Il tema è assai delicato e lo sarà sempre di più, con l'approssimarsi della nuova stagione primaverile-estiva.
Partendo da un mio punto fermo che si fondava sulle reiterate conclusioni del Ministero dello Sviluppo Economico, sono giunto a spostare il mio punto di osservazione, più che sulle modalità di esercizio dell'attività (stoviglie in plastica o in ceramica, sedute composte o scomposte, ecc.), sul vero e proprio concetto di assistenza al cliente.
Insomma, il consumo sul posto sembrerebbe non consentito, nel momento in cui l'esercente si trasforma in un cameriere che prende ordinazioni, serve al tavolo, consiglia, fa accomodare, ecc. Però questo difficile esercizio di "filosofia del commercio", credo debba cessare nel momento in cui il cliente esce dal locale di vendita ed intenda utilizzare il suolo pubblico, come luogo di consumazione sul posto dell'alimento o della bevanda acquistata all'interno dell'esercizio di vendita.
E questo, non per una complicata interpretazione del concetto di somministrazione non assistita ma, semplicemente, perché, a mio modo di vedere, sul suolo pubblico non è proprio possibile applicare i principi contenuti nell'art. 16, comma 2, del codice del commercio.
Infatti, bene ha fatto il legislatore a chiarire al successivo comma 3 che "ai fini di cui al comma 2, per locali dell'esercizio si intendono i locali e le aree individuati nella SCIA di cui al comma 1": in buona sostanza e a mio modo di vedere, gli spazi esterni, eventualmente dati in concessione agli esercizi di vicinato, non possono essere utilizzati per il consumo sul posto e se il comune rilascia la concessione a tale scopo, lo fa in violazione di legge.
Cosa ne pensate?
Il tema è assai delicato e lo sarà sempre di più, con l'approssimarsi della nuova stagione primaverile-estiva.
Partendo da un mio punto fermo che si fondava sulle reiterate conclusioni del Ministero dello Sviluppo Economico, sono giunto a spostare il mio punto di osservazione, più che sulle modalità di esercizio dell'attività (stoviglie in plastica o in ceramica, sedute composte o scomposte, ecc.), sul vero e proprio concetto di assistenza al cliente.
Insomma, il consumo sul posto sembrerebbe non consentito, nel momento in cui l'esercente si trasforma in un cameriere che prende ordinazioni, serve al tavolo, consiglia, fa accomodare, ecc. Però questo difficile esercizio di "filosofia del commercio", credo debba cessare nel momento in cui il cliente esce dal locale di vendita ed intenda utilizzare il suolo pubblico, come luogo di consumazione sul posto dell'alimento o della bevanda acquistata all'interno dell'esercizio di vendita.
E questo, non per una complicata interpretazione del concetto di somministrazione non assistita ma, semplicemente, perché, a mio modo di vedere, sul suolo pubblico non è proprio possibile applicare i principi contenuti nell'art. 16, comma 2, del codice del commercio.
Infatti, bene ha fatto il legislatore a chiarire al successivo comma 3 che "ai fini di cui al comma 2, per locali dell'esercizio si intendono i locali e le aree individuati nella SCIA di cui al comma 1": in buona sostanza e a mio modo di vedere, gli spazi esterni, eventualmente dati in concessione agli esercizi di vicinato, non possono essere utilizzati per il consumo sul posto e se il comune rilascia la concessione a tale scopo, lo fa in violazione di legge.
Cosa ne pensate?
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Penso che un dibattito del genere sia scomparso dal panorama giuridico di molti paesi con la caduta del muro di Berlino. Discutere se un soggetto che ha la proprietà di un bene ci possa far mangiare i propri clienti o se, pagando il suolo pubblico per mettere tavoli e sedie debba poi andare a dire a uno che si siede "Guardi, lei ha comprato panino e bibita, ma per favore, vada sulla panchina in piazza che qui si siede solo chi non mangia i prodotti acquistati dentro" sia roba dell'altro mondo.
Questo il mio pensiero NON TECNICO
Ecco il mio pensiero tecnico:
NON CONCORDO (e lo scrivo da ormai 10 anni (il DL 223 è del 2006) per una semplice, immediata ragione di diritto positivo:
[color=red][b]Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138
Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge ...[/b][/color]
Qualcuno mi dica dove è il divieto?
Se nell'atto di CONCESSIONE del suolo pubblico tale divieto è esplicitato ... allora OK. Se non è esplicitato allora è ammesso il consumo sul posto anche nello spazio di occupazione del suolo pubblico.
Ciò premesso SE SI VIETA IL CONSUMO SUL POSTO nella concessione di suolo pubblico si apre un secondo problema giuridico.
CHI VIOLA LA NORMA?
Se Tizio, acquistati i propri prodotti alimentari (nel negozio o altrove) si mette a mangiarli ai tavolini di fronte al bar e passa il vigile ... quid iuris?
L'esercente non ha commesso alcun illecito in quanto i prodotti in questione NON SONO PIU' SUOI, sono ormai di proprietà esclusiva del cliente .... il cliente non è parte del rapporto concessorio o convenzionale e quindi può legittimamente non conoscere dell'esistenza del divieto di mangiare ai tavolini.
ERGO:
Ogni interpretazione limitativa del concetto di somministrazione non assistita, che si fondi sulle stoviglie, macchinette del caffè o altro elemento ... non ha fondamento normativo, espojne a abusi e responsabilità ed apre problematiche giuridiche senza dare risposte.
Abbiamo affrontato i vari temi in questi dieci anni.
Ecco i post:
https://www.google.it/search?q=site%3Aomniavis.it%2Fweb%2Fforum+somministrazione+non+assistita&oq=site%3Aomniavis.it%2Fweb%2Fforum+somministrazione+non+assistita&aqs=chrome..69i57j69i58.960j0j9&sourceid=chrome&es_sm=122&ie=UTF-8
In termini generali, sono d'accordo con te.
Stabilito, però, che la legge regionale consente questa pratica, credo che il Comune non dovrebbe rilasciare concessioni di suolo pubblico che consentono di fare, su di uno spazio pubblico, ciò che è ammsso solo su di uno spazio privato.
Se, diversamente, l'Ente proprietario rilascia la concessione del suolo pubblico, a fronte di una richiesta che non specifica tale esigenza del privato (diversamente, riconoscerebbe, implicitamente, tale facoltà) e quello spazio venisse destinato al consumo sul posto (con tanto di tavoli, piatti, bicchieri, ecc.), a mio modo di vedere la sola organizzazione dell'area configurerebbe la violazione all'art. 16, comma 2 del Codice del Commercio.
In buona sostanza e a mio modo di vedere, mentre la migliore organizzazione dell'area privata per il consumo sul posto, è una giusta facoltà che la legge riconosce al privato, l'estendere tale facoltà all'area pubblica, andrebbe a configurare, di fatto, una potenziale attività di somministrazione, con abuso del titolo. In definitiva, se l'area è concessa al commerciante ed il cliente ne fa un uso non consentito, è il primo e solo il primo a doverne rispondere.
E' chiaro, non sono qui a fare una "gara dialettica" sull'interpretazione ma, come ritengo faccia anche tu e quanti state portando avanti questo bellissimo sito, cerco di trovare una soluzione ad un conflitto di norme e, se vogliamo, anche di esercizi di impresa.
Da quest'ultimo punto di vista, infatti, faccio sempre più fatica a trovare una vera e propria differenza sostanziale tra un pubblico esercizio della somministrazione ed un'attività di vendita con cosnumo sul posto: sicuramente, c'è nelle premesse formali, giacché la somministrazione ha lacci e lacciuoli che la vendita non contempla, ma, alla fin fine, per la c.d. organizzazione alla "mordi e fuggi" e non solo, consumare un sostanzioso e curato "primo piatto" in un bar, anziché in un alimentari, non è che sia così diverso.
Per non allungare troppo il discorso, o si dovrebbe liberalizzare alla grande il mercato della vendita/somministrazione e ciascuno, fatte salve le norme igienico/sanitarie, fa quello che vuole oppure c'è da chiarire bene le differenze esistenti (se ne esistono ancora) tra la somministrazione e la vendita dei generi alimentari; questo, anche al fine di evitare che i soliti furbacchioni, non dovendo assoggettarsi a limitazioni di sorta (si pensi, ad esempio, ai servizi igienici, per dirne una) pongono in essere una concorrenza sleale, con il bene placito della P.A.
[size=18pt]Somministrazione NON ASSISTITA senza vincoli anche per Ministero - Ris. 372321[/size]
[color=red][b]Ministero dello Sviluppo Economico[/b][/color]
[b]Risoluzione n. 372321 del 28 novembre 2016 - Quesito in materia di consumo sul posto di prodotti di gastronomia all’interno degli esercizi di vicinato[/b]
http://buff.ly/2in1DJA
[color=red][b]AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO[/b][/color]
[b]AS1316 – DISTORSIONI CONCORRENZIALI NEL SETTORE DELLA VENDITA DI ALIMENTI E BEVANDE CON CONSUMO SUL POSTO[/b]
http://www.omniavis.it/web/forum/index.php?topic=37716.0