TITOLI EDILIZI: la P.A. non può entrare nel merito dei rapporti contrattuali
[color=red][b]T.A.R. Toscana, Sezione I, 30 marzo 2016 n. 535[/b][/color]
FATTO
Espongono i ricorrenti di essere proprietari di appezzamenti di terreno siti in località “Sughera” nel Comune di Montaione e di avere presentato, in data 17 luglio 2010, istanza per l’adozione e l’approvazione del Piano urbanistico attuativo previsto dal Regolamento urbanistico comunale all’interno della UTOE 5 al fine di edificarvi 12 alloggi residenziali per un volume complessivo di circa metri cubi 4000.
Poiché il piano attuativo prevedeva, fra l’altro, la realizzazione delle opere di urbanizzazione e la cessione gratuita al Comune di una nuova viabilità e di verde pubblico, i ricorrenti presentavano all’amministrazione domanda di declassificazione a relitto stradale di un tratto della strada comunale detta della “Sughera”, asseritamente abbandonato e non percorribile, considerato lo stato di manutenzione del fondo stradale.
Con deliberazione consiliare n. 52 del 28 settembre 2010 il Comune accoglieva l’istanza, ritenendola conforme all’interesse pubblico, per l’effetto includendo nel piano attuativo il predetto tratto di strada che veniva perciò declassificato ed incluso nell’inventario dei beni immobili patrimoniali. Successivamente e in conseguenza della predetta delibera, con atto notarile registrato il 30 aprile 2012, il Comune di Montaione cedeva la proprietà del bene in questione ai ricorrenti, previa attribuzione degli estremi di identificazione catastale.
Dopo la comunicazione di avvio del procedimento, asseritamente avvenuto per impulso degli odierni controinteressati che si affermano titolari di un diritto di passo pedonale e carrabile ultra ventennale sul tratto stradale in questione, con deliberazione n. 15 del 10 marzo 2014 il Consiglio comunale di Montaione annullava la deliberazione n. 52 del 2010 dichiarando di volervi fare conseguire la nullità delle vendite già stipulate.
Avverso tale atto proponevano ricorso i Sig.ri Elvira Vallesi, Valeriano Vallesi e Fiorenza Vallesi chiedendone l’annullamento e deducendo:
1. Violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990 e dell’art. 8 della l. reg. n. 30/2005. Eccesso di potere per violazione del giusto procedimento.
2. Violazione dell’art. 1 della legge n. 241/1990 e dei principi costituzionali di buon andamento, trasparenza, correttezza ed imparzialità dell’azione amministrativa, anche in relazione al riparto della giurisdizione disciplinato dalla legge ordinaria e dall’art. 103 della Costituzione. Eccesso di potere per sviamento, difetto di motivazione di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto di presupposti e illogicità.
3. Violazione degli artt. 21 quinquies, 21 octies e 21 nonies della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, illogicità, in coerenza e contraddittorietà alle previsioni urbanistiche programmatiche e attuative.
4. Violazione e falsa applicazione del regolamento per le alienazioni del patrimonio immobiliare approvato con la deliberazione del Consiglio comunale di Montaione 31 ottobre 2006 n. 61. Eccesso di potere per sviamento e difetto di motivazione. Ulteriore violazione delle norme dei principi in tema di autoannullamento e in specie dell’articolo 21 nonies della legge n. 241/1990.
5. Risarcimento del danno.
Ci sono costituiti in giudizio il Comune di Montaione e i controinteressati Saveriano Favilli e Oretta Ceccardi opponendosi all’accoglimento del gravame.
Alla pubblica udienza del 25 novembre 2015, dopo il rituale deposito di memorie e repliche, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
Viene impugnata la deliberazione in epigrafe con cui il Comune di Montaione ha disposto l’annullamento in autotutela della delibera consiliare n. 52 del 28 settembre 2010 con la quale si procedeva alla declassificazione a relitto stradale di un tratto della strada comunale detta della “Sughera”, includendola nell’inventario dei beni immobili patrimoniali ed autorizzandone la rendita agli odierni ricorrenti.
Il ricorso è fondato.
[b]Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione del principio di buon andamento e lo sviamento in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione nell’adozione del provvedimento avversato. Ciò in quanto, al di là delle formule di rito utilizzate, a suo fondamento non vi sarebbe l’affermato interesse pubblico, bensì l’intento di dirimere d’imperio, attraverso l’uso di strumenti pubblicistici, una controversia tra soggetti privati insorta successivamente alla delibera consiliare n. 52/2010 con cui il Comune, accogliendo l’istanza dei ricorrenti (in quanto ritenuta conforme all’interesse pubblico), includeva nel piano urbanistico attuativo proposto da questi ultimi il predetto tratto di strada di cui veniva disposta la declassificazione. [/b]
La tesi merita di essere condivisa.
Va preliminarmente rammentato che l'esercizio del potere di annullamento in autotutela, avente natura discrezionale e rinveniente il proprio riferimento normativo nell'art. 21 noniesl. n. 241/1990, presuppone l'illegittimità del provvedimento adottato e la sussistenza di ragioni di interesse pubblico attuale, comparate con gli interessi dei destinatari e dei controinteressati, il tutto entro un termine ragionevole; se, dunque, non è sufficiente la mera illegittimità dell'atto a determinare l'esercizio del potere di annullamento (che, ove ciò fosse, perderebbe la propria natura discrezionale), occorre a tali fini, per un verso una comparazione degli interessi coinvolti, onde accertare la sussistenza (e prevalenza) di un interesse pubblico attuale all'annullamento; per altro verso, che dall'adozione dell'atto non sia decorso un termine non ragionevole, e ciò in quanto il decorso del tempo contribuisce al consolidamento della posizione del privato ed alla perdita di attualità dell'interesse pubblico alla rimozione dell'atto (Cons. Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016 n. 816; id. sez. V, 27 aprile 2015 n. 2104; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 13 agosto 2015 n. 1896).
Come è dato rilevare dalla lettura della deliberazione impugnata, per motivare la decisione assunta, viene premesso che “constatato che i sig.ri Favilli Saveriano e Ceccardi Oretta in data 29.12.2010 prot. 10 833 facevano presente la necessità di utilizzo del reliquato stradale, ex strada pubblica, oggetto di cessione sia pedonale che carrabile, per poter accedere alle proprie particelle catastali 33 e 34 del foglio di mappa 43, e quindi richiedevano che detta necessità fosse formalizzata al momento dell’atto di cessione del terreno oggetto di compravendita, mediante costituzione di un atto di idonea servitù”. E successivamente si aggiunge “considerato, altresì, che i sig.ri Favilli Saveriano e Ceccardi Oretta hanno manifestato perplessità circa il procedimento di cessione del tratto di viabilità anche e soprattutto con riferimento la circostanza che sic rebus stantibus non si garantisce più da parte del Comune l’unico accesso legittimo ai propri terreni da una viabilità pubblica”.
È pur vero che, nel prosieguo della delibera, viene ulteriormente affermato che “l’elemento fondamentale posto a base della formazione della volontà del Consiglio Comunale ovvero, la convinzione di non avere altri interessati all’acquisto del reliquato stradale oltre ai sig.ri Vallesi e, quindi, la mancata individuazione di altri proprietari di fondi confinanti ai quali doveva essere data comunicazione del procedimento di alienazione ed alla quale potevano partecipare con propri offerta rispetto alla stima prevista per il rito stradale… non sono stati rispettati”
Tanto alla luce di quanto disposto dall’art. 8, lett. f) del “Regolamento per le alienazioni del patrimonio immobiliare” (approvato con deliberazione del C.C. n. 61/2006) secondo cui è possibile procedere alla vendita mediante trattativa privata “qualora per le caratteristiche del bene… l’acquisto possa interessare esclusivamente a soggetti determinati (progettisti, confinanti, occupanti ecc..) in considerazione della ridotta utilità del bene e di difficile utilizzo per l’amministrazione a causa delle limitazioni di uso derivanti dalla interpunzione, totale o parziale…”.
Alla stregua dei principi sopra enunciati può tuttavia osservarsi che l’Amministrazione era ben consapevole dell’esistenza di una posizione qualificata di interesse in capo ai controinteressati ben prima che si addivenisse alla stipula del contratto di vendita del reliquato stradale (avvenuta il 30 aprile 2012), dal momento che questi avevano rappresentato la propria posizione con la nota (menzionata nella stessa delibera impugnata) del 29 dicembre 2010.
D’altro canto, questi ultimi, erano stati posti in grado di intervenire nel procedimento di vendita (eventualmente facendone rilevare la non conformità al Regolamento comunale in materia) giacché la stessa delibera contestata afferma espressamente che del procedimento di compravendita "si è proceduto a darne pubblica notizia a mezzo di idoneo avviso pubblico”.
In tal senso appare sussistere uno sviamento di potere il quale si traduce nell'effettiva e comprovata divergenza tra l'atto e la sua funzione tipica, ovvero nell'esercizio del potere per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso (Cons. Stato, sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3355; T.A.R. Lazio Sez. II, 25 giugno 2012, n. 5785).
[color=red][b]E’ ben noto in tal senso che, sia pure con riferimento al rilascio di titoli edilizi (fattispecie per alcuni versi assimilabile a quella all’esame quanto all’esistenza di posizioni di controinteresse), si è affermato in giurisprudenza l'inesistenza, in capo all'Amministrazione, di un obbligo di ricerca di limiti negoziali del diritto di costruire, prodromico al diniego del titolo, sul presupposto che alla stessa P.A. sia inibito qualsiasi sindacato anche indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici dei privati (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 11 giugno 2015 n. 1646). [/b][/color]
Né può sottacersi, come argomentato dai ricorrenti, che l’annullamento della delibera del 2010 è avvenuta a distanza di 36 mesi dalla sua adozione e dopo che erano decorsi 23 mesi dalla stipula del contratto di vendita.
E’ ben noto, sul punto, che il canone della ragionevolezza del termine per il legittimo esercizio del potere di annullamento in autotutela deve essere riguardato secondo un'ottica rigidamente oggettiva, parametrandone la durata semplicemente in relazione al tempo trascorso fra il momento dell'adozione del provvedimento originario e quello dell'adozione dell'atto di autoannullamento (Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 351).
In tal senso si è condivisibilmente ritenuto che in presenza di un affidamento particolarmente qualificato, anche in ragione del lungo tempo trascorso, il fattore "tempo" deve essere tenuto in particolare considerazione, anche perché il d.l. n. 133 del 2014 (convertito in legge n. 164/2014) ha posto uno sbarramento temporale all'esercizio del potere di autotutela, rappresento da diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici e pur se tale norma non è applicabile ratione temporis (giacché entrato in vigore il 13 settembre 2014), in ogni caso, rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti (Cons. Stato sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5625).
E che tale affidamento fosse particolarmente qualificato è dimostrato dalla circostanza che l’intera operazione era finalizzata, da parte dei ricorrenti, all’approvazione di un piano attuativo al fine della costruzione di 12 alloggi residenziali in relazione al quale il Comune aveva già adottato la deliberazione n. 22 del 16 giugno 2011.
Dunque, ricapitolando quanto già esposto risulta che: l’Amministrazione ha disposto la revoca in questione ben oltre un termine ragionevole, incidendo sfavorevolmente su un affidamento degli interessati già consolidato e qualificato dagli atti adottati dallo stesso Comune; ha inteso, con evidente sviamento di potere (come afferma la delibera impugnata “nel caso in esame sono emerse situazioni conflittuali”), intervenire, prevalentemente, per dirimere una controversia tra privati; non ha adeguatamente ponderato l’interesse pubblico attuale con gli interessi dei destinatari e dei controinteressati; ha sorretto il provvedimento di annullamento in parola con il riferimento all’intento di ripristinare la legalità asseritamente violata (in relazione alle modalità di vendita) essendo, per contro pacifico che, nell'esercizio del potere di autotutela, deve escludersi che l’interesse pubblico, ex art. 21 nonies l. n. 241/1990, possa consistere nel mero ripristino della legalità violata (ex multis, Cons. Stato sez. VI, 29-01-2016, n. 351; T.A.R. Puglia, Lecce Sez. I, 05-11-2015, n. 3166).
Ne discende che, assorbite le ulteriori doglianze il ricorso va accolto, per l’effetto determinando l’annullamento dell’atto impugnato.
I ricorrenti hanno avanzato anche una domanda per il risarcimento del danno asseritamente subito per effetto dell’adozione della delibera impugnata. Tale atto determinerebbe, ad avviso dei deducenti, un danno emergente costituito dalle spese già sostenute per l’attuazione del piano, una perdita di chance conseguente al blocco delle trattative già avviate con le imprese incaricate dell’intervento, oltre alla svalutazione dei terreni di proprietà, nonché un danno biologico ed esistenziale.
Si osserva in proposito che l’illegittimo esercizio del potere comporta un vulnus per la posizione giuridica di interesse legittimo, ma tale vulnus può ricevere riparazione solo per il tramite di una tutela del tipo ripristinatorio, per mezzo, cioè, dell'annullamento dell'atto, che consente il riesercizio del potere amministrativo, e quindi il ristabilirsi della chance di conseguimento dell'utilità finale (con la sola eccezione di ipotesi di istanze obiettivamente fondate, tali definibili sulla base della situazione concreta dell'istante, dell'assetto normativo applicabile al caso di specie, e del concreto modus agendi, in ipotesi analoghe, della Pubblica amministrazione). In tal senso, la giurisprudenza ha ancorato il risarcimento del danno cd. "da perdita di chance" a indefettibili presupposti di certezza dello stesso, escludendo il caso in cui l'atto, ancorché illegittimo, abbia determinato solo la perdita di una "eventualità" di conseguimento del bene della vita. Ed infatti, in tale ultimo caso, risulta pienamente esaustiva la tutela ripristinatoria offerta dall'annullamento e dalle sue conseguenze (in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 3 agosto 2004 n. 5440; sez. V, 25 febbraio 2003 n. 1014; sez. VI, 23 luglio 2009 n. 4628; Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2007 n. 15947).
A ben vedere, inoltre, il danno lamentato è solo ipotetico dal momento che esso viene fatto discendere dalla mancata approvazione definitiva del PUA, circostanza che non risulta ancora verificatasi dal momento che essa attiene ad un diverso procedimento che dovrà essere nuovamente avviato dall’Amministrazione nei limiti dell’effetto conformativo della pronuncia di annullamento (ossia ove non sussistano ragioni di impedimento differenti da quella costituita dalla alienazione del reliquato stradale).
Per le stesse ragioni anche il danno emergente rimane legato, quanto al suo effettivo accadimento, al prosieguo di un’attività provvedimentale non ancora compiutamente esercitata.
Ne segue che la domanda risarcitoria va rigettata.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza .
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Respinge la domanda di risarcimento del danno.
Condanna il Comune di Montaione e i controinteressati Saveriano Favilli e Oretta Ceccardi al pagamento delle spese di giudizio in favore dei ricorrenti, liquidate rispettivamente in € 2.000,00 e € 1.000,00, oltre accessori di legge. Condanna, in solido fra loro, l’Amministrazione comunale e i controinteressati alla rifusione del contributo unificato corrisposto dai ricorrenti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Armando Pozzi, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere, Estensore
Pierpaolo Grauso, Consigliere