NATUROPATA ed esercizio abusivo della professione - Cassazione 8885/2016
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[color=red][b]Cassazione Penale, sez. VI, sent. n. 8885/2016[/b][/color]
Cassazione Penale Sez. 6 Sentenza Num. 8885 Anno 2016
Presidente: Giovanni Conti
Relatore: Giorgio Fidelpo
Data Pubblicazione: 3.3.16
Omissis
RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d'appello di Palermo, in parziale riforma
della sentenza del 2 maggio 2012 emessa dal Tribunale di Palermo nei confronti di C.L.T.,
ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo b) per intervenuta
prescrizione, mentre ha confermato la responsabilità dell'imputato per il reato di cui all'art.
348 c.p., rideterminando la pena in euro 300,00 di multa. Secondo l'accusa l'imputato,
presso il Centro Italiano di (Omissis), di cui era anche socio, avrebbe esercitato
abusivamente la professione medica, senza la necessaria laurea in medicina e la
successiva abilitazione, visitando i pazienti, sottoponendoli alla biorisonanza magnetica
con un apposito macchinario, effettuando diagnosi e consigliando loro la cura, anche
tramite farmaci omeopatici che a volte provvedeva a vendere direttamente. La Corte
territoriale ha ritenuto che l'imputato abbia svolto attività medica, effettuando diagnosi e
prescrivendo cure, considerando irrilevante la circostanza che seguisse la medicina
omeopatica.
2. L'avvocato M.D.S., nell'interesse dell'imputato, ha proposto ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo denuncia l'erronea applicazione dell'art. 348 c.p.., in quanto i
giudici avrebbero omesso ogni disamina sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del
reato. La mancanza di tale elemento andava desunta dalla circostanza che un precedente
procedimento penale, per gli stessi fatti nei confronti dell'imputato, era stato archiviato,
sicché L.T. ha continuato ad esercitare la sua attività di "naturopata" nella convinzione che
fosse un'attività professionale per la quale non necessitava la laurea in medicina.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell'art. 348 c.p. nonché il vizio di
motivazione, sostenendo che la Corte territoriale ha erroneamente qualificato l'imputato
come omeopata anziché come naturopata, la cui attività, a seguito della legge del 14
gennaio 2013, n. 4 e della normativa UNI n. 11491 del 2013, deve considerarsi del tutto
lecita, anche in assenza della laurea in medicina. In particolare, si assume che la norma
UNI 11491 del 2013 avrebbe determinato in concreto una ipotesi di abolitio criminis
parziale, limitatamente agli atti riconducibili all'attività professionale propria del naturopata,
dalla stessa disciplinata. Conseguentemente, l'imputato andava assolto con la formula
perché il fatto non sussiste oppure perché non è più previsto come reato.
2.3. Con il terzo motivo, riferito al reato di cui al capo b) dichiarato prescritto, si deduce la
mancanza di motivazione, assumendo che i prodotti rinvenuti nel Centro Italiano di
Biorisonanza e Omeopatia non fossero medicinali ma semplici preparati o complessi
omeopatici, prodotti di libera vendita, con la conseguente insussistenza dei reato di cui agli
artt. 6, 57 e 147 comma 2 del D.Lgs. n. 219 del 2006, dal quale l'imputato andava assolto
con formula piena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Si ritiene che la Corte d'appello abbia correttamente
riconosciuto la sussistenza del reato.
1.1. Preliminarmente, deve ribadirsi che [b]per la sussistenza
del reato di abusivo esercizio della professione medica deve
aversi riguardo al concreto svolgimento di atti tipici, cioè di
atti riservati a detta professione, dovendo negarsi che possa
avere rilievo, per escluderne la configurabilità, la circostanza
che l'agente non si presenti come "medico", ma come
esercente un'attività alternativa a quella della medicina
tradizionale.[/b] Nel caso in esame l'imputato si è difeso sostenendo di avere esercitato
lecitamente l'attività di [color=red][b]naturopata[/b][/color], attività professionale riconosciuta dalla legge (legge 14
gennaio 2013, n. 4) e dalla normativa UNI 11491 dei 6 giugno 2013, che consente di
"dispensare consigli naturopatici", consistenti in indicazioni per la soluzione delle difficoltà,
degli squilibri e dei disagi riscontrati, anche attraverso il riferimento a prodotti (integratori
alimentari, alimenti funzionali, rimedi floreali ecc.), trattamenti manuali (riflessologie,
digitopressione ecc.), tecniche di equilibrio, stili di vita ed alimentari, precisando che per
effetto di tale normativa si sarebbe verificata una ipotesi di abolitio criminis parziale dell'art.
348 c..p.. limitatamente all'attività professionale svolta dal naturopata. Si tratta di
un approccio del tutto errato in quanto, come si è anticipato,
ciò che rileva ai fini dell'accertamento del reato di esercizio
abusivo della professione medica non è il metodo scientifico
adoperato, ma la natura dell'attività svolta. [b]Ciò che
caratterizza l'attività medica, per la quale è necessaria una
specifica laurea e un'altrettanto specifica abilitazione, è la
"diagnosi", cioè l'individuazione di un'alterazione organica o
di un disturbo funzionale, la "profilassi", ossia la
prevenzione della malattia, e la "cura", l'indicazione dei
rimedi diretti ad eliminare le patologie riscontrate ovvero a
ridurne gli effetti. Sicché non ha rilievo la circostanza che
queste tre componenti della professione medica siano
effettuate in base a tecniche o metodi non tradizionali, come
quelli omeopatici o naturopati, in quanto ciò che rileva è che
siano poste in essere da soggetti che non hanno conseguito
la prescritta abilitazione medica[/b].Invero, deve riconoscersi la
possibilità del libero svolgimento di un'attività come quella
dei naturopata ovvero di quelle rientranti nel novero della
medicina alternativa, tuttavia tali attività non possono mai
sostanziarsi "in atti tipici della professione medica": più
precisamente, ad un soggetto privo dell'abilitazione medica
è concesso svolgere tali attività - in presenza dei requisiti
prescritti -, purché non esegua diagnosi di malattie, non
prescriva rimedi terapeutici e non somministri farmaci,
perché in questo caso la sola circostanza che si tratti di
metodiche alternative, pur se riconosciute dalla legge, non
consente di ritenere lecito l'esercizio di un'attività
corrispondente a quella medica da parte di chi non ha le
competenze tecnico-scientifiche formalmente asseverate a
seguito dei conseguimento dell'abilitazione (cfr., Sez. 6, n. 34200 del
20/06/2007, Mosconi; Sez. 6, n. 16626 del 04/04/2005, Di Lorenzo; Sez. 6, n. 30590 del
10/04/2003, Bennati; Sez. 6, n. 22528 del 27/03/2003, Carrabba; Sez. 6, n. 7176 del
06/04/1982, De Carolis)).
1.2. [b]Nel caso in esame la Corte d'appello ha bene evidenziato la natura dell'attività
esercitata dall'imputato nel Centro italiano di (Omissis), riconducendola nell'ambito della
fattispecie di cui all'art. 348 c.p..: infatti, dalle prove acquisite è risultato che L.T.
effettuasse vere e proprie diagnosi delle malattie sui pazienti[/b] che si recavano da lui, inoltre
prescrivendo terapie, come risulta dalle testimonianze rese da B. F., L. B., E. S., M. La S.,
R. C., C. G., G. S. e S. M., pazienti visitati dall'imputato ai quali ha prescritto farmaci
omeopatici ed altri prodotti, indicando anche la posologia da seguire, come hanno
dimostrato le ricette sequestrate. Sulla base di quanto si è detto non vi è dubbio che
l'attività svolta da L.T. debba qualificarsi come medica, sicché correttamente i giudici di
merito hanno ritenuto sussistente il reato di cui all'art. 348 c.p.
2. Riguardo al motivo con cui si assume il mancato accertamento dell'elemento soggettivo
dei reato, si osserva che l'esercizio abusivo di una professione non
richiede il dolo specifico, per cui è sufficiente la volontarietà
dell'azione nella quale si concreta la condotta criminosa,
con la conseguenza che la convinzione di non operare
contra legem si risolve in una ignoranza della legge penale
che non può essere invocata come scusante. Peraltro, questo
motivo è stato dedotto sottoforma di violazione di legge, ma non risulta che sia stato
proposto nell'atto di appello, sicché non può il ricorrente lamentarsi dell'omessa disamina
dell'elemento soggettivo da parte del giudice di appello, fermo restando che lo stesso
motivo deve ritenersi inammissibile in questa sede, ai sensi dell'art. 606 comma 3 c.p.p.
3. Del tutto infondato è, infine, l'ultimo motivo relativo al reato di cui agli artt. 6, 57 e 147
comma 2 D.Lgs. n. 219/2006. Questa Corte, soprattutto in presenza della dichiarazione di
estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non ha elementi per contraddire quanto
accertato in sede di merito circa la natura dei prodotti detenuti dall'imputato, né può
verificare quanto dedotto nel ricorso in ordine alla etichettatura in inglese dei preparati.
4. In conclusione, l'infondatezza dei motivi proposti determina il rigetto dei ricorso, con la
condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali