Data: 2016-03-22 08:06:41

Fuori gli AMBULANTI dal centro storico - ma con adeguata motivazione

Fuori gli AMBULANTI dal centro storico - ma con adeguata motivazione

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[color=red][b]TAR LAZIO – ROMA, SEZ. II TER – sentenza 18 marzo 2016 n. 3412[/b][/color]

N. 03412/2016 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15367 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

Donato Di Veroli, Di Segni Giacomo, Di Segni Emanuele, Di Segni Angelo, Società Giacomo di Segni Sas, in persona del legale rappresentante pro tempore, Sonnino Davide, Di Segni Fabrizio, Citoni Massimo, Zarfati Angelo, Zarfati David, Menasci Massimo, Astrologo Leda, Di Porto Angelo, Polacco Settimio, Vivanti Alessandra, Astrologo Leda, Rossi Daniele, Sed Renato, Sed Giuliano Piazza, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Arturo Giallombardo, con domicilio eletto presso Arturo Giallombardo in Roma, Via Pietro Borsieri 13;

Vivanti Massimo, Polacco Settimio, Sonnino David, Piazza Sed Giuliano, Di Porto Angelo, Sed Renato, Di Segni Giacomo, Società Giacomo di Segni SAS, in persona del legale rappresentante pro tempore, Di Segni Emanuele, Di Segni Angelo, Rossi Daniele, Di Segni Fabrizio, Citoni Massimo, Menasci Massimo, Zarfati Angelo, Zarfati David, Vivanti Alessandra, tutti rappresentati e difeso dagli avv. Gianfranco Di Meglio, Francesco Renzulli, con domicilio eletto presso Francesco Renzulli in Roma, Via Innnocenzo Xi, 8;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Rosalda Rocchi, Rodolfo Murra, con domicilio eletto presso Rosalda Rocchi in Roma, presso l’Avvocatura del Comune di Roma;

Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’ avv. Teresa Chieppa, domiciliata in Roma, Via Marcantonio Colonna, 27;

per l’annullamento

con il ricorso:

[b]a) della DD n. 1927 del 17.09.2014, con la quale il Direttore del Dipartimento Sviluppo Economico e Attività Produttive, in esecuzione della DGC n. 233 del 30.07.2014, ha, tra l’altro, individuato le aree di rilocalizzazione degli Urtisti, determinazione dirigenziale mai comunicata agli interessati;[/b]

[b]b) della DGC di Roma Capitale n. 233 del 30.07.2014, con la quale, tra l’altro a seguito di un accordo con il MIBAC, è stato dato mandato al Direttore del Dipartimento Sviluppo Economico ed Attività Produttive, di avviare i procedimenti di rilocalizzazione temporanea dell’attività degli “Urtisti”, ritenuta incompatibile per la tutela dei beni culturali e paesaggistici delle aree del Tridente, Trinità dei Monti, Colosseo, Fori Imperiali e Piazza Venezia, delibera mai comunicata agli interessati;[/b]

c) di ogni altro provvedimento presupposto, precedente e/o conseguente;

con motivi aggiunti:

della D.D. n. 1366 del 16/06/2015, emessa dal Dipartimento Sviluppo Economico e Attività Produttive – Formazione e Lavoro – U.O. Attività Commerciali su aree pubbliche, strutture annonarie, mercati con cui si provvede alla rilocalizzazione temporanea dei posteggi commerciali ascrivibili alla tipologia “Urtisti” siti nelle aree individuate dalla Deliberazione di Giunta Capitolina n. 233/2014, a conclusione del procedimento avviato con D.D. n. 1927/2014, in uno agli atti presupposti e connessi, tra cui segnatamente la Conferenza di Servizi del 09/03/2015 e le decisioni ivi assunte;

con ulteriori motivi aggiunti:

1) della deliberazione della Giunta Regionale del Lazio n. 365 del 21/07/2015 con cui è stato approvato lo schema di protocollo di Intesa tra Regione Lazio, MIBACT e Roma Capitale avente ad oggetto la partecipazione della Regione al procedimento amministrativo ai sensi e per gli effetti dell’art. 52 del D.Lgs. 42/2004 (codice dei beni culturali);

2) del protocollo Intesa del 21/07/2015 tra MIBACT, Roma Capitale e Regione Lazio con cui la Regione Lazio ha dato il proprio parere favorevole alle risultanze del tavolo tecnico istituito tra MIBACT e Roma Capitale e alla conseguente rilocalizzazione degli Urtisti (Categorie A1/A2)

siccome determinata con gli altri provvedimenti precedentemente impugnati con ricorso introduttivo e con i primi motivi aggiunti;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e del Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali e del Turismo, nonché della Regione Lazio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2016 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Gli odierni ricorrenti sono tutti “Urtisti” della rotazione A/2, ed impugnano gli atti indicati in epigrafe – con i quali è stata disposta la ricollocazione temporanea delle loro attività – lamentandone l’illegittimità sotto diversi profili.

Premettono di essere stati sempre disponibili al colloquio con l’Amministrazione capitolina, e di aver avuto nel 2006, tramite la delibera del Consiglio n. 35, non solo una indicazione, immediatamente recepita, sulle dimensioni del banco di vendita, ma anche di aver ottenuto un legittimo riconoscimento della validità decennale delle loro concessioni, al cui rilascio venne riconosciuta la competenza dei Municipi, inclusa la responsabilità circa l’individuazione dei posteggi da istituire ed assegnare; attraverso i provvedimenti impugnati espongono di avere appreso dell’istituzione del c.d. “Tavolo Tecnico per il Decoro”, dietro apposito accordo di collaborazione tra Roma Capitale e MIBAC, volto ad individuare le aree pubbliche aventi particolare pregio archeologico, storico, artistico e paesaggistico da assoggettare a limitazioni o restrizioni per l’esercizio di attività commerciali, nonché a definire linee di indirizzo comuni a tutela del patrimonio culturale e del decoro della città di Roma; l’esito di tali lavori individuava anche nelle loro postazioni delle attività incompatibili con i luoghi di tutela, conseguendone i provvedimenti di rilocalizzazione che si impugnano con il ricorso introduttivo.

A fondamento del gravame deducono I) Violazione della l. 241/90 per mancato avviso di avvio del procedimento e per altre illegittime interpretazioni e violazione dell’art. 44 della LR Lazio 18.11.1999, n.33; eccesso di potere per difetto dei presupposti, sviamento, illogicità, irragionevolezza, ed altri profili sintomatici di eccesso di potere (Roma Capitale avrebbe del tutto omesso di comunicare ai ricorrenti, soggetti noti, l’avvio del procedimento volto all’annullamento dei posteggi di cui si discute; non risulterebbe indicato l’interesse pubblico ed attuale all’annullamento dell’atto; difetterebbe la comparazione tra gli interessi; non sarebbe stato acquisito il parere degli operatori; difetterebbe il requisito dell’equivalenza delle nuove postazioni ai sensi dell’art. 44 della LR 44/1999); II) violazione e falsa applicazione della delibera comunale n. 35/2006, della legge 241/90 e dei principi generali in materia di procedimento amministrativo, del Decreto del MIBAC del 3 giugno 1985 (c.d. Decreto Galasso), degli artt. 28 e 30 del Dlgs n. 114/98, della LR Lazio n. 33/1999 e della delibera CR Lazio, n. 139 del 2003, del Dlgs n. 42/2004 e del Dlgs n. 490/1999, del regolamento del Comune di Roma in materia di OSP, del PGTU del Comune di Roma, eccesso di potere sotto diversi profili (i ricorrenti si soffermano sulla natura e sulle origini del mestiere di Urtista, che risale ad origini antichissime, svolto da cittadini di origine ebraica che nel tempo si sono tramandati le licenze, regolamentato all’origine da una bolla Papale del 1848 e successivamente protrattosi nei tempi sino ai giorni odierni; la compatibilità tra il mestiere di Urtista e la tutela dei luoghi pubblici è sempre stata normativamente risolta attraverso regole specifiche concordate tra le parti; in ogni caso la risalenza del mestiere comporta che non può ritenersi in contrasto con la tutela dei luoghi pubblici; con la DCC n. 35/2006 il Comune di Roma ha determinato le dimensioni massime dei banchi di vendita degli Urtisti (mt 1 per due) in sintonia con l’arredo urbano della città ed il relativo progetto esecutivo è stato approvato con la DD n. 822/2008).

Con successivi atti per motivi aggiunti sono state impugnate la D.D. n. 1366 del 16/06/2015, emessa dal Dipartimento Sviluppo Economico e Attività Produttive – Formazione e Lavoro – U.O. Attività Commerciali su aree pubbliche, strutture annonarie, mercati con cui si provvede alla rilocalizzazione temporanea dei posteggi commerciali ascrivibili alla tipologia “Urtisti” siti nelle aree individuate dalla Deliberazione di Giunta Capitolina n. 233/2014, a conclusione del procedimento avviato con D.D. n. 1927/2014 gli atti successivamente intervenuti, costituiti dalla deliberazione della Giunta Regionale del Lazio n. 365 del 21/07/2015 con cui è stato approvato lo schema di protocollo di Intesa tra Regione Lazio, MIBACT e Roma Capitale avente ad oggetto la partecipazione della Regione al procedimento amministrativo ai sensi e per gli effetti dell’art. 52 del D.Lgs. 42/2004 (codice dei beni culturali) ed il protocollo Intesa del 21/07/2015 tra MIBACT, Roma Capitale e Regione Lazio con cui la Regione Lazio ha dato il proprio parere favorevole alle risultanze del tavolo tecnico istituito tra MIBACT e Roma Capitale e alla conseguente rilocalizzazione degli Urtisti (Categorie A1/A2).

Si sono costituite sia Roma Capitale che le Amministrazioni intimate del MIBAC e della Regione Lazio, che resistono al ricorso ed ai motivi aggiunti.

Le parti hanno scambiato memorie e documenti.

Alla pubblica udienza del 26 gennaio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Nell’odierno gravame le parti ricorrenti si dolgono dell’illegittimità dei provvedimenti che hanno disposto la rilocalizzazione temporanea delle loro attività.

Contestano la legittimità dei provvedimenti sotto un duplice profilo, ovvero sia in relazione alla scelta dell’Amministrazione di rilocalizzare l’attività (che sarebbe illegittima in quanto, sostanzialmente, se ne afferma la compatibilità con i luoghi oggetto di protezione, avendo riguardo sia alla natura dell’attività stessa che alla sua risalenza nel tempo), sia in relazione al luogo prescelto come area di destinazione della nuova concessione OSP che è stata disposta dalla P.A.

La fattispecie e le censure dedotte sono analoghe ad altri casi recentemente già esaminati dal Collegio (ex plurimis, v. sentenza nr. 13652/2015 del 2.12.2015), così che è possibile la definizione del giudizio in forma succinta con richiamo al precedente, con sole alcune precisazioni che si impongono in relazione alle deduzioni che la difesa della parte ricorrente ha rivolto ai precedenti della Sezione al fine di ottenerne un motivato riesame, i cui presupposti però il Collegio non ravvisa.

I) Va preliminarmente confermato, anche nell’odierna sede di giudizio, che l’atto puntuale ed individuale, immediatamente lesivo per i ricorrenti, è la D.D. n. 1366 del 16 giugno 2015, affissa all’Albo Pretorio in data 17 giugno 2015, che dispone la “Rilocalizzazione temporanea di posteggi commerciali siti nelle aree individuate dalla Deliberazione di Giunta Capitolina n. 233/2014. Conclusione del procedimento avviato con D.D. 1927/2014. Rilocalizzazione temporanea dei posteggi commerciali ascrivibili alla tipologia “Urtisti”.

Gli altri provvedimenti impugnati, elencati nell’epigrafe e variamente richiamati in parte narrativa, hanno un valore generale (quanto al tavolo del decoro ed ai relativi accordi) ed istruttorio (laddove si occupano dell’esame delle osservazioni variamente proposte nel procedimento da parte degli interessati) e dunque possono essere impugnati unitamente all’atto conclusivo del procedimento.

II) Quanto alle censure ed alle doglianze variamente dedotte in termini di ritualità del procedimento sotto il profilo della mancata comunicazione individuale delle determinazioni dell’Amministrazione e relativamente alla partecipazione dei ricorrenti, si osserva che questi ultimi hanno utilmente proposto proprie memorie con le quali hanno rappresentato, nel procedimento, quelle medesime ragioni di doglianza che sono state riproposte a fondamento del ricorso introduttivo del presente giudizio, con il che ne va ritenuta l’infondatezza.

Irrilevante è la circostanza che le osservazioni sono state acquisite dall’Amministrazione capitolina solo dopo la conclusione del Tavolo tecnico del decoro e che quest’ultimo contiene già le previsioni in ordine alla delocalizzazione, perché, attesa la finalità programmatica e pianificatoria del Tavolo (le cui determinazioni invero vincolano le Amministrazioni che ne hanno convenuto l’istituzione, e che devono quindi essere tradotte in specifici atti a rilievo esterno), le relative previsioni costituiscono la base istruttoria, o meglio la vera e propria “proposta” interna sulla quale avviare e svolgere il confronto partecipativo; pertanto, la natura provvisoria della dislocazione di cui si discute non esclude, anzi in qualche modo agevola, che il confronto partecipativo possa (e debba) continuare, in vista dell’assunzione delle determinazioni definitive vere e proprie che confluiranno nei Piani di riordino del commercio su aree pubbliche.

Si osserva, infine, che le osservazioni e le memorie si sono sostanziate in una prospettazione di ragioni ostative all’impostata dislocazione di tipo giuridico, ovvero le stesse valorizzate nel presente giudizio dai diversi mezzi di gravame, non anche una ragionata individuazione di siti alternativi nei quali eventualmente potersi ricollocare, specie in punto di analoga redditività del flusso turistico.

Ne deriva l’infondatezza dei profili di censura con i quali si prospetta il difetto di motivazione dell’atto finale rispetto alle memorie procedimentali, posto che sul piano del merito amministrativo vero e proprio i ricorrenti non hanno offerto delle effettive alternative.

III) Quanto all’esame delle censure e delle doglianze proposte nel merito del gravame, hanno priorità logica e giuridica quelle rivolte a contestare l’” an” della scelta di allontanare le attività commerciali su area pubblica quali quella dei ricorrenti dalle adiacenze dei monumenti storici di Roma, ricollocandole in altro sito.

III.1) Secondo l’ordine logico e pregiudiziale delle stesse è opportuno anteporre l’esame del motivo con cui si lamenta che solo apparentemente si tratterebbe di una ricollocazione temporanea, perché il termine dei 18 mesi sarebbe privo di specifiche garanzie in ordine all’esito della sperimentazione.

Tale motivo è infondato e, come si vedrà, la natura temporanea dell’iniziativa conduce a ritenere recessive molte delle critiche dedotte nei motivi di censura che i ricorrenti hanno formulato.

Che la dislocazione di cui si tratta abbia natura non temporanea, non emerge in nessuno degli atti dell’Amministrazione; anzi, il tenore dei provvedimenti è chiaro nel sancire la provvisorietà del trasferimento, funzionalizzandone la previsione alla redazione dei Piani di commercio ed all’adozione delle definitive determinazioni in tale senso.

Naturalmente, l’effettivo rispetto dell’impegno dell’Amministrazione a concludere il procedimento di revisione e promulgare la pianificazione di riferimento è coercibile da parte degli interessati, i quali avranno anche titolo e legittimazione ad avanzare le proprie proposte collaborative.

Su questi aspetti si tornerà meglio anche oltre.

[b]III.2) Quanto alle altre censure in esame, gli atti ed i provvedimenti impugnati trovano il proprio fondamento normativo nella disposizione di cui all’art. 52 del dlgs 42/2004, il cui primo comma prevede che “con le deliberazioni previste dalla normativa in materia di riforma della disciplina relativa al settore del commercio, i comuni, sentito il soprintendente, individuano le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio”.[/b]

Tale disposizione riconnette la disciplina di tutela dei beni aventi rilievo storico, artistico e culturale (che è disciplina qualificante il regime di protezione e fruizione di tali beni, costitutiva di un loro speciale “status” di conformazione delle attività di conservazione, manutenzione, destinazione e disposizione), con quella – di ordine commerciale – che presiede la regolazione delle attività di libera iniziativa economica, per quanto qui interessa, su area pubblica.

[color=red][b]Nel caso di specie, l’esercizio di tale potere è stato svolto in accordo tra le amministrazioni interessate, che hanno posto in essere un procedimento condiviso, nelle forme ed agli effetti di cui all’art. 15 della l. 241/90, all’interno del quale sono stati rappresentati gli interessi pubblici alla cui cura sono preposte le stesse Amministrazioni procedenti, ed è stato valorizzato (sia pure in termini oggetto di contestazione da parte degli odierni ricorrenti), anche un contributo partecipativo delle attività private interessate.[/b][/color]

III.3) Non è inopportuno rammentare che il delicato rapporto tra protezione dell’ambiente cittadino con caratteri di rilevanza storico, artistica, culturale ed ambientale e la disciplina della libertà di iniziativa economica è stato oggetto di una copiosa giurisprudenza secondo la quale, nonostante la costante riduzione normativa dei limiti ai quali assoggettare la seconda, residua ancora uno specifico potere della P.A. di individuare su base territoriale ambiti e forme di protezione dell’ambiente urbano che si sostanzino in una interdizione – qualitativa o quantitativa – allo svolgimento di attività commerciali alle condizioni di legge (sul punto, si rinvia alla sentenza del Consiglio di Stato nr. 3802 del 17 luglio 2014, in ordine al rapporto tra le esigenze di protezione di cui si è detto e le diverse e successive normative di liberalizzazione delle attività commerciali susseguitesi in ambito sia nazionale che comunitario a far tempo dal DL n. 223/2006, con riferimento alla direttiva 2006/123/CE, al decreto legislativo nr. 59/2010, fino ai più recenti decreti “Salva Italia” – D.L. 201/2011, conv. con legge n. 214/2011, e “Cresci Italia” -DL n. 1/2012, conv. con l. n. 14/2012; vedasi anche le sentenze con le quali questa Sezione si è uniformata a tale orientamento, tra le quali T.A.R. Lazio, Roma, II ter, 13 agosto 2015, nr. 10802 ai cui richiami si rinvia per ulteriori approfondimenti).

[b]III.4) Deve ulteriormente soggiungersi che, notoriamente, la concessione OSP per l’esercizio di un’attività di tipo commerciale non costituisce un diritto soggettivo pieno e perfetto alla fruizione della superficie concessa, essendo soggetta ad una permanente regolamentazione della P.A. relativa non solo all’”an” della sua concessione, ma anche all’utilizzo dell’area e la sua revocabilità per ragioni di interesse generale, tra le quali rientra certamente anche l’esigenza di tutela del decoro dell’ambiente urbano circostante, e la sicurezza pubblica.[/b]

Ciò non implica, naturalmente, un indiscriminato potere della P.A. stessa di rimuovere situazioni fondate su legittimi titoli amministrativi a suo tempo concessi, specie in riferimento a circostanze consolidate o risalenti nel tempo come quelle degli odierni ricorrenti, dovendosi pur sempre valutare adeguatamente gli interessi pubblici sopravvenuti rispetto a quelli a suo tempo apprezzati quando il titolo veniva rilasciato.

Secondo l’impianto normativo di riferimento, tale riesame va condotto in forma di pianificazione e con le necessarie garanzie (che costituiscono il limite esterno dell’esercizio del potere) di equivalenza tra le collocazioni precedente e successiva e di indennizzo, condizioni sulle quali si ritornerà oltre.

III.5) Alla luce di tali premesse, non può condividersi l’assunto della difesa di parte ricorrente secondo cui sosterrebbe la domanda di annullamento la recente pronuncia della Corte Costituzionale nr. 140/2015 nella parte in cui ha inciso sui commi 1 bis ed 1 ter dell’art. 52 cit..

Tale decisione non ha pregiudicato la possibilità di disporre la delocalizzazione di attività come quella della parte ricorrente, facendo ricorso all’esercizio di potestà discrezionali non imperniate sulle disposizioni colpite dall’incostituzionalità.

Va chiarito che i commi dichiarati incostituzionali costituiscono una interpolazione della norma di recente fattura (per l’effetto del D.L. 8 agosto 2013, n. 91, convertito con modificazioni dalla L. 7 ottobre 2013, n. 112 e del D.L. 31 maggio 2014, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 29 luglio 2014, n. 106), laddove quest’ultima, nella stesura originaria (GU n.45 del 24-2-2004 – Suppl. Ordinario n. 28) era limitata al solo primo comma.

Per effetto delle aggiunte, la fattispecie legislativa originariamente “povera” (e dunque per ciò dotata di maggiore portata precettiva e più ampi effetti costitutivi del potere in capo alla PA) si è “arricchita” di ulteriori specificazioni e limitazioni che non hanno alterato il senso originario della previsione e della natura del potere amministrativo da essa fondato, concorrendo solamente a strutturarne l’esercizio attraverso determinati adempimenti (come l’effettuazione dei procedimenti di riesame da compiersi ai sensi dell’articolo 21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, circa le autorizzazioni e le concessioni di suolo pubblico che risultino non più compatibili con le esigenze di tutela presupposte) e nella previsione di adeguate garanzie nei confronti delle attività commerciali coinvolte (laddove, in caso di revoca del titolo, ove non risulti possibile il trasferimento dell’attività commerciale in una collocazione alternativa equivalente in termini di potenziale remuneratività, al titolare e’ corrisposto da parte dell’amministrazione procedente l’indennizzo di cui all’articolo 21-quinquies, comma 1, secondo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel limite massimo di un dodicesimo del canone annuo dovuto).

III.6) Pertanto, anche se si volesse aderire alla tesi della parte ricorrente secondo la quale la pronuncia della Corte Costituzionale nr. 140/2015 avrebbe reso retroattivamente inapplicabili alla fattispecie in esame le previsioni normative incise dalla dichiarazione di incostituzionalità, non solo non ne deriverebbe la fondatezza della pretesa, ma addirittura diverrebbero inutilizzabili quelle specifiche previsioni di tutela in esse contenute, come l’obbligo di individuare una collocazione alternativa equivalente in termini di rimuneratività, che si sostanziano in previsioni di protezione per la stessa parte ricorrente e che peraltro quest’ultima ampiamente invoca a proprio vantaggio a fondamento di buona parte delle censure dedotte nel presente ricorso (e che saranno esaminate oltre).

Ma, ciò che più conta, dalla tesi della rimozione retroattiva delle disposizioni in esame non scaturirebbe il venir meno delle facoltà delle PA coinvolte di procedere al riesame delle posizioni non più compatibili con gli indirizzi di tutela e la conseguente caducazione automatica degli atti impugnati: tale potere è invero immanente nelle responsabilità delle P.A. coinvolte, e costituisce espressione della più generale potestà di riesame ed autotutela decisoria della P.A. che trova autonomo fondamento nell’art. 21 quinquies della l. 241/90 (non a caso esplicitamente richiamato nel comma 1 ter); potere che le disposizioni aggiunte all’art. 52 del Dlgs 42/2004, dunque ben lungi dal fondare ex novo, si limitano a richiamare e dare per presupposto, avendo svolto, in sostanza, il legislatore della riforma del predetto art. 52 un mero ruolo di tipo propulsivo al fine di orientare il governo delle procedure di tutela nel senso di assicurare la più ampia tutela agli operatori interessati e, nel contempo, indurre le amministrazioni titolari del potere ad un più attento ed attualizzato riesame degli interessi pubblici ad esse affidati.

III.7) In ogni caso, dalla sentenza della Corte Costituzionale nr. 140/2015 non discende l’annullamento delle disposizioni di cui ai commi 1 bis ed 1 ter, ma solo il completamento della relativa fattispecie normativa con la previsione dell’intesa Stato- Regioni; intesa che, nella fattispecie in esame, è stata immediatamente siglata tra le amministrazioni procedenti e la Regione Lazio, nei termini di cui agli atti richiamati dalla difesa delle resistenti e di cui si è dato cenno nella parte narrativa della presente sentenza.

Più precisamente, l’intesa è stata siglata, giusta deliberazione della GR nr. 365 del 21 luglio 2015, con l’accordo sottoscritto in pari data (il cui art. 2 recita: “con il presente atto la Regione Lazio, ai sensi e per gli effetti delle disposizioni di cui all’art. 52 del D.lgs 22 gennaio 2004, n. 42…nel testo da considerarsi integrato dall’addizione di procedura discendente dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 140/2015, formalizza il proprio avviso favorevole in ordine alle risultanze congiuntamente determinate da Roma Capitale e dal Mibact ….costituendo ciò espressione della formale intesa di competenza prevista dalla stessa disposizione”), allo scopo, reso esplicito, di integrare il procedimento del “tavolo tecnico per il decoro”, conformandone lo svolgimento e le conclusioni al procedimento previsto dal menzionato art. 52 come novellato dall’intervento manipolativo-additivo della Corte Costituzionale.

III.8) Che l’accordo in questione abbia completato, ancorchè successivamente, l’iter procedimentale previsto dalla novellata disposizione di cui all’art. 52 cit. non può essere seriamente revocato in dubbio, secondo le argomentazioni sulle quali si sono ampiamente diffuse la difesa di Roma Capitale e l’Avvocatura Generale, che trovano piena condivisione da parte del Collegio .

L’intesa è, invero, un modulo di consenso tra più amministrazioni che è caratterizzato dall’”idem placitum” come tale raggiungibile senza particolari oneri formali, anche ex post ed a sanatoria, dovendosi avere riguardo al piano sostanziale degli interessi pubblici la cui cura è affidata alle amministrazioni che sono chiamate al coordinamento delle loro iniziative e responsabilità.

Sotto questo profilo, l’invocazione, da parte di un soggetto leso dall’accordo, di una violazione formale dei tempi o delle modalità della sua conclusione, si risolve in una censura meramente cartolare, priva di effettività di tutela per gli interessi di cui si chiede protezione giuridica: potrebbe venire in rilievo una violazione del modulo del consenso laddove, in concreto, si facesse valere la contraddittorietà interna dell’intesa, la sua inefficacia ai fini di cura degli interessi pubblici o altre ragioni di doglianza riferibili alla violazione della posizione giuridica dell’amministrazione partecipante all’accordo.

III.9) Nessuna di queste circostanze è dedotta nell’odierno giudizio, con la conseguenza che le determinazioni inerenti la decisione di dislocare le attività dei ricorrenti si rivelano immuni dalle censure formulate in ordine alla violazione di legge ed eccesso di potere con riferimento alle disposizioni esaminate e che le doglianze variamente proposte in ordine alla violazione del regime delle competenze per l’assenza del coinvolgimento della Regione Lazio, essendosi quest’ultima adeguata all’accordo ed alle risultanze del tavolo tecnico. Ne deriva altresì che è infondato l’ultimo dei ricorsi per motivi aggiunti, poiché affidato a ragioni essenzialmente formali incapaci di superare la chiara e consapevole manifestazione di volontà della Regione di aderire all’accordo.

III.10) Quanto agli altri profili dell’eccesso di potere, con precipuo riguardo all’asserita compatibilità delle attività in esame con le esigenze di tutela del complesso monumentale prospiciente al quale erano installate, il giudizio delle Amministrazioni viene censurato dalla parte ricorrente sotto profili di merito, attinenti essenzialmente alla “storicità” dell’attività degli Urtisti ed al ritenuto minimo impatto sull’ambiente urbano che non giustificherebbe l’esigenza di un loro allontanamento dall’area monumentale, specie in relazione ad altre categorie di attività ben più invasive.

Va evidenziato che la particolare rilevanza, anche storica, dell’attività degli Urtisti non è disconosciuta dall’Amministrazione, che negli atti impugnati mostra di tenerne presente i connotati e di apprestare un trattamento ad essa adeguato, tanto da aver dedicato una specifica parte delle conclusioni del Tavolo tecnico all’individuazione della zona alternativa.

[b]III.11) Si devono attentamente considerare, a questo proposito, la natura di temporaneità della dislocazione che caratterizza precipuamente il provvedimento impugnato e la scelta contestata nonché la circostanza che è mancata – nel procedimento amministrativo – una specifica proposta da parte dei ricorrenti di una collocazione provvisoria alternativa..[/b]

Su questi aspetti, il Collegio deve soffermarsi, perché i limiti di coerenza e ragionevolezza della scelta discrezionale della P.A. (in ordine alla decisione di delocalizzare l’attività ed in ordine alla individuazione dell’area alternativa), possono ritenersi rispettati essenzialmente avendo riguardo alla temporaneità della misura (e dunque richiamando l’attenzione dell’Amministrazione a quel necessario sforzo, tuttora dovuto, di completamento delle procedure del Tavolo tecnico e dei Piani di riordino del commercio nell’ambito del quale, peraltro, le parti interessate possono svolgere un efficace ruolo propositivo) ed all’inesistenza, allo stato, di un termine di comparazione alternativo in ordine al quale valutare la sufficienza e la congruità del percorso motivazionale della scelta della PA.

[b]Trattandosi di una dislocazione temporanea, non è irragionevole la scelta operata dall’Amministrazione, che risulta essere prossima all’area archeologica centrale, né appare rilevante la concentrazione delle soste in una zona limitata, posto che non viene dimostrata l’essenzialità dell’isolamento tra i diversi titolari delle licenze di vendita ai fini dell’esercizio dell’attività.[/b]

Peraltro, quanto alla “equivalenza” della nuova collocazione rispetto alla precedente, il Collegio condivide le deduzioni difensive di Roma Capitale, secondo la quale tale connotazione costituisce un predicato potenziale dell’area di destinazione, che trova un limite nella facoltà di indennizzo (che la parte può richiedere, laddove tale potenzialità in concreto non si riscontri) e che dunque implica che nella dislocazione non è necessario assicurare l’identico valore economico della postazione originale (se fosse così intesa, la norma avrebbe praticamente portata nulla o comunque sarebbe inapplicabile, anche attesa la difficoltà concreta di individuare con certezza i livelli reddituali precedenti), specie dovendosi avere riguardo alla più volte menzionata natura temporanea del trasferimento dell’attività.

Oltre questi limiti, la corrispondenza tra le scelte delle Amministrazioni procedenti e le specifiche esigenze di tutela che la categoria degli Urtisti involve, non è censurabile in termini di legittimità con doglianze essenzialmente incidenti su valutazioni di piena opportunità e merito amministrativo.

Peraltro, proprio perché trattasi di apprezzamenti di merito amministrativo, in ordine a tali aspetti resta salva ogni valutazione ulteriore delle Amministrazioni resistenti che potrà scaturire anche da motivate sollecitazioni e proposte delle parti interessate (proposte peraltro già avanzate, come da nota del 13 agosto 2015 e successive corrispondenze, che sono indicate dalla difesa di Roma Capitale, in ordine alla cui valutazione sono espressamente fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione); queste ultime potranno altresì confrontarsi con l’Amministrazione ai fini di una diversa scelta delle forme, dei luoghi e delle condizioni cui assoggettare l’esercizio dell’attività per renderlo compatibile con le esigenze di protezione dell’area monumentale ed archeologica, interesse peraltro non confliggente con quello del commercio, posto che quest’ultimo risente positivamente della valorizzazione dell’ambito monumentale, che costituisce uno specifico valore aggiunto per i commercianti su area pubblica.

[b]III.12) Ne deriva l’infondatezza dell’ulteriore argomento di censura secondo cui la natura dell’attività degli Urtisti ne farebbe discendere una condizione sostanziale di storicità (con conseguente inamovibilità ed obbligo di mantenimento da parte della PA nei termini e nelle condizioni d’origine), posto che la tutela delle attività tradizionali in siffatti termini non può prescindere da una esplicita qualificazione e regolamentazione formale (come quella delle c.d. “botteghe storiche” che trovano una specifica disciplina nella disciplina locale dell’Amministrazione capitolina, v. TAR Lazio, Roma, II ter 9 settembre 2015, nr.11125 e riferimenti ivi contenuti); la specifica considerazione contenuta nelle motivazioni degli atti dell’Amministrazione della condizione degli Urtisti nei termini della temporaneità della dislocazione non costituisce violazione degli obblighi di protezione di cui alla Convenzione UNESCO sulla protezione e la promozione delle diversità delle espressioni culturali conclusa a Parigi il 20 ottobre 2005, fermo restando che ai fini della collocazione definitiva delle loro postazioni sarà necessario condurre un approfondito confronto con le relative associazioni rappresentative, anche sulla base dei risultati concreti del periodo di temporanea allocazione nell’attuale sito; neppure si rivela fondato un profilo di eccesso di potere per disparità di trattamento, perché la temporanea delocalizzazione ha riguardato anche le altre categorie considerate in termini di comparazione; la censura circa il mancato bilanciamento di opposti interessi è poi essenzialmente formale, considerato che il raffronto tra i diversi interessi contrapposti è interno alla motivazione degli atti, che conducono una rinnovata disamina dei presupposti di tutela.[/b]

IV) Con altri motivi di censura, parte ricorrente lamenta la irragionevolezza della scelta dell’area di nuova collocazione della propria attività, in quanto sarebbe mancata l’effettiva comparazione tra le collocazioni, nonché una corretta analisi di equivalenza; e dei nuovi limiti che gli atti impugnati hanno imposto all’esercizio dell’attività, dimensionando il tavolino e l’orario di vendita della merce.

[color=red][b][i][i]In questa parte il ricorso è solo parzialmente fondato.[/i][/i][/b][/color]

Invero, laddove parte ricorrente lamenta che con gli atti impugnati, essenzialmente le deliberazioni nr. 233/2014, 1927/2014 e 1366/2014, si sarebbe operato un riesame organizzativo permanente di piano delle postazioni traducentesi in una revoca definitiva delle autorizzazioni senza indennizzo, il ricorso è infondato, atteso che – come si è già evidenziato – la dislocazione di cui si tratta ha carattere esplicito di temporaneità, in vista di più generali programmazioni e pianificazioni, con la conseguenza che entro termini congrui rispetto alla sua scadenza sarà obbligo dell’Amministrazione comunale provvedere ad una collocazione definitiva ed avverso l’eventuale inerzia le parti interessate potranno attivare i consueti rimedi processuali a propria tutela.

Quanto alla censurata mancanza di indennizzo, si evidenzia che ogni apprezzamento in proposito è impedito dall’assenza di una esplicita richiesta in tal senso da parte dei ricorrenti.

[color=red][b]IV.1) Invece, il gravame è fondato in relazione alle concrete modalità della dislocazione.[/b][/color]

Ai sensi della determinazione nr. 1366/2014, è individuata l’area nella quale sono ricollocate le postazioni degli Urtisti nella via S. Gregorio (colonna 5 della tabella sub A.1 graficizzata nell’allegato B del provvedimento); la scelta dell’area di delocalizzazione è sostanzialmente frutto di un apprezzamento di merito che scaturisce dalla necessità di contemperare le opposte esigenze di individuazione di un’area la più prossima a quelle di origine, ma che sia tale da non compromettere le esigenze di protezione del peculiare ambiente urbano.

[b]In questo senso, l’obbligo per l’Amministrazione di individuare posizioni “equivalenti” economicamente a quelle di origine costituisce un precetto di valore, che non postula una perfetta sovrapponibilità delle utilità pubbliche collegate all’area occupata ed a quella di sostituzione, ma richiede un’omogeneità tendenziale, che nella specie non appare difettare (la via di S. Gregorio è prospiciente all’ingresso dell’Area Archeologica del Palatino), avendo riguardo alle caratteristiche tipologiche del sito.[/b]

Naturalmente, quanto alla scelta dell’area resta salva la facoltà dei ricorrenti (attesa la loro posizione qualificante) di proporre essi stessi collocazioni alternative (che, si deve evidenziare, non risultano indicate nella loro partecipazione al procedimento), che in tal caso andranno adeguatamente valutate dall’Amministrazione.

Ciò che, invece, si rivela censurabile è l’aver imposto limiti dimensionali ai tavoli che sono ingiustificatamente lesivi – sotto il profilo dell’equivalenza delle posizioni – delle prerogative proprie dei titoli amministrativi transitati attualmente esigibili.

In questo senso, il principio di equivalenza delle postazioni affermato dal comma 1 ter dell’art. 52 Dlgs 42/2004, implica che il titolo amministrativo che viene rilocalizzato rimanga inalterato nelle sue modalità, a meno che specifiche ed esplicitate ragioni di interesse pubblico non ne impongano la revisione di disciplina e ciò sia consentito dalla specifica normativa che lo regola.

Secondo la deliberazione n. 35/2006 (Regolamento per le attività commerciali sulle aree pubbliche), art. 16, prodotta dalla difesa della parte ricorrente (all. 15) “Per le rotazioni Urtisti/Oggetti Ricordo la dimensione massima del banco di vendita deve essere pari a mq. 2 (m. 2 parallelamente al marciapiede e m. 1 perpendicolare al marciapiede). Il banco di vendita può avere un’altezza massima da terra di m. 1,60, con uno o più ripiani, e può esser ricoperto da un ombrello o cappottina di colore bianco”.

La descrizione del banchetto indicata in metri 2 per 1 è parametro di “massima” dimensione a tutela del pubblico e dello stesso commerciante; ciò implica che rimane nella disponibilità del titolare dell’autorizzazione sfruttarla interamente o avvalersi di un appoggio di minore ingombro.

Dal momento che la dislocazione dell’autorizzazione dei ricorrenti non implica il rinnovo del titolo o il rilascio di una nuova autorizzazione, e che non sono esplicitate negli atti impugnati ragioni precipue per imporre – in deroga al parametro massimo previsto dalla regolamentazione applicabile – dimensioni minori di quelle consentite, l’imposizione di una dimensione non superiore al metro del banchetto operata nelle risultanze del tavolo tecnico senza una particolare esplicazione dei motivi che l’hanno imposta, si rivela priva di motivazione e di un adeguato ed esplicitato fondamento normativo.

Analogamente è da ritenersi per la limitazione inerente la chiusura dell’attività all’imbrunire e la possibilità di utilizzare il gruppo elettrogeno che non risulta supportata da una adeguata motivazione e da una conforme previsione nella disciplina regolamentare.

Non può trovare accoglimento il motivo con cui si deduce il contrasto tra le modalità di ricollocazione rispetto alle distanze imposte dalle deliberazioni di riordino dell’attività degli Urtisti che prevedevano non più di tre collocazioni per area e relativi limiti di distanza, perché quelle deliberazioni presupponevano la conduzione della vendita nelle aree dalle quali è stata disposta la dislocazione e dunque sono abrogate, in parte qua, dalle nuove previsioni.

La doglianza dell’eccesso di potere, sotto questo profilo, è fondata però in relazione alla circostanza che la nuova collocazione impone delle distanze minimali tra gli stalli, in relazione al fatto che ciò rende le diverse postazioni di disagevole fruizione, secondo criteri di comune esperienza, senza che siano esplicitate o rese comunque percepibili le specifiche ragioni di interesse pubblico che inducono l’Amministrazione a tale genere di prescrizione; le determinazioni delle Amministrazioni resistenti, pur espressione di discrezionalità e merito amministrativo, sono sul punto viziate da insufficienza intrinseca.

V) Quanto ai profili sin qui non trattati, si osserva che residua ancora l’esame del quinto motivo del primo ricorso per motivi aggiunti, secondo cui gli atti impugnati sarebbero illegittimi per mancanza di copertura finanziaria dei prevedibili indennizzi; esso è infondato perché l’obbligo di copertura sorge solamente all’esito di una esplicita previsione di spesa, che nella specie, è assente (non sussistendo specifiche richieste di indennizzo).

VI) Il gravame va dunque respinto ad eccezione delle censure trattate sub IV.1) che risultano fondate, nei termini sin qui indicati, con conseguente annullamento degli atti impugnati nella parte d’interesse e con salvezza di ulteriori provvedimenti motivati dell’Amministrazione, da adottarsi con piena garanzia di partecipazione dei ricorrenti.

Le spese vanno interamente compensate attesa la particolarità della fattispecie esaminata

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter)

[b]definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini indicati in premessa, annullando i provvedimenti impugnati nella parte d’interesse e salva la facoltà per le Amministrazioni intimate di riesaminare la posizione dei ricorrenti nei termini e con le modalità di cui in parte motiva, mentre lo respinge per il resto.[/b]

Spese compensate

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Rotondo, Presidente FF

Mariangela Caminiti, Consigliere

Salvatore Gatto Costantino, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 18/03/2016.

riferimento id:33131

Data: 2016-03-25 17:47:12

Re:Fuori gli AMBULANTI dal centro storico - ma con adeguata motivazione

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Data: 2016-04-12 07:54:33

Re:Fuori gli AMBULANTI dal centro storico - ma con adeguata motivazione

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