Data: 2015-12-18 07:50:32

PRINCIPIO PEREQUATIVO e potestà pianificatoria del Comune - TAR

PRINCIPIO PEREQUATIVO e potestà pianificatoria del Comune - TAR

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[color=red][b]T.A.R. Toscana, Sezione I, 1 dicembre 2015 n. 1646[/b][/color]

FATTO e DIRITTO

[b]1. Gli avvocati Domenico Bonaiuti e Paolo Bonaiuti, e il signor Valentino Polchi, sono comproprietari nel Comune di Anghiari di un compendio immobiliare (“Il Vergone”) in atti meglio identificato e costituito da un’area di circa 6.328 mq, sulla quale insiste un edificio da tempo dismesso, già destinato a cinema e, successivamente, a discoteca. Essi impugnano il “Piano del centro antico”, approvato con deliberazione consiliare n. 17 del 19 maggio 2012 in variante al piano regolatore comunale, nella parte in cui (art. 11 delle norme tecniche di attuazione) detta la nuova disciplina urbanistica del compendio predetto, e ne chiedono l’annullamento sulla scorta di quattro motivi in diritto. [/b]
Resiste al gravame l’amministrazione intimata.
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 21 ottobre 2015, preceduta dal deposito di documenti, memorie difensive e repliche.
2. L’impugnato art. 11 delle norme tecniche di attuazione del “Piano per il centro antico” approvato dal Comune di Anghiari con deliberazione n. 17/2012, nel dettare sub T2.a e T2.b la disciplina urbanistica del compendio immobiliare di proprietà dei ricorrenti, consente la ristrutturazione urbanistica previa demolizione e ricostruzione dell’edificio ivi esistente, con nuova destinazione residenziale da realizzarsi nel limite di 1.400 mq di SUL per un massimo di diciotto alloggi, due dei quali di edilizia residenziale sociale da cedere gratuitamente al Comune. La norma autorizza altresì la realizzazione di un piano completamente interrato sotto la sagoma dell’edificio, del quale è previsto il riposizionamento secondo l’andamento del terreno e senza significativi scostamenti dalla posizione attuale, e prevede altresì la riqualificazione degli spazi aperti contigui in funzione della minimizzazione dell’impatto dell’edificio e della valorizzazione dell’ampio spazio verde e delle sue visuali verso il centro cittadino, area anch’essa da cedersi gratuitamente al Comune.
La disciplina così riassunta rappresenta il risultato del parziale accoglimento delle osservazioni presentate dalla proprietà e volte ad ottenere l’aumento fino a 2.000 mq della superficie residenziale, dai 1.200 mq inizialmente previsti, oltre alla realizzazione di un garage interrato, al connesso ampliamento della viabilità circostante e alla realizzazione di un parcheggio pubblico o di un parco pubblico attrezzato, secondo le indicazioni del Comune, con proposta di cessione gratuita delle descritte opere di urbanizzazione a compensazione dei relativi oneri e in alternativa alla cessione di due unità abitative prevista dal piano adottato.
2.1. Con il primo motivo di impugnazione, è denunciata la violazione dell’art. 42 Cost. e della legge regionale toscana n. 20/2005 in materia di esproprio per pubblica utilità, nonché, sotto numerosi profili, l’eccesso di potere nel quale sarebbe incorsa l’amministrazione procedente. Sostengono i ricorrenti, in particolare, che il “Piano per il centro antico” sarebbe viziato laddove, subordinandone la ristrutturazione urbanistica alla cessione gratuita di due alloggi da destinare all’edilizia sociale e dell’area destinata a verde, esso imprimerebbe al compendio di loro proprietà un indebito vincolo espropriativo in assenza di indennizzo.
Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 15 della citata legge regionale n, 30/2005 relativamente al rifiuto del Comune di accedere alla loro richiesta di traslare il realizzando edificio residenziale su di un sedime non coincidente con quello dell’edificio da demolire e ricostruire, ma nelle immediate vicinanze e comunque all’interno del comparto T2.a e T2.b disciplinato dall’art. 11 N.T.A.; e, con il terzo motivo, sostengono che le scelte adottate con lo strumento urbanistico impugnato non sarebbero assistite da idonea motivazione con riguardo sia alla pregressa destinazione dell’area, sia alle osservazioni da loro presentate a seguito dell’adozione del piano in variante.
Con il quarto motivo, infine, è dedotta la nullità della variante per mancata notificazione agli interessati delle controdeduzioni svolte dal Comune in replica alle osservazioni al piano adottato.
2.2. In via pregiudiziale, il Comune di Anghiari eccepisce l’inammissibilità della domanda per difetto di interesse, stante il pressoché integrale accoglimento delle osservazioni presentate dai ricorrenti, fatta eccezione per l’incremento della superficie edificabile da 1.200 a 2.000 mq.
L’eccezione non può essere accolta.
Come accennato, con le osservazioni presentate al piano adottato, i ricorrenti avevano non soltanto chiesto che fosse elevata a 2.000 mq la superficie utile per la nuova destinazione residenziale dello stabile di loro proprietà, ma anche di poter realizzare una serie di opere di urbanizzazione da cedere al Comune a scomputo e comunque in alternativa alla prevista cessione obbligatoria di due unità abitative. Ed è appunto l’interesse all’integrale accoglimento di quella proposta, in parte disattesa dall’amministrazione, a fondare la pretesa azionata in questa sede giurisdizionale.
Sul punto, non giova peraltro intrattenersi oltre, avuto riguardo alla manifesta infondatezza del ricorso.
[color=red][b]2.3. Rappresenta un portato della giurisprudenza contemporanea il superamento del tradizionale ruolo dell’urbanistica in funzione di mero coordinamento delle “potenzialità edificatorie” connesse al diritto di proprietà, per riconoscerle la più complessa funzione di garantire lo sviluppo complessivo ed armonico del territorio tenendo conto dell’insieme di fattori costituito non solo (e non tanto) dalle predette potenzialità dei suoli in relazione alle effettive – e non astratte – esigenze di abitazione della comunità, ma anche (e soprattutto o parimenti) dalla vocazione dei luoghi, dai valori ambientali e paesaggistici, dalle esigenze di tutela della salute e della vita salubre degli abitanti, e, in definitiva, dal modello di sviluppo che l’amministrazione – nel rispetto dei valori costituzionali connessi al buon governo del territorio – intende imprimere al territorio stesso (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 6 ottobre 2014, n. 4976; id., 28 novembre 2012, n. 6040; id., 10 maggio 2012 n. 2710). [/b][/color]
[b]L’affermazione di un nuovo modello di urbanistica si accompagna peraltro, in tempi di crescente ristrettezza delle risorse disponibili, anche alla sempre più diffusa ricerca di meccanismi di redistribuzione della ricchezza generata dalle scelte operate attraverso gli strumenti della pianificazione e del governo del territorio, con l’obiettivo, tra gli altri, di attenuare almeno in parte le disparità di trattamento inevitabilmente connesse alla zonizzazione e di prelevare una parte della rendita fondiaria generata da quelle scelte per destinarla allo sviluppo della città pubblica. Il fenomeno è descritto dai noti sintagmi “urbanistica perequativa” e/o “compensativa”, qualificanti le previsioni pianificatorie che subordinano l’operatività del riconoscimento di (maggiore) capacità edificatoria all’una o all’altra area del territorio alla cessione di suolo o di volumetria in favore dell’amministrazione: previsioni la cui copertura normativa (e la cui compatibilità con lo statuto costituzionale della proprietà) discende, a un tempo, da una moderna concezione dei poteri conformativi dell’amministrazione e dalla possibilità, disciplinata in termini generali dagli artt. 1 e 11 della legge n. 241/1990, di ricorrere a modelli privatistici e consensuali per il perseguimento di finalità di pubblico interesse, di modo che l’operatività dei meccanismi ablatori di volta in volta ideati dal pianificatore comunale dipende pur sempre da una libera iniziativa della proprietà, in alternativa dovendo il Comune fare ricorso al tradizionale strumento espropriativo (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 2010, n. 4545). [/b]
Il principio perequativo, per quanto qui interessa, è peraltro espressamente sancito dal legislatore regionale toscano all’art. 60 della legge urbanistica n. 1/2005, applicabile ratione temporis alla fattispecie.
2.3.1. Tanto premesso, è chiara la finalità perequativo-compensativa sottesa alla previsione dell’art. 11 delle N.T.A. del “Piano per il centro antico” di Anghiari, nella parte in cui condiziona la realizzazione dell’intervento di ristrutturazione urbanistica del comparto di proprietà dei ricorrenti – attraverso il passaggio alla destinazione residenziale dell’edificio ivi esistente, previa demolizione e ricostruzione dello stesso – alla cessione gratuita in favore del Comune di due degli alloggi da realizzare, nonché della contigua area verde (non per nulla, le schede di trasformazione allegate al piano qualificano le aree T2.a e T2.b come “comparti convenzionati”).
Va pertanto esclusa la configurabilità delle censure articolate con il primo motivo, atteso che, per un verso, nessun vincolo di carattere espropriativo risulta in realtà apposto sui beni in questione; e che, con riferimento al preteso “nocumento economico” che sarebbe derivato alla proprietà dall’attuazione dell’intervento (così i ricorrenti, con la memoria depositata il 30 settembre 2015, hanno precisato il senso delle loro doglianze), il ricorso si risolve nell’apodittica affermazione dell’insostenibilità economica dell’operazione, senza tuttavia che siano stati allegati dati obiettivi dai quali desumere l’irragionevolezza della disciplina impugnata.
[color=red][b]Che il problema risieda nella individuazione del punto di equilibrio fra interesse individuale al proficuo sfruttamento dei propri beni e interesse generale a coltivare un modello di sviluppo sostenibile del territorio emerge con chiarezza dalla documentazione prodotta dalle parti e, segnatamente, dalle osservazioni presentate dai ricorrenti all’interno del procedimento di approvazione della variante. Dette osservazioni, riprodotte nel ricorso, si limitano però a invocare reiteratamente l’esigenza di tenere conto della sostenibilità economica dell’intervento, ma non danno conto – come non ne dà il ricorso – delle ragioni che in concreto renderebbero impraticabile, perché non conveniente, la soluzione prescelta dall’amministrazione, risolvendosi la controversia in una (sterile) contrapposizione fra le valutazioni tecnico-discrezionali operate dal Comune e una differente, quanto indimostrata, valutazione di parte. [/b][/color]
2.3.2. Del secondo motivo, che investe la localizzazione del nuovo edificio da realizzare a seguito di demolizione di quello esistente, non è ben chiaro il contenuto, risultando denunciata la violazione di una norma inconferente (l’art. 15 l.r. toscana n. 30/2005 disciplina infatti la cessione volontaria in caso di esproprio). La censura è in ogni caso generica prima che infondata, giacché, oltre a non vedersi quale sia la fonte del prospettato interesse pretensivo a ottenere lo spostamento del fabbricato in altro sedime, ancora una volta non è stato evidenziato alcun profilo di irragionevolezza o illogicità nella volontà del Comune di mantenere fermo il sedime originario dell’edificio, consentendone il riposizionamento senza significativi scostamenti dalla posizione attuale.
2.3.3. Analoga sorte tocca al terzo motivo.
In forza di principi da lungo tempo invalsi, le scelte effettuate dall'amministrazione nell'adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamenti di merito sottratti al sindacato di legittimità, se non inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità, sicché anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.
[b]Le uniche evenienze che richiedono una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali sono rappresentate, pacificamente: dal superamento degli standard minimi di cui al D.M. 2 aprile 1968; dalla lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione o accordi di diritto privato intercorsi con il Comune, o delle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione; dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo. Di contro, nessun affidamento deriva dalla diversa destinazione urbanistica pregressa della medesima area, rispetto alla quale l’amministrazione conserva ampia discrezionalità, ben potendo apportare modificazioni “peggiorative” rispetto agli interessi del proprietario, in capo al quale è configurabile nulla più che una generica aspettativa generica al mantenimento della destinazione urbanistica gradita, ovvero a una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di aree, che aspiri ad una utilizzazione comunque proficua dell'immobile; con la conseguenza che, ai fini della legittimità di nuove scelte di pianificazione, non è richiesta un’indagine individuale su ogni singola area al fine di giustificarne la sua specifica idoneità a soddisfare esigenze pubbliche, né può essere invocata la cd. polverizzazione della motivazione, la quale si porrebbe in contrasto con la natura generale dell'atto di pianificazione o di governo del territorio. Corollario di tale consolidata impostazione è che le stesse osservazioni presentate dagli interessati all’interno del procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici assumono il valore di semplice apporto collaborativo, il cui rigetto non richiede una particolare motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854; id., sez. IV, 16 novembre 2011, n. 6049; id., sez. IV, 12 maggio 2010, n. 2843; id., sez. IV, 29 dicembre 2009, n. 9006). [/b]
Se così è, il fatto che la nuova disciplina urbanistica dell’area, nel prevedere il mutamento della destinazione d’uso delle volumetrie già esistenti (scelta auspicata e sollecitata dagli odierni ricorrenti), non ne abbia previsto il frazionamento e la distribuzione in un’area più vasta non differisce dal progetto presentato dai ricorrenti medesimi con le osservazioni proposte al piano adottato, di modo che per questo aspetto non è ravvisabile alcun interesse all’impugnazione. Alle osservazioni, del resto, il Comune ha dato risposta esauriente con le controdeduzioni, precisando come la proposta dei ricorrenti non cogliesse gli aspetti qualitativi assegnati all’intervento, “in particolare l’equilibrio delle relazioni fra la massa edilizia esistente, il pianoro verde che la sorregge e che fa da piede della vista verso il centro storico”.
Si aggiunga che il testo dell’art. 11 N.T.A. e le schede di trasformazione allegate al piano sono chiare non soltanto, lo si è detto, nell’individuare le aree T2.a e T2.b come comparti convenzionati di attuazione privata, ma anche nell’identificare l’oggetto della cessione gratuita al Comune. Questo è costituito, da un lato, dall’area T2.b, i cui confini sono ben delimitati negli elaborati grafici allegati al piano e il cui soggetto attuatore è individuato dalle schede nel proprietario privato; e, dall’altro, da due alloggi dei diciotto massimi previsti, sul presupposto implicito della realizzazione di alloggi di dimensioni similari (il che, utilizzando un semplice criterio proporzionale, equivale a due alloggi di superficie corrispondente a 2/18 della superficie residenziale disponibile).
2.3.4. Del tutto inconsistente è poi la censura dedotta con il quarto motivo, al riguardo essendo sufficiente rilevare che la mancata notificazione della variante può al più rilevare ai fini del decorso del termine per l’impugnazione, ma non certo della validità del provvedimento, tanto meno sub specie di nullità (e in questo senso è la stessa giurisprudenza citata dai ricorrenti).
3. In forza delle considerazioni esposte, il ricorso va respinto.
3.1. Le spese ed onorari di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Armando Pozzi, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere
Pierpaolo Grauso, Consigliere, Estensore

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