Data: 2016-04-06 11:03:03

Antimafia: misure di prevenzione ancora sub iudice - tema "definitività"

Antimafia: misure di prevenzione ancora sub iudice - tema "definitività"

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Il Consiglio di Stato si pronuncia su una interdittiva che aveva permesso ad un Comune di dichiarare inefficace una S.c.i.a. per l'apertura di una sala giochi.

Una società ha impugnato avanti al T.A.R. Campania il provvedimento adottato da un Comune con il quale è stata dichiarata l’invalidità della s.c.i.a. per l’apertura di una sala giochi all’interno di un’area di servizio, sulla base di una comunicazione antimafia, per l’esistenza di due misure di prevenzione disposte dal locale Tribunale a carico di colui che al tempo era l’amministratore della società.

Avverso tali provvedimenti nonché contro gli atti depositati dal Ministero dell’Interno in primo grado, impugnati con ulteriori motivi aggiunti, i ricorrenti hanno dedotto le censure di difetto di motivazione, di mancata comunicazione dell’avvio del procedimento e la violazione dell’art. 67 del D.L.vo n. 59/2011.

Il T.A.R. campano ha respinto il ricorso, offrendo alla società soccombente il destro per appellare.

Con un unico articolato motivo la società ha lamentato la violazione dell’art. 67, comma 1, del D.L.vo n. 159/2011, assumendo che la pendenza, avanti alla Corte d’Appello di Napoli (in sede di rinvio disposto dalla Corte di cassazione), del giudizio impugnatorio relativo alla misura di prevenzione renda quest’ultima non definitiva, con la conseguenza che sarebbe illegittima, nel caso di specie, l’adozione di una comunicazione interdittiva antimafia motivata dalla sussistenza dei presupposti di cui al citato art. 67 e, cioè, dalla ritenuta esistenza di una delle cause di divieto, di sospensione e di decadenza da esso tassativamente previste.

Il T.A.R. campano, nella sentenza impugnata, ha ritenuto al contrario che tale tesi non fosse condivisibile, sia perché il concetto di definitività non coincide con quello di irrevocabilità, nel nostro ordinamento, sia perché lo stesso art. 67, comma 3, del citato D.L.vo n. 159/2011 ammette, in casi particolarmente gravi, di disporre in via provvisoria l’interdizione da specifiche attività anche in pendenza del procedimento finalizzato all’applicazione della misura di prevenzione.

La Terza sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto non condivisibili entrambi gli argomenti e, con sentenza n. 1324 dell’1 aprile 2016, ha accolto l’appello e ribaltato la pronuncia del TAR, annullando l’atto negativo comunale.

Se è vero che il concetto di definitività non sempre coincide con quello di irrevocabilità del provvedimento – poiché la legge spesso utilizza il concetto di provvedimento o di sentenza definitiva per riferirsi all’ipotesi in cui, in un determinato grado del processo, il giudice si pronunci sull’intero thema decidendum portato alla sua cognizione, spogliandosi interamente della potestas decidendi su di esso (in contrapposizione alla sentenza non definitiva, con la quale quello stesso giudice definisce, invece, solo un punto della controversia riservando al prosieguo del giudizio e alla sentenza definitiva, all’esito di questo, la risoluzione delle questioni rimaste ancora pendenti) – tuttavia  nel sistema del D.L.vo n. 159/2011 il Consiglio di Stato ha ritenuto evidente che il legislatore abbia voluto adoperare il concetto di definitività in riferimento ai provvedimenti non impugnati o non più impugnabili, che hanno acquisito, quindi, la stabilità connessa o, comunque, equivalente al giudicato.

Tanto si evince non solo dallo stesso art. 67, comma 3, che consente eccezionalmente al Tribunale – e al solo Tribunale e non già, pertanto, all’autorità amministrativa – di disporre in via provvisoria, se sussistono motivi di particolare gravità, i divieti di cui ai commi 1 e 2 dello stesso art. 67 e sospendere l’efficacia delle iscrizioni, delle erogazioni e degli altri provvedimenti e atti di cui ai medesimi commi, ma anche  dalla disposizione del comma 8 dello stesso art. 67, a mente del quale «le disposizioni dei commi 1, 2 e 4 si applicano anche nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale», ove è evidente e inequivocabile la volontà legislativa di annettere al concetto di definitività il senso di non impugnabilità.

Ne consegue che, ferma la illegittimità, per violazione dell’art. 67, comma 1, di una comunicazione antimafia emessa dal Prefetto in seguito ad una misura di prevenzione non definitiva nel senso chiarito dalla decisione di appello e dei consequenziali provvedimenti adottati dalle Amministrazioni, l’autorità amministrativa (e, quindi, il Comune interessato) dovrà, in attuazione dell’art. 67, comma 6, del D.L.vo n. 159/2011, sospendere il procedimento relativo alla segnalazione di inizio attività per l’apertura della sala giochi fino a quando il giudice della prevenzione – nel caso di specie la Corte d’Appello di Napoli – non provveda e, comunque, per un periodo non superiore a venti giorni dalla data in cui l’Amministrazione stessa, conformandosi alla disposizione del citato art. 67, comma 6, non abbia proceduto alla comunicazione dell’esistenza del procedimento nei confronti della Corte d’Appello di Napoli, Misure di Prevenzione, avanti alla quale pende il procedimento di prevenzione.

http://www.ilquotidianodellapa.it/_contents/news/2016/aprile/1459869897079.html


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N. 01324/2016REG.PROV.COLL.

N. 00337/2016 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

ai sensi degli artt. 38 e 60 c.p.a.
sul ricorso numero di registro generale 337 del 2016, proposto da:
Vincenzo Salzillo ed EWA GRILL di Farina Antonio & C. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avv. Alberto Zaza D’Aulisio, dall’Avv. Marco Varletta e dall’Avv. Gianfranco D’Angelo, con domicilio eletto presso l’Avv. Federico Bucci in Roma, via S. Maria Mediatrice, n. 1;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, U.T.G. - Prefettura di Caserta, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Comune di Giano Vetusto (CE), non costituito;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE I n. 04912/2015, resa tra le parti, concernente l’inefficacia della segnalazione certificata di inizio attività per l’apertura di sala giochi all’interno di un’area di servizio - comunicazione antimafia

visti il ricorso e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno nonché dell’U.T.G. - Prefettura di Caserta;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2016 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per l’odierno appellante l’Avv. Alberto Zaza D’Aulisio e per il Ministero dell’Interno appellato l’Avvocato dello Stato Tito Varrone;
sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;

1. Vincenzo Salzillo, in proprio e in qualità di legale rappresentante di EWA GRILL di Salzillo Vincenzo & C. s.n.c., poi divenuta l’attuale EWA GRILL di Farina Antonio & C. s.n.c., ha impugnato avanti al T.A.R. Campania il provvedimento adottato dal Comune di Giano Vetusto, con il quale è stata dichiarata l’invalidità della segnalazione certificata di inizio attività per l’apertura di una sala giochi all’interno di un’area di servizio, sulla base di una comunicazione antimafia, inviata dalla Prefettura di Caserta ai sensi dell’art. 67, comma 1, del d. lgs. 159/2011, per l’esistenza di due misure di prevenzione disposte dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a carico di Vincenzo Salzillo, al tempo amministratore della società.
1.1. Avverso tali provvedimenti nonché contro gli atti depositati dal Ministero dell’Interno in primo grado, impugnati con ulteriori motivi aggiunti, i ricorrenti hanno dedotto le censure di difetto di motivazione, di mancata comunicazione dell’avvio del procedimento e la violazione dell’art. 67 del d. lgs. 59/2011.
1.2. Nel primo grado di giudizio si è costituito il Ministero dell’Interno per resistere al ricorso.
2. Il T.A.R. campano, dopo aver disposto in sede cautelare la sospensione dei provvedimenti impugnati con ordinanza n. 952/2015, ha poi nel merito respinto il ricorso, in uno con i motivi aggiunti, con la sentenza n. 4912 del 21.10.2015.
2.1. Avverso tale sentenza hanno proposto appello gli interessati, lamentandone l’erroneità per violazione dell’art. 67 del d. lgs. 159/2011, e ne hanno chiesto, previa sospensione, la riforma.
2.2. Si è costituito il Ministero dell’Interno, con articolata memoria difensiva, per resistere al gravame.
2.3. Nella camera di consiglio del 10.3.2016, fissata per l’esame della domanda cautelare proposta ai sensi dell’art. 98 c.p.a., il Collegio, ritenuto di poter decidere la controversia ai sensi dell’art. 60 c.p.a., e sentite sul punto le parti, che nulla hanno eccepito, ha trattenuto la causa in decisione.
3. L’appello, per le ragioni e nei limiti qui di seguito chiariti, è fondato e deve essere accolto.
3.1. Si controverte nel presente giudizio della comunicazione antimafia emessa dalla Prefettura di Caserta, ai sensi dell’art. 67, comma 1, e dell’art. 84, comma 2, a carico di EWAGRILL di Salzillo Vincenzo & C. s.n.c., per l’esistenza di due misure di prevenzione emesse a carico del suo precedente amministratore e legale rappresentante, Vincenzo Salzillo, dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nonché del conseguente provvedimento emesso dal Comune di Giano Vetusto (CE) riguardo la segnalazione certificata di inizio attività, dichiarata inefficace per l’esistenza di uno dei divieti previsti dallo stesso art. 67.
3.2. Con un unico articolato motivo (pp. 5-13 del ricorso) gli odierni appellanti lamentano la violazione dell’art. 67, comma 1,, del d. lgs. 159/2011, assumendo, in nuce, che la pendenza, avanti alla Corte d’Appello di Napoli (in sede di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione), del giudizio impugnatorio relativo alla misura di prevenzione renda quest’ultima non definitiva, con la conseguenza che sarebbe illegittima, nel caso di specie, l’adozione di una comunicazione interdittiva antimafia motivata dalla sussistenza dei presupposti di cui al citato art. 67 e, cioè, dalla ritenuta esistenza di una delle cause di divieto, di sospensione e di decadenza da esso tassativamente previste.
3.3. Il T.A.R. campano, nella sentenza impugnata, ha ritenuto al contrario che tale tesi non sia condivisibile, sul piano giuridico, sia perché il concetto di definitività non coincide con quello di irrevocabilità, nel nostro ordinamento, sia perché lo stesso art. 67, comma 3, del d. lgs. 159/2011 ammette, in casi particolarmente gravi, di disporre in via provvisoria l’interdizione da specifiche attività anche in pendenza del procedimento finalizzato all’applicazione della misura di prevenzione.
4. Entrambi gli argomenti, tuttavia, non sono condivisibili.
4.1. È vero che il concetto di definitività, come ha ben ricordato in linea generale il primo giudice, non sempre coincida con quello di irrevocabilità del provvedimento, nel nostro ordinamento, poiché la legge spesso utilizza il concetto di provvedimento o di sentenza definitiva per riferirsi all’ipotesi in cui, in un determinato grado del processo, il giudice si pronunci sull’intero thema decidendum portato alla sua cognizione, spogliandosi interamente della potestas decidendi su di esso, in contrapposizione alla sentenza non definitiva, con la quale quello stesso giudice definisce, invece, solo un punto della controversia (giurisdizione, etc.), riservando al prosieguo del giudizio e alla sentenza definitiva, all’esito di questo, la risoluzione delle questioni rimaste ancora pendenti.
4.2. Ma, ciò premesso, nel sistema del d. lgs. 159/2011, alla luce di una interpretazione sistematica delle disposizioni in materia antimafia, pare al Collegio evidente che il legislatore abbia voluto adoperare il concetto di definitività in riferimento ai provvedimenti non impugnati o non più impugnabili, che hanno acquisito, quindi, la stabilità connessa o, comunque, equivalente al giudicato.
4.3. Tanto si evince dallo stesso art. 67, comma 3, menzionato dal T.A.R., che consente eccezionalmente al Tribunale – e al solo Tribunale e non già, pertanto, all’autorità amministrativa – di disporre in via provvisoria, se sussistono motivi di particolare gravità, i divieti di cui ai commi 1 e 2 dello stesso art. 67 e sospendere l’efficacia delle iscrizioni, delle erogazioni e degli altri provvedimenti e atti di cui ai medesimi commi.
4.4. E tanto si evince, soprattutto e al di là di ogni pur ragionevole dubbio esegetico, dalla disposizione del comma 8 dell’art. 67, a mente del quale «le disposizioni dei commi 1, 2 e 4 si applicano anche nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale», ove è evidente e inequivocabile la volontà legislativa di annettere al concetto di definitività il senso di non impugnabilità.
4.5. Tale scelta si spiega ed è coerente, del resto, con gli effetti particolarmente gravi, di tipo interdittivo, che discendono dalla definitività, nel senso appena chiarito, del provvedimento di prevenzione, effetti ben descritti dal comma 2.
4.6. In pendenza del procedimento di prevenzione, peraltro, l’art. 67, comma 6, stabilisce espressamente che il rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni, erogazioni non può essere consentito alle persone nei confronti delle quali sia in corso detto procedimento senza che sia data preventiva comunicazione al giudice competente (quello della prevenzione), il quale può disporre, ricorrendone i presupposti, i divieti e le sospensioni previste in via eccezionale dall’art. 67, comma 3, sopra richiamato.
4.7. I relativi procedimenti amministrativi, chiarisce la disposizione, restano sospesi fino a quando il giudice della prevenzione non provveda e, comunque, per un periodo non superiore a venti giorni dalla data in cui la pubblica comunicazione ha proceduto alla comunicazione.
4.8. La legislazione antimafia ha inteso attribuire solo alla competente autorità giudiziaria l’eccezionale potere di inibire provvisoriamente, nelle more del procedimento di prevenzione, il rilascio di atti favorevoli all’interessato, ricorrendone i presupposti di cui all’art. 67, comma 3, del d. lgs. 59/2011, salvo l’obbligo dell’Amministrazione di sospendere i procedimenti fino alla decisione del giudice o, comunque, per un periodo non superiore a 20 giorni dalla comunicazione sopra ricordata.
4.9. Non giova a superare tale rilievo l’argomento, al quale ricorre il primo giudice (pp. 8-9 della sentenza impugnata), secondo cui il Prefetto potrebbe comunque adottare una interdittiva antimafia in alternativa alla comunicazione antimafia di cui all’art. 84, comma 2, poiché, anche tralasciando ogni dubbio sulla opinabilità di siffatto argomento, esso prova troppo, annullando o comunque oscurando la stessa distinzione, ben netta ed ancorata a tassativi presupposti, tra informazione antimafia e comunicazione antimafia, vincolata, quest’ultima, alla definitività della misura di prevenzione, con le precisazioni appena esposte.
4.10. Quanto alla interdittiva “atipica” antimafia, emessa dalla Prefettura di Caserta con nota prot. 0070130 dell’11.12.2015 (doc. 1 prodotto dagli appellanti con la nota del 7.3.2016), e all’interdittiva antimafia, emessa dalla stessa Prefettura con nota prot. n. 0070170 dell’11.12.2015 (doc. 4 prodotto dagli appellanti con nota del 7.3.2016), risulta del resto che contro di esse siano stati proposti, rispettivamente, ricorso giurisdizionale avanti al T.A.R. Campania e ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, sicché le sorti di tali informative prescindono dal presente giudizio, avente ad oggetto la comunicazione antimafia per l’asserita ricorrenza di una delle tassative ipotesi previste dall’art. 67 e dall’art. 84, comma 2, del d. lgs. 159/2011.
4.11. Ne consegue che, ferma la illegittimità, per violazione dell’art. 67, comma 1, di una comunicazione antimafia emessa dal Prefetto in seguito ad una misura di prevenzione non definitiva nel senso appena chiarito e dei consequenziali provvedimenti adottati dalle amministrazioni, l’autorità amministrativa (e, quindi, il Comune di Giano Vetusto e/o la Prefettura territorialmente competente) dovrà, in attuazione dell’art. 67, comma 6, del d. lgs. 159/2011, sospendere il procedimento relativo alla segnalazione di inizio attività per l’apertura della sala giochi fino a quando il giudice della prevenzione – nel caso di specie la Corte d’Appello di Napoli – non provveda e, comunque, per un periodo non superiore a venti giorni dalla data in cui l’Amministrazione stessa, conformandosi alla disposizione dell’art. 67, comma 6, del d. lgs. 159/2011 (nonché alla presente statuizione giudiziale), non abbia proceduto alla comunicazione dell’esistenza del procedimento menzionato (e della presente sentenza) nei confronti della Corte d’Appello di Napoli, sez. VIII Penale, Misure di Prevenzione, avanti alla quale pende il procedimento di prevenzione (R.G. 70/2014), in sede di rinvio, dopo la pronuncia della Cassazione.
5. L’appello, in conclusione, per le ragioni sin qui esposte deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza qui impugnata e annullamento di tutti gli atti gravati in prime cure, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 67, comma 6, del d. lgs. 159/2011, come appena chiarito, in ottemperanza del presente giudicato, e salvi – ovviamente – gli eventuali provvedimenti adottabili dalla Corte d’Appello di Napoli.
6. Le spese del doppio grado di giudizio, attesa la novità della questione di cui non constano al Collegio precedenti di questo stesso Consiglio, possono essere interamente compensate ai sensi del combinato disposto dell’art. 26 c.p.a. e dell’art. 92, comma secondo, c.p.c.
6.1. L’Amministrazione, stante la sua sostanziale soccombenza, deve essere però condannata a rimborsare agli odierni appellanti il contributo unificato versato per la proposizione del ricorso in primo e in secondo grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto da Vincenzo Salzillo e da EWA GRILL di Farina Antonio & C. s.n.c., lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla i provvedimenti gravati in prime cure, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione e dell’autorità giudiziaria in sede di prevenzione ai sensi dell’art. 67, comma 6, del d. lgs. 159/2011.
Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Condanna il Ministero dell’Interno a rimborsare in favore di Vincenzo Salzillo e di EWA GRILL di Farina Antonio & C. s.n.c. il contributo unificato anticipato per la proposizione del ricorso in prime e in seconde cure.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani,  Presidente
Carlo Deodato,  Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia,  Consigliere
Massimiliano Noccelli,  Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri,  Consigliere
     
     
L'ESTENSORE      IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/04/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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