Data: 2016-05-17 07:08:40

No alla grande distribuzione se nel centro storico il piccolo commercio serve...

No alla grande distribuzione se nel centro storico il piccolo commercio serve a tutelare l'ambiente urbano

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T.A.R. Piemonte, Torino, 6 maggio 2016, n. 612

Dopo l'avvento della stagione delle liberalizzazioni, sopravvive la possibilità per gli enti locali di vietare lo sviluppo della grande distribuzione in periferia se ciò danneggia il piccolo commercio del centro storico, da intendersi quale elemento dell'ambiente urbano da tutelare in modo preminente rispetto alla libertà di apertura di altre attività commerciali. Non è infatti un divieto fondato su ragioni anticoncorrenziali, ma finalizzato a proteggere valori ed elementi propri del tessuto dei centri storici quali luoghi portatori da sempre di identità e aggregazione.



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T.A.R. Piemonte, Torino, 6 maggio 2016, n. 612

N. 00612/2016 REG.PROV.COLL.

N. 01178/2015 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1178 del 2015, proposto da:
GUI.MA. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Enrico Rabino e Serenella Nicola, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, Via Pietro Palmieri, 40;
contro
COMUNE di ASTI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Cinzia Picco, con domicilio eletto presso lo studio della medesima in Torino, Via S. Francesco D'Assisi, 14;
per l'annullamento
- della nota adottata in data 10 luglio 2015 dall'Assessore (e vistata dal Dirigente del Settore Urbanistica, Sportello Unico e Attività Produttive - Servizio Attività Produttive) del Comune di Asti, comunicata a mezzo PEC in data 14 luglio 2015, nonchè della nota adottata in data 6 ottobre 2015 dall'Assessore (e a sua volta vistata dal Dirigente del Settore Urbanistica, Sportello Unico e Attività Produttive - Servizio Attività Produttive) del Comune di Asti, comunicata in data 13 ottobre 2015, nella parte in cui, dato atto dell'adozione della deliberazione di Consiglio comunale n. 31/2015, è stata rigettata l'istanza proposta dalla società ricorrente per il riconoscimento della localizzazione commerciale urbano-periferica non addensata L2 mediante estensione della confinante localizzazione L2.1;
- per l'annullamento degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e, comunque, connessi del procedimento;
- e per ogni ulteriore, consequenziale statuizione.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Asti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 aprile 2016 il dott. Ariberto Sabino Limongelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. La società GUI.MA s.p.a., proprietaria di terreni a destinazione produttiva siti nel Comune di Asti nella zona di via Maggiora, di estensione pari a 45.000 mq, sui quali insistono fabbricati di superficie coperta pari a circa 8.000 mq, avendo intenzione di destinare i predetti immobili ad attività commerciale, ha presentato in data 3 giugno 2015 al Comune di Asti una istanza per il riconoscimento della “localizzazione urbano periferica L2” di cui all’art. 14, comma 4 lettera b) della Delibera C.R. Piemonte n. 563-13414 del 29 ottobre 1999 e s.m.i., da attuarsi “estendendo il perimetro della confinante localizzazione L2.1”.
Le “localizzazioni commerciali urbano periferiche non addensate L.2” sono definite dalla predetta delibera consiliare come aree ubicate in prossimità del centro abitato ed anche immediatamente all’esterno dello stesso, preferibilmente lambite o percorse da assi viari di primo livello, candidate ad ospitare attività rivolte al servizio dei consumatori nel quadro del processo di riqualificazione urbana e che possono includere anche attività commerciali e/o di servizio preesistenti.
2. Con nota del 10 luglio 2015 a firma congiunta del dirigente dello Sportello Unico Attività Produttive e del competente Assessore, il Comune di Asti ha respinto l’istanza sul rilievo che due giorni prima, con delibera n. 31 dell’8 luglio 2015, il consiglio comunale di Asti aveva approvato l’atto recante “Integrazione dei criteri per il riconoscimento delle zone di insediamento commerciale e per il rilascio delle autorizzazioni per l’esercizio del commercio ai sensi del D. Lgs. 114/98, D.C.C. 28/99, D.C.R. 563-13414/99 e s.m.i.”, escludendo espressamente il riconoscimento di nuove localizzazioni commerciali urbano-periferiche non addensate L2.
Nella stessa nota, peraltro, il Comune di Asti ha precisato che la stessa deliberazione consiliare aveva previsto, in merito ad alcune proposte pervenute in relazione a casi specifici, l’avvio di “un processo di approfondimento e di condivisione “a tappe” della verifica della fattibilità tecnica ed economica e della possibile realizzazione delle stesse; procedura da espletarsi preventivamente rispetto all’avvio del procedimento formale per la loro approvazione e, quindi, inserimento nella pianificazione commerciale”, manifestando pertanto alla richiedente la “disponibilità dell’Amministrazione Comunale ad avviare anche per l’area in oggetto un percorso di approfondimento nelle modalità stabilite dal citato documento”.
3. In riscontro a tale nota comunale, la richiedente ha presentato in data 6 agosto 2015 un “dossier” denominato “Proposta per l’ampliamento della localizzazione commerciale urbano periferica non addensata L2 “il Borgo”, corredato da alcuni allegati, “come primo contributo per il processo di approfondimento e condivisione “a tappe” citato nella lettera di cui sopra”.
4. Con nota del 13 ottobre 2015, a firma nuovamente congiunta del dirigente e dell’assessore competenti, il Comune di Asti ha comunicato alla richiedente che la proposta non presentava “contenuti ed elementi idonei” a consentire l’avvio del procedimento di approfondimento e condivisione “a tappe”, non essendo conforme ai principi della D.C.C. n. 31 dell’8 luglio 2015: ciò in quanto essa “non contiene, ad di là di una generica dichiarazione assertiva in tal senso, elementi utili a caratterizzare la proposta come non riconducibile alle tradizionali attività commerciali della grande distribuzione bensì configurabile, in coerenza con la filosofia del Piano Commerciale approvato, come proposta alternativa rivolta verso un’utenza extraterritoriale e quindi fonte di attrazione per la città nel suo complesso nonché funzionale alla promozione delterritorio, tramite attrazione di cospicui flussi di turisti e visitatori da fuori provincia”.
5. Con ricorso notificato il 13-16 ottobre 2015 e depositato il 6 novembre successivo, la società GUI.MA s.p.a. ha impugnato dinanzi a questo TAR sia le note comunali del 10 luglio 2015 e del 13 ottobre 2015, sia la presupposta deliberazione del consiglio comunale n. 31 dell’8 luglio 2015 e ne ha chiesto l’annullamento sulla scorta di tre motivi, con i quali ha dedotto vizi di incompetenza, di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili, nei termini che saranno evidenziati nella parte in diritto della presente decisione.
6. Il Comune di Asti si è costituito in giudizio depositando documentazione e resistendo al gravame con memoria, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per intervenuta acquiescenza della società ricorrente agli atti impugnati (avendo essa formulato, in data 6 agosto 2015, una nuova istanza volta proprio ad accedere al percorso “a tappe” delineato dall’amministrazione nei precedenti atti impugnati); in subordine, nel merito, rilevando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto con articolate deduzioni.
7. All’udienza in camera di consiglio del 25 novembre 2015, la difesa di parte ricorrente ha dichiarato di rinunciare alla domanda cautelare.
8. In prossimità dell’udienza di merito, le parti hanno prodotto memorie conclusive nei termini di rito.
9. All’udienza pubblica del 6 aprile 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Formano oggetto del presente giudizio gli atti con cui il Comune di Asti ha respinto l’istanza della società ricorrente di riconoscimento ad alcuni immobili di sua proprietà della “localizzazione commerciale urbano periferica L.2”, attraverso l’estensione del perimetro della confinante localizzazione L.2 denominata “Il Borgo”.
Unitamente agli atti di diniego, la ricorrente ha impugnato anche la presupposta deliberazione del consiglio comunale di Asti n. 31 in data 8 luglio 2015, recante l’ “Integrazione dei criteri per il riconoscimento delle zone di insediamento commerciale e per il rilascio delle autorizzazioni per l’esercizio del commercio ai sensi del D. Lgs. 114/98, D.C.C. 28/99, D.C.R. 563-13414/99 e s.m.i”, la quale ha escluso il riconoscimento sul territorio comunale di altre localizzazioni commerciali urbano-periferiche non addensate L.2, oltre alle tre già esistenti ed espressamente confermate.
2. Costituendosi in giudizio, l’amministrazione comunale ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per intervenuta acquiescenza della ricorrente al primo atto di diniego del 10 luglio 2015 e alla presupposta deliberazione consiliare n. 31/2015, sul rilievo che la ricorrente, formulando una nuova istanza il 6 agosto 2015, avrebbe sostanzialmente accettato di seguire il percorso di approfondimento “a tappe” delineato in entrambi i provvedimenti comunali come unica possibile soluzione per ottenere il richiesto riconoscimento.
2.1. L’eccezione non può essere condivisa. L'acquiescenza ad un provvedimento amministrativo sussiste solo nel caso in cui ci si trovi in presenza di atti o comportamenti univoci, posti in essere liberamente dal destinatario dell'atto, che dimostrino la chiara ed incondizionata volontà dello stesso di accettarne gli effetti e l'operatività (T.A.R. Torino, sez. I  10 luglio 2015 n. 1154).
2.2. Nel caso di specie, non può affermarsi che la ricorrente, a fronte del primo diniego del 10 luglio 2015, abbia accettato la determinazione comunale di non riconoscerle la localizzazione commerciale L.2; più semplicemente la ricorrente, nelle maglie del provvedimento di diniego, ed in particolare nella parte in cui questo manifestava la disponibilità dell’amministrazione “ad avviare un percorso di approfondimento” della proposta di localizzazione, ha intravisto la possibilità di un esito ancora positivo della vicenda, e quindi, ragionevolmente, non l’ha impugnato, non avendolo ritenuto immediatamente (e definitivamente) lesivo. Quando però anche il percorso di approfondimento ha sortito esito negativo per effetto del secondo provvedimento di diniego del 13 ottobre 2015, è divenuto attuale l’interesse della ricorrente - che non era mai venuto meno - ad impugnare l’intera sequenza provvedimentale, dalla presupposta deliberazione consiliare ai due atti conseguenti di diniego.
2.3. In questi termini, appare dunque fondata la tesi della difesa di parte ricorrente laddove sostiene che la seconda istanza del 6 agosto 2015 è stata formulata in via meramente cautelativa, confidando che un possibile esito positivo del procedimento potesse evitarle una (costosa) deriva giurisdizionale, senza che in ciò possa ravvisarsi acquiescenza ad alcun atto della sequenza procedimentale.
Il ricorso va quindi esaminato nel merito.
3. Con una prima censura, la ricorrente la lamentato l’illegittimità della deliberazione consiliare n. 37/2015 e dei due dinieghi conseguenti per violazione della normativa nazionale e regionale in materia di cosiddette “liberalizzazioni” del settore commerciale (art. 8 D. Lgs. n. 114/1998; artt. 10, 11 e 12 D. Lgs. n. 59/2010; art. 31 D.L. n. 201/2011 convertito con modificazioni nella L. n. 214/2011; art. 1 D.L. n. 1/2012 convertito con modificazioni nella L. n. 27/2012; artt. 12 e 14 dell’Allegato A della D.C.R. Piemonte n. 565-13414 del 29 ottobre 1999 e s.m.i.); secondo la ricorrente, la deliberazione consiliare impugnata, in violazione della normativa citata, avrebbe introdotto limitazioni all’insediamento di nuove attività commerciali per finalità estranee alle uniche ammesse dalla legge, attinenti alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali; gli unici obiettivi perseguiti dalla deliberazione impugnata sarebbero, infatti, unicamente il sostegno al piccolo commercio, il freno alla grande distribuzione e la rivitalizzazione del centro cittadino, tutti obbiettivi estranei a quelli espressamente previsti dalla normativa di settore.
Il collegio osserva che l’esame della censura rende opportuno definire preliminarmente il quadro normativo entro cui si iscrive la vicenda per cui è causa.
3.1. Normativa statale.
La riforma organica della disciplina del commercio, risalente alla L. 11 giugno 1971 n. 426, ispirata ad un ruolo interventista, programmatorio ed autorizzatorio degli enti locali e della regione, prevedeva la formazione da parte dei comuni "di un piano di sviluppo e di adeguamento della rete di vendita" (cap. II L. n. 426 cit.) ed il conseguente raccordo della programmazione commerciale con quella urbanistica (artt. 13 e 14 L.n. 426 cit.).
Nell'ambito del riordino della disciplina delle attività economiche ed industriali, attuata dalla L. n. 59 del 1997, è stata adottata la riforma della disciplina del commercio con il d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114 (c.d. decreto Bersani), nel contesto della quale alle regioni è stata riservata la competenza a fissare "i criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale" affinché "possano essere adottati i necessari strumenti urbanistici comunali" (art. 6, comma 2, d.lgs. 114 cit.).
Da tale innovativa previsione ha preso piede la nozione di "urbanistica commerciale," con la quale si è voluto indicare il necessario bilanciamento dei plurimi interessi pubblici coinvolti nella pianificazione commerciale: tutela della concorrenza, equilibrato sviluppo delle diverse tipologie distributive e ordinato assetto urbanistico.
Tale bilanciamento di interessi pubblici ha caratterizzato in modo evidente tutta la successiva evoluzione normativa in materia di attività commerciale e di pianificazione commerciale.
In particolare, se da un lato, sotto la spinta dell'ordinamento comunitario in materia di commercio e di tutela della concorrenza, ed in linea di continuità con la prima liberalizzazione del decreto Bersani, il legislatore nazionale ha previsto il divieto di porre per le attività commerciali “limiti e prescrizioni” al fine d'assicurare “un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale...” (art. 3 d.l. 4 luglio 2006 n. 223 conv. con l. 4 agosto 2006 n. 248); dall’altro lato, ha riaffermato la regola secondo cui deve essere salvaguardato in ogni caso “l'ordine urbanistico”, ossia il complesso di prescrizioni urbanistiche necessarie per ragioni di infrastrutture, di viabilità, di coerenza dell'uso del territorio, in una parola di sostenibilità ambientale, con la precisazione, d’altro canto, che tali limitazioni, stante la liberalizzazione del settore, non devono essere meramente strumentali a determinare contingentamenti delle attività commerciali.
Analogamente, l'art. 31, comma 2, d.l. 201/2011 c.d. “salva Italia”, che ha portato a compimento la parabola della liberalizzazione nel commercio, nel prevedere che “costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura”, nel contempo ha escluso da tale principio i vincoli “connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali”, precisando quindi che “Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma….potendo prevedere, al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali solo qualora vi sia la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali”.
Tali disposizioni appaiono in linea con quanto previsto dall’art. 8, comma 1, lett. h) del D.Lgs. 59/2010 (di recepimento della c.d. Direttiva Bolkenstein), laddove si individua come unico limite ammissibile agli interventi di liberalizzazione la sussistenza di “motivi imperativi d'interesse generale”, tali essendo indubbiamente quelli afferenti alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali.
Di converso, proprio perché aventi attitudine a tradursi in generali limitazioni non proporzionate, le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale con prevalenti finalità economiche sono state abrogate in forza dell'art. 1 D.L. 1/2012 (conv. con l. 27/2012).
In definitiva, dal principio del necessario adeguamento della rete commerciale alla pianificazione urbanistica (sotteso all’impianto della L. 426/1971) si è passati al principio (oggi vigente) del necessario bilanciamento e dell’assenza di contrasto fra le attività commerciali e l’assetto urbano come conformato dagli strumenti di pianificazione, con la conseguenza che limitazioni urbanistiche al commercio sono tuttora possibili in presenza di preminenti interessi pubblici (tra cui quello di tutela dell’”ambiente urbano”), ma devono essere ragionevoli, proporzionate e non finalizzate a contingentare gli esercizi e le attività (cfr., Cons. St., sez. V, 27 marzo 2013 n. 1807; TAR Genova, sez. I, 24 luglio 2014, n. 1201).
Negli stessi termini si è pronunciata anche questa Sezione sin dalla fondamentale sentenza n. 276/2013, i cui principi sono stati successivamente ribaditi nelle sentenze nn. 460/2014, 859/2014 e 294/2015.
3.2. Disciplina regionale.
In Piemonte i principi in materia di liberalizzazione delle attività commerciali e di programmazione urbanistica commerciale hanno trovato attuazione, in particolare, con la delibera del consiglio regionale 29 ottobre 1999, n. 563-13414 e s.m.i., recante “Indirizzi generali e criteri di programmazione urbanistica per l’insediamento del commercio al dettaglio in sede fissa, in attuazione del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 114”).
L’art. 12, comma 1 di tale provvedimento fissa il principio generale secondo cui l’individuazione nell’ambito dei singoli comuni delle “zone attuali e potenziali di insediamento delle attività commerciali” deve essere operata in modo tale da “favorire l’equilibrato sviluppo delle diverse tipologie di strutture distributive, nel rispetto della libera concorrenza, per migliorare la produttività del sistema e la qualità dei servizi da rendere al consumatore”.
La tutela della concorrenza non è dunque un valore assoluto, ma deve essere perseguita assicurando nel contempo l’equilibrato sviluppo sul territorio delle diverse tipologie di commercio, in modo da migliorare l’efficienza del sistema e la qualità del servizio complessivo reso al consumatore.
Più nello specifico, il comma 4 dello stesso articolo (dopo che i commi precedenti hanno distinto le zone di insediamento commerciale nelle due tipologie degli “addensamenti commerciali” e delle “localizzazioni commerciali”, definendone le caratteristiche generali), afferma che “Il riconoscimento degli addensamenti commerciali e delle localizzazioni commerciali (…) avviene mediante l’approvazione dei criteri di cui all’art. 8, comma 3 del D. Lgs. 114/1998 e deve essere effettuato dai comuni nel rispetto del criteri, dei parametri e delle norme di cui agli articoli 13 e 14 e di tutti gli articoli di cui alla “Parte seconda” (della stessa delibera). I criteri suindicati sono corredati da relazione motivata della quale i comuni, previa congiunta valutazione degli aspetti economici, strutturali, territoriali e sociali dell’intero comune, nel rispetto dei contenuti di cui al D.Lgs. 59/2010 , all' articolo 31, comma 2 del D.L. 201/2011, convertito dalla L. 214/2011, all'articolo 1 del D.L. 1/2012, convertito dalla L. 27/2012, dei principi e dei riferimenti metodologici ed operativi di cui agli articoli 2, 3 e 4 e dei contenuti degli articoli della "Parte seconda. Criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale" della presente normativa, con particolare riferimento agli articoli 26 e 27 in ordine alla viabilità, al traffico e alla compatibilità ambientale, danno conto delle scelte operate e dell'eventuale utilizzo delle possibilità di deroga ad essi consentite”.
In sostanza, l’individuazione delle zone di insediamento commerciale deve essere operata dai comuni sulla scorta dei criteri predeterminati dalla regione, alla luce di una valutazione complessiva delle caratteristiche economiche, strutturali, territoriali e sociali del comune, nel rispetto dei principi di liberalizzazione delle attività commerciali, ma anche di quelli afferenti alla tutela della viabilità, del traffico e della compatibilità ambientale, dando infine conto delle scelte operate in una relazione motivata.
3.3. Nel caso di specie.
Nel caso di specie, ritiene il collegio che il Comune di Asti abbia fatto buon governo di tali principi.
La deliberazione consiliare impugnata, nella parte che forma oggetto del presente giudizio, ha escluso il riconoscimento di nuove localizzazioni urbane periferiche non addensate L.2, oltre alle tre già esistenti sul territorio comunale ed espressamente confermate.
La società ricorrente contesta tale decisione ritenendola lesiva dei principi di liberalizzazione dell’attività commerciale, che, a suo dire, non consentono all’amministrazione di introdurre limitazioni a nuovi insediamenti se non per motivi imperativi di interesse generale, laddove nel caso di specie il mancato riconoscimento della nuova localizzazione L.2 sarebbe dipesa unicamente dall’obiettivo di tutelare il “piccolo commercio” in ambito cittadino, a discapito della grande distribuzione, così ledendo i principi in materia di tutela della concorrenza e di libertà della iniziativa economica privata.
La censura non può essere condivisa.
Che il Comune di Asti, con la deliberazione impugnata, abbia inteso tutelare il piccolo commercio in ambito cittadino è fuori discussione ed è reso esplicito già nel preambolo del provvedimento, laddove vengono delineati gli obiettivi di fondo dell’aggiornamento del Piano Commerciale di Asti, consistenti nel “consolidare la rete commerciale attraverso la difesa e la valorizzazione del sistema tradizionale e consolidato tipico del piccolo commercio e l’incentivazione a forme innovative di commercio in grado di rispondere alla nuove esigenze della domanda e capaci di attrarre anche la domanda esterna”.
Tuttavia, l’obiettivo di tutela del piccolo commercio non è stato perseguito dall’amministrazione comunale con finalità meramente lesive o restrittive della concorrenza, ma soltanto per perseguire preminenti finalità di tutela dell’”ambiente urbano”.
Ciò è chiaramente evidenziato nella relazione tecnica allegata alla deliberazione in esame, nella quale il sostegno al piccolo commercio viene direttamente correlato all’esigenza di rivitalizzare il centro storico cittadino e la sua rete commerciale, entrambi penalizzati sia dalla crisi economica sia dalla concorrenza della grande distribuzione, assicurando la presenza dei piccoli esercizi “nelle vie e nelle piazze della città, riconvertendo gli immobili dismessi, senza con ciò trascurare la grande distribuzione, ma cercando di sviluppare forme di commercio innovative che non “cannibalizzino” l’offerta esistente ma siano a questa complementari, fungendo da attrattori di clientela non solo locale, attraverso un rilancio dell’immagine cittadina”.
In ampi stralci della relazione (pag. 3; pagg. 11 e ss.) è posto in evidenza il rilevante “valore sociale” attribuito al piccolo commercio, in quanto ritenuto capace di garantire “la vivibilità delle vie e delle piazze cittadine” e di assicurare un “commercio di qualità”, attraendo in tal modo clienti, sia locali sia provenienti da fuori, “interessati ad acquisti di qualità, unitamente al “piacere” dell’acquisto inteso anche come attività di intrattenimento da effettuarsi un ambiente particolarmente gradevole”.
Di qui l’esigenza avvertita dall’amministrazione comunale di proteggere “le caratteristiche intrinseche” di questa forma di commercio dal massiccio insediamento della grande distribuzione, “nella convinzione che la distribuzione al dettaglio giochi un ruolo determinante nel tenere vivo l’interesse dei cittadini, e non solo, nei confronti di una parte della città evidentemente importante sotto il profilo storico, culturale, economico, sociale e turistico”.
Appare allora evidente che la finalità di tutela del piccolo commercio, affermata in modo trasparente nella deliberazione consiliare impugnata, non è stata ispirata da propositi anticoncorrenziali o da interessi meramente corporativi, ma dal preminente interesse pubblico alla salvaguardia delle caratteristiche precipue del centro storico cittadino, intessute di storia e di cultura, ma anche di piccole botteghe tradizionali, di commercio di qualità, di relazioni sociali e commerciali “a misura d’uomo” svolte nel contesto di un ambiente esteticamente gradevole, in cui potersi dedicare all’acquisto di beni di consumo anche come semplice attività di “intrattenimento”.
Per dirla in breve: finalità di tutela dell’”ambiente urbano”. Finalità che l’amministrazione ha deliberatamente perseguito con gli atti impugnati nel legittimo esercizio delle facoltà pianificatorie che la normativa di settore le riconosce nella materia in esame, argomentando le proprie scelte in maniera ponderata, proporzionata e ragionevole, tenendo anche conto dell’esistenza, allo stato attuale, di altre tre localizzazioni L.2 in prossimità del centro abitato, e in ogni caso della disponibilità manifestata dall’amministrazione a valutare in futuro eventuali modificazioni della pianificazione commerciale in presenza di proposte innovative di commercio capaci di conciliare l’interesse economico privato con quello pubblico alla valorizzazione del centro storico e all’attrazione di maggiori flussi turistici.
Alla luce di tali considerazioni, la censura in esame va conclusivamente disattesa.
4. Con una seconda censura, dedotta sempre nel contesto del primo motivo di ricorso, la ricorrente ha dedotto il vizio di eccesso di potere per genericità ed indeterminatezza, sul rilievo che la previsione residuale contenuta nella deliberazione impugnata in relazione alla possibilità di riconoscere la localizzazione L.2 ai soli progetti rivolti ad una “utenza extraterritoriale” sarebbe generica e indeterminata, non consentendo al privato di comprendere concretamente quale progetto poter sottoporre all’amministrazione e lasciando conseguentemente a quest’ultima un margine di discrezionalità troppo elevato.
Anche questa censura non può essere condivisa.
4.1. Il principio generale affermato nella deliberazione consiliare impugnata è che nuove localizzazioni L2 non sono previste. Nondimeno, l’amministrazione, in relazione a due richieste pervenute di recente (tra cui, sembra di comprendere, anche quella della ricorrente), è disponibile ad avviare un percorso di approfondimento che potrebbe portare, in futuro, ad una eventuale revisione in parte qua del piano commerciale.
4.2. Si tratta di un previsione necessariamente generica, risolvendosi, in definitiva, in una semplice manifestazione di disponibilità dell’amministrazione a valutare in futuro una ipotetica revisione del Piano in presenza di proposte concrete, fattibili, innovative e coerenti con le previsioni di Piano, e quindi compatibili con la tutela degli altri interessi pubblici coinvolti, tra cui, in particolare, quelli connessi alla tutela della vitalità e vivibilità del centro storico cittadino; proposte che, allo stato, la stessa amministrazione non è in grado di precisare ma che spetterà ai privati formulare, nella speranza di indurre l’amministrazione ad una revisione delle previsioni di piano.
4.3. Di qui il riferimento alla volontà politica dell’amministrazione di opporsi a nuovi insediamenti commerciali che siano riconducibili al concetto tradizionale di grande distribuzione, rivelatasi fonte di “cannibalizzazione” del piccolo commercio e di devitalizzazione del centro cittadino, e la propensione (allo stato necessariamente indeterminata) dell’amministrazione verso nuove forme di commercio che, anziché distrarre i cittadini verso le zone periferiche del territorio, siano in grado di produrre l’effetto esattamente contrario di attrarre sul territorio cittadino utenti extraterritoriali, siano essi “turisti” o semplici “visitatori da fuori provincia”.
4.4. Nel contesto di un provvedimento diretto ad affermare il generale divieto di nuove localizzazioni L.2, l’apertura residuale verso forme innovative di grande distribuzione commerciale capaci di indurre, in futuro, l’amministrazione ad una revisione delle previsioni di Piano, non poteva avere, ragionevolmente, caratteri più dettagliati di quelli in concreto esposti nell’atto impugnato.
La censura in esame va quindi disattesa.
5. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente ha dedotto nuovamente, sotto diverso profilo, la violazione della normativa di settore in materia di liberalizzazioni commerciali, sostenendo che il meccanismo introdotto dall’amministrazione comunale di una verifica “a tappe” di eventuali progetti innovativi di localizzazioni L2 sarebbe illegittimo perché in violazione del principio di non aggravamento del procedimento, tanto più che le norme in materia di liberalizzazione dell’attività commerciale ha abrogato le norme che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite; secondo la ricorrente, le procedure corrette da seguire ai fini della individuazione delle localizzazioni L.2 sarebbero state, o quella di cui all’art. 14 lettera b) punto b.1), ossia l’accordo previsto dall’art. 34 del D. Lgs. n. 267/2000 e dagli artt. 11 e 15 della legge n. 241/90 per le localizzazioni la cui dimensione sia superiore ai 40.000 e s.m.i., oppure quella di cui all’art. 14 lettera b) punto b.2), ossia il parere obbligatorio della provincia e l’approvazione del progetto unitario di coordinamento per le localizzazioni la cui dimensione sia inferiore a mq 40.000 (come nel caso di specie).
Anche tale censura non può essere condivisa.
5.1. Il principio generale e tendenzialmente assoluto affermato dall’amministrazione comunale con la delibera in questione è che nel territorio comunale non sono ammesse nuove localizzazioni commerciali L.2. Si è già detto che tale principio è stato adeguatamente giustificato dall’amministrazione nella relazione tecnica allegata alla deliberazione consiliare, facendo corretta applicazione dei principi affermati dalla normativa vigente in materia di liberalizzazione delle attività commerciali, i quali consentono tuttora all’amministrazione di sottoporre le attività commerciali a limitazioni e restrizioni che siano giustificate da ragionevoli esigenze di tutela di preminenti interessi generali, nel caso di specie individuati dall’amministrazione comunale nella tutela dell’ambiente urbano.
5.2. Posto tale principio – e tale divieto - l’amministrazione ha nel contempo lasciata aperta la strada ad una possibile modificazione, in un futuro più o meno prossimo, della pianificazione commerciale laddove, in esito a specifiche proposte dei privati e al necessario approfondimento istruttorio, si dovesse ritenere opportuno modificare la pianificazione commerciale prevedendo nuove localizzazioni.
5.3. In tal modo, l’amministrazione non ha aggravato il procedimento di riconoscimento di nuove localizzazioni commerciali, tenuto conto che ciò presupporrebbe la vigenza di un principio di liberalizzazione delle localizzazioni commerciali L.2 che è esattamente l’opposto di quello attualmente vigente del Comune di Asti, ma, al contrario, ha temperato l’assolutezza del divieto di nuove localizzazioni commerciali L.2 con la previsione di una generica disponibilità dell’amministrazione ad una futura modificazione del divieto, alla luce di eventuali future proposte di privati ritenute dall’amministrazione meritevoli e compatibili con l’interesse pubblico.
5.4. In altre parole, ci sarebbe aggravamento del procedimento se il procedimento ordinario contemplasse il diritto degli operatori di ottenere il riconoscimento delle localizzazioni commerciali richieste. Poiché tale principio non sussiste, non è configurabile alcun aggravamento.
5.5. Gli stessi procedimenti ordinari richiamati dalla ricorrente opererebbero soltanto nel caso in cui fosse prevista in sede pianificatoria la possibilità di nuove localizzazioni L.2: il che, nel caso di specie non è.
6) Infine, con il terzo motivo la ricorrente ha eccepito il vizio di incompetenza, sul rilievo che le note impugnate del 10 luglio 2015 e del 6 ottobre 2015, in quanto atti di gestione, avrebbero dovuto essere firmati dal dirigente, e non dall’assessore, mentre invece sono state solo “vistate” dal dirigente e firmate per esteso dall’Assessore.
La censura non può essere condivisa.
6.1. Gli atti in questione hanno natura mista, in parte gestionale e in parte politica:
- “gestionale” nella parte riferita al diniego della prima istanza di localizzazione del 3 giugno 2015, per l’affermato contrasto della proposta con il divieto di nuove localizzazioni commerciali affermato dal consiglio comunale nella delibera n. 37 dell’8 luglio 2015;
- “politica” nella parte in cui manifestano la disponibilità dell’amministrazione ad avviare un percorso di approfondimento a tappe per l’eventuale revisione della pianificazione commerciale (provvedimento del 10 luglio 2015) e nella parte in cui respingono la nuova proposta formulata dalla ricorrente in data 6 agosto 2015 negando la sussistenza dei presupposti per l’avvio di un procedimento di revisione della pianificazione commerciale (il provvedimento del 6 ottobre 2015).
6.2. Stante la natura mista dei due provvedimenti, correttamente essi sono stati sottoscritti congiuntamente dal dirigente e dall’assessore competenti.
6.3. La ricorrente enfatizza la circostanza che l’assessore abbia “firmato” i provvedimenti mentre il dirigente li avrebbe solo “vistati” (“V.° il Dirigente”). Nella sostanza, il dirigente ha firmato entrambi gli atti e in tal modo ha condiviso e fatto proprio il contenuto degli stessi.
6.4. Peraltro, nella parte propriamente gestionale, il provvedimento in esame ha assunto carattere vincolato, sicchè la censura non sarebbe comunque idonea a travolgere la legittimità dei provvedimenti in forza di quanto previsto dall’art. 21 octies comma 2 della L. n. 241/90, secondo cui “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Sull’applicabilità della norma citata al vizio di incompetenza relativa, da ultimo Consiglio di Stato sez. III 03 agosto 2015 n. 3791.
7. In definitiva, alla luce di tutte le considerazioni sopra svolte, il ricorso va conclusivamente respinto.
8. Le spese di lite possono essere interamente compensate tra le parti avuto riguardo alla complessità e alla relativa novità delle questioni esaminate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge.
Spese di lite compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2016 con l'intervento dei magistrati:
Savio Picone,  Presidente FF
Paola Malanetto,  Primo Referendario
Ariberto Sabino Limongelli,  Primo Referendario, Estensore
     
     
L'ESTENSORE      IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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