Data: 2016-02-11 08:14:35

Benedizione pasquale scuole - sentenza CONTRO e sentenza PRO

Benedizione pasquale scuole - sentenza CONTRO e sentenza PRO

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[size=24pt][color=red][b]SENTENZA CONTRO[/b][/color][/size]

[color=red][b]TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. I – sentenza 9 febbraio 2016 n. 166 [/b][/color]

N. 00166/2016 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 155 del 2015 proposto da Monica Fontanelli, Gianluca Gabrielli, Francesca Gattullo, Cristiana Collevecchio, Silvia Santunione, Francesco Tripodi, Maria Guerrini, Barbara Beretta, Carla Carpigiani, Giacomo Mancini, Giovanna Palmieri, Furio Ferraresi, Silvia Priore, Michela Setti, Giacomo Zerbini, Elide Melchioni, Angela Giardino, Anna Maria Toni, e dal Comitato Bolognese Scuola e Costituzione (in persona del legale rappresentante Bruno Moretto), tutti rappresentati e difesi dall’avv. Patrizio Ivo D’Andrea, dall’avv. Franco Bambini, dall’avv. Nazzarena Zorzella e dall’avv. Maria Virgilio, e presso quest’ultima elettivamente domiciliati in Bologna, via Rubbiani n. 3;

contro

il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e l’Istituto comprensivo n. 20 di Bologna, in persona dei rispettivi rappresentanti legali p.t., difesi e rappresentati dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege;

nei confronti di

Parrocchia della SS. Trinità, Parrocchia di S. Giuliano e Parrocchia di S. Maria della Misericordia, non costituite in giudizio;

per l’annullamento

– quanto all’atto introduttivo della lite – della deliberazione n. 50/2015 in data 9 febbraio 2015, con cui il Consiglio di Istituto dell’Istituto comprensivo n. 20 di Bologna ha disposto di “[b]concedere l’apertura dei locali scolastici di tutti e tre i plessi dell’I.C. 20 per le benedizioni pasquali richieste dai parroci del territorio, con le seguenti modalità: – la benedizione pasquale dovrà avvenire in orario extra scolastico; – gli alunni dovranno essere accompagnati dai familiari, o comunque da un adulto che se ne assume l’onere della sorveglianza[/b]”;

– quanto all’atto di “motivi aggiunti” depositato il 19 maggio 2015 – della deliberazione n. 52/2015 in data 12 marzo 2015 (e relativo verbale) con cui il Consiglio di Istituto dell’Istituto comprensivo n. 20 di Bologna ha disposto di “aprire i locali scolastici nelle date proposte (…)”, della determinazione prot. n. 0001754 A/35 in data 11 marzo 2015 con cui il Dirigente Scolastico ha disposto la “concessione di un locale scolastico, ai parroci che ne hanno fatto specifica richiesta, Parrocchia SS. Trinità, S. Giuliano e S. Maria della Misericordia, per l’espletamento di attività di benedizione pasquale senza fini di lucro nelle giornate riportate in apposita convenzione” e di tre convenzioni sottoscritte in data 13 marzo 2015 con i tre parroci richiedenti.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di “motivi aggiunti” depositato il 19 maggio 2015;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dell’Istituto comprensivo n. 20 di Bologna;

Visti gli atti tutti della causa;

Nominato relatore il dott. Italo Caso;

Uditi l’avv. Maria Virgilio e l’avv. Laura Paolucci, per le parti, alla pubblica udienza del 27 gennaio 2016;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Richiesto dalla Parrocchia della SS. Trinità, dalla Parrocchia di S. Giuliano e dalla Parrocchia di S. Maria della Misericordia – tutte con sede in Bologna – il permesso di “compiere, in occasione della prossima S. Pasqua, il rito della Benedizione Pasquale per gli alunni della Scuola di rispettiva competenza. Il rito potrebbe svolgersi al termine delle lezioni di uno degli ultimi giorni precedenti le vacanze pasquali, radunando gli alunni che volessero parteciparvi in un conveniente locale (salone o palestra) …”, il Consiglio di Istituto dell’Istituto comprensivo n. 20 di Bologna disponeva di “concedere l’apertura dei locali scolastici di tutti e tre i plessi dell’I.C. 20 per le benedizioni pasquali richieste dai parroci del territorio, con le seguenti modalità: – la benedizione pasquale dovrà avvenire in orario extra scolastico; – gli alunni dovranno essere accompagnati dai familiari, o comunque da un adulto che se ne assume l’onere della sorveglianza” (v. delib. n. 50/2015 in data 9 febbraio 2015).

Avverso tale provvedimento hanno proposto impugnativa i ricorrenti, alcuni in veste di docenti dei plessi scolastici interessati e altri in quanto genitori di alunni della scuola, oltre ad un’associazione avente quale finalità statutaria la salvaguardia della laicità e aconfessionalità della scuola pubblica.

[b]Assumono che, in quanto rito o atto di culto religioso, la benedizione pasquale cattolica non rientrerebbe né nelle varie forme di attività scolastica (artt. 7 e 10 del d.lgs. n. 297/1994) né nelle iniziative “complementari” ed “integrative” previste dal d.P.R. n. 567 del 1996, sicché esulerebbe il suo svolgimento dalle competenze dell’istituzione scolastica, chiamata ad occuparsi delle sole attività suscettibili di far parte dell’offerta formativa affidata alle sue cure; ciò anche in quanto la collocazione della pratica religiosa al di fuori dell’orario scolastico e senza obbligo di partecipazione degli alunni, pur apparentemente salvaguardando la libertà religiosa dei componenti della comunità scolastica, otterrebbe comunque l’effetto di accostare l’istituzione al cattolicesimo e di lederne di conseguenza l’imparzialità, la neutralità, la laicità e la aconfessionalità, oltre a condizionare in modo significativo soggetti deboli come gli studenti, senza tenere conto della necessità di evitare qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione (art. 43 d.lgs. n. 286/1998; art. 2 d.lgs. n. 216/2003) e di tutelare diritti fondamentali quali quello alla non discriminazione (artt. 2 e 3 Cost), alla libertà religiosa (art. 19 Cost.) e di pensiero (art. 21 Cost.). Denunciano, inoltre, l’incompetenza del Consiglio di Istituto, in quanto se anche un atto di culto potesse costituire attività didattico/culturale la questione sarebbe in ogni caso riconducibile alle attribuzioni del Collegio dei docenti (art. 7 d.lgs. n. 297/1994); ove, invece, si trattasse di attività ascrivibile alle iniziative “complementari” o “integrative”, sarebbe stato comunque necessario acquisire l’avviso del Collegio dei docenti (art. 4 d.P.R. n. 567/1996). Lamentano, poi, l’assenza di qualsivoglia motivazione della scelta operata. Deducono, infine, l’illogicità e contraddittorietà del deliberato, per l’incertezza delle modalità di attuazione della decisione quanto a locale scolastico interessato, a giorno e ora dell’evento, a sorveglianza degli alunni.[/b]

Di qui la richiesta di annullamento dell’atto impugnato.

Successivamente, il Dirigente Scolastico dell’Istituto comprensivo n. 20 di Bologna disponeva la “concessione di un locale scolastico, ai parroci che ne hanno fatto specifica richiesta, Parrocchia SS. Trinità, S. Giuliano e S. Maria della Misericordia, per l’espletamento di attività di benedizione pasquale senza fini di lucro nelle giornate riportate in apposita convenzione” (v. determinazione prot. n. 0001754 A/35 in data 11 marzo 2015), il Consiglio di Istituto individuava date e locali presso le tre strutture scolastiche coinvolte (v. delib. n. 52/2015 in data 12 marzo 2015) e l’Istituto infine sottoscriveva con i tre parroci le relative convenzioni (in data 13 marzo 2015).

Avverso le sopraggiunte determinazioni hanno proposto impugnativa i ricorrenti con atto di “motivi aggiunti” depositato il 19 maggio 2015.

Ripropongono le questioni già dedotte con l’atto introduttivo della lite, replicando altresì alle osservazioni dell’Avvocatura dello Stato circa la possibile riconducibilità della decisione al disposto dell’art. 96 del d.lgs. n. 297 del 1994, così come irrilevante nel caso di specie sarebbe la norma di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 296 del 2005. Insistono, ancora, sull’incompetenza del Consiglio di Istituto o quanto meno sulla mancata acquisizione dell’avviso del Collegio dei docenti, nonché sull’insussistenza della motivazione a corredo delle determinazioni adottate. Imputano, poi, al Dirigente scolastico di avere invocato previsioni normative non applicabili al caso di specie. Deducono, infine, che la determinazione del Dirigente Scolastico risulta in realtà adottata il giorno prima della deliberazione n. 52/2015 del Consiglio di Istituto invocata a proprio fondamento, sicché ne difetterebbe lo stesso presupposto giuridico.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e l’Istituto comprensivo n. 20 di Bologna, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, resistendo al gravame.

All’udienza del 27 gennaio 2016, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.

Il Collegio è innanzi tutto chiamato a pronunciarsi sulle eccezioni processuali sollevate dall’Avvocatura dello Stato.

Quanto all’addotta insussistenza di un interesse giuridicamente protetto degli insegnanti a censurare la mera destinazione di alcuni locali ad attività da svolgersi al di fuori dell’orario di servizio scolastico per finalità estranee a quelle di istruzione e formazione e senza adempimenti a carico del personale docente, si tratta di assunto che non tiene in realtà conto della circostanza che gli atti impugnati hanno quale destinataria l’intera comunità scolastica dell’Istituto comprensivo n. 20 di Bologna, nelle sue varie componenti, tanto da avere il Dirigente Scolastico espressamente avvertito della possibilità di partecipazione anche i docenti e il personale amministrativo (v. nota del 16 marzo 2015). Del resto, lo scopo dell’iniziativa non era quello di reperire dei locali, quali che fossero, per svolgervi attività di culto aperta alla generalità dei praticanti cattolici, quanto piuttosto di coinvolgere nel rito della benedizione pasquale fruitori e componenti dell’istituzione scolastica, in primis naturalmente gli alunni, ma anche gli insegnanti e il personale non docente.

Quanto, poi, al denunciato difetto di legittimazione di un’associazione che avrebbe il solo fine statutario della tutela della laicità della scuola pubblica e che dovrebbe dunque restare estranea ad una vicenda riguardante la mera gestione di un edificio per scopi diversi dalle funzioni istituzionali dell’ente scolastico, va evidenziato come oggetto del contendere sia proprio la qualificazione giuridica degli atti impugnati e l’attitudine delle relative determinazioni ad interferire con la libertà religiosa di quanti operano nell’àmbito scolastico. Pertanto, sussiste la legittimazione dell’associazione ricorrente a vedere accertato se le scelte compiute dall’Istituto comprensivo n. 20 di Bologna siano rispettose delle regole che presiedono al rapporto tra istituzioni scolastiche e religione.

Nel merito, va premesso che il principio costituzionale della laicità o non-confessionalità dello Stato, secondo una costante lettura della Corte costituzionale, non significa indifferenza di fronte all’esperienza religiosa ma comporta piuttosto equidistanza e imparzialità rispetto a tutte le confessioni religiose. Ciò fa sì che anche la tutela della libertà religiosa non si risolve nell’esclusione totale dalle istituzioni scolastiche di tutto ciò che riguarda il credo confessionale della popolazione, purché l’attività formativa degli studenti si giovi della conoscenza di simili fenomeni se ed in quanto fatti culturali portatori di valori non in contrasto con i principi fondanti del nostro ordinamento e non incoerenti con le comuni regole del vivere civile, non potendo invece la scuola essere coinvolta nella celebrazione di riti religiosi che sono essi sì attinenti unicamente alla sfera individuale di ciascuno – secondo scelte private di natura incomprimibile – e si rivelano quindi estranei ad un àmbito pubblico che deve di per sé evitare discriminazioni.

Orbene, nel fornire un fondamento normativo alla decisione nella fattispecie assunta l’Amministrazione scolastica invoca le previsioni di cui all’art. 96, comma 4 (“Gli edifici e le attrezzature scolastiche possono essere utilizzati fuori dell’orario del servizio scolastico per attività che realizzino la funzione della scuola come centro di promozione culturale, sociale e civile …”) e comma 6 (“Nell’ambito delle strutture scolastiche, in orari non dedicati all’attività istituzionale, o nel periodo estivo, possono essere attuate, a norma dell’art. 1 della legge 19 luglio 1991, n. 216, iniziative volte a tutelare e favorire la crescita, la maturazione individuale e la socializzazione della persona di età minore al fine di fronteggiare il rischio di coinvolgimento dei minori in attività criminose”), del d.lgs. n. 297 del 1994; l’Avvocatura dello Stato, in particolare, insiste sul mero atto di disposizione temporanea dell’uso dei locali, per un loro impiego estraneo alle funzioni istituzionali, sì che non si tratterebbe di iniziativa contrastante con i compiti propri dell’istituto scolastico, il quale non sarebbe in alcun modo parte delle attività da svolgersi in quei locali e non ne sarebbe neppure il promotore. In realtà – osserva il Collegio – la norma invocata, benché in relazione ad un’utilizzazione della struttura all’infuori dell’orario del servizio scolastico, richiede pur sempre che si tratti di “…attività che realizzino la funzione della scuola come centro di promozione culturale, sociale e civile …” (comma 4), ovvero non scinde il nesso con le attribuzioni dell’istituzione che ha in uso i locali, ancorandone la destinazione al raggiungimento di obiettivi che sottintendono la piena partecipazione della comunità scolastica, oltre che della collettività in generale, in funzione di una crescita complessiva improntata all’arricchimento del loro patrimonio culturale, civile e sociale; in quest’ottica, allora, non v’è spazio per riti religiosi – riservati per loro natura alla sfera individuale dei consociati –, mentre ben possono esservi occasioni di incontro che su temi anche religiosi consentano confronti e riflessioni in ordine a questioni di rilevanza sociale, culturale e civile, idonei a favorire lo sviluppo delle capacità intellettuali e morali della popolazione, soprattutto scolastica, senza al contempo sacrificare la libertà religiosa o comprimere le relative scelte. Che un’invalicabile linea di confine sia a tali fini costituita dalla circostanza che si tratti o meno di un atto di culto religioso è del resto confermato da una pronuncia del giudice amministrativo che, chiamato a stabilire se dovesse riconoscersi alla visita pastorale dell’Ordinario diocesano presso le comunità scolastiche un effetto discriminatorio nei confronti dei non appartenenti alla religione cattolica, ha rilevato come, alla luce della definizione contenuta nell’art. 16 della legge n. 222 del 1985, non si trattasse di attività di culto o di cura delle anime ma piuttosto di testimonianza culturale tesa ad evidenziare i contenuti della religione cattolica in vista di una corretta conoscenza della stessa, così come sarebbe stato nel caso di audizione di un esponente di un diverso credo religioso o spirituale (v. Cons. Stato, Sez. VI, 6 aprile 2010 n. 1911). [color=red][b]Nella fattispecie, al contrario, è stato autorizzato un vero e proprio rito religioso da compiersi nei locali della scuola e alla presenza della comunità scolastica, sì che non ricorre l’ipotesi di cui all’art. 96, comma 4, del d.lgs. n. 297 del 1994, e neppure quella di cui al successivo comma 6, riferito al ben diverso àmbito delle iniziative disocializzazione e stimolo della maturazione degli studenti per “…fronteggiare il rischio di coinvolgimento dei minori in attività criminose”.[/b][/color]

Né un fondamento normativo può l’Amministrazione scolastica rinvenire nella disposizione di cui all’art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 567 del 1996 (“Le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, nell’ambito della propria autonomia, anche mediante accordi di rete ai sensi dell’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, definiscono, promuovono e valutano, in relazione all’età e alla maturità degli studenti, iniziative complementari e integrative dell’iter formativo degli studenti, la creazione di occasioni e spazi di incontro da riservare loro, le modalità di apertura della scuola in relazione alle domande di tipo educativo e culturale provenienti dal territorio, in coerenza con le finalità formative istituzionali”). A fronte della previsione per cui “le iniziative complementari (…) si inseriscono negli obiettivi formativi delle scuole …” (comma 2) e “le iniziative integrative sono finalizzate ad offrire ai giovani occasioni extracurricolari per la crescita umana e civile e opportunità per un proficuo utilizzo del tempo libero …” (comma 3), [b]va ribadito che le attività di culto religioso attengono alle pratiche di esercizio del credo confessionale di ciascun individuo e restano confinate nella sfera intima dei singoli, mentre una rilevanza culturale, non lesiva della libertà religiosa e non incompatibile con il principio di laicità dello Stato – quindi non escludente quanti professano una fede religiosa diversa o sono atei –, hanno tutte le attività che, nel diffondere elementi di conoscenza e approfondimento circa le religioni, la loro storia e le relazioni nel tempo intessute con la comunità, contribuiscono ad arricchire il sapere dei cittadini e ad assecondare in tal modo il progresso della società.[/b]

Di qui, assorbite le restanti doglianze, la fondatezza del ricorso e il conseguente annullamento degli atti impugnati.

La peculiarità delle questioni esaminate e la carenza di consolidati precedenti giurisprudenziali in materia inducono alla compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Compensa le spese di lite, ma con la rifusione ai ricorrenti del contributo unificato (onere a carico dell’Amministrazione scolastica).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 27 gennaio 2016, con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Di Nunzio, Presidente

Italo Caso, Consigliere, Estensore

Ugo De Carlo, Primo Referendario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 09/02/2016.


[size=24pt][color=red][b]SENTENZA PRO[/b][/color][/size]

[b]TAR UMBRIA – sentenza 30 dicembre 2015 n. 677 [/b]

sent. 30.12.2005 n. 677

R.G. 242/2002

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale dell’Umbria

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 242/2002, proposto da:

1) Associazione 31 Ottobre per una scuola laica e pluralista, in persona del legale rappresentante pro tempore;

2) Tavola Valdese, in persona del legale rappresentante pro tempore;

3) Chiesa Valdese di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore;

4) Francesco Giovanni SAGRIPANTI, Stefano ANGELINI, Fabrizio CIAPPI, Antonia Carmela VIOLI, Matilde BIA­GIOLI, Licia BOEMIO, Antonella GIACON, Fiorenza GIANNINI, i primi tre anche in rappre­sen­tanza legale dei rispettivi figli minorenni

tutti rappresentati e difesi dall’avv. Maria Siniscalco con domicilio eletto presso la stessa in Perugia, via Pennacchi, 7

contro

1) Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia e legalmente domiciliato presso la stessa in Perugia, via degli Offici, 14;

2) Circolo Didattico di Corciano, e 3) Consiglio di circolo di Corciano non costituiti

con intervento ad opponendum di

Mauro MASSOLI, rappresentato e difeso dall’avv. Carlo Alberto Franchi, con domicilio eletto presso lo stesso in Perugia, via XX Settembre, 76

per l’annullamento

della delibera del Consiglio di circolo presso la Direzione didattica di Corciano, 14 marzo 2002, n. 11, con la quale il Consiglio ha autorizzato la “benedizione pasquale” presso le scuole del Circolo, demandando ai consigli di interclasse e di intersezione di determinare le relative modalità; e di tutti i provvedimenti connessi, consequenziali, etc., ivi compresa in particolare la circolare ministeriale 13 febbraio 2002, n. 13377/544/MS.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero;

Visto l’atto d’intervento ad opponendum;

Viste le memorie e gli atti tutti del giudizio;

Data per letta, all’udienza del 7 dicembre 2005 la re­la­zione del Consigliere Cardoni e udite le parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO

1. Nella seduta del 13 marzo 2002, il Consiglio di circolo annesso alla Direzione didattica di Corciano ha deliberato di «autorizzare la benedizione pasquale delle scuole del Circolo [purché] prevista con anticipo e motivata, ed in ogni caso la partecipazione degli alunni e dei docenti a tale iniziativa dovrà essere libera; riservare le modalità organizzative ai Consigli di Intersezione e di Interclasse delle rispettive scuole del Circolo in conformità a quanto previsto dalla normativa vigente (…)».

Con il ricorso in epigrafe, la delibera viene impugnata da numerosi soggetti diversamente titolati (esponenti istituzionali di una confessione non cattolica, genitori di alunni, insegnanti, una associazione privata, etc.).

Resiste l’amministrazione scolastica.

Ha spiegato, altresì, intervento ad opponendum un altro genitore, Mauro Massoli, che all’epoca dell’adozione dell’atto impugnato era presidente del Consiglio di circolo e si dichiara mandatario (ancorché, ovviamente, non in senso processualmente rilevante) di altri 224 genitori dei quali produce le firme.

2. Occorre esaminare preliminarmente l’eccezione d’inam­mis­si­­bilità dell’intervento per tardività, sollevata in sede di discussione dal difensore dei ricorrenti.

Il Collegio osserva che nel giudizio amministrativo l’intervento ad opponendum non soggiace ad alcun termine, come si desume anche dal fatto che il regolamento di procedura (r.d. n. 642/1907) all’art. 40 dispone che «l’intervento ha luogo nello stato in cui si trova la contestazione». Si ritiene, semmai, che un intervento effettuato (come nella specie) nell’im­mi­nenza della discussione giustifichi una eventuale richiesta di rinvio nell’interesse delle altre parti (Cons. Stato, sez. IV, 23/01/2002, n.391, e altre). Nel caso in esame, tuttavia, tale richiesta non è stata fatta.

L’eccezione dunque dev’essere respinta.

3. Nel merito, conviene innanzi tutto chiarire l’oggetto del contendere, o più precisamente puntualizzare in che cosa consista, di fatto, il rito della benedizione pasquale secondo la tradizione cattolica, e quali effetti materiali produca sull’attività e sulla vita scolastica il suo eventuale svolgimento all’interno di una scuola.

A questi interrogativi è facile rispondere utilizzando le comuni conoscenze ed esperienze, trattandosi di pratica tradizionale diffusa presso la grande maggioranza della popolazione e che come tale si può presumere ben conosciuta anche dai non praticanti.

La benedizione pasquale, nella tradizione cattolica, si ripete una volta all’anno (nel periodo prepasquale) ed è un rito caratterizzato dalla brevità e dalla semplicità; dura, solitamente, pochissimi minuti e non richiede particolari preparativi, né lascia tracce visibili.

Per chi ne condivide lo spirito, esso ha il significato di una invo­cazione della presenza e della benedizione di Dio nei luoghi dove si vive e si lavora; per chi vuol praticarlo, dunque, questo semplice rito ha senso in quanto si svolga in un luogo determinato, mentre non avrebbe senso (o, co­munque, il medesimo senso) se fatto altrove; e ciò spiega il motivo per cui un rilevante numero di genitori, nella fattispecie, abbia espresso il desi­derio che esso si svolga nella scuola frequentata dai loro figli.

Si può dare ugualmente per notorio e conosciuto – per quanto possa qui rilevare – che nel corso di questo breve rito non viene fatto o detto nulla che possa risultare sgradevole o offensivo per chi si trovi ad assi­stervi senza condividerne lo spirito (a meno che non si tratti di un intollerante, che si sente offeso per il solo fatto che altri professi convinzioni diverse dalle proprie). Altro si direbbe, invece, se il rito includesse, ad esempio, invocazioni alla divinità perché punisca con lo sterminio e atroci sofferenze gli infedeli e i nemici; invocazioni del genere giusta­men­te potrebbero disturbare anche chi non creda alla loro efficacia, ma non è questo il caso.

4. Se questo è vero, ne consegue – prescindendo tempo­ra­nea­mente dalla specifica problematica inerente al carattere religioso della manifestazione – che la “benedizione pasquale” non arreca all’ordinato svolgimento della didattica e della vita scolastica perturbazioni maggiori di quelle arrecate dalle innumerevoli iniziative denominabili (in senso lato e ge­ne­rico) “parascolastiche” che abitualmente e pacificamente vengono pro­gram­mate o autorizzate dagli organi di autonomia delle singole scuole – spesso anche senza che si ritenga necessaria una formale delibera.

Giuridicamente, in questo caso il Consiglio di Circolo ha inteso esercitare l’autonomia che gli compete in forza dell’art. 6 del d.lgs. n. 416/1974, ora riprodotto dall’art. 10 del t.u. n. 297/1994.

Secondo detta normativa, al Consiglio di Circolo spetta, fra l’altro, deliberare in merito ai seguenti argomenti: «[omissis] c) adattamento del calendario scolastico alle specifiche esigenze ambientali; d) criteri generali per la programmazione educativa; e) criteri per la programmazione e l’at­tua­zione delle attività parascolastiche, interscolastiche, extra­sco­la­stiche, con particolare riguardo ai corsi di recupero e di sostegno, alle libere attività complementari, alle visite guidate e ai viaggi di istruzione; f) pro­mo­zione di contatti con altre scuole o istituti al fine di realizzare scambi di informazioni e di esperienze e di intraprendere eventuali ini­zia­tive di col­la­borazione; g) partecipazione del circolo o dell’istituto ad attività culturali, sportive e ricreative di particolare interesse educativo (…) ».

Si può fare ricorso, ancora una volta, alle comuni conoscenze ed espe­rienze per affermare che l’art. 6 del d.lgs. n. 416/1974 è applicato, nella prassi “vivente”, in senso non certo restrittivo bensì estensivo o co­mun­que elastico e flessibile, quanto alla tipologia delle attività “para­sco­lastiche”, “extrascolastiche”, “complementari”, etc., che gli organi scola­­stici possono autonomamente programmare o autorizzare.

Come pure rientra nelle comuni conoscenze ed esperienze, che dal 1974 (data della loro istituzione) ad oggi, gli organi collegiali hanno pro­gres­si­vamente aumentato, e non già diminuito, gli spazi della loro auto­nomia; ciò anche per effetto dell’evoluzione normativa, ma, indipen­den­temente da questa, anche per una evoluzione della prassi.

In particolare, è sopravvenuto il d.P.R. n. 275/1999 (rego­lamento sull’autonomia scolastica) il cui art 4 dispone: «Le istituzioni scolastiche, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e delle finalità generali del sistema (…) concretizzano gli obiettivi nazionali in percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni, riconoscono e valorizzano le diversità, promuovono le potenzialità di ciascuno adottando tutte le iniziative utili al raggiungimento del suc­ces­so formativo».

Sembra chiaro che il regolamento del 1999 si propone di ampliare la sfera dell’autonomia, ben oltre i confini (per quanto essi stessi non rigorosi) della normativa previgente.

In particolare, nel regolamento del 1999 la frase «riconoscono e valorizzano le diversità» sta ad indicare che sono ammesse, anzi incorag­giate, anche le iniziative che si rivolgono, invece che alla generalità compatta degli allievi, a gruppi di essi, caratterizzati da specifici interessi o da appartenenze, ad es., etniche o culturali; in un clima di reciproca conoscenza, accettazione e rispetto (dei più verso i meno, e anche dei meno verso i più).

5. Beninteso, gli organi dell’autonomia scolastica debbono darsi carico anche dell’esigenza – di per sé anzi prioritaria – di mantenere un certo ordine e una certa regolarità nello svolgimento dell’attività didatti­ca propriamente detta.

Pertanto, anche la più apprezzabile delle iniziative “collaterali” (nel senso largo del termine, come detto sopra) dovrà essere scartata, qualora risulti incompatibile, sul piano organizzativo (per ragioni di durata, fre­quenza, complessità, etc.) con quella esigenza.

Ma a questo serve, appunto, la discrezionalità degli organi dell’autonomia. In questo caso, il Consiglio di Circolo ha ritenuto, nella sua discrezionalità, che la manifestazione di cui si discute non sia tale da incidere significativamente sull’ordinato svolgimento della vita scolastica. Questa valutazione discrezionale appare, in sé, immune da censure – a parte la problematica specificamente inerente al carattere religioso della manifestazione, della quale ci si occuperà più avanti – stante quanto già detto riguardo alla brevità ed alla semplicità del rito, e a maggior ragione se si fa un confronto con le tante altre iniziative (talune anche di dubbio valore educativo) che, con il consenso degli organi scolastici, sottrag­gono tempo all’inse­gnamento ed allo studio.

Per i profili sin qui esaminati, dunque, la delibera impugnata appare legittima.

6. Ciò posto, si passa ora a verificare se in ragione del carattere religioso della manifestazione si debba giudicare diversamente.

Che è quanto chiedersi se una (minima) sottrazione di tempo all’insegnamento ordinario, che sarebbe pienamente legittima o tollerabile se finalizzata a permettere la partecipazione degli alunni (o di parte di essi) ad una qualsivoglia attività, ad es., culturale, o sportiva, o anche sem­­pli­­ce­­mente ludica e ricreativa, divenga, invece, illegittima o in­tol­le­rabile se finalizzata a per­mettere la partecipazione degli alunni (o di parte di essi) ad una iniziativa di carattere religioso.

Posta la questione in questi termini, sembra inevitabile rispondere che il nostro ordinamento costituzionale non consente di assumere il carat­tere religioso di una attività, o comportamento, o manifestazione del pensiero, quale discriminante negativa – di tal che un atto possa diventare vietato o intollerabile solo perché espressione di una fede religiosa, laddove, se non avesse carattere religioso, a parità di ogni altra condi­zione sarebbe giudicato ammissibile e legittimo.

Ciò si evince, fra l’altro, dall’art. 20 della Costituzione, a norma del quale «il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative (…) per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di atti­vità». E’ questo, chiaramente, il rifiuto di una discriminazione “in negativo” delle espressioni religiose in quanto tali.

Vero è, semmai, che la partecipazione a qualunque rito religioso (nella scuola come altrove) non può essere imposta, ma deve essere libera. Così come deve essere garantita pari libertà e pari dignità alle diverse mani­festazioni religiose, come pure alla scelta di non prati­carne nessuna. E, ancora, si esige che chi richiede, per sé, il rispetto e la libertà di com­piere atti religiosi, sia reciprocamente disposto a riconoscere pari libertà e tribu­tare uguale rispetto alle manifestazioni altrui. Ma, una volta soddi­sfatti questi requisiti (reciprocità; non imposizione; etc.) una manife­sta­zio­ne religiosa non può godere, solo perché tale, di minori spazi di libertà e di minore rispetto di quelli che sono riconosciuti a manifestazioni di altro genere.

Ora, nella delibera impugnata è esplicitamente ricordato che «la partecipazione degli alunni e dei docenti a tale iniziativa dovrà essere libera»; sicché sotto questo profilo non vi è questione. Si è già detto, inoltre, che al rito della benedizione pasquale è estranea ogni espressione di ostilità o di avversione verso i cultori di altre fedi (o di nessuna fede), sicché non si può dire che manchi il requisito del rispetto reciproco. Non risulta nemmeno che la delibera del Consiglio di Circolo sia viziata da di­spa­rità di trattamento, come si direbbe ove fosse stato dimostrato che ai fedeli di altre confessioni non venga consentita uguale libertà di espres­sione, a parità delle altre condizioni. Infine, il Consiglio di Circolo ha de­man­­dato ai consigli di classe la determinazione delle modalità orga­nizza­tive di dettaglio (quali la scelta dell’orario, le attività alternative per i non par­te­cipanti, etc.), inclusa la facoltà (della quale, a quanto viene dedotto, qualche consiglio di classe si è avvalso) di non farne nulla: su questi ultimi aspetti vi sarebbe stato forse da discutere, ove mai le modalità concre­tamente prescelte fossero risultate lesive dei princìpi di libertà e di non discriminazione, ma in proposito i ricor­­renti non hanno formulato censure.

Infine, va ricordato che la libertà religiosa include la libertà di praticare e quella di non praticare; non sembra, invece, che includa un (supposto) diritto di esigere, in nome del rispetto delle convinzioni proprie, che altri si astenga dal manifestare e praticare le sue. Sarebbe, quest’ultima, la negazione e non l’affermazione della libertà religiosa.

7. Resta ancora da esaminare il motivo di ricorso riferito al difetto di motivazione. A questo proposito, pare sufficiente osservare che la motivazione della delibera va integrata, per relationem, con gli interventi nella discussione dell’organo collegiale; e con la richiesta pre­sen­tata da un congruo numero di famiglie. Richiesta alla quale il Consiglio di Circolo, in quanto organo per definizione rappresentativo, non poteva non prestare attenzione (sì da dover specificamente motivare, se mai, il rigetto della proposta, non il suo accoglimento).

8. In conclusione, il ricorso va respinto. Si ravvisano, tuttavia, giusti motivi per compensare le spese.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria rigetta il ricorso. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’autorità ammi­ni­strativa.

Così deciso in Perugia il 7 dicembre 2005, dal Tribunale am­mi­ni­strativo regionale dell’Umbria, riunito in camera di consiglio nelle persone dei signori magistrati:

1) Avv. Pier Giorgio Lignani, Presidente

2) Avv. Annibale Ferrari

3) Dr. Carlo Luigi Cardoni, rel. est.

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