CANONE (sotto)suolo pubblico - NON DOVUTO se non si limita l'uso stradale
[img]http://www.ricercaperditeacqua-mg.it/userfiles/image/ricerca%20perdite%20acqua%20localizzazione%20tubi%20sottosuolo%201.jpg[/img]
[color=red][b]Consiglio di Stato, sez. V – sentenza 12 maggio 2016 n. 1926 [/b][/color]
N. 01926/2016REG.PROV.COLL.
N. 09219/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9219 del 2015, proposto dal Comune di Arluno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Mario Viviani, con domicilio eletto presso Giovanni Corbyons in Roma, Via Cicerone, 44
contro
Società Acque Potabili S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesca Dealessi e Anselmo Carlevaro, con domicilio eletto presso Ansemo Carlevaro in Roma, Via Gian Giacomo Porro, 8
per la riforma della sentenza in forma semplificata del T.A.R. della Lombardia, Sezione IV, n. 1130/2015
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Società Acque Potabili S.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 aprile 2016 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Angela Sarli su delega dell’avv. Mario Viviani e l’avvocato Francesca Dealessi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia e recante il n. 719/2015, l’odierna appellata Società Acque Potabili s.p.a. (d’ora in poi: ‘la SAP’ o ‘la società appellata’) ha rappresentato di aver gestito nel Comune di Arluno (Mi) il servizio pubblico di distribuzione dell’acqua potabile – con assegnazione in concessione dei relativi beni e impianti – in forza di convenzione in data 10 maggio 1994.
Ha altresì rappresentato che, con deliberazione del Consiglio Comunale in data 2 agosto 2013 n. 20 il Comune di Arluno ha approvato il regolamento di disciplina del canone concessorio patrimoniale non ricognitorio ai sensi dell’articolo 27 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (‘Nuovo codice della strada’).
Pertanto, con il richiamato ricorso la SAP ha chiesto l’annullamento:
– dell’avviso di pagamento del canone non ricognitorio datato 30 dicembre 2014, prot. n. 1828, successivamente comunicato dal Comune di Arluno;
– del Regolamento comunale per l’applicazione del canone concessorio patrimoniale non ricognitorio del Comune di Arluno;
– della deliberazione del Consiglio Comunale di Arluno in data 2 agosto 2013 n. 20 recante l’approvazione del regolamento di disciplina del canone concessorio patrimoniale non ricognitorio;
– della deliberazione della Giunta Comunale di Arluno in data 8 agosto 2013 n. 68 di determinazione delle tariffe, richiamate nell’avviso di pagamento
Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo adito:
– ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella parte relativa all’impugnazione dell’avviso di pagamento del canone non ricognitorio e ha individuato, ai sensi dell’articolo 11 del cod. proc. amm., nel giudice ordinario l’autorità giurisdizionale cui spetta la cognizione della relativa domanda;
– ha accolto il ricorso nel resto e per l’effetto ha annullato il regolamento comunale per l’applicazione del canone patrimoniale non ricognitorio, nonché la deliberazione della Giunta Comunale di Arluno in data 8 agosto 2013 di determinazione delle tariffe.
La sentenza in questione è stata impugnata in appello dal Comune di Arluno il quale ne ha chiesto la riforma articolando un unico complesso motivo (rubricato “Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui afferma che «il regolamento impugnato non sarebbe coerente con il quadro normativo complessivo»”).
In primo luogo il Comune lamenta l’erroneità della sentenza per la parte in cui, dopo aver ammesso in via generale la possibilità per l’Ente di introdurre una disciplina regolamentare del canone concessorio non ricognitorio, il primo giudice ha affermato che tale disciplina imporrebbe all’Ente di introdurre una modificazione del titolo concessorio o convenzionale relativo al singolo caso.
In tal modo decidendo il primo giudice avrebbe omesso di considerare che il regolamento contestato aveva effettivamente previsto l’integrazione delle concessioni o convenzioni vigenti ovvero il rilascio di nuove concessioni/convenzioni, in tal modo rendendo palese l’assenza dei profili di censura ritenuti fondati dal Tribunale amministrativo.
Con il secondo motivo il Comune di Arluno lamenta l’erroneità del passaggio motivazionale con cui si è affermato che il regolamento impugnato in primo grado sarebbe illegittimo per non avere tenuto conto “[delle] caratteristiche di ciascuna particolare situazione” al ricorrere della quale l’Ente potrebbe avanzare la propria pretesa.
Al contrario, il regolamento comunale impugnato in primo grado differenzia in modo puntuale fra le diverse fattispecie che possono dar luogo al pagamento del canone concessorio patrimoniale non ricognitorio, introducendo criteri e presupposti che differenziano in modo adeguato fra le diverse fattispecie.
Tuttavia, non potrebbe imporsi al Comune di introdurre (a pena di illegittimità della disciplina regolamentare) una gamma pressoché infinita di ipotesi impositive: una siffatta pretesa – oltre ad essere di per sé irragionevole – finirebbe per privare in radice il Comune di un’effettiva potestà regolamentare.
Con il terzo motivo il Comune di Arluno chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui il primo giudice ha affermato l’illegittimità della pretesa cumulabilità del canone concessorio patrimoniale non ricognitorio e della TOPAS/COSAP.
In tal modo decidendo il primo giudice avrebbe erroneamente omesso di considerare: i) che le due pretese si fondano su presupposti diversi (così come diversa è la natura delle due prestazioni, che ne ammette la coesistenza); ii) che un consolidato orientamento giurisprudenziale ammette in effetti la cumulabilità fra le due pretese in parola).
In via tuzioristica (e per l’ipotesi della loro riproposizione in sede di appello) il Comune di Arluno ha altresì riproposto le eccezioni già articolate in relazione ai (tre) motivi del ricorso di primo grado che il primo giudice ha ritenuto assorbite nell’ambito della decisione di accoglimento.
Si è costituita in giudizio la società Acque Potabili s.p.a la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello e ha riproposto ai sensi dell’articolo 101 Cod. proc. amm. i motivi di ricorso già articolati in primo grado che il primo giudice ha ritenuto di assorbire stante la fondatezza del motivo di ricorso ritenuto dirimente ai fini del decidere.
La società ha altresì articolato appello incidentale con cui ha chiesto la riforma della sentenza per la parte in cui il primo giudice ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa avverso gli avvisi di pagamento.
La società ha altresì proposto appello incidentale con il quale ha chiesto la riforma della sentenza in epigrafe
Con ordinanza n. 5582/2015 (resa all’esito della camera di consiglio del 17 dicembre 2015) questa V Sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza, avendo ritenuto “la sussistenza del pregiudizio grave ed irreparabile e ritenuta altresì la prevalenza, in questa fase, dell’interesse pubblico azionato dall’Amministrazione appellante rispetto a quello degli utenti privati con specifico riguardo alla vigenza del Regolamento oggetto della pronuncia di annullamento del TAR”.
Alla pubblica udienza del 7 aprile 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
[b]1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Comune di Arluno (Mi) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo della Lombardia con cui: a) è stato accolto il ricorso proposto di Società Acque Potabili s.p.a., attiva nel settore degli acquedotti e, per l’effetto, è stato annullato il regolamento comunale con cui era stato disciplinato il “canone patrimoniale non ricognitorio” di cui all’articolo 27, commi 7 e 8, del decreto legislativo n. 285 del 1992 (Codice della strada); b) è stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine agli avvisi di pagamento con cui il Comune ha preteso il pagamento del canone non ricognitorio.[/b]
2. Si deve anzitutto esaminare l’appello incidentale proposto dalla Società Acque Potabili s.p.a. (d’ora in poi: ‘la SAP’ o ‘la società appellata’) la quale chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui il primo giudice ha dichiarato l’insussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione degli avvisi di pagamento emessi ai sensi dell’articolo 27 (Formalità per il rilascio delle autorizzazioni e concessioni) del detto decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
2.1. L’appello incidentale è infondato dovendosi confermare l’insussistenza in parte qua della giurisdizione amministrativa.
Al riguardo la SAP richiama a sostegno l’orientamento di questo Consiglio di Stato (in tema di concessioni demaniali marittime) secondo cui è esclusa la giurisdizione del giudice ordinario laddove venga in contestazione l’esercizio di poteri valutativo-discrezionali nella determinazione del canone, sia in punto di an debeatur sia in punto di individuazione dei criteri di determinazione del quantum debeatur, e non già il suo mero calcolo aritmetico sulla base di criteri già predeterminati (Cons. Stato, VI, 28 luglio 2015, n. 3740).
La giurisprudenza richiamata dall’appellante incidentale afferma che, in siffatte ipotesi, la controversia coinvolge la verifica dell’azione autoritativa dell’amministrazione in ordine al rapporto concessorio (qualificazione del rapporto e del relativo oggetto; an del canone; individuazione dei criteri generali di determinazione del canone), con la duplice conseguenza della non riconducibilità della controversia alla giurisdizione ordinaria in materia di controversie “concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi” delle concessioni e della sussistenza della giurisdizione esclusiva amministrativa ai sensi dell’articolo 133, comma 1, lett. b), Cod. proc. amm. (in tal senso, v. anche: Cons. Stato, VI, 10 marzo 2014, n. 1076; 18 aprile 2011 n. 2375, e l’ivi richiamata giurisprudenza della Corte di cassazione e di questo Consiglio di Stato).
Ma il punto è che, nel caso di specie, il regolamento comunale impugnato in primo grado faceva discendere in modo vincolante la determinazione dell’onere finanziario al ricorrere di alcuni presupposti di fatto (ad es.: metri lineari di occupazione del sedime stradale), senza che residuasse in capo agli uffici accertatori un qualunque margine di apprezzamento in ordine a tali presupposti e condizioni. In tal modo, gli uffici dovevano limitarsi ad effettuare mere operazioni di computo sulla base di criteri del tutto predeterminati.
Pertanto, del tutto correttamente il primo giudice ha ritenuto sussistere la giurisdizione ordinaria sulle controversie aventi ad oggetto (non già la disciplina generale del canone concessorio patrimoniale non ricognitorio, bensì) l’accertamento in concreto dei relativi presupposti e i conseguenti atti impositivi.
2.2. L’appello incidentale deve quindi essere respinto.
[b]3. Nel merito l’appello è infondato, dovendo qui trovare conferma la statuizione di annullamento adottata dal primo giudice, sia pure per ragioni in parte diverse da quelle trasfuse nella sentenza in epigrafe.[/b]
4. Va premesso che non rileva ai fini della presente decisione l’ulteriore contenzioso insorto fra il Comune di Arluno e la società SAP (e attualmente pendente in appello con il n. 395/2015) avente ad oggetto il controverso titolo per la SAP a continuare ad esercitare il servizio di acquedotto in forza della richiamata convenzione del 10 maggio 1994.
[b]Ciò che qui rileva è invero la legittimità della pretesa avanzata dal Comune di riscuotere dalla SAP il canone concessorio non ricognitorio di cui all’articolo 27 del decreto legislativo n. 285 del 1992 a fronte del dato (pacifico fra le parti) della sussistenza nel territorio comunale di una rete di acquedotto interrata e della sua disponibilità in capo alla società appellata.[/b]
Del resto, lo stesso Comune appellante, pur ritenendo “indebita” la disponibilità che la SAP ha della rete idrica comunale, ritiene nondimeno dovuto il richiamato canone non ricognitorio per la sola esistenza della “rete (acquedotto) collocata in posizione interrata su bene demaniale del Comune, ancorché indebitamente trattenuta dalla ricorrente/appellata per proseguire – seppure senza titolo – nell’attività di trasporto e distribuzione dell’acqua” (pagina 4 del ricorso in appello).
5. Tanto premesso si può passare all’esame delle ragioni che palesano l’infondatezza della pretesa comunale.
5.1. Va premesso al riguardo che il primo giudice ha affermato che l’articolo 27 del Codice della strada deve essere interpretato nel senso di garantire che “tanto l’applicazione del canone, quanto il suo ammontare, siano aderenti alle caratteristiche di ciascuna particolare situazione, sulla base degli oneri complessivi che esso comporta, tenendo conto delle soggezioni che derivano alla strada o all’autostrada, del valore economico dell’utilizzazione e del vantaggio che l’utente ne ricava”.
Il primo giudice ha dunque ritenuto (con statuizione in parte qua contestata dal Comune di Arluno) che l’ente locale non possa indiscriminatamente assoggettare al canone ricognitorio qualunque utilizzo della sede stradale, ma che possa legittimamente provvedervi solo previa adeguata valutazione delle modalità attraverso le quali tale utilizzo può incidere (inter alia) sull’uso pubblico della strada.
La questione è strettamente collegata con uno dei motivi di ricorso già articolati in primo grado dalla SAP e qui riproposti ai sensi dell’articolo 101, comma 2, Cod. proc. amm. (per essere stato il motivo in parola assorbito nell’ambito della pronuncia di accoglimento resa sotto altro dirimente profilo).
[b]Con il motivo in questione la SAP aveva lamentato l’illegittimità del regolamento comunale e dei conseguenti atti impositivi atteso che le condutture sotterranee e i manufatti accessori relativamente ai quali è richiesto il canone sono ex se destinati alla prestazione di servizi pubblici, ragione per cui difetterebbe il presupposto – necessario ai sensi del richiamato articolo 27 – rappresentato dalla sottrazione del sedime stradale all’uso pubblico.[/b]
5.2. I due richiamati aspetti pongono la questione di quali siano in effetti i presupposti e le condizioni che legittimano l’imposizione da parte dell’ente locale del canone concessorio non ricognitorio; e se una tale pretesa possa essere vantata a fronte di un qualunque utilizzo della strada, ovvero soltanto a fronte di un utilizzo singolare che ne impedisca in tutto o in parte la pubblica fruizione.
Il Collegio ritiene che prevalenti indici di carattere testuale e sistematico depongono nel secondo dei sensi indicati.
[color=red][b]5.3. Partendo dagli elementi normativi di carattere sistematico e testuale, si osserva che l’articolo 27 del Codice della strada va essenzialmente letto alla luce del principio generale posto dall’art. 1, vale a dire come corpo normativo inteso alla sicurezza delle persone nella circolazione stradale, e rispetto al quale interesse generale le sue norme sono evidentemente serventi; e che l’articolo stesso fonda la legittimità dell’imposizione del canone non ricognitorio su un provvedimento di autorizzazione o di concessione dell’uso singolare della risorsa pubblica (la sede stradale).[/b][/color]
Tuttavia, l’insieme delle disposizioni del Titolo II (Della costruzione e tutela delle strade) di quel Codice (per come espressamente richiamate dal ridetto articolo 27) dimostra che le concessioni e le autorizzazioni che giustificano l’imposizione del canone non ricognitorio di cui all’articolo 27 sono caratterizzate dal tratto comune – riferibile in ultimo alla libera e sicura circolazione delle persone sulle strade – di sottrarre in tutto o in parte l’uso pubblico della res a fronte dell’utilizzazione eccezionale da parte del singolo.
E’ qui il caso di richiamare:
– le ipotesi di autorizzazione all’occupazione della sede stradale anche con “veicoli, baracche, tende e simili” ai sensi dell’articolo 20;
– le ipotesi di autorizzazione o concessione all’esecuzione di “opere o depositi e aprire cantieri stradali, anche temporanei, sulle strade e loro pertinenze, nonché sulle relative fasce di rispetto e sulle aree di visibilità” ai sensi dell’articolo 21;
– le ipotesi di autorizzazione alla realizzazione di “nuovi accessi e nuove diramazioni dalla strada ai fondi o fabbricati laterali, [ovvero di] nuovi innesti di strade soggette a uso pubblico o privato”, ovvero ancora di passi carrabili ai sensi dell’articolo 22.
In tutti detti casi è evidente che la condizione a un tempo necessaria e sufficiente per giustificare l’imposizione del canone ricognitorio sia rappresentata dal rilascio di un titolo che abilita a un uso singolare della risorsa pubblica, limitandone o comunque condizionandone in modo apprezzabile il pieno utilizzo.
Ai fini della presente disamina merita particolare attenzione – e sempre considerando il ricordato principio generale – la previsione di cui all’articolo 25 del Codice (rubricato “Attraversamenti ed uso della sede stradale”), secondo cui “non possono essere effettuati, senza preventiva concessione dell’ente proprietario, attraversamenti od uso della sede stradale e relative pertinenze con corsi d’acqua, condutture idriche, linee elettriche e di telecomunicazione, sia aeree che in cavo sotterraneo, sottopassi e soprappassi, teleferiche di qualsiasi specie, gasdotti, serbatoi di combustibili liquidi, o con altri impianti ed opere, che possono comunque interessare la proprietà stradale. Le opere di cui sopra devono, per quanto possibile, essere realizzate in modo tale che il loro uso e la loro manutenzione non intralci la circolazione dei veicoli sulle strade, garantendo l’accessibilità delle fasce di pertinenza della strada”.
La disposizione è pertinente al fine di vagliare la legittimità dell’imposizione da parte dell’ente locale di un canone ricognitorio a fronte della posa, in prossimità della sede stradale, di infrastrutture pubbliche cc. dd. “a rete”, come quelle che rilevano ai fini del presente giudizio.
[color=red][b]La disposizione (in relazione sistematica con il successivo articolo 27, che fonda la pretesa del Comune appellante) rende palese:
– che ciò che rileva, al fine di fondare la pretesa dell’ente locale, non è un qualunque utilizzo della sede stradale (nonché dello spazio soprastante e sottostante ad essa), bensì un utilizzo singolare che incida in modo significativo sull’uso pubblico della risorsa viaria;
– che ciò che rileva ai medesimi fini è il singolare “uso della sede stradale” (laddove l’articolo 3, comma 1, n. 46 del Codice definisce la sede stradale come “superficie compresa entro i confini stradali. Comprende la carreggiata e le fasce di pertinenza”).[/b][/color]
Ebbene, il fatto che il Codice abbia operato un espresso richiamo alla sola “sede stradale” (i.e.: alla superficie e non anche al sottosuolo e al soprasuolo) depone nel senso che l’imposizione di un canone non ricognitorio a fronte dell’uso singolare della risorsa stradale è legittima solo se consegue a una limitazione o modulazione della possibilità del suo tipico utilizzo pubblico; ma non anche a fronte di tipologie e modalità di utilizzo (quali quelle che conseguono alla posa di cavi e tubi interrati) che non ne precludono ordinariamente la generale fruizione.
Naturalmente, in questi ultimi casi, l’imposizione di un canone non ricognitorio avrà un giusto titolo che la renderà legittima per il tratto di tempo durante il quale le lavorazioni di posa e realizzazione dell’infrastruttura a rete impediscono la piena fruizione della sede stradale; ma non si rinviene una giustificazione di legge per ammettere che una siffatta imposizione possa proseguire anche indipendentemente da questa occupazione esclusiva, cioè durante il periodo successivo (che può essere anche pluridecennale) durante il quale la presenza in loco dell’infrastruttura di servizio a rete non impedisce né limita la pubblica fruizione della sede stradale.
6. Il Comune di Arluno richiama a supporto delle proprie tesi la sentenza di questo Consiglio di Stato 31 dicembre 2014, n. 6459 che – ai fini che qui rilevano – ha in particolare affermato:
a) che il canone non ricognitorio di cui all’articolo 27 del Codice della strada si configura come entrata patrimoniale per l’amministrazione proprietaria della strada, gravante sui soggetti titolari di concessione che utilizzano il suolo e il sottosuolo delle pubbliche strade, ragione per cui il canone in questione “assume la funzione di corrispettivo per l’uso particolare del suolo e del sottosuolo che è accordato al concessionario”;
b) che l’amministrazione interessata può legittimamente esigere il canone in parola anche nel caso in cui per la medesima occupazione sia già corrisposta la TOSAP o la COSAP (vengono richiamate, al riguardo: Cass., V, 27 ottobre 2006, n. 23244 e 31 luglio 2007, n. 16914).
6.1. Ebbene, quanto alla questione sub a), il Collegio ritiene che le conclusioni cui la Sezione è pervenuta con la sentenza richiamata debbano essere precisate e in parte riviste escludendo dalla legittima esigibilità del canone non ricognitorio le ipotesi di utilizzo del sottosuolo della sede stradale le quali – come nel caso che qui rileva – non impediscano o limitino in alcun modo la fruizione pubblica della sede viaria.
D’altronde (e dal punto di vista sistematico) non emergerebbe un’effettiva ragione per cui un complesso normativo (quale il Titolo II del Codice della strada, rubricato ‘Della costruzione e tutela delle strade’), contenuta in un corpo normativo a tutt’altro interesse generale finalizzato, possa far legittimamente conseguire una prestazione di carattere coattivo (quale l’obbligo di prestazione del ‘canone’) a fronte di un presupposto – l’utilizzo del sottosuolo stradale – di suo inconferente o quanto meno inidoneo a incidere restrittivamente sulla piena e generale fruizione della risorsa pubblica stradale in quanto tale.
6.2. Per quanto riguarda, invece, le conclusioni dinanzi richiamate sub b) (possibile coesistenza fra il canone concessorio non ricognitorio e la TOSAP/COSAP), non si ravvisa contraddizione nella eventuale coesistenza fra le due fattispecie, già affermata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione.
Ed infatti le due pretese patrimoniali (una di ordine tributario e l’altra caratterizzata dalla descritta lata corrispettività) potranno in ipotesi coesistere, ma a condizione che sussistano, per ciascuna, i relativi presupposti giustificativi.
[color=red][b]Non emerge alcun presupposto che giustifichi la pretesa alla corresponsabile del canone ex articolo 27, cit. nelle ipotesi in cui – come nel caso che qui rileva – l’utilizzo del sottosuolo stradale non incida in alcun modo sulla pubblica fruizione della risorsa.[/b][/color]
Al contrario, l’articolo 63 (Canoni per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche) del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) espressamente richiama, fra i presupposti per l’imposizione tributaria, le ipotesi di “occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile (…)”.
In definitiva il richiamato orientamento giurisprudenziale (in particolare: Cass., V, 27 ottobre 2006, n. 23244 e 31 luglio 2007, n. 16914) ammette la possibile coesistenza fra i due richiamati obblighi, ma non impone affatto che la sussistenza dei presupposti applicativi di uno di essi renda ipso facto, quasi per irragionevole duplicazione automatica di effetti, necessitata la prestazione anche dell’altro.
7. Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto appena considerato, il Collegio rileva altresì che nel settore qui in considerazione (si tratta delle infrastrutture idriche a rete) incide altresì un principio di tendenziale gratuità della messa a disposizione dell’infrastruttura a rete (ci si riferisce, in particolare, all’articolo 153, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, secondo cui “le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell’articolo 143 sono affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato (…)”).
7.1. Sempre ai limitati fini che qui rilevano va considerato che anche in altri settori dell’ordinamento (come quello delle reti di comunicazione elettronica) opera un similare principio di tendenziale gratuità degli interventi finalizzati alla posa e al mantenimento delle retri infrastrutturali.
Ci si riferisce, in particolare, al comma 3 dell’articolo 231 del Codice della strada, secondo cui “in deroga a quanto previsto dal capo I del titolo II (il quale include altresì l’articolo 27 in tema di ‘canone non ricognitorio’) , si applicano le disposizioni di cui al capo V del titolo II del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni” (e fra le disposizioni del Codice del 2003 che vengono espressamente richiamate figura l’articolo 93, comma 1, secondo cui “le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge. (…)”).
7.2. Ad avviso del Collegio le richiamate disposizioni settoriali, lungi dal presentare un carattere derogatorio rispetto alla generale e indistinta pretesa alla corresponsione del ‘canone concessorio non ricognitorio’, costituiscono indice di un più generale principio volto a negare la generalizzata applicazione dell’articolo 27 e, in ogni caso, ad escluderne la cogenza nelle ipotesi in cui non sussistano puntuali ragioni giustificative connesse alla complessiva ratio normativa sottesa al c.d. Codice della strada.
8. Per le ragioni esposte il ricorso in appello va respinto, sia pure per ragioni diverse da quelle individuate dal primo giudice.
Deve altresì essere respinto l’appello incidentale proposto dalla Società Acque Potabili s.p.a., dovendo qui essere confermata la carenza di giurisdizione amministrativa in ordine agli avvisi di pagamento con cui il Comune ha preteso il pagamento del canone non ricognitorio.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio anche in considerazione della peculiarità e parziale novità delle quaestiones iuris sottese alla presente decisione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, respinge l’appello principale e respinge l’appello incidentale.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 12/05/2016.