LEGITTIMO licenziamento di dipendente per ricerca di altro più qualificato
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[color=red][b]CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 novembre 2015, n. 23620[/b][/color]
Svolgimento del processo
Con ricorso del 1° marzo 2010 al Tribunale di Benevento L.M. chiedeva la dichiarazione d'illegittimità del licenziamento intimatole dalla s.r.l. G. il 21 gennaio 2009 nonché l'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, con le conseguenze patrimoniali.
[b]La ricorrente esponeva che la datrice di lavoro, operante nel settore della sanità privata e convenzionata col Servizio sanitario nazionale, l'aveva assunta quale tecnico di laboratorio con contratto a termine, dichiarato nullo dal giudice e convertito in contratto a tempo indeterminato. Il licenziamento doveva ritenersi nullo per insussistenza delle ragioni inerenti all'attività produttiva e consistenti in una crisi aziendale che aveva comportato la soppressione del posto di lavoro, con affidamento delle mansioni ad altri lavoratori addetti al servizio di laboratorio di analisi e di radiologia.[/b]
Costituitasi la convenuta, il Tribunale accoglieva la domanda con decisione del 7 marzo 2012, confermata con sentenza 8 ottobre 2013 n. 5600 dalla Corte d'appello di Napoli.
[b]Questa riteneva che la necessità di sopprimere il posto di lavoro della M., quale giustificato motivo oggettivo di licenziamento ai sensi dell'art. 3 l. 15 luglio 1966 n. 604, non era stata provata dalla datrice di lavoro e risultava perciò un mero pretesto. Plausibilmente il Tribunale aveva rilevato la mancanza di prova della crisi aziendale, ché anzi nel corso degli anni le prestazioni sanitarie rese dalla società non erano variate per qualità e quantità. I contratti di solidarietà stipulati con altri dipendenti dal 2008 al 2010 erano stati causati da "problemi di rimborso da parte della Regione" e non avevano comunque riguardato il laboratorio.[/b]
Tutto ciò assorbiva, ad avviso della Corte d'appello, la questione della legittimità dell'attribuzione ad altro personale, con qualifica di biologo invece che di tecnico di laboratorio, delle stesse mansioni già espletate dalla M.
Contro questa sentenza la s.r.l. G. ricorre per cassazione (r.g.n. 7954/14) mentre la M. resiste con controricorso.
Con altro ricorso, del 5 novembre 2012, al Tribunale di Benevento la medesima lavoratrice chiedeva la dichiarazione d'illegittimità di un nuovo licenziamento, intimatole dalla G. l'11 ottobre precedente per motivo discriminatorio o ritorsivo, nonché l'ordine di reintegrazione e la condanna al risarcimento del danno.
La convenuta eccepiva il giustificato motivo oggettivo, costituito dalla necessità, imposta dalla Regione con atto del 16 aprile 2006, di assumere per il laboratorio di analisi un direttore laureato in biologia o in chimica, e conseguentemente dalla sopravvenuta inutilità delle mansioni affidate alla M.. Essa eccepiva altresì la necessità di ridurre il personale a causa della diminuzione delle prestazioni sanitarie erogabili in regime di accreditamento.
Il Tribunale accoglieva la domanda con ordinanza del 3 maggio 2013, confermata con sentenza, e la Corte d'appello di Napoli rigettava il reclamo con sentenza del 30 aprile 2014.
Questa argomentava in modo analogo a quello della precedente sentenza n. 5600 del 2013 per quanto concerneva l'assenza di prova circa lo stato di crisi aziendale nonché l'assorbimento della questione relativa all'attribuzione delle mansioni già esercitate dalla M. ad altro personale più qualificato.
Quanto al rimedio contro il licenziamento illegittimo, la Corte d'appello negava la tutela reintegratoria e, dichiarata la risoluzione del rapporto di lavoro, condannava la G. a pagare ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Essa interpretava infatti l'espressione "(il giudice) può applicare" la tutela reintegratoria del lavoratore illegittimamente licenziato - contenuta nell'art. 18, settimo comma, l. 20 maggio 1970 n. 300, come modificato dall'art. 1 l. 28 giugno 2012 n. 92, per l'ipotesi di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo - in senso diverso dall'espressione "applica", contenuto nella prima parte del medesimo comma: la prima espressione attribuiva al giudice un potere e la seconda un dovere.
Il potere doveva nel caso di specie essere esercitato in senso negativo, poiché la lavoratrice non aveva provato fatti dimostranti la gravità del torto, indubbiamente sussistente, della datrice di lavoro, ossia il "torto assoluto" giustificativo della tutela reale: ad es. il difficile reperimento di altra occupazione oppure la cattiva situazione patrimoniale e reddituale sua e della sua famiglia.
Anche contro questa sentenza la s.r.l. G. ricorre per cassazione (r.g. n. 21192/14) mentre altro ricorso propone la M.. A ciascun ricorso corrisponde un controricorso. La G. ha prodotto due memorie ed una memoria è stata prodotta dalla M.
Motivi della decisione
Tutti i procedimenti, relativi a controversie connesse per identità parziale di questioni (ricorsi nn. 7954 e 21192 del 2014) o ad impugnazioni proposte contro la medesima sentenza (ricorso n. 21192/14 e ricorso M.) vengono riuniti ai sensi degli artt. 151 disp. att. cod. proc. civ. e 335 cod. proc. civ.
La richiesta di rimessione della causa al Primo presidente per eventuale rimessione alle Sezioni unite, avanzata dalla società G., è priva di motivazione e perciò non può essere accolta.
Gli "articoli (scilicet di stampa) specializzati del settore sanitario campano" non possono essere prodotti dalla M., stante il divieto dell'art. 372, primo comma, cod. proc. civ.
Col primo motivo del ricorso n. 7594/14, rivolto contro App. Napoli n. 5600 del 2013, la società G. lamenta la violazione degli artt. 3 l. n. 600 del 1966 (ndr artt. 3 l. n. 604 del 1966), 30, comma 1, l. 4 novembre 2010 n. 183, 41 Cost., 1, comma 3, l. n. 92 del 2012. Essa sostiene l’erroneità dell'affermazione, resa dalla Corte d'appello, secondo cui il motivo oggettivo, giustificativo del licenziamento, può essere dato solo dalla necessità di contrarre la produzione e di conseguenza di ridurre il numero dei lavoratori. Al contrario, il detto motivo può essere dato dalla decisione imprenditoriale di riorganizzare la produzione attraverso la soppressione di figure in pianta organica, onde realizzare economie.
Col secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 112, 115, 434, 437 cod. proc. civ., per omesso esame di prove testimoniali relative all'attribuzione delle mansioni di tecnico di laboratorio, già proprie della lavoratrice licenziata, a biologhe, capaci di espletare in laboratorio anche altre mansioni.
Col terzo motivo essa prospetta la violazione degli artt. 3 l. n. 604 del 1966 e 30, comma 1, l. n. 183 del 2010, il quale vieta al giudice il sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro.
Le medesime censure vengono ripetute dalla società G. nel ricorso n. 21192/14, rivolto contro App. Napoli n. 5639 del 2014 e relativo al licenziamento intimato nel 2012. Quest'ultimo era stato preceduto da una nuova organizzazione del personale, con l'assunzione, nel 2012, di una laureata in biologia e di un'infermiera professionale. La ricorrente lamenta che la Corte d'appello abbia ritenuto non rilevanti questi fatti e quindi non influenti le relative prove.
Tutti questi motivi di ricorso, da esaminare insieme perché connessi, sono fondati.
[b]I fatti giustificativi, che fondano il potere imprenditoriale di intimare al lavoratore il licenziamento ai sensi dell'art. 3 l. n. 604 del 1966, ossia le ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, sono stati variamente intesi dalla giurisprudenza di questa Corte.[/b]
[color=red][b]Comune a tutti gli orientamenti è l'affermazione secondo cui il motivo addotto dall'imprenditore dev’essere oggettivamente verificabile ossia non pretestuoso, con onere della prova a carico dell'imprenditore stesso (Cass. 22 agosto 2007 n. 17887, 30 novembre 2010 n. 24235, 5 marzo 2015 n. 4460). Ferma la non sindacabilità delle decisioni imprenditoriali nel merito, confermata dall'art. 30, comma 1, l. 4 novembre 2010 n. 183, l'esercizio del potere organizzativo è tuttavia illegittimo per sviamento (il détoumement della giurisprudenza amministrativa francese) quando il motivo addotto non risulti provato, ciò che avviene per le situazioni potestative di qualsiasi contenuto, pubblico o privato.[/b][/color]
Nella maggior parte delle pronunce questa Corte ha posto a base del potere di licenziare la necessità di ristrutturazione aziendale e la conseguente soppressione del posto spettante al lavoratore poi licenziato (Cass. 2 ottobre 2006 n. 21282). E’ frequente la negazione della necessità di ristrutturare l'azienda (e quindi l'affermazione dell'illegittimità del licenziamento) finalizzata non ad evitare perdite economiche bensì a conseguire un maggior profitto (Cass. 24 febbraio 2012 n. 2874, 26 settembre 2011 n. 19616), anche se la negazione sembra talvolta tralatizia e non effettivamente verificata.
Altre volte appare sufficiente la ristrutturazione dell'assetto organizzativo, realizzato con la soppressione di uno o più posti di lavoro, persegua l'imprenditore il fine di evitare perdite o di incrementare il profitto (Cass. 1° agosto 2013 n. 18416).
[color=red][b]Questo collegio ritiene che il contratto di lavoro possa essere sciolto a causa di un'onerosità non prevista, alla stregua delle conoscenze ed esperienze di settore, nel momento della sua conclusione (art. 1467 cod. civ.) e tale sopravvenienza ben può consistere in una valutazione dell'imprenditore che, in base all'andamento economico dell'impresa rilevato dopo la conclusione del contratto, ravvisi la possibilità di sostituire un personale meno qualificato con dipendenti maggiormente dotati di conoscenze e di esperienze e quindi di attitudini produttive. Né l'esercizio di tale potere è sindacabile nel merito dal giudice, e ciò tanto più vale quando il legislatore, come indica l'art. 30 l. n. 183 del 2010, invocato dalla ricorrente, inclina a tutelare più intensamente la libertà organizzativa dell'impresa.[/b][/color]
Al controllo giudiziale sfugge necessariamente anche il fine, di arricchimento o di non impoverimento, perseguito dall'imprenditore (anche nei casi in cui questo controllo sia tecnicamente possibile), considerato altresì che un aumento del profitto si traduce non, o non solo, in un vantaggio per il suo patrimonio individuale ma principalmente in un incremento degli utili dell'impresa ossia in un beneficio per la comunità dei lavoratori.
A queste massime non si sono uniformate le sentenze qui impugnate, le quali, rilevata l'assenza di prova del calo produttivo, hanno erroneamente ritenuto superflua la verifica dell'attribuzione all'altra dipendente, biologa, delle mansioni prima affidate alla dipendente licenziata o comunque la redistribuzione delle mansioni tra il personale già presente o neo-assunto. Deve aggiungersi che al controllo giudiziale della reale operazione di riorganizzazione del personale e di redistribuzione delle mansioni può non essere estranea, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d'appello, la verifica delle difficoltà economiche in reparti diversi da quello in cui operò la lavoratrice licenziata.
Cassate le sentenze impugnate, alla detta verifica procederà il giudice di rinvio con riferimento al primo licenziamento e, se questo verrà ritenuto illegittimo, anche con riferimento al secondo.
Lo stesso giudice provvederà sulle spese di questo giudizio di cassazione.
Il ricorso della M., concernente le conseguenze della dichiarazione d'illegittimità del secondo licenziamento, rimane assorbito.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi nn. 7954 e 21192/14 nonché il ricorso di L.M., accoglie i primi due e dichiara assorbito il terzo; cassa le sentenze impugnate in relazione ai ricorsi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, anche per le spese.
Non sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 1 d.P.R. n. 115 del 2002.
Viceversa, è comunissimo decidere a priori di riqualificare cani e porci, spendendo a vuoto per corsi ed esami, nonché soprattutto sovraffollando i livelli superiori (principio di Peter), in un esercito di soli generali senza soldati. A rimetterci sono le professioni definite da legge, non potendo un geometra diventare architetto o ingegnere attraverso percorsi interni. Nessuno avendo la possibilità di fare il manager sceglierà di fare lo spazzino, allora si creperà di colera.
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