Le NORME URBANISTICHE prevalgono sulle commerciali anche per ACCORPAMENTI
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[color=red][b]Cons. di Stato, Sez. V, 2 dicembre 2015, n. 5463[/b][/color]
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7946 del 2006, proposto dal Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore,rappresentato e difeso dagli avvocati Edoardo Barone, Giuseppe Tarallo, Anna Pulcini, Fabio Maria Ferrari e Giacomo Pizza, con domicilio eletto presso il signor Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
contro
La s.p.a. G.S. I.V., non costituitasi nel secondo grado del giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Campania - Sede di Napoli, Sez. III, n. 4505/2006, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2015 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti l'avvocato Federica Scafarelli, su delega dell'avvocato Giacomo Piazza;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
[b]1. Con il ricorso n. 534 del 2005, la società appellata ha impugnato dinanzi al TAR per la Campania il provvedimento del dirigente del Comune di Napoli, VIII direzione centrale sviluppo commerciale, artigianale, turistico 29 dicembre 2004, n. 693/R, con il quale è stata respinta la propria domanda di autorizzazione per l'apertura di una media struttura di vendita, a seguito di concentrazione attraverso l'accorpamento di due licenze rilasciate a precedenti titolari.[/b]
2. Il primo giudice ha accolto due motivi dell'originario ricorso, assorbendo l'esame degli altri.
In particolare, il TAR ha ritenuto illegittimo il diniego impugnato, dal momento che l'art. 15 della l. reg. Campania n. 1/2000 ha previsto che il rilascio di autorizzazioni all'apertura di una media struttura di vendita di tipo M1 non può essere negato, nel rispetto delle norme urbanistiche, ai sensi dell' art. 10, comma 3, D.Lgs. n. 114 del 1998, "qualora la stessa sia frutto di accorpamenti o concentrazioni di più esercizi autorizzati ai sensi della L. n. 426 del 1971 per generi di largo e generale consumo".
[b]A sua volta, l'art. 10 del regolamento per il commercio al dettaglio in sede fissa del Comune di Napoli (cd. PAC) ha disposto anch'esso che l'autorizzazione all'apertura di una media struttura di vendita del tipo M1 "non può essere negata, nel rispetto delle. norme urbanistiche", nel caso in cui la stessa sia frutto di accorpamenti o concentrazioni del tipo sopra descritto.[/b]
Secondo il primo giudice, la delibera di Giunta Comunale 3 luglio 2000, n. 2370, poi recepita con la delibera del Consiglio comunale 9 marzo 2001 n. 46, nell'approvare lo strumento di intervento per l'apparato distributivo e lo strumento integrato del PRG "per le zone di compatibilità ed in centro storico", non ha introdotto una disciplina urbanistica che vieterebbe un divieto di installazione di medie strutture alimentari nella zona del centro storico.
Il TAR, inoltre, ha rilevato che l'art. 5 del medesimo regolamento, recante "caratteristiche qualitative delle medie strutture, di vendita", ha previsto tra l'altro che "nella zona rossa, oltre i requisiti sopra elencati, le medie strutture di vendita e i centri commerciali" (tra i quali anche le strutture M1/AM espressamente indicate in precedenza) sono tenuti ad ulteriori adempimenti specificamente indicati.
Pertanto, non sarebbe applicabile nella specie alcun divieto alla apertura di medie strutture di vendita alimentari.
Quanto al secondo motivo di ricorso, il TAR ha rilevato che non può essere posta a base del diniego la circostanza secondo cui non si è dichiarato l'impegno ad assumere nuovo personale, trattandosi di un aspetto che doveva essere oggetto di contraddittorio endoprocedimentale in sede istruttoria.
3. Avverso la sentenza indicata in epigrafe, il Comune ha prosto appello, lamentando l'erroneità della sentenza impugnata e deducendo che la delibera del consiglio comunale n. 46 del 9 marzo 2001 si è riferita alle "aree di opportunità" e non espressamente ad un obbligo esclusivo, sicché alla luce di una interpretazione logico-sistematica si dovrebbe pervenire senz'altro a conclusioni diverse da quelle cui è giunto il TAR, anche perché le sue statuizioni comporterebbero un palese 'svuotamento' dell'ambito applicativo della medesima delibera.
Inoltre, l'interpretazione fatta propria dal primo giudice contrasterebbe, inoltre, con l' art. 6, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 114 del 1998, che indicherebbe come obiettivi da perseguire l'individuazione di aree da destinare alla media e grande distribuzione, nonché la tutela dei centri storici e di iniziative con questi compatibili come i "servizi di vicinato".
Allo stesso modo il termine "opportunità", inserito nel testo della delibera di giunta comunale n. 2370 del 3 luglio 2000, poi approvata con delibera del Consiglio Comunale n. 46 del 9 marzo 2001, dovrebbe intendersi come "non consentito in altre zone".
Erroneo sarebbe, quindi, il riferimento contenuto nella sentenza impugnata all'art. 5 del regolamento, il quale, per la "zona rossa", si riferirebbe soltanto alle medie strutture nella stessa consentite, e cioè soltanto quelle "non alimentari".
[b]Da quanto precede, deriverebbe, che l'art. 15, comma 3, della L.R. della Campania n. 1 del 2000 non consentirebbe, anche in caso di accorpamento o di concentrazione, di accogliere l'istanza dell'originario ricorrente.[/b]
Inoltre, il TAR ha rilevato che la mancata assunzione di nuovo personale non consentirebbe l'accoglimento dell'istanza, che sarebbe dunque non rispettosa dell'art. 15, comma 6, della L.R. Campania, n. 1 del 2000, né potrebbe pretendersi l'attivazione d'ufficio del potere istruttorio dell'amministrazione, mancando del tutto, e non risultando incompleta, la necessaria documentazione.
4. In data 5 ottobre 2015 l'amministrazione comunale ha depositato note d'udienza.
5. Ritiene la Sezione che l'appello è fondato e va accolto.
L'art. 15, commi 3 e 6, della L.R. Campania, n. 1 del 2000 subordina il rilascio di autorizzazione all'apertura di una media struttura di vendita di tipo M1 - derivanti da accorpamento - al rispetto delle norme urbanistiche.
Il citato comma 6, in particolare, impone, inoltre, che sia dichiarato l'impegno di assunzione di nuovo personale.
[color=red][b]Il punto centrale controverso tra le parti attiene, quindi, da un lato alla presenza di norme urbanistiche che impediscano l'accoglimento dell'istanza dell'originario ricorrente; dall'altro alle conseguenze derivanti dalla insufficiente produzione documentale inerente l'assunzione di nuovo personale a corredo della richiesta.[/b][/color]
5.1. Quanto al primo profilo, deve rilevarsi che con la delibera della giunta comunale n. 2370 del 3 luglio 2000 e la delibera del consiglio comunale n. 46 del 9 marzo 2001 è stato approvato ai sensi degli articoli 13 e 14 della L.R. della Campania n. 1 del 2000 lo 'strumento integrato' del PRG, indicante in rosso il centro storico, sottoposto a 'normativa di tutela', e sono state emanate disposizioni sulla compatibilità della media distribuzione non alimentare e dei negozi di vicinato in tutte le zone del PRG.
Tale simile disposizione va interpretata nel senso che la compatibilità non debba essere ravvisata nell'ambito di tutte le zone del PRG anche per la media distribuzione alimentare.
[b]Né dal punto di vista testuale il riferimento alle "aree di opportunià" per la media distribuzione alimentare nelle zone indicate in verde si traduce nella possibilità che simili strutture possano essere collocate in zona rossa: il riferimento alle "aree di opportunità" ha specificamente delimitato la possibilità stessa della apertura e cioè l'ambito spaziale entro la quale può esservi il relativo svolgimento dell'attività economica.[/b]
Diversamente opinando, infatti, dovrebbe giungersi alla stessa conclusione anche per la grande distribuzione, per la quale le "aree di opportunità" sono state previste in zona gialla.
Un argomento di segno contrario ancora non può desumersi, come invece ha ritenuto il primo giudice, dall'art. 5 del 'regolamento al dettaglio su sede fissa'.
Infatti, la circostanza che si faccia riferimento in generale ai requisiti delle medie strutture di vendita anche in centro storico, ossia nella zona rossa, senza escludere le medie strutture di vendita alimentari, si spiega con la circostanza che il regolamento ha preso in esame le strutture già esistenti, sulle quali gravano adempimenti per ottimizzare la loro presenza nel tessuto urbano.
[b]Questa lettura risulta coerente con i commi 2 e 3 dell' art. 6, del D.Lgs. n. 114 del 1998, che - nel dettare direttive alle Regioni in ordine ai criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale nelle zone del centro storico - ha tenuto conto, da un lato, dell'esigenza di porre limiti agli insediamenti commerciali in relazione alla tutela dei beni artistici, culturali e ambientali, nonché dell'arredo urbano, e, dall'altro, della necessità di salvaguardare e di qualificare la presenza delle attività commerciali e artigianali in grado di svolgere un "servizio di vicinato", e di tutelare gli esercizi aventi valore storico e artistico e di contenere la riduzione delle attività commerciali e artigianali.[/b]
5.2 In ordine al secondo dei motivi di censura accolti dal primo giudice, occorre rilevare che in sede istruttoria il dialogo procedimentale rappresenta un'opportunità per il privato di colmare eventuali carenza documentali sussistenti al momento della presentazione dell'istanza, ma non può essere inteso come un onere dell'amministrazione di sollecitare il richiedente a colmare lacune, che nella fattispecie non sono rappresentate dalla mera esibizione di documenti o certificazioni, ma dalla stessa attività che ne costituisce il presupposto, ossia la manifestazione di volontà da parte dell'istante di provvedere all'assunzione di nuovo personale.
Tale valutazione resta nella piena disponibilità dello stesso istante ed incide sulla programmazione aziendale e si sarebbe potuta integrare in corso di istruttoria dall'originaria ricorrente, senza però poter giungere a ritenere che incombesse in capo all'amministrazione l'onere di sollecitarne la produzione, a pena di violazione del principio di imparzialità che ne presidia l'azione.
6. Conclusivamente, l'appello deve, quindi, essere accolto, sicché - in riforma della sentenza impugnata - il ricorso di primo grado va respinto.
Nella complessità delle questioni giuridiche e fattuali trattate si ravvisano eccezionali motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello (R. n. 7946/2006), come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma dell'impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Dispone che la società appellata rimborsi al Comune appellante gli importi complessivamente versati a titolo di contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore