Data: 2016-05-03 05:52:53

Dipendente con precedenti - ILLEGITTIMA la chiusura del bar (CdS 2/5/2016)

Dipendente con precedenti - ILLEGITTIMA la chiusura del bar (CdS 2/5/2016)

[img width=300 height=226]http://parma.repubblica.it/images/2010/09/12/093656524-94e90efa-7e89-4ce9-8c12-8243bf11b1e3.jpg[/img]

[color=red][b]Consiglio di Stato, sez. III – sent. 2 maggio 2016 n. 1681 [/b][/color]

N. 01681/2016REG.PROV.COLL.
N. 10546/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10546 del 2015, proposto da:

Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Vibo Valentia, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

contro

– -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo Graziano, Enzo Antonio Antonucci, con domicilio eletto presso Enzo Antonio Antonucci in Roma, Via Filippo Corridoni, 23;

– Comune di -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Gerardo Mario Graziano Drago, con domicilio eletto presso Raffaele Mario Vavala’ in Roma, Circonvallazione Clodia, 36;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO :SEZIONE II n. 01040/2015, resa tra le parti, concernente revoca della licenza per l’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e di bevande a seguito di richiesta prefettizia – mcp;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di -OMISSIS- e del Comune di -OMISSIS-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 marzo 2016 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli avvocati Raffaele Mario Vavalà su delega di Gerardo Mario Graziano Drago, Enzo Antonio Antonucci e l’avvocato dello Stato Maria Luisa Spina;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. All’origine della controversia c’è l’ordinanza del Comune di -OMISSIS- n. 6 in data 7 aprile 2015, con cui, recependo la richiesta della Prefettura di Vibo Valentia di cui alle note prot. n.0004375 in data 10 febbraio 2015 e n.0012466/23 in data 3 marzo 2015, [b]in applicazione dell’art. 19, comma 4, del d.P.R. 616/1977, è stata revocata all’odierno appellato una licenza di esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande, in quanto contrastante con “esigenze di ordine e di sicurezza sociale”.
[/b]
2. Il TAR Calabria, con la sentenza appellata (II, n. 1004/2015), ha accolto il ricorso ed ha annullato detti provvedimenti, affermando che la richiesta è sguarnita di una congrua motivazione in relazione alla dedotta messa in pericolo dell’ordine pubblico, in quanto (riguardo agli elementi indicati dalla Prefettura):

[b]– il precedente per associazione mafiosa del dipendente che si afferma essere l’effettivo gestore del bar, è assai risalente nel tempo (1987);[/b]

– allo stesso, scontata la pena, è stata concessa la libertà vigilata, con provvedimento del giudice di sorveglianza, proprio per favorirne il reinserimento sociale attraverso una stabile attività lavorativa;

– la nota dei Carabinieri di Vibo Valentia in data 16 dicembre 2013, allegata dalla difesa erariale, riporta controlli sporadici, poco conducenti e, salvo l’ultimo, molto datati rispetto al momento sia della revoca, sia della stessa richiesta prefettizia;

– nessun riscontro patrimoniale risulta effettuato in merito all’asserita “gestione di fatto” del locale da parte del suddetto dipendente, in luogo del titolare.

3. Nell’appello, il Ministero dell’interno, soprattutto mediante la citazione di massime giurisprudenziali, prospetta che:

– affinchè la richiesta del Prefetto sia considerata “motivata”, non occorrono elementi incontrovertibili a suo sostengo, ma è sufficiente vi siano elementi indiziari aventi una valenza sintomatica, tali da indurre ragionevolmente a ritenere che la revoca salvaguardi la pubblica sicurezza (cfr. Cons. Stato, V. n. 2511/2015);

– nel caso in esame tali elementi sussistono e sono stati evidenziati nella richiesta; basti considerare che il bar è materialmente gestito da-OMISSIS-, già sorvegliato speciale di p.s.. ed esponente della famiglia mafiosa dei -OMISSIS-, condannato per associazione di tipo mafioso, etc.; mentre il titolare dell’autorizzazione solo in rare occasioni è stato notato presso il pubblico esercizio; e che il locale è abituale ritrovo di soggetti censiti penalmente, alcuni dei quali già sorvegliati speciali di p.s., contigui alla famiglia mafiosa dei -OMISSIS-;

– quanto alla risalenza nel tempo dei pregiudizi a carico del-OMISSIS-, l’inquinamento mafioso non può considerarsi superato solo per il trascorrere del tempo dall’ultima verifica effettuata senza che sia emersa alcuna evenienza negativa, quanto invece per il sopraggiungere di fatti positivi, idonei a dar conto di un nuovo e consolidato operare dei soggetti a cui è stato ricollegato il pericolo, che persuasivamente e fattivamente dimostri l’inattendibilità o la non attualità della situazione rilevata in precedenza (cfr. Cons. Stato, III, n. 533/2015);

– pertanto, si è in presenza di intestazione fittizia a persona incensurata, per aggirare le disposizioni di p.s.; una simile prassi è tipica delle organizzazioni di tipo mafioso, e giustifica la revoca della licenza (cfr. V, n. 2551/2015, cit.);

– la frequentazione da parte di pregiudicati o persone pericolose è considerata dall’art. 100 del T.U.L.P.S. come presupposto che giustifica la sospensione e la revoca della licenza.

4. E’ intervenuto ad adiuvandum il Comune di -OMISSIS-.

5. L’appello è infondato e deve essere respinto.

[color=red][b]E’ utile premettere che l’art. 19, comma 4, del d.P.R. 616/1977 attribuisce al Comune, su “motivata richiesta” del Prefetto, il potere di revoca delle autorizzazioni commerciali la cui competenza è stata delegata all’ente locale dai commi precedenti.

Detta competenza del Prefetto è stata limitata alle “esigenze di pubblica sicurezza” dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 77/1987. D’altra parte, l’art. 100 del T.U.L.P.S. attribuisce all’autorità di p.s. il potere di sospendere e revocare la licenza commerciale relativa ad un esercizio pubblico “che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini”.[/b][/color]

6. Quanto affermato dal TAR appare convincente e non risulta smentito dalle argomentazioni dell’appello.

L’orientamento della Sezione – espresso riguardo ai presupposti per l’adozione dell’informazione antimafia interdittiva, che condivide con la revoca in esame la finalità di tutela preventiva nei confronti del pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata nelle attività economiche – è nel senso che[b] assumono rilevanza, oltre che i fatti recenti, anche i fatti più risalenti nel tempo, quando gli elementi raccolti dal Prefetto a tal fine siano sintomatici di un condizionamento attuale dell’attività dell’impresa [/b](cfr., recenti, Cons. Stato, III, n. 4602/2015 e n. 3653/2015).

[b]Nel caso in esame, questo nesso di continuità tra i precedenti penali del dipendente, risalenti a quasi venti anni orsono, e la situazione attuale non è dimostrato; anzi, gli elementi oggettivi disponibili sembra depongano (proprio nella prospettiva indicata da III, n. 533/2015, invocata nell’appello) per l’inattualità del giudizio negativo originario.[/b]

Infatti, a carico del dipendente (amico di infanzia del titolare, secondo quanto precisato da quest’ultimo, e da lui assunto nel novembre del 2007, dopo che aveva scontato la pena, con successivo apprezzamento del magistrato di sorveglianza – cfr. ordinanza del Tribunale di Catanzaro in data 17 novembre 2008, con cui si dispone la non esecuzione della libertà vigilata, in quanto “dopo la scarcerazione ha dato prova di volersi reinserire socialmente svolgendo stabile attività lavorativa”), oggi sposato e padre di due figli minorenni, nessun elemento negativo risulta emerso nel lungo periodo trascorso dalla condanna, risalente a quando aveva vent’anni.

Ciò detto, attribuire permanente e decisiva rilevanza ai soli precedenti penali del dipendente rischierebbe di vanificare la funzione rieducativa della pena.

La stessa ipotesi della intestazione fittizia del bar (peraltro, gestito dal titolare fin dal 2002), d’altro canto, non è supportata da ulteriori considerazioni, a parte la costante presenza del dipendente a fronte di quella sporadica del titolare – circostanza che tuttavia non appare di per sé anomala – ed in particolare non risultano effettuati accertamenti sulle situazioni patrimoniali degli interessati idonee ad avvalorarla; può aggiungersi che l’appellato documenta di aver sempre tenuto i rapporti con i fornitori ed effettuato i pagamenti attraverso i propri conti correnti bancari.

[b]Anche le frequentazioni da parte di soggetti gravati da pregiudizi di p.s., come sottolineato dal TAR, risultano episodiche e non recenti (dalla nota del Comando Provinciale dei Carabinieri di Vibo Valentia prot. 9334 in data 16 dicembre 2013, si evince che ne sono stati “controllati” nel locale 3 volte nel 2007, 1 nel 2008, 2 nel 2010, 1 nel 2011, mai nel 2012, 1 nel 2013 (in quest’ultimo caso, l’unico recente, si tratterebbe di un giovane pastore denunciato per pascolo abusivo e abbandono di animali in fondo altrui); e, dunque, non appaiono assumere un particolare significato, trattandosi di un locale pubblico in un paese che ne conta pochi (per di più, sottolinea l’appellato, di un bar costantemente frequentato dai militari della locale stazione dei Carabinieri, distante duecento metri), in un contesto territoriale difficile.[/b]

7. E’ utile precisare che il precedente di questo Consiglio invocato nell’appello (V, n. 2551/2015) appare connotato da significative differenze, in quanto in quel caso si era in presenza di una nuova licenza per il locale, dopo che una precedente era stata revocata al parente pregiudicato del nuovo intestatario, e quindi risultava consistente il pericolo di un’intestazione fittizia elusiva del provvedimento di revoca.

8. In conclusione, l’appello deve essere respinto.

9. La natura della controversia induce a disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i soggetti privati menzionati.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Manfredo Atzeni, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 02/05/2016.

riferimento id:33890
vuoi interagire con la community? vai al NUOVO FORUM - community.omniavis.it