Affittacamere compatibile con destinazione alberghiera - Consiglio di Stato
[img]https://encrypted-tbn1.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTbRsfg2HGiqJcoE-_zgOlnAOaauPgdyMgbeKTQIAYSCVeLaK3zAQ[/img]
[color=red][b]Consiglio di Stato, Sezione VI, 28 dicembre 2015 n. 5853[/b][/color]
FATTO e DIRITTO
1.– La sig.ra Milito Patrizia ha impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania i provvedimenti, adottati dal Comune di Cava de’ Terreni, del 14 maggio 2013, n. 33156 di annullamento dell’autorizzazione 6 agosto 2009, n. 22 allo svolgimento dell’attività di affittacamere e il provvedimento 22 aprile 2013, n. 27906 di rigetto della domanda di condono edilizio relativa a determinate opere effettuate dall’appellante stessa.
Con il primo provvedimento, il Comune ha annullato le autorizzazioni rilasciate per le seguenti ragioni:
a) «indisponibilità giuridica, all’atto della presentazione delle domande, degli immobili destinati a dette attività, discendente dai sequestri del 9 febbraio 2004, del 16 marzo 2004 e del 1° ottobre 2004, mai revocati dall’autorità giudiziaria al punto che in data 10 febbraio 2013 è stata contestata la violazione dei sigilli e disposto un ulteriore sequestro giudiziario»;
b) «per la non conformità urbanistico-edilizia dei medesimi immobili destinati alle attività in contestazione»;
c) «per la mancata presentazione delle situazioni sub a e sub b, all’atto della presentazione delle istanze di autorizzazioni e licenze (...);in particolare, per non avere rappresentato, all’atto delle rispettive domande, che gli immobili, indicati come residenza da adibire ad attività di affittacamere, non erano in realtà residenziali (abitazioni), in quanto fin dalla data del 31 marzo 2003 erano stati illegittimamente trasformati a destinazione alberghiera, come in tale senso dichiarato nelle sopra richiamate domande di condono».
Con il secondo provvedimento il Comune, esaminando contestualmente tutte le domande di condono presentate dalla odierna appellata e dagli altri soggetti evocati in giudizio, non le ha accolte per le seguenti ragioni:
a) le pratiche sono carenti «di parte della documentazione (perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere eseguite, certificazione attestante l’idoneità statica delle stesse opere), dei versamenti a saldo dell’oblazione e del contributo di costruzione»;
b) «per quanto accertato dalla polizia locale con i sopralluoghi del 9 febbraio 2014 (…), del 16 marzo 2014 (…), del 2 ottobre 2014 (…),in epoca successiva al 31 marzo 2014, l’opera abusiva oggetto di condono non era concretamente e funzionalmente utilizzata (…)»;
c) «le opere realizzate insistono in zona 1b del P.U.T. ed in zona E 3, tutela agricola del P.R.G. vigente» e «l’abuso realizzato ha comportato la realizzazione di nuova superficie utile, volumetria ed opere edili in contrasto con quanto previsto dalla normativa urbanistica vigente»;
d) «l’area ricade in ambito assoggettato al vincolo paesaggistico di cui alla legge n. 1497 del 1939 imposto con d.m.p.i. del 12 giugno 1967» nonché «al vincolo idrogeologico di cui al r.d. 3267 del 30 dicembre 1923».
2.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza in forma semplificata del 27 giugno 2013, n. 1442, ha rigettato il ricorso.
In particolare, con riferimento ai motivi di censura riferiti al primo provvedimento si è dedotto quanto segue:
- «nelle sei camere dove la ricorrente svolge l’attività di affittacamere non risultano realizzate opere edilizie abusive»;
- «l’attività ricettiva di affittacamere costituisce una specie, di più modeste dimensioni, del genere “attività turistico-alberghiera” (…), differenziandosi dalla locazione di un alloggio, in quanto non si limita alla pura e semplice concessione dell’uso abitativo di un vano, ma integra anche l’apprestamento di un minimo di prestazioni serventi e di servizi complementari, quali la fornitura di biancheria di ricambio e di lavanderia, la periodica messa in ordine dell’alloggio e la presenza continuativa di un servizio di portineria»;
- che, pertanto, «il passaggio dall’una all’altra attività non determina un mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, ferma restando la necessità del rilascio di un’autorizzazione commerciale ad hoc»;
- «in Regione Campania, l’utilizzo con modalità alberghiere di un immobile autorizzato per attività di affittacamere, se dimostrato, costituisce violazione dell’art. 2 della legge regionale 24 novembre 2001 n. 17 (che impone il tetto massimo di sei camere e dodici posti letto) e, a norma del successivo art. 15, è punito in via amministrativa con una sanzione pecuniaria e/o con la sospensione - e non l’annullamento o la decadenza - della licenza».
Con riferimento ai motivi di censura riferiti al secondo provvedimento, si è affermato quanto segue:
a) «a parte la genericità dell’assunto relativo alla carenza di documentazione, non essendo specificato di cosa trattasi, è pacifico che, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 241/1990, tra i compiti del responsabile del procedimento rientra anche quello di “chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete” e di “esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali»;
b) «in relazione alla molteplicità di opere richieste di condono da parte della ricorrente (contenute in ben sei domande), la prova del mancato completamento alla data del 31.3.2003 dev’essere argomentata per ogni singolo bene e non in via generica, come invece avvenuto»; aggiungendosi «che la questione afferente all’epoca di ultimazione dell’abuso esulava da quelle indicate, ex art. 10 bis L. 241/90, come ostative alla conclusione favorevole della pratica, il che ha impedito alla parte istante di far valere le proprie ragioni all’interno del procedimento», da qui «il vizio di mancata correlazione tra il fatto posto a base della contestazione ed il fatto posto a base dell’atto di diniego»;
c) «avuto riguardo alle specifiche deduzioni difensive riguardanti l’esatta qualificazione giuridica degli abusi in contestazione ed in presenza di una pluralità eterogenea di opere richieste di condono dalla ricorrente, appare apodittico il richiamo generalizzato al divieto di condono in zona vincolata - pure disposto dall’art. 32, comma 27, D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito in L. 24 novembre 2003 n. 326 - senza che sia esplicitata la natura di ogni singolo abuso, tenuto conto che, ai sensi del precedente comma 26, lett. a), sono sempre sanabili, previo parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, i c.d. “abusi minori”, ossia gli interventi edilizi corrispondenti alle tipologie 4, 5, 6 dell’allegato n. 1 della legge e, cioè, quelli di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria, nonché le opere o le modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume (…)». Per altro, si è affermato che la «natura relativa del vincolo e la conseguente necessità del “parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso”, ai fini della definizione del giudizio di conformità, avrebbero dovuto imporre all’amministrazione comunale, ancorché di procedere sic et simpliciter al rigetto della domanda, di sollecitare il privato a richiedere il necessario parere paesaggistico (….)». Si è aggiunto, infine, che «l’ordine di demolizione delle opere abusive, inflitto dall’A.G. penale, è venuto meno per mezzo della sentenza della Corte d’appello di Salerno del 7.5.2013, ossia in epoca antecedente rispetto all’adozione dell’atto di decadenza dell’autorizzazione commerciale».
3.– Il Comune ha proposto appello, per i motivi indicati nei successivi punti.
3.1.– Si è costituita in giudizio la parte ricorrente nel processo di primo grado, chiedendo che l’appello venga rigettato.
3.2.– La resistente, nell’imminenza dell’udienza pubblica, ha chiesto un rinvio della trattazione della causa, in quanto il Comune, con nota del 24 settembre 2015, prot. n. 56824, aveva comunicato avvio del procedimento per la rinnovazione del procedimento in modo autonomo per ciascuno degli istanti.
3.3.– La causa è stata decisa all’esito della udienza pubblica del 6 ottobre 2014. In tale udienza, il Comune si è opposto al rinvio, facendo presente che l’atto di avvio del procedimento è dipeso dalla mancanza conoscenza da parte del funzionario preposto della pendenza dell’appello.
[color=red][b]4.– L’appello è infondato. [/b][/color]
4.1.– Con un primo gruppo di censure, relative al rigetto della domanda di condono, che si esaminano per prime per ragioni di ordine logico-giuridico, l’appellante Comune ha dedotto, in relazione alla motivazione adottata dal primo giudice, che:
a) la documentazione carente non avrebbe potuto essere integrata, in quanto «il mancato pagamento degli importi per l’oblazione nella sua interezza nei termini assegnati dalla legge medesima, comporta l’applicazione della normativa sulla repressione degli abusi»; le parti si sarebbero limitate «al pagamento delle prime rate di oblazione e degli oneri concessori»;
b) l’amministrazione avrebbe accertato il mancato completamento delle opere alla data del 31 marzo 2003, come risulterebbe dagli accertamenti svolti in occasione dell’adozione delle ordinanze di demolizione adottate e richiamate nel provvedimento impugnato;
c) il Comune, in relazione ai vincoli, avrebbe effettuato una verifica per ogni singolo bene e avrebbe valutato contestualmente le domande per la loro stretta connessione; si aggiunge che nella zona esistono vincoli di in edificabilità assoluta sia pubblica che privata;
d) la mancata richiesta di acquisizione del parere della Soprintendenza sarebbe conseguenza dell’accertata difformità delle opere con la disciplina urbanistica, che renderebbe un inutile aggravio procedimentale tale acquisizione;
e) la questione penale non sarebbe rilevante ai fini della presente decisione.
I motivi non sono fondati.
In via preliminare, deve rilevarsi che la disciplina del condono, che viene in rilievo in questa sede, è quella contemplata nell’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.
In relazione al punto sub a), era onere di base dell’amministrazione mettere il destinatario della misura in condizione di compiutamente conoscere come adempiere i suoi obblighi al riguardo perché questi fossero compiutamente esigibili. Dalla motivazione dell’atto impugnato non risultano, però, elementi atti a ritenere che si tratti di documentazione essenziale da depositare entro termini perentori di legge. Il mancato pagamento del saldo dell’oblazione è indicato solo genericamente, perché non risulta l’importo non versato e la data del previsto pagamento. L’interessata afferma che, con note del 18 marzo 2014, avrebbe integrato la documentazione mancante e provveduto al versamento dell’oblazione e degli oneri concessori mancanti.
In relazione al punto sub b), l’amministrazione avrebbe dovuto indicare partitamente le tipologie di opere abusive e in relazione a ciascuna la ragione del mancato rispetto del termine perentorio di ultimazione dei lavori. Non può supplire l’indicazione degli estremi dei verbali di sopralluogo.
In relazione al punto sub c), l’art. 32, comma 27, del d.-l. n. 269 del 2003 prevede che «fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: (…) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici».
La norma richiede la contestuale presenza delle indicate condizioni per impedire il condono. Nel caso in esame, è mancato un’indicazione puntuale in ordine alla presenza di vincoli, solo genericamente richiamati. Nemmeno possono essere prese in esame le considerazioni giustificative dell’appellante Comune, in quanto mai è consentita l’integrazione postuma della motivazione mediante atti processuali difensivi.
In relazione al punto d), vale richiamare quanto già considerato sulla non sufficienza delle asserite violazioni urbanistiche ai fini del rigetto della domanda di condono.
In relazione all’ultimo profilo, l’affermazione dell’atto di appello circa l’irrilevanza della questione penale rende non necessaria la trattazione del motivo in esame.
4.2.– Con un secondo gruppo di censure si contesta l’erroneità della sentenza per le seguenti ragioni:
a) la questione della mancanza di opere edilizie nelle sei camere non sarebbe motivo posto a base del provvedimento impugnato;
b) l’indisponibilità giuridica sarebbe conseguenza dei sequestri giudiziari risultanti esistenti all’atto dell’adozione del provvedimento di annullamento impugnato;
c) la non conformità urbanistico-edilizia, conseguente alla pluralità di abusi esistenti sul fabbricato nel corso del 2004;
d) la falsa rappresentazione dei dati di cui alle lettere b) e c) da parte dell’appellata al momento della presentazione della domanda di autorizzazione.
[b]L’appellante Comune critica, poi, la sentenza per aver ritenuto assimilabile l’attività di affittacamere a quella alberghiera, in ragione della diversità tipologica delle attività. Inoltre, rileva come l’interessata aveva presentato, nel 2004, «istanza di condono edilizio nella quale dichiarava che il fabbricato (…) era da destinarsi ad attività alberghiera, tale essendo la finalità delle opere edili autorizzate senza permesso». [/b]
I motivi non sono fondati.
In relazione al punto a), il preteso errore del primo giudice nel valutare un profilo non oggetto del provvedimento impugnato non ha rilevanza ai fini della presente decisione.
In relazione al punto b), a parte l‘effettiva esistenza della perdurante efficacia dei sequestri, tale provvedimenti, come bene mette in rilievo l’appellata, esistevano comunque al momento del rilascio dell’autorizzazione; e non viene indicata alcuna ragione che giustifichi l’annullamento nel 2013.
In relazione al punto c), è sufficiente rilevare che la questione edilizia è stata affrontata in modo indebito dal Comune, come sopra risulta: con la conseguenza che non può, allo stato, costituire valida ragione di annullamento dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività commerciale.
In relazione al punto d), alla luce di quanto esposto non risultano omissioni ingannevoli al momento della domanda di autorizzazione per giustificare l’annullamento dell’atto autorizzatorio rilasciato. Per l’asserita falsità per la mancata comunicazione circa la destinazione dei beni a finalità alberghiera e non di affittacamere, si deve anzitutto rilevare che l'attività di affittacamere, pur differenziandosi da quella alberghiera per le dimensioni modeste, richiede non solo la cessione del godimento di un locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno (cfr. Cass., II, 8 novembre 2010, n. 22665).
[color=red][b]Alla luce di tale orientamento giurisprudenziale, deve ritenersi che (a prescindere dall’effettività del mutamento di destinazione e dalla valenza della rinuncia alla domanda di condono da parte dell’appellante, successivamente intervenuta) non sussiste la radicale oggettiva diversità tra le due modalità di destinazione denunciata dall’appellante. Si tenga conto, inoltre, che la legge della Regione Campania 24 novembre 2001, n. 17 (Disciplina delle strutture ricettive extralberghiere) dispone che, in caso di gestione delle camere secondo modalità differenti da quelle autorizzate dalla legge, si applicano soltanto sanzioni pecuniarie. In definitiva, non è configurabile una falsa rappresentazione in ordine al denunciato cambio di destinazione dell’immobile, considerata la parziale sovrapposizione tra le due forme di destinazione e la circostanza che l’eventuale impiego del bene secondo modalità parzialmente diverse da quelle che configurano l’”affittacamere” comporta l’applicazione di una sanzione pecuniaria. [/b][/color]
5.– Per le ragioni sin qui esposte, i provvedimenti impugnati risultano privi di un’adeguata motivazione e di istruttoria, sono illegittimi e vanno annullati: e il Comune dovrà riesercitare il potere in conformità a quanto considerato dalla presente decisione.
6.– La natura della controversia e l’esito della stessa giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore