Sentenze penali: effetti sul giudizio amministrativo
Il concetto di "fatto materiale" non si estende alle valutazioni compiute in sede penale.
Una società attiva in Veneto nel settore del trattamento delle pelli con solventi chimici ha proposto appello contro la sentenza del T.A.R. locale con cui è stato respinto il ricorso avverso gli atti con i quali la Provincia le aveva ingiunto di sospendere l’attività per il superamento di alcuni limiti in tema di agenti inquinanti, sino all’adeguamento dei suoi impianti produttivi.
L’appellante ha dedotto in primo luogo l’esistenza di una sentenza di assoluzione resa, con riferimento ad un procedimento penale instauratosi nei confronti del legale rappresentante, per i medesimi fatti storici contestati poi in sede amministrativa, dal Tribunale. La società infatti ha lamentato che i primi giudici abbiano omesso di considerare il sostanziale vincolo di pregiudizialità derivante dalla richiamata sentenza di assoluzione (pronunciata “perché il fatto non sussiste”) rispetto alla quale il giudice amministrativo non avrebbe potuto assumere un diverso orientamento.
Con sentenza n. 1487 del 14 aprile 2016 la Quinta sezione del Consiglio di Stato ha rigettato l’appello, mostrando di dissentire dalla ricostruzione che, sul punto specifico, ha offerto la società veneta.
In primo luogo il Supremo Consesso amministrativo ha osservato che non ricorrevano i presupposti per fare applicazione dell’articolo 652 cod. proc. pen. (in tema di “Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno”), il cui ambito applicativo è limitato al caso - che qui non ricorreva - di giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell’interesse dello stesso.
Il Collegio ha poi rilevato, in secondo luogo, che neppure poteva essere invocato l’articolo 654 cod. proc. pen. (in tema di “Efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi”). E’ vero infatti che la disposizione appena richiamata postula l’efficacia extrapenale della sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento (inter alia) quando nel giudizio amministrativo “si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale”; ma il punto è che, secondo un consolidato orientamento, la nozione di “fatti materiali” deve essere limitata alla realtà fenomenica, materiale e storica che ha determinato il convincimento del giudice penale e non può essere anche riferita all’ulteriore procedimento di sussunzione logica del materiale probatorio svolta dal giudice stesso anche attraverso processi argomentativi (la cui articolazione non riguarda l’accertamento del fatto, ma la valutazione di esso).
Si tratta di un corollario del principio secondo cui i mutamenti della disciplina del processo penale giustificano sempre meno la compressione del diritto alla prova e del principio del libero convincimento del giudice che l'efficacia extrapenale del giudicato penale comporta.
[b]Ebbene, secondo i magistrati di Palazzo Spada dall’esame delle motivazioni della sentenza del giudice penale emergeva che quest’ultimo ha desunto da un fatto noto (il rinvenimento presso i locali dell’impresa di determinati quantitativi di solventi chimici) un fatto non noto (l’utilizzo di tale materiale anche o prevalentemente per le lavorazioni in bottali), in tal modo articolando un giudizio di verosimiglianza che non impinge la percezione del fatto storico nella sua materialità, bensì la valutazione logico/giuridica circa le conseguenze del fatto (i.e.: la valutazione tipicamente rimessa al giudice).[/b]
In altri termini, sui è trattato di un giudizio di mera verosimiglianza: il che emerge con evidenza dai passaggi motivazionali della sentenza di assoluzione invocati dalla stessa appellante.
[b]In sintesi, può ritenersi accertato, all’esito del richiamato giudizio penale, il rinvenimento presso i locali dell’impresa dei quantitativi di solventi, ma il giudice amministrativo ha sentenziato di non potersi per ciò solo ritenersi vincolato a recepire in modo acritico la qualificazione giuridica e l’iter logico-valutativo al riguardo seguito dal giudice penale.[/b]
http://www.ilquotidianodellapa.it/_contents/news/2016/aprile/1460913351084.html
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[color=red][size=18pt][b]Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1487 del 14 aprile 2016[/b][/size][/color]
N. 01487/2016REG.PROV.COLL.
N. 08395/2015 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 8395 del 2015, proposto dalla Conceria Cadore S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Pavanini, Andrea Benedetti e Marco Feroci, con domicilio eletto presso Marco Feroci in Roma, Via Paolo Emilio, n. 32
contro
Provincia di Vicenza, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Balzani, Paola Mistrorigo, Maria Elena Tranfaglia, Ilaria Bolzon, Federica Castegnaro e Mario Sanino, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, n. 180;
Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Veneto, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. del Veneto, Sezione III, n. 287/2015;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Vicenza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all'udienza pubblica del 25 febbraio 2016 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Andrea Pavanini e Mario Sanino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. del Veneto l’odierna appellante Conceria Cadore s.r.l., attiva nel settore del trattamento delle pelli con solventi chimici, ha impugnato il provvedimento in data 2 agosto 2010 con cui l’Amministrazione provinciale di Vicenza ha sospeso “l’attività di rifinizione della società Conceria Cadore S.r.l”, ordinandole altresì di presentare una relazione tecnica dalla quale fosse possibile desumere le ragioni della valutazione di non conformità rilevata dall’ARPAV e, ciò, unitamente ad un elenco di interventi che la Conceria Cadore avrebbe dovuto adottare.
Il provvedimento in questione era stato adottato a seguito di un sopralluogo, eseguito dal Dipartimento Provinciale dell’ARPAV di Vicenza presso la sede della società appellante nel giugno 2010, all’esito del quale risultava accertata, tra l’altro, la presenza di una cabina di spruzzatura, con annesso tunnel di asciugatura, sprovvista di autorizzazione.
Nell’ambito del richiamato rapporto tecnico, anch’esso impugnato con il ricorso principale, si rilevavano una serie di inosservanze all’autorizzazione provinciale n. 1770/02 e all’autorizzazione integrata ambientale provvisoria n. 28/07.
In conseguenza dei richiamati accertamenti la società ricorrente presentava una proposta progettuale che prevedeva l’installazione di un impianto di abbattimento dei solventi (postcombustore) che avrebbe consentito di rientrare nei limiti previsti dalle autorizzazioni sopra citate.
Sulla base della predetta proposta progettuale la Provincia di Vicenza, con il secondo provvedimento in data 2 settembre 2010, impugnato anch’esso con il ricorso principale, sospendeva il precedente provvedimento “di sospensione”, permettendo la continuazione dell’attività aziendale e concedendo, all’uopo, un ulteriore consumo di 90mila kg di solventi ed a condizione che il nuovo postcombustore (di cui alla proposta progettuale della ricorrente) venisse effettivamente installato e realizzato entro il 31 dicembre 2010.
La società Conceria Cadore s.r.l. nell’impugnare i provvedimenti sopracitati ne sosteneva sotto diversi aspetti l’illegittimità.
Il ricorso è stato respinto dall’adito tribunale con la sentenza segnata in epigrafe.
Tale sentenza è stata appellata dalla Conceria Cadore s.r.l., la quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi.
Con il primo motivo di appello la Conceria Cadore s.r.l. lamenta che i primi Giudici abbiano erroneamente omesso di considerare gli effetti che, ai sensi degli articoli 652 e 654 c.p.p., la sentenza penale di assoluzione resa dal Tribunale Penale di Vicenza in data 20 ottobre 2014 sortiva ai fini della risoluzione della vicenda di causa.
L’irrevocabilità della sentenza in questione e l’accertamento che “il fatto non sussiste” (in una con il contenuto pienamente liberatorio della motivazione della sentenza penale) avrebbero necessariamente dovuto indurre i primi giudici ad accogliere il ricorso, in quanto basato sui medesimi fatti e sulla stessa qualificazione giuridica che già aveva costituito oggetto dell’accertamento in sede penale.
Con il secondo motivo la Conceria Cadore chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi giudici hanno respinto:
- il primo motivo di ricorso (con il quale si erano contestati i provvedimenti provinciali del 2 agosto e del 2 settembre 2010 nell’erronea convinzione che tutto il quantitativo di solventi acquistato venisse anche utilizzato, in tal modo producendo emissioni in atmosfera);
- il secondo motivo di ricorso (con il quale si era contestata l’imposizione da parte dell’amministrazione dell’installazione del post-combustore, senza valutare in modo adeguato l’esistenza e la percorribilità di soluzioni tecniche alternative).
Quanto al primo aspetto, il TAR avrebbe erroneamente deciso di discostarsi dalle conclusioni cui era pervenuto il consulente di parte, dott. Caldonazzo, il quale aveva concluso nel senso di escludere dal computo i solventi utilizzati per le lavorazioni in bottale, in tal modo riducendo il quantitativo contestato di solventi effettivamente immessi in atmosfera.
Al contrario, i solventi (peraltro di cospicuo ammontare) utilizzati per la lavorazione in bottali seguivano la diversa via dello scarico nella rete fognaria, in tal modo evidentemente non incidendo sui livelli delle emissioni in atmosfera.
Per quanto riguarda, poi, il secondo aspetto, il T.A.R. avrebbe erroneamente affermato che l’appellante avesse sostanzialmente fatto propria la proposta dell’amministrazione: ma, secondo l’appellante, il punto è che la doverosa conformazione a un provvedimento dell’amministrazione non implica ex se acquiescenza al suo contenuto.
Nel merito poi il motivo in questione avrebbe dovuto essere accolto, atteso che una pluralità di elementi depone nel senso di palesare il difetto di istruttoria e di motivazione che vizia la richiamata imposizione della soluzione tecnica del post-combustore.
In particolare il T.A.R. avrebbe erroneamente omesso di considerare che (secondo quanto riconosciuto dalla stessa ARPAV nel dicembre del 2010), anche in assenza del post-combustore, l’appellante era comunque in grado di rispettare i limiti di emissione di cui al provvedimento autorizzativo n. 1770 del 13 settembre 2002 (costituente parte integrante dell’A.I.A. n. 28 del 2007).
Anche per questa ragione la sentenza in epigrafe dovrebbe essere riformata per avere i primi giudici omesso di considerare i numerosi profili di difetto di istruttoria e di motivazione che viziavano il provvedimento inizialmente impugnato, così come quelli impugnati con i successivi motivi aggiunti.
Con il terzo motivo di appello la Conceria Cadore lamenta che erroneamente i primi Giudici abbiano respinto:
- il terzo motivo del ricorso di primo grado (con cui si era lamentata la violazione delle garanzie partecipative che avrebbero dovuto precedere l’adozione dei provvedimenti in data 2 agosto e 2 settembre 2010). In particolare, i primi giudici avrebbero erroneamente omesso di considerare che la tempistica impressa al procedimento era stata tale da impedire di fatto all’appellante di interloquire in modo adeguato con l’amministrazione procedente;
- il primo e il terzo argomento profuso nel ricorso per motivi aggiunti (con cui si era lamentata l’illegittimità della sospensione disposta il 30 dicembre 2010, anche in questo caso per plurime violazioni delle garanzie partecipative di cui alla l. 241 del 1990). In particolare non sarebbe stato valutato in modo adeguato il contegno complessivamente tenuto dall’amministrazione la quale, lungi dal valutare gli elementi che supportavano la richiesta di riesame dei precedenti provvedimenti, si era limitata (e in modo sostanzialmente apodittico) a reiterare le prescrizioni già in precedenza impartite e a ordinare la sospensione dell’attività fino alla piena conformazione.
Con il quarto motivo di appello la Conceria Cadore lamenta che erroneamente i primi giudici abbiano respinto il quarto argomento dei ricorso per motivi aggiunti (con il quale si era lamentato che l’ordine di sospensione dell’attività di rifinizione in data 30 dicembre 2010 fosse violativo della scansione legale che impone di rispettare la sequenza ‘diffida/sanzione – mentre, nel caso in esame, l’ordine era stato impartito in assenza di una previa diffida -).
In particolare, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per avere i primi giudici erroneamente affermato che il provvedimento in data 2 agosto 2010 già tenesse ex se luogo di una diffida, ragione per cui un’ulteriore diffida non risultava in realtà necessaria.
Da ultimo, la società appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe i) sia in relazione al capo reiettivo della domanda risarcitoria; ii) sia in relazione al capo relativo alla condanna alle spese di lite.
Si è costituita in giudizio la Provincia di Vicenza, la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Alla pubblica udienza del 25 febbraio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da una società attiva nel settore del trattamento delle pelli con solventi chimici avverso la sentenza del T.A.R. del Veneto, con cui è stato respinto il ricorso (e i successivi motivi aggiunti) avverso gli atti con cui la Provincia di Vicenza le ha ingiunto di sospendere l’attività per il superamento di alcuni limiti in tema di agenti inquinanti, e sino all’adeguamento dei suoi impianti produttivi.
2. Il Collegio osserva in primo luogo che, ai fini della presente decisione, sia essenziale definire con esattezza i limiti dell’eventuale incidenza della sentenza di assoluzione resa dal Tribunale penale di Vicenza in data 20 ottobre 2014 nei confronti del legale rappresentante della società in relazione ai contestati reati di cui all’articolo 81, comma 2 all’articolo 29-quaterdecies (in relazione alle contestate condotte inquinanti) del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Come si è detto in narrativa, l’appellante lamenta che i primi giudici abbiano omesso di considerare il sostanziale vincolo di pregiudizialità derivante dalla richiamata sentenza di assoluzione (pronunciata “perché il fatto non sussiste”) rispetto alla quale il giudice amministrativo non avrebbe potuto assumere un diverso orientamento.
2.1. La tesi non può essere condivisa.
Si osserva in primo luogo che non ricorrono qui i presupposti per fare applicazione dell’articolo 652 cod. proc. pen. (in tema di ‘Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno’), il cui ambito applicativo è limitato al caso - che qui non ricorre - di giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell’interesse dello stesso.
Si osserva in secondo luogo che neppure può essere qui invocato l’articolo 654 cod. proc. pen. (in tema di ‘Efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi’).
E’ vero che la disposizione appena richiamata postula l’efficacia extrapenale della sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento (inter alia) quando nel giudizio amministrativo “si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale”.
Ma il punto è che, secondo un condiviso orientamento, la nozione di “fatti materiali” deve essere limitata alla realtà fenomenica, materiale e storica che ha determinato il convincimento del giudice penale e non può essere anche riferita all’ulteriore procedimento di sussunzione logica del materiale probatorio svolta dal giudice stesso anche attraverso processi argomentativi (la cui articolazione non riguarda l’accertamento del fatto, ma la valutazione di esso).
Si tratta di un corollario del principio (già enunciato dalla Cass. civ. e correttamente richiamato dalla Provincia di Vicenza) secondo cui i mutamenti della disciplina del processo penale giustificano sempre meno la compressione del diritto alla prova e del principio del libero convincimento del giudice che l'efficacia extrapenale del giudicato penale comporta (sent. 19 maggio 2003, n. 7765).
Ebbene, dall’esame delle motivazioni della richiamata sentenza del giudice penale emerge che lo stesso ha desunto da un fatto noto (il rinvenimento presso i locali dell’impresa di determinati quantitativi di solventi chimici) un fatto non noto (l’utilizzo di tale materiale anche o prevalentemente per le lavorazioni in bottali), in tal modo articolando un giudizio di verosimiglianza che non impinge l’appercezione del fatto storico nella sua materialità, bensì la valutazione logico/giuridica circa le conseguenze del fatto (i.e.: la valutazione tipicamente rimessa al giudice).
E che di giudizio di mera verosimiglianza si tratti emerge con evidenza dai passaggi motivazionali della sentenza di assoluzione riportati de extenso dalla stessa appellante (si legge al riguardo che “(…) non può ragionevolmente affermarsi che le lavorazioni in cabina a spruzzo e quelle in bottale siano equiparabili sotto il profilo delle immissioni in atmosfera; è infatti ragionevole ritenere che per ogni chilo di solvente utilizzato le prime comportino maggiori emissioni rispetto alle seconde (…)”).
In sintesi, può ritenersi accertato, all’esito del richiamato giudizio penale, il rinvenimento presso i locali di impresa dei richiamati quantitativi di solventi, ma non può ritenersi che questo giudice amministrativo sia altresì vincolato a recepire in modo acritico la qualificazione giuridica e l’iter logico/valutativo al riguardo seguito dal giudice penale.
Pertanto, il fatto materiale accertato in sede penale può e deve essere autonomamente valutato nell’ambito del presente giudizio amministrativo senza che operi al riguardo alcun vincolo di pregiudizialità.
3. Tanto premesso dal punto di vista generale, si osserva che il ricorso in epigrafe è infondato.
Come esposto in narrativa, la parte centrale delle argomentazioni articolate dall’appellante si fonda su due aspetti principali:
- in primo luogo, la ritenuta erroneità del giudizio tecnico espresso dall’ARPAV nel dedurre (sulla base dei quantitativi di solventi acquistati dall’appellante) che la stessa avesse utilizzato una quantità di solventi organici superiore a quella (pari a 370mila chilogrammi l’anno) consentita in base all’autorizzazione del 13 settembre 2002;
- in secondo luogo, la lamentata incongruità delle valutazioni poste a fondamento dell’imposizione del post-combustore, la cui mancata installazione aveva da ultimo comportato l’adozione del provvedimento di sospensione in data 30 dicembre 2010.
3.1. Ebbene, quanto al primo dei richiamati aspetti, l’appellante contesta in più punti l’erroneità della sentenza in epigrafe, con particolare riguardo al passaggio in cui si afferma (punto 2.6) che “i conteggi posti in essere da parte ricorrente appaiono erronei laddove sono diretti a contestare il superamento dei limiti di utilizzo di solventi e, ciò, nella parte in cui ritengono di portare a detrazione alcune voci e di sommarne altre”.
Ma l’appellante non ha articolato specifici motivi di doglianza avverso il precedente passaggio (punto 2.5) con cui il T.A.R. riteneva non verosimile l’argomento secondo cui parte dei solventi sarebbero stati utilizzati per la lavorazione ‘in bottale’, per la dirimente ragione “[che] detta società non possedeva l’autorizzazione all’uso e all’emissione di solventi”.
E’ evidente al riguardo che il richiamato passaggio motivazionale – sul quale si è ormai formato il giudicato – risulti ex se idoneo a supportare la decisione reiettiva, facendo venir meno uno dei presupposti logici su cui si basa l’intero ordito argomentativo dell’appello (i.e.: la tesi secondo cui una parte significativa dei solventi rinvenuti in loco fosse in realtà destinata ad usi diversi da quelli che comportano emissioni in atmosfera ed era invece destinata ad attività – come le lavorazioni ‘in bottali’ che comportano lo scarico nelle acque superficiali)
3.2. In ogni caso la Sezione osserva che prevalenti ragioni di ordine logico e ricostruttivo inducano a ritenere del tutto congrue le valutazioni espresse dall’ARPAV a seguito del sopralluogo del 23 giugno 2010 (valutazioni condivise dapprima dalla Provincia appellata e in seguito dal T.A.R.). In particolare, sussistono in atti prevalenti ragioni che inducono a ritenere adeguatamente provato il contestato superamento dei limiti di emissione di cui all’autorizzazione del settembre 2002.
Si osserva al riguardo:
- che appare del tutto congrua (e non adeguatamente confutata dall’appellante) la deduzione secondo cui vi sarebbe una stretta corrispondenza fra i quantitativi di solventi acquistati e quelli utilizzati. Al riguardo l’ARPAV ha adeguatamente rilevato che, secondo l’id quod plerumque accidit, non vi è alcuna ragione effettiva perché un’impresa accumuli ingenti quantitativi di solventi, se non al fine di destinarli alle attività produttive entro cicli piuttosto ravvicinati (e ciò, anche in considerazione delle rigide prescrizioni che disciplinano l’attività di stoccaggio di tale tipologia di agenti chimici);
- che i dati su cui si basa la perizia tecnica prodotta dall’appellante a confutazione delle conclusioni dell’ARPAV non risultano adeguatamente supportati da documentazione giustificativa e si traducono spesso in affermazioni indimostrate;
- che per quanto riguarda il preteso ‘scorporo’ di una parte significativa dei solventi in questione, essa risulterebbe destinata a un’impresa (la ‘Industria Conciaria Volturno s.r.l.’ di Santa Maria Capua Vetere) che, oltre ad essere in stato di fallimento al tempo dei fatti, non risulta(va) neppure autorizzata all’uso e alle emissioni di solventi;
- che, per quanto riguarda la già richiamata questione del presunto scorporo di una porzione dei solventi per le lavorazioni in bottali, la Provincia ha puntualmente obiettato che i quantitativi di solventi scaricati come refluo idrico non possono e non devono essere scorporati dal totale consumato;
- che, anche ad ammettere (denegata ipotesi) che una parte dei richiamati solventi fosse stata utilizzata – secondo quanto affermato dal’appellante – per le lavorazioni in bottali (con successivo conferimento nei corpi idrici), il punto è che i dati forniti dal gestore ‘Acque del Chiampo’ s.p.a. non risultano compatibili con l’asserito scarico di importanti quantitativi di solventi. Il che rende ulteriormente non verosimile la tesi su cui si fonda una parte rilevante degli argomenti profusi dall’appellante e riproposti nella presente sede di appello;
- che non può essere accolto il motivo riferito al passaggio della sentenza con cui si è confutata la correttezza delle conclusioni cui è pervenuto il perito di parte, dott. Cadonazzo. Sul punto l’appellante (pag. 24 e 25 del ricorso) si limita a contestare il carattere in parte qua immotivato e acritico della sentenza, ma senza addurre (come sarebbe stato suo onere fare, in base al principio della specificità dei motivi di ricorso) puntuali elementi atti ad individuare i puntuali aspetti della relazione che i primi giudici avrebbero erroneamente omesso di valorizzare;
- che gli argomenti fondati sul fatto che l’appellante avesse, dopo il 2010, adottato nuove metodiche produttive idonee ad abbattere le emissioni non costituisce evidentemente un elemento idoneo a revocare in dubbio la correttezza delle valutazioni sottese all’adozione dei provvedimenti del 2 agosto e del 2 settembre 2010.
3.3. Il primo motivo di appello deve quindi essere respinto, non avendo l’appellante addotto argomenti idonei a palesare l’erroneità delle valutazioni svolte dall’ARPAV e dalla Provincia (e successivamente condivise dal T.A.R.) per ciò che riguarda il superamento dei quantitativi autorizzati per le emissioni in atmosfera ai sensi dell’autorizzazione provinciale n. 1770/2002.
4. E’ altresì infondato il terzo motivo di appello, con cui si è lamentata (fra l’altro) la mancata considerazione della violazione delle garanzie partecipative in relazione al tratto procedimentale che aveva preceduto l’emanazione dei provvedimenti del 2 agosto e del 2 settembre 2010.
4.1. E’ dirimente osservare al riguardo che, quand’anche fosse dimostrata la violazione delle richiamate garanzie partecipative, tale circostanza non risulterebbe ex se idonea a determinare l’annullamento dei provvedimenti in data 2 agosto e 2 settembre 2010.
Si richiama al riguardo la previsione di cui al comma 2 dell’articolo 21-octies della l. 241 del 1990, il quale dequota i vizi di carattere procedimentale e partecipativo (inter alia) nelle ipotesi in cui l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento finale non avrebbe potuto essere in concreto diverso da quello adottato.
Si osserva inoltre che la tempistica (invero, molto stringente) impressa alla vicenda procedimentale in questione si giustifica alla luce della particolare urgenza connessa al preminente interesse generale ad evitare contaminazioni dannose per l’ambiente.Inoltre, non è irrilevante notare che, a seguito della novella di cui alla l. 15 del 2005, è stato introdotto nel corpus della legge generale sul procedimento un nuovo articolo 21-bis (Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati) il cui comma 1, ultimo periodo, stabilisce che “i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati aventi carattere cautelare ed urgente sono immediatamente efficaci”.
La disposizione in questione, come è stato condivisibilmente osservato, ha definitivamente legittimato – e in qualche misura tipizzato – la conformità all’ordinamento giuridico interno di provvedimenti amministrativi la cui adozione è giustificata da particolari ragioni di urgenza (tanto più evidenti nelle ipotesi in cui – come nel caso in esame – viene in rilievo l’esigenza di tutelare valori di preminente valenza costituzionale).
4.2. Sono inoltre infondati i motivi con cui l’appellante contesta sotto svariati profili l’imposizione della soluzione tecnica rappresentata dall’installazione di un impianto di post-combustione (impianto che era stato proposto dalla stessa appellante all’indomani delle prescrizioni imposte con i provvedimenti impugnati in primo grado).
4.2.1. La parte essenziale degli argomenti profusi al riguardo dall’appellante mira a palesare il difetto di istruttoria e di motivazione che sarebbe sotteso a tale imposizione, in considerazione del fatto che l’appellante avrebbe dimostrato di aver adottato un nuovo processo di rifinizione, idoneo a comportare un significativo abbattimento dei solventi immessi in atmosfera (scil: anche in assenza dell’impianto di post-combustione, di cui sarebbe quindi chiara la sostanziale inutilità).
Il motivo in questione (fondato, come è evidente, su una sorta di argomento ‘a fortiori’) non può essere condiviso in quanto non è fondata la premessa logica maggiore su cui esso si fonda (i.e.: la circostanza per cui il nuovo processo introdotto dall’appellante avrebbe consentito ‘a regime’ di ottenere l’abbattimento entro i limiti legali dei livelli di inquinanti in atmosfera anche in assenza dell’impianto di post-combustione).
Ed infatti, come condivisibilmente obiettato sul punto dalla Provincia di Vicenza, i dati allegati dall’appellante a sostegno della propria tesi sono pacificamente riferiti a una “fase transitoria” (i.e.: in attesa della rattivazione del post-combustore, distrutto da un incendio), ragione per cui l’appellante non può invocare nell’ambito delle proprie argomentazioni un dato transitorio quale tertium comparationis rispetto a un dato ‘a regime’.
4.2.2. La Provincia ha inoltre obiettato che le procedure adottate dall’appellante al fine di ridurre le emissioni di solventi in atmosfera non consentirebbero comunque di conformarsi ai nuovi standard indicati dalla decisione di esecuzione della Commissione europea in data 11 febbraio 2013 (in base alla decisione in questione, i livelli di emissione associati alle migliori tecnologie disponibili – BAT – sono pari a soli 9-23 grammi/mq contro i 28 grammi/mq dichiarati dall’appellante, che presenta quindi un valore superiore rispetto a quello ammesso).
Il motivo in esame è quindi nel suo complesso infondato e sono infondati i motivi di ricorso proposti avverso gli ulteriori atti della Provincia che prendevano le mosse dalla constatata non conformazione alle (legittime) prescrizioni imposte con i provvedimenti del 2 agosto e del 2 settembre 2010 (e, in primis, i motivi di ricorso rivolti avverso il provvedimento in data 30 dicembre 2010).
4.2.3. Del resto, il provvedimento di sospensione dell’attività di rifinizione adottato il 30 dicembre 2010 risulta esente anche dalle ulteriori censure rubricate.
In particolare, una volta confermata la legittimità della prescrizione relativa all’installazione dell’impianto di post-combustione e una volta accertata la mancata conformazione da parte dell’appellante alla prescrizione in questione, del tutto legittimamente la Provincia di Vicenza ne ha fatto conseguire la sospensione dell’attività la cui prosecuzione era stata già da alcuni mesi subordinata all’attivazione del richiamato impianto.
4.2.4. Neppure può ravvisarsi nel caso in esame una violazione delle previsioni di cui al comma 9 dell’articolo 29-decies del decreto legislativo n. 152 del 2006 (rispetto delle condizioni dell’autorizzazione integrata ambientale).
Si osserva al riguardo che (anche a prescindere dalla tesi del T.A.R. secondo cui il provvedimento di sospensione del 2 settembre 2010 fosse già configurabile quale diffida ai sensi del comma 9, cit.) il punto è che la sospensione dell’attività inquinante non si configura(va) quale sanzione in senso proprio, quanto – piuttosto – quale ‘misura di sicurezza’ ai sensi del richiamato articolo 29-quattuordecies.
E’ qui appena il caso di rammentare, poi, che lo schema procedurale ‘diffida/sanzione’ richiamato dall’appellante non opera in tutti i casi di violazione delle prescrizioni dell’A.I.A. atteso che, nelle ipotesi più gravi lo stesso articolo (comma 9, lettera b)) ammette altresì la misura della “diffida e contestuale sospensione dell’attività (…)”.
Anche per questa ragione l’appello in epigrafe deve essere respinto.
5. Dall’infondatezza delle ragioni sostanziali sottese alla richiesta riforma della sentenza in epigrafe discende altresì l’infondatezza della domanda risarcitoria, non emergendo in atti gli elementi costitutivi della fattispecie oggettiva di un illecito risarcibile.
6. Per le ragioni esposte l’appello deve essere respinto.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti..
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/04/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)