pronuncia del giudice amministrativo, la
stessa, soprattutto se passata in giudicato, non può non svolgere
effetto vincolante nel processo tributario, non ostandovi il dovere-
potere del giudice tributario, non fornito di giurisdizione in via principale,
di verificare in via incidentale la validità degli atti presupposti
e di procedere alla loro disapplicazione (ult. cit.), fermo restando
che il giudicato di annullamento di atti generali comporta il ripristino
ex tunc della situazione giuridica preesistente e si estende a
tutti i soggetti interessati (conf. sopra §12).
14. Pertanto, accolto il ricorso nei sensi sopra indicati e cassata
l'impugnata sentenza nei limiti ivi precisati, deve essere dichiarata
la giurisdizione del giudice amministrativo sul ricorso introduttivo,
ad eccezione dell'impugnazione dell'avviso di accertamento notificato
all'Ungaro il 21 dicembre 2012; consequenzialmente le parti
devono essere rimesse dinanzi al Consiglio di Stato per la riassunzione
dei giudizio nei termini di legge.
La novità della questione di giurisdizione e il complesso evolversi
della legislazione in materia costituiscono giustificati motivi per
compensare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie parzialmente il ricorso, cassa in relazione la sentenza
impugnata, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo
nei sensi indicati in motivazione, rimette le parti dinanzi al
Consiglio di Stato per la riassunzione del giudizio nei termini di
legge, compensa le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del DPR n. 115 del 2002,
dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis,
dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 23 febbraio 2016.
Meno male, altrimenti sarebbe stato peggio che contestare l'inchiostro blu.
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