Attività commerciale: requisiti morali vanno interpretati tassativamente
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[b]T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 9 novembre 2015, n. 978[/b]
N. 00978/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00235/2015 REG.RIC.
SENTENZA
sul ricorso n. 235 del 2015 proposto da xxxxx, rappresentato e difeso dall’avv. Roberto Menniti ed elettivamente domiciliato in Bologna, via D’Azeglio n. 35, presso lo studio dell’avv. Chiara Rinaldi;
contro
il Comune di Ozzano dell’Emilia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Michele Cristoni e presso lo stesso elettivamente domiciliato in Bologna, via Marconi n. 34;
il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Bologna, in persona dei legali rappresentanti in carica, difesi e rappresentati dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege;
per l'annullamento
dell’ordinanza prot. n. 000169 in data 24 gennaio 2015 del Responsabile del Settore Urbanistica, Patrimonio, Edilizia privata del Comune di Ozzano dell’Emilia, con cui è stato disposto – a carico del ricorrente – il divieto di prosecuzione dell’attività di commercio al dettaglio di vicinato complementare all’attività di tabaccheria;
della nota prot. n. 0055127 in data 28 ottobre 2014 del Prefetto di Bologna, inviata al Comune di Ozzano dell’Emilia e avente ad oggetto «Ditta individuale xxxxx. Richiesta comunicazione antimafia ex art. 87 del D.Lgs. 159/2011 “Codice antimafia” »;
………………………per la condanna….
delle Amministrazioni intimate al risarcimento dei danni.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Ozzano dell’Emilia, nonché del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Bologna;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Udito l’avv. Diana Cairo, per l’Avvocatura dello Stato, alla pubblica udienza in data 22 ottobre 2015.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con ordinanza prot. n. 000169 del 24 gennaio 2015, in dichiarata applicazione dell’art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 22, comma 5, lett. b), del d.lgs. n. 114 del 1998, il Responsabile del Settore Urbanistica, Patrimonio, Edilizia privata del Comune di Ozzano dell’Emilia disponeva, a carico del ricorrente, il “…divieto immediato di prosecuzione dell’attività di commercio al dettaglio di vicinato complementare all’attività di tabaccheria per insussistenza dei requisiti di cui all’art. 71, comma 1 del D.Lgs. n. 59/2010 …”. A fondamento della misura interdittiva l’Amministrazione comunale richiamava la nota prot. n. 0055127 in data 28 ottobre 2014 del Prefetto di Bologna, circa l’intervenuta applicazione al xxxxx di misure di prevenzione ex d.lgs. n. 159 del 2011.
Avverso tali atti ha proposto impugnativa l’interessato.
[color=red][b]Assume insussistente la causa interdittiva di cuiall’art. 71, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 59 del 2010, per non essere egli stato sottoposto a misure di prevenzione riconducibili alla normativa antimafia, diversa essendo la misura del sequestro preventivo dei beni ex art. 12-sexies, comma 4, della legge n. 356 del 1992 (applicata nei suoi confronti dal GIP del Tribunale di Firenze e richiamata dalla nota prefettizia) rispetto al sequestro di prevenzione di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 159 del 2011, e risultando invece già respinta la proposta di misura di prevenzione effettuata in altro procedimento dalla Procura di Repubblica di Bologna a carico dello stesso ricorrente. Imputa, inoltre, al Comune di Ozzano dell’Emilia di essersi limitato a fare automatico riferimento all’informativa prefettizia, senza verificare in via istruttoria l’esattezza dei dati ivi contenuti e senza quindi accertarsi autonomamente della sussistenza o meno dei presupposti per l’adozione del provvedimento interdittivo. Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati e di condanna delle Amministrazioni intimate al risarcimento dei danni.[/b][/color]
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Ozzano dell’Emilia, nonché il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Bologna, opponendosi all’accoglimento del ricorso.
L’istanza cautelare del ricorrente veniva respinta dalla Sezione alla Camera di Consiglio del 23 aprile 2015 (ord. n. 118/2015), ma veniva poi accolta dal giudice d’appello (v. Cons. Stato, Sez. III, ord. 9 luglio 2015 n. 3072).
In sede di memoria difensiva depositata il 19 settembre 2015 il ricorrente dichiarava di rinunciare all’istanza risarcitoria.
All’udienza del 22 ottobre 2015, ascoltato il rappresentante dell’Avvocatura dello Stato, la causa è passata in decisione.
Il ricorso è fondato.
Dispone l’art. 22, comma 5, del d.lgs. n. 114 del 1998, come modificato dall’art. 8 del d.lgs. n. 147 del 2012, che il “sindaco ordina la chiusura di un esercizio di vicinato qualora il titolare: a) …; b) non risulta più provvisto dei requisiti di cui all’articolo 71, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59; c) …”. A sua volta l’art. 71, comma 1, del d.lgs. n. 59 del 2010 prevede che “non possono esercitare l’attività commerciale di vendita e di somministrazione: a) …; b) …; c) …; d) …; e) …; f) coloro che sono sottoposti a una delle misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o nei cui confronti sia stata applicata una delle misure previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, ovvero a misure di sicurezza”. Le misure di prevenzione da ultimo richiamate sono ora contenute nella disciplina di cui al d.lgs. n. 159 del 2011 («Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136»).
Ciò posto, la prima delle misure di prevenzione cui ha fatto riferimento la Prefettura di Bologna per segnalare al Comune di Ozzano dell’Emilia la presenza di ragioni ostative allo svolgimento dell’attività commerciale del ricorrente riguarda l’ordinanza del Tribunale di Firenze recante l’applicazione della misura del sequestro preventivo dei beni ex art. 12-sexies, comma 4, del decreto-legge n. 306 del 1992 (conv. dalla legge n. 356/1992) nell’àmbito di un procedimento penale per associazione di stampo mafioso e riciclaggio. A fronte, allora, di un orientamento giurisprudenziale che tende ad assimilare, quanto meno in parte, i due istituti della confisca c.d. allargata e della confisca di prevenzione – nel presupposto che l’unica distinzione tra essi non riguarda le finalità ma esclusivamente la qualità della persona a carico della quale si adotta il provvedimento ablativo, in quanto condannata quella della confisca allargata e in quanto socialmente pericolosa quella della confisca di prevenzione (v. Cass. pen., Sez. I, 19 settembre 2014 - 5 gennaio 2015 n. 21) –, e a fronte, inoltre, di un indirizzo giurisprudenziale che invece rimarca in modo netto la diversa struttura normativa delle due fattispecie ed esclude la sussistenza di un’unitaria ratio legis per trattarsi di provvedimenti ablatori che agiscono in campi differenti ed hanno distinte latitudini operative (v. Cass. pen., Sez. un., 29 maggio 2014 - 29 luglio 2014 n. 33451), si tratta di stabilire se la circostanza che la vicenda riguardi un procedimento penale per associazione di stampo mafioso giustifica o meno un’estensione della fattispecie di cui all’art. 71, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 59 del 2010 ai casi in cui, pur in assenza di una misura di prevenzione patrimoniale riconducibile alle tassative ipotesi di cui al d.lgs. n. 159 del 2011, siano state tuttavia imposte misure simili o comunque finalizzate ad incidere sui beni di soggetti interessati da procedimenti penali relativi a fatti di rilevanza mafiosa. A tal proposito il Collegio ritiene di dover concordare con chi insiste sulla natura di norma eccezionale, e quindi insuscettibile di interpretazione estensiva, che è da attribuire all’art. 71 del d.lgs. n. 59 del 2010, stante la sua attitudine a derogare al principio generale della libertà di iniziativa economica privata ex art. 41 Cost. (v. TAR Campania, Napoli, Sez. III, 10 dicembre 2014 n. 6474); [color=red][b]in effetti, a prescindere dalle considerazioni formulate dalla giurisprudenza penale circa i rapporti tra confisca allargata e confisca di prevenzione (e strumenti processuali loro collegati), ogni diversa soluzione esegetica rispetto alla rigorosa delimitazione della sfera di operatività dell’art. 71, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 59 del 2010, se anche volta a soddisfare la fondamentale esigenza che le attività commerciali vengano salvaguardate dall’introduzione nel circuito economico di capitali frutto di attività illecite, rischia concretamente di determinare un’elusione delle regole ermeneutiche che informano il nostro ordinamento e dunque di sostituire l’interprete al legislatore nella ricostruzione del sistema (il che induce il Collegio a rivedere l’approccio sostanzialista seguito dalla Sezione in sede cautelare). Pertanto, essendo pacifico che l’ordinanza del Tribunale di Firenze non disponeva a carico del ricorrente misure di prevenzione ex d.lgs. n. 159 del 2011, ininfluente avrebbe dovuto considerarsi la stessa rispetto alla causa interdittiva di cui all’art. 71, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 59 del 2010.[/b][/color]
Quanto, poi, all’altra misura ostativa a suo tempo addotta dalla Prefettura di Bologna (“…risulta inoltre la proposta di “sequestro di beni connesso a misure di prevenzione” da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna …”), il ricorrente ha documentato come detta richiesta fosse stata in realtà già respinta dal Tribunale di Bologna in data 15 settembre 2014 e non potesse quindi essere più invocata.
Dal che l’accoglimento del ricorso e il conseguente annullamento degli atti impugnati, dovendosi per il resto dare atto della sopraggiunta rinuncia all’istanza risarcitoria.
La peculiarità del caso giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, pronunciando sul ricorso in epigrafe, così provvede:
- lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati;
- dà atto della rinuncia all’istanza risarcitoria.
Compensa le spese di lite, ma con la rifusione al ricorrente (ai sensi dell’art. 13, comma 6-bis.1, del d.P.R. n. 115/2002) del contributo unificato, onere da porre a carico della Prefettura di Bologna.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio in data 22 ottobre 2015, con l’intervento dei magistrati:
Michele Perrelli, Presidente
Italo Caso, Consigliere, Estensore
Ugo De Carlo, Primo Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/11/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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