REVOCA licenza di TAXI - Consiglio di Stato 6365/2011
N. 06365/2011REG.PROV.COLL.
N. 03264/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3264 del 2011, proposto da Mauro Benazzo, rappresentato e difeso dagli avv. Gabriele Pafundi, Cristina Callegari e Daniele Sussman detto Steinberg, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare 14a/4;
contro
Comune di Milano, rappresentato e difeso dagli avv. Maria Rita Surano e Raffaele Izzo, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, Lungotevere Marzio 3;
nei confronti di
Regione Lombardia;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, SEZIONE IV, n. 06901/2010, resa tra le parti, concernente REVOCA LICENZA ESERCIZIO TAXI
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 novembre 2011 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati Pafundi e Izzo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con due distinti ricorsi, regolarmente notificati e depositati, il sig. Mauro Benazzo impugnava dinanzi al TAR per la Lombardia dapprima il provvedimento con cui gli era stata inflitta la sanzione della sospensione della licenza di taxi per giorni dieci, e indi la successiva determinazione dirigenziale n. 99 del 12.02.2010 che aveva disposto la revoca della stessa licenza, per avere egli riportato nel quinquennio la sospensione di tale titolo, quale conseguenza di due procedimenti disciplinari, per un periodo complessivo superiore ai novanta giorni.
Il Comune di Milano si costituiva in giudizio eccependo la tardività del primo ricorso e chiedendo il rigetto di entrambi, siccome infondati.
Il Tribunale adìto, riuniti i gravami, li respingeva con la sentenza n. 6901/2010 in epigrafe.
Avverso tale decisione il Benazzo esperiva il presente appello, con il quale riproponeva le proprie doglianze ed argomentazioni, criticando la sentenza per averle disattese.
Resisteva all’impugnativa anche in questo grado di giudizio il Comune di Milano.
Questa Sezione alla Camera di consiglio del 7 giugno 2011 accoglieva la domanda cautelare spiegata dall’appellante, rilevando che apparivano “fondate, almeno prima facie, le doglianze di omessa comunicazione di avvio del procedimento di revoca e di mancanza di motivazione (non rinvenibile neppure nel pronunciamento della Sottocommissione del 14\7\2009) del relativo provvedimento finale, avente indole discrezionale a norma del Regolamento di settore, vizi dei quali il procedimento dovrebbe pertanto essere emendato”.
Subito dopo tale pronuncia cautelare l’Amministrazione comunicava allora al Benazzo l’avvio di un nuovo procedimento di revoca, precisando che nel suo ambito avrebbe preso in considerazione, oltre ai fatti già noti, anche ulteriori gravi condotte da lui più recentemente tenute. E all’esito il Comune, dopo avere proceduto anche ad una nuova audizione del tassista, con determina dirigenziale n. 700/2011 rinnovava il precedente provvedimento di revoca della licenza.
La difesa municipale, dato conto di tali sviluppi, esponeva che l’Ente con tutto ciò aveva dato seguito all’indicazione impartita dalla Sezione con la propria ordinanza cautelare, e concludeva per il rigetto dell’appello.
L’appellante, dal canto suo, obiettava invece che l’adozione del nuovo provvedimento non avrebbe potuto comportare la cessazione della materia del contendere, né la sopravvenuta carenza di interesse del presente appello. Sottolineava, in particolare, che a fondamento della nuova misura, che si riservava di impugnare nel termine di legge, non erano stati posti solo gli addebiti che avevano motivato la precedente revoca, ma, appunto, anche dei fatti successivi, onde il provvedimento sopravvenuto, avendo carattere autonomo rispetto al precedente, non avrebbe potuto sostituirlo. L’appellante rimarcava, infine, che la condotta tenuta dal Comune esprimeva piena consapevolezza dell’esistenza delle illegittimità denunziate in questa sede contenziosa.
Le parti ribadivano le rispettive tesi anche a mezzo di scritti di replica.
Alla pubblica udienza del 15 novembre 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello è infondato.
1 E’ agevole riscontrare, in primo luogo, l’infondatezza dei motivi a base del primo ricorso al T.A.R. per la Lombardia del sig. Benazzo, motivi qui riproposti nella cornice di una critica alla sentenza di primo grado che li ha disattesi.
L’interessato, nell’impugnare la sanzione della sospensione della sua licenza di taxi per giorni dieci, si è doluto dell’incompletezza dell’istruttoria del relativo procedimento e di quella della motivazione provvedimentale. Ha poi lamentato una sproporzione nell’irrogazione della sanzione, per il fatto che questa rendeva possibile una successiva revoca della licenza, la quale avrebbe potuto essere disposta, però, per sua natura, solo per fatti di estrema gravità, e non, a suo dire, per il fatto contestatogli.
Il Tribunale ha fatto esattamente notare, tuttavia, come il procedimento che aveva portato all’irrogazione della sanzione della sospensione della licenza fosse esente da vizi.
La Sottocommissione chiamata ad esprimere il parere previsto dall’art. 39 del Regolamento comunale per il servizio pubblico delle autovetture da piazza ha dato conto del preciso esposto pervenuto dalla cliente del ricorrente, dal contenuto analitico e puntuale: e non sono stati forniti nemmeno in questa sede elementi atti ad incrinare la credibilità di tale segnalazione.
La Sottocommissione si è pure soffermata sulla sostanziale ammissione resa in istruttoria dal titolare della licenza. Al medesimo erano stati chiesti i chiarimenti del caso, ma questi, che pure aveva avuto accesso agli atti, ma non aveva chiesto di essere sentito personalmente, non solo non aveva svolto alcuna effettiva difesa (limitandosi ad affermazioni quali quella di non ricordare i particolari, o di non poter escludere che fossero intervenute delle deviazioni di percorso), né aveva negato la propria responsabilità dell’accaduto, bensì, al contrario, aveva sostanzialmente ammesso l’addebito, dichiarandosi per iscritto disponibile a restituire l’eccedenza della somma ricevuta rispetto alla tariffa vigente per la tratta ricoperta (e persino a porgere le proprie scuse all’utente). Ammissione che toglie ogni rilevanza, in questa sede, alle deduzioni della stessa parte circa l’astratta insufficienza della singola segnalazione di un utente a poter giustificare l’irrogazione di una sanzione.
Da quanto esposto si desume, quindi, la congruità dell’istruttoria compiuta, che parte ricorrente definisce come approssimativa senza però indicare quali ulteriori accertamenti avrebbero dovuto essere espletati. Da ciò anche l’inappuntabilità della conclusione della Sottocommissione, poi recepita dal seguente provvedimento dirigenziale sanzionatorio, nel senso della inconfutabilità dell’addebito.
Il T.A.R. ha pure esattamente escluso che vi fosse un vizio di motivazione, rilevando come il provvedimento sanzionatorio fosse stato motivato per relationem con riferimento al parere della Sottocommissione, che dava analitica contezza di tutti gli elementi esaminati. E non è dato comprendere quale profilo di motivazione dovrebbe in tesi reputarsi omesso. Senza dire, poi, che il fatto che al tempo dell’episodio esistessero delle avanzate trattative per introdurre un aumento della tariffa per la tratta in rilievo non integrava una circostanza neppure lontanamente idonea a fondare una ipotetica buona fede dell’interessato, né un punto meritevole di particolare attenzione.
Parte ricorrente asserisce, inoltre, che sarebbe stata disattesa la procedura prescritta dalla legge, senza però precisare in cosa sarebbe effettivamente consistita la violazione così adombrata.
Quanto alla determinazione del quantum della sanzione, infine, risulta ineccepibile la determinante notazione del primo Giudice che questa è stata fissata in prossimità del minimo edittale previsto, per la categoria di violazioni nella quale rientrava l’infrazione emersa, dalla determinazione comunale del 21.6.2005 (che prevedeva in proposito la sospensione da 7 a 30 giorni, come era stato anticipato all’interessato sin dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento).
Per concludere, è appena il caso di aggiungere che la proporzionalità della sanzione non potrebbe essere valutata che alla luce del contenuto afflittivo proprio del provvedimento di sospensione in discussione, laddove la revoca della licenza in seguito intervenuta ha costituito materia, appunto, di un provvedimento successivo, che ha formato a sua volta oggetto di separato gravame.
2 Si può pertanto passare ora al vaglio delle doglianze espresse nel secondo dei ricorsi proposti dal Benazzo al T.A.R., e in questa sede riportate.
Alcune di esse sono chiaramente prive di pregio.
2a E’ il caso della lamentata, omessa acquisizione del parere della Commissione prevista dall’art. 4 del pertinente Regolamento comunale.
Viene dedotto che nella specie si sarebbe espressa solo una Sottocommissione, in luogo della Commissione competente, e per giunta ciò si sarebbe verificato soltanto nell’ambito del distinto procedimento sfociato nella sospensione fin qui considerata.
Il primo Giudice ha posto però correttamente in evidenza che la Commissione indicata dall’art. 40 del Regolamento, e più analiticamente connotata dal precedente art. 4 della stessa fonte, ha la facoltà di articolarsi, per la trattazione di specifiche materie, in sottocommissioni, le quali, viene pure specificato dall’art. 4, “agiscono ad ogni effetto con i poteri della Commissione consultiva”. Ora, nella fattispecie ha appunto agito la Sottocommissione preposta all’esame dei procedimenti disciplinari a carico dei tassisti. E la medesima ha espresso il suo punto di vista rispetto alla misura della revoca della licenza del Benazzo proprio proponendo, in data 14 luglio 2009, l’adozione di tale atto di ritiro: proposta che, anche per il fatto di essere stata resa già causa cognita, rendeva evidentemente superfluo acquisire nuovamente l’avviso dello stesso organo sub specie di parere.
2b E’ pure destituita di fondamento la lamentela relativa ad una presunta sproporzione tra la gravità della nuova infrazione commessa e l’entità della sanzione revocatoria finale.
Posto che con provvedimento del 4 agosto dell’anno 2005 il Benazzo aveva già riportato una sospensione della licenza per novanta giorni, e che l’art. 40 cpv. del Regolamento prevede la revoca della licenza il cui titolare abbia riportato sanzioni, nell’ultimo quinquennio, per una sospensione di durata complessiva superiore ai novanta giorni, il T.A.R. ha giustamente evidenziato che qualunque considerazione sulla sproporzione della sanzione inflitta si rivelava inconferente, perché anche l’applicazione di una sanzione inferiore al minimo edittale di sette giorni previsto dalla determinazione del 21.6.2005 avrebbe potuto condurre alla revoca. Non guasta poi aggiungere, da un lato, che, come ha opportunamente ricordato il Giudice locale, la condotta che nel 2005 aveva comportato l’irrogazione della sospensione per novanta giorni sarebbe già stata suscettibile ex se di condurre alla revoca della licenza, ai sensi dell’art. 40, comma 3 n. 3, del citato Regolamento; dall’altro, che l’infrazione commessa nel 2008 (“importo superiore al dovuto”) era comunque di considerevole gravità, inscrivendosi nella classe 4 di cui alla determinazione del 21.6.2005, vale a dire nel quarto dei 5 livelli di gravità crescente individuati nella classificazione dell’Amministrazione.
2c I fatti ascritti al Benazzo si sono verificati tutti, infine, prima dell’avvento della Legge Regionale n. 11 del 14 luglio 2009, le cui previsioni sanzionatorie, invocate come più miti, si rivelano quindi fuori causa.
In materia di sanzioni amministrative, infatti, l'applicazione dei principi generali di legalità ed irretroattività comporta l'assoggettamento della condotta alla legge in vigore al tempo del suo verificarsi, restando irrilevante, in mancanza di un'espressa previsione di retroattività, il carattere più favorevole della disposizione sopravvenuta (tra le tante v. Cass. Civ., sez. lav., 25 giugno 2009, n. 14959, e 14 giugno 2010, n. 14197 ; Sez. Un., 3 novembre 2009, n. 23206 ; Consiglio Stato, sez. VI, 3 giugno 2010, n. 3497).
3a Discorso diverso si impone, invece, con riferimento alle due doglianze residue: quella per cui l’Amministrazione non aveva dato preventivo avviso dell’avvio del procedimento di revoca della licenza (ma solo dell’avvio del procedimento sanzionatorio culminato con l’ultima sospensione); quella per cui il Comune aveva motivato la revoca, nonostante la sua natura discrezionale ( “ … può inoltre revocare …”, recita l’art 40 cpv. del Regolamento qui in rilievo), a guisa di una sorta di automatismo rispetto al superamento della soglia dei novanta giorni di sospensione valicata nello specifico dal Benazzo.
La originaria sussistenza dei relativi vizi, già rilevata dalla Sezione in sede cautelare, si impone con evidenza tale da non richiedere particolari considerazioni. Del resto, la stessa Amministrazione, con i propri atti successivi all’intervento cautelare di questo Consiglio, ha indubbiamente mostrato, nei fatti, di riconoscerne l’esistenza, attivandosi con solerzia per emendarne la propria azione.
3b I nuovi atti assunti dal Comune di Milano, culminati nel provvedimento di rinnovo della revoca della licenza emesso in data 4 ottobre 2011, hanno però, appunto, sanato il provvedimento impugnato sotto i profili di cui si tratta, onde il loro avvento impone il rigetto dell’appello anche con riferimento a questi aspetti.
Il nuovo provvedimento mostra di avere quale proprio inequivocabile scopo quello di confermare e convalidare il precedente atto di revoca, saldandosi con esso e sanando i vizi che lo inficiavano: siffatta volontà non è priva di riscontro testuale in atti, dove il dispositivo provvedimentale è quello di “rinnovare il provvedimento di revoca”, e l’avviso nuovamente reso dalla Commissione è stato quello favorevole, appunto, ad un “nuovo provvedimento di revoca a conferma del proprio operato”.
Vero è, poi, che il nuovo provvedimento richiama anche dei fatti sopravvenuti. Ciò non toglie, però, che il suo preminente profilo causale sia quello dell’atto di sanatoria del precedente, e non già quello di un provvedimento del tutto autonomo ed a sé stante. Sicché la estensione della valutazione dell’Amministrazione anche a fatti più recenti, inclusi in realtà solo ad abundantiam nel perimetro dei rinnovati apprezzamenti, non osta alla qualificazione del provvedimento sopravvenuto nei termini anzidetti.
I vizi di cui si tratta sono stati dunque rimossi. Il nuovo intervento è stato, infatti, preceduto da una apposita comunicazione di avvio, ed è stato munito di una motivazione consapevole della discrezionalità della scelta, avendo il Comune rimarcato sin dall’avvio del proprio procedimento emendativo che le condotte accertate comprovavano la perdurante assenza di correttezza ed affidabilità dell’interessato, tale da costituire un pericolo per gli utenti del servizio pubblico ed il suo regolare funzionamento.
In un contesto ordinamentale in cui la Pubblica Amministrazione può essere chiamata a rispondere delle lesioni degli interessi legittimi procurate ai consociati, d’altra parte, deve ritenersi non solo possibile, ma addirittura doveroso, ogni suo intervento, anche in pendenza di giudizio, che sia suscettibile di porre rimedio alle illegittimità eventualmente commesse (a maggior ragione quando esse siano di natura prevalentemente formale). Tanto in applicazione del principio generale ormai codificato dall’art 21 nonies cpv. della legge n. 241 del 1990, che, nel fare definitiva chiarezza circa l’applicabilità dell’istituto della convalida anche ai provvedimenti dell’Amministrazione pubblica, non ha posto alcuna limitazione a priori al suo ambito applicativo.
4 In conclusione, per le ragioni esposte l’appello in esame deve essere nel suo insieme respinto.
La iniziale presenza dei vizi di legittimità riscontrati induce tuttavia a compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunziando sull’appello in epigrafe, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 15 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Aldo Scola, Consigliere
Roberto Chieppa, Consigliere
Eugenio Mele, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/12/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)