Data: 2016-02-16 06:34:56

Esenzione dal contributo di costruzione solo se .... (C.d.S. 11 febbraio 2016)

Esenzione dal contributo di costruzione solo se .... (C.d.S. 11 febbraio 2016)

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[color=red][b]Consiglio di Stato, sent. 11 febbraio 2016 n. 595 [/b][/color]

N. 00595/2016REG.PROV.COLL.
N. 01629/2015 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1629 del 2015, proposto da:
Comune di Padova, rappresentato e difeso dagli avv. Marina Lotto e Fabio
Lorenzoni, con domicilio eletto presso Fabio Lorenzoni in Roma, Via del
Viminale N. 43;
contro
Aedilmap Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Stefania Lago, Luciano Penasa e
Andrea Manzi, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, Via Federico
Confalonieri N. 5;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE II n. 00998/2014,
resa tra le parti, concernente accertamento insussistenza diritto amministrazione a
percepire contributo costruzione;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Aedilmap Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2016 il Cons. Antonino
Anastasi e uditi per le parti gli avvocati Lorenzoni, Lotto e Reggio d'Aci, in
dichiarata delega dell’avvocato A. Manzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
In data 3.6.2009 l’Università degli Studi di Padova ha stipulato con la Aedilmap
s.r.l. un preliminare di vendita di cosa futura avente ad oggetto un costruendo
edificio didattico a servizio del Dipartimento di Medicina e Biologia da realizzarsi –
previa variante ad un piano di lottizzazione - in area direzionale.
In data 15.9.2009 il comune, che aveva approvato la variante, ha rilasciato alla
Impresa il relativo permesso di costruire, determinando quanto dovuto a titolo di
contributo per oneri urbanizzazione secondaria e di costruzione.
La società ha versato il contributo con riserva di ripetizione, ha ultimato i lavori ed
ha quindi stipulato con l’Università il contratto definitivo di compravendita.
Quindi la società ha proposto ricorso al TAR Veneto sostenendo che l’edificio
avrebbe dovuto restare esente dal contributo di costruzione.
Con la sentenza in epigrafe indicata l’adito tribunale ha accolto il ricorso rilevando
da un lato che l’edificio universitario in questione costituisce opera di
urbanizzazione secondaria, esente dal contributo ai sensi dell’art. 17 comma 3
lettera c) T.U. n. 380 del 2001; dall’altro che in ogni caso la struttura è stata
realizzata dal privato su incarico e per conto dell’università.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi all’esame dal soccombente
comune di Padova il quale ne ha chiesto l’integrale riforma, deducendo sei motivi
di impugnazione.
Si è costituita l’originaria ricorrente, che ha domandato la conferma della decisione
di primo grado.
Le Parti hanno presentato memorie e note di replica, insistendo nelle già
rappresentate conclusioni.
All’udienza del 28 gennaio 2016 l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
L’appello è fondato.
Come è noto, l’art. 1 della legge n. 10 del 1977 ha introdotto nell’ordinamento il
principio fondamentale secondo cui ogni attività comportante trasformazione
urbanistico/edilizia del territorio partecipa agli oneri da essa derivanti.
Tale principio dell’onerosità del permesso di costruire è oggi confermato dall’art.
11 comma 2 del T.U. n. 380 del 2001, il quale poi precisa all’art. 16 che il relativo
contributo è costituito da due quote, commisurate rispettivamente all’incidenza
delle spese di urbanizzazione e al costo di costruzione dell’edificio assentito.
Rispetto a tale regime generale, l’art. 17 del citato T.U. contempla alcune ipotesi di
riduzione o esonero dal contributo di costruzione, ipotesi che devono considerarsi
– e questo profilo va sottolineato - tassative e di stretta interpretazione proprio
perché, come si è detto, derogatorie rispetto alla regola della normale onerosità del
permesso.
Per quanto rileva nella presente controversia, l’art. 17 comma 3 lettera c) prevede
dunque che il contributo di costruzione non è dovuto “ per gli impianti, le
attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti
istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite
anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”.
Come si vede, l’esenzione di cui si discute riguarda in realtà due ben diverse e non
confondibili ipotesi, relative da un lato alla realizzazione di opere di interesse
generale realizzate dagli enti competenti; dall’altro alle opere di urbanizzazione
eseguite anche da privati.
La sentenza impugnata ha nel caso di specie essenzialmente ritenuto che l’edificio
universitario realizzato da Aedilmap in vista della sua vendita all’Università
configuri la realizzazione di un’opera di urbanizzazione.
Tuttavia la sentenza stessa adombra l’ipotesi che l’edificio dovesse godere
dell’esenzione anche per l’altro titolo, trattandosi cioè di una struttura di interesse
generale.
A parere di questo Collegio tale commistione non è condivisibile, non potendo
l’esenzione ricollegarsi simultaneamente a due diverse qualificazioni formali dello
stesso bene che in realtà non sembra possano coesistere.
E tuttavia, visto quanto statuito dalla sentenza impugnata, in questa sede vanno
esaminati entrambi i profili della questione interpretativa.
Ciò premesso, con il motivo che per ragioni di aderenza al testo normativo
conviene prioritariamente esaminare il comune sostiene che l’edificio in questione
non può ritenersi “opera pubblica realizzata dall’Università” come la disposizione
di riferimento richiede.
Il mezzo è fondato.
Come risulta evidente, la concessione del beneficio per il titolo in rassegna postula
la ricorrenza di due requisiti, l’uno obiettivo l’altro soggettivo.
Nel caso in esame è indubbia la presenza del requisito oggettivo richiesto dall’art.
17 comma 3 lettera c) prima parte, e cioè la finalizzazione dell’edificio universitario
al soddisfacimento di un interesse generale.
Manca invece il requisito soggettivo e cioè la realizzazione dello stesso da parte di
un ente istituzionale.
In tale prospettiva è da tempo acquisito che l’esenzione può essere riferita anche
ad un’opera di interesse generale realizzata da un privato per conto di un ente
pubblico.
Ma in questa ipotesi – secondo consolidata giurisprudenza - l’esenzione spetta
soltanto qualora ( come avviene nella concessione di opera pubblica e in altre
analoghe figure organizzatorie) lo strumento contrattuale utilizzato consenta
formalmente di imputare la realizzazione del bene direttamente all’ente per conto
del quale il privato abbia operato. ( cfr. ex multis V Sez. n. 536 del 1999 e n. 1901
del 2000).
In altri termini, l’esenzione spetta solo se il privato abbia agito quale organo
indiretto dell’amministrazione, come appunto nella concessione o nella delega.
Nel caso all’esame invece la costruzione – come riportato nelle premesse – è stata
edificata dall’impresa sulla base di un preliminare di vendita di cosa futura stipulato
con l’Ateneo padovano: pertanto, come evidenziato da recente e condivisibile
giurisprudenza, la costruzione è avvenuta alla stregua di una tipologia negoziale che
non aveva determinato l’affidamento da parte dell’Università di un incarico
formale per la realizzazione di un’opera. ( cfr. IV Sez. n. 3421 del 2014).
Il fatto che l’Università possa essersi ingerita dettando istruzioni per la concreta
configurazione dell’edificio, da un lato risulta del tutto usuale in questa tipologia di
compravendita; dall’altro e soprattutto non può valere a cancellare le differenze
radicali che intercorrono – quanto a causa funzionale, passaggio del rischio,
produzione dell’effetto traslativo etc. – tra la concessione o l’appalto da una parte e
il contratto di vendita di cosa futura dall’altra.
Del resto, anche a non voler considerare questi profili prettamente civilistici, deve
pur ricordarsi che l’ordinamento interno – sulla scia della normativa comunitaria –
tipicizza in modo tassativo attraverso il codice degli appalti gli strumenti che la
pubblica amministrazione può utilizzare per la realizzazione delle opere pubbliche:
di talchè, ove in luogo di questi strumenti l’Amministrazione utilizzi la
compravendita per procurarsi il bene, deve presumersi che la qualificazione di esso
quale opera pubblica consegue al prodursi dell’effetto traslativo e non lo precede.
Come è noto, in passato la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in sede
consultiva ha affermato che l'esperibilità della vendita di cosa futura da parte della
Pubblica amministrazione (nella specie di un immobile) è in astratto ammissibile,
anche se in concreto condizionata dalla ricorrenza di situazioni eccezionalissime e
dalla necessità - dettata dalla finalità di evitare intenti elusivi del principio
tendenziale e generale del procedimento d'appalto - che l'Amministrazione valuti
preventivamente la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie di realizzazione
delle opere pubbliche. ( cfr. Ag. n. 2 del 2000).
Questo Collegio dubita della perdurante validità di tale pur autorevole
insegnamento a fronte della evoluzione della vincolante normativa comunitaria e a
fronte delle previsioni contenute nel sopravvenuto codice degli appalti, secondo
cui la esecuzione di opere e lavori da parte dell’Amministrazione non può che
essere oggetto di contratti di concessione o appalto.
E tuttavia – non essendo questa la sede per valutare la legittimità di un assetto
contrattuale che ha condotto le parti a prescindere da ogni profilo di evidenza
pubblica – ciò che qui conta è che in definitiva e in termini piani l’Università non
ha formalmente realizzato l’opera, in quanto ha omesso di utilizzare gli unici
strumenti contrattuali all’uopo apprestati dall’ordinamento.
Specularmente, sempre in termini piani, la società costruttrice non ha mai
conseguito dall’Ateneo un appalto o concessione ad evidenza pubblica ma ha
semplicemente venduto ad esso un immobile ( costruito in base a un preliminare di
un contratto ad effetti obbligatori) e non può pertanto pretendere un beneficio
spettante ai privati solo se essi hanno edificato per conto della mano pubblica.
In conclusione deve escludersi – sia nell’ottica civilistica sia soprattutto in quella
pubblicistica - che nel caso all’esame si trattasse di un’opera di interesse generale
realizzata da un ente competente.
A quanto sin qui osservato va solo aggiunto, per completezza, che in realtà se si
fosse veramente trattato di un’opera pubblica di interesse statale realizzata dall’ente
competente, la disciplina del permesso di costruire e dei relativi oneri contenuta
nel Titolo II del T.U. edilizia sarebbe stata in radice inapplicabile, giusta il disposto
dell’art. 7 comma 1 lettera b) del DPR n. 380 del 2001.
Con il secondo motivo l’appellante comune di Padova deduce che ha errato il
Tribunale nel qualificare in via principale l’edificio universitario come opera di
urbanizzazione eseguita da privati in esecuzione di strumenti urbanistici.
Anche questo mezzo è fondato.
Come è noto, l’art. 4 secondo comma della legge n. 847 del 1964 e s.m. ( con
previsione ora sostanzialmente confermata dall’art. 16 comma 8 del T.U.) qualifica
come opere di urbanizzazione secondaria – per quanto ci interessa - le scuole
dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore dell’obbligo.
Secondo il TAR, che ha condiviso l’impostazione della ricorrente, un edificio
universitario costituisce appunto struttura per l’istruzione superiore dell’obbligo.
Tale conclusione non sembra condivisibile, innanzi tutto sul piano testuale perché
nella tradizione amministrativa è ben scolpita la differenziazione tra gli istituti di
istruzione dei vari ordini e gradi e quelle che l’art. 33 Cost. designa come istituzioni
di alta cultura università e accademie.
A prescindere da questi labili rilievi, sul decisivo piano sistematico deve in estrema
sintesi ricordarsi da un lato che la citata legge n. 847/1964 in tanto ha per la prima
volta elencato le opere di urbanizzazione secondaria in quanto ha contestualmente
facoltizzato i comuni ad accendere mutui per la loro realizzazione nell’ambito dei
piani di zona; dall’altro che la legge n. 10 del 1977 ( con previsione non ripresa dal
T.U.) imponeva il versamento dei contributi concessori proprio ai comuni con
vincolo di destinazione appunto per la realizzazione delle opere di urbanizzazione.
Ne deriva che le opere di urbanizzazione secondaria hanno tendenzialmente una
dimensione comunale o infra-comunale, in quanto finalizzate a migliorare il grado
di fruibilità di uno specifico e circoscritto insediamento urbano mediante la
creazione da parte dell’ente locale di determinate strutture di supporto per servizi
fruibili da quella comunità.
Di talchè come uno stadio internazionale non costituisce opera di urbanizzazione
secondaria, essendo tale qualifica riservata solo agli impianti sportivi di quartiere;
come un interporto o un mercato all’ingrosso non costituisce opera di
urbanizzazione secondaria essendo tale qualifica riservata ai mercati di quartiere;
così una facoltà universitaria – in quanto volta ad erogare un servizio pubblico che
esorbita dalla dimensione locale – non può essere assimilata ai fini in esame alle
scuole di ogni ordine e grado.
Ovviamente, stadio internazionale interporto e facoltà universitaria possono
guadagnare l’esenzione, ma al diverso titolo di cui sopra ( e cioè in quanto impianti
di interesse generale) ove ricorra anche il requisito soggettivo.
Tanto chiarito, sempre in estrema sintesi si osserva che peraltro nel caso all’esame
l’opera pubblica – anche a volerla annoverare fra quelle di urbanizzazione
secondaria – non risulta comunque eseguita in attuazione di specifica previsione
dello strumento urbanistico, come la legge richiede.
Infatti l’opera di urbanizzazione consegue l’esenzione solo se sia specificamente
prevista e così espressamente qualificata dallo strumento urbanistico ( cfr. CGA n.
223 del 2014).
[color=red][b]In sostanza ai fini dell’esenzione dal contributo per opere di urbanizzazione devesi
utilizzare lo stesso criterio che vige nel caso simmetrico dello scomputo per
realizzazione diretta dell’infrastruttura secondaria, nel quale la materiale
realizzazione dell’opera da parte del privato non rileva se non è preceduta da un
atto della p.a. che individui il tipo e l’entità delle opere ammesse a scomputo.[/b][/color]
[b]Applicando detta regola si rileva che nel caso all’esame la variante al piano di
lottizzazione approvata dal comune ha sì consentito la realizzazione della struttura
universitaria in un ambito altrimenti destinato ad insediamenti direzionali ma non
ha apposto all’area di insistenza la qualificazione A/F propria delle attrezzature di
interesse comune o a disposizione della collettività, con la conseguenza che la
struttura non costituisce attuazione o esecuzione di una specifica previsione di
piano.[/b]
[b]Sulla scorta delle considerazioni che precedono ed assorbita ogni altra questione
l’appello del comune di Padova va quindi accolto con integrale riforma della
sentenza gravata e rigetto del ricorso originario[/b]
Le spese e gli onorari del giudizio vanno però compensati tra le Parti avuto
riguardo alla complessità di alcune delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie,
riforma integralmente la sentenza impugnata e respinge il ricorso introduttivo.
Le spese del giudizio sono compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2016 con
l'intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente, Estensore
Nicola Russo, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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