Data: 2015-11-05 09:19:25

RUMORE: legittimo regolamento e ordinanza del Comune - SENTENZA

RUMORE: legittimo regolamento e ordinanza del Comune - SENTENZA

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[color=red][b]TAR LOMBARDIA – BRESCIA, SEZ. II – sentenza 3 novembre 2015 n. 1425[/b][/color]

N. 01425/2015 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1514 del 2015, proposto da:

Marika Wine Bar di Mileo Maria, Shake Bar Raz Snc, Bar Reef Cafè, Doma Concept Srl, Bar Crocevia, La Chupiteria, The Vintage, rappresentati e difesi dall’avv. Domenico Bezzi, con domicilio eletto presso Domenico Bezzi in Brescia, Via Diaz, 13/C;

contro

Comune di Bergamo, rappresentato e difeso dagli avv. Vito Gritti, Silvia Mangili, con domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in Brescia, Via Carlo Zima, 3;

per l’annullamento, previa sospensione,

della deliberazione 15 giugno 2015 n°79, pubblicata all’Albo pretorio dal 17 giugno 2015, con la quale il consiglio comunale di Bergamo ha approvato il “Regolamento per la convivenza tra le funzioni residenziali e le attività degli esercizi commerciali e artigianali alimentari, dei pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande e di svago nel territorio cittadino”;

dell’ordinanza 1 luglio 2015 n°4, conosciuta in data imprecisata, con la quale il Sindaco del Comune di Bergamo ha disposto, ai sensi dell’art. 6 del Regolamento predetto e con decorrenza dal 13 luglio 2015, la limitazione dell’orario di apertura di alcune attività commerciali, e in particolare: a) l’apertura non prima delle 6 del mattino e la chiusura non dopo le 0,30 del mattino successivo per i pubblici esercizi, i circoli privati abilitati alla somministrazione e gli esercizi artigianali e commerciali di vendita di beni alimentari che consentono il consumo sul posto indicati nell’elenco allegato all’ordinanza; b) il divieto di vendita per asporto di bevande in contenitori di vetro o di latta anche attraverso distributori automatici dalle ore 23 sino alle ore 7 per i titolari di attività commerciali in sede fissa o su aree pubbliche, di attività artigianali con vendita di beni alimentari di produzione propria e di pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande; c) l’imposizione di una cauzione ai clienti per l’uso dei bicchieri di vetro o l’utilizzo di bicchieri di plastica usa e getta previo impegno a garantire la pulizia della strada per i titolari di pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, ove i clienti consumino al banco ovvero possano uscire dal locale;

di ogni atto presupposto, conseguente, ovvero collegato;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Bergamo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2015 il dott. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

[b]I ricorrenti sono tutti gestori di bar, caffè e pub siti in Bergamo, nella via Borgo Santa Caterina e dintorni, teatro del fenomeno sociale conosciuto comunemente come “movida”: giovani, e meno giovani, i quali nelle ore serali, e spesso sino a tarda notte, affollano i vari locali e sostano sulla pubblica strada all’esterno di essi per conversare, mangiare e bere, spesso alcolici. Sollecitato a intervenire dalle rimostranze dei residenti – i quali lamentano l’asserita invivibilità della zona a motivo del rumore prodotto, dei rifiuti che vengono abbandonati per le vie, costituiti spesso da bottiglie e bicchieri infranti, di intuibile pericolosità, e in alcuni casi dalle intemperanze degli ubriachi- il Comune da lungo tempo è intervenuto per disciplinare il fenomeno, adottando soprattutto provvedimenti di limitazione dell’orario di apertura dei pubblici esercizi e della possibilità, pur entro l’orario di apertura, di vendere bevande alcoliche, specie se confezionate in vetro (fatti da ritenere localmente notori, e comunque non contestati in causa).[/b]

In particolare, subito prima dei provvedimenti per i quali ora è causa, il Comune ha adottato l’ordinanza di necessità del Sindaco 25 novembre 2014 n°159, la quale appunto, in sintesi estrema, ha vietato indistintamente nella zona in questione la vendita per asporto di bevande analcoliche ed alcoliche di qualsiasi gradazione in bottiglie di vetro o lattine dalle ore 20 alle ore 6 del giorno seguente, ha vietato l’abbandono in luogo pubblico di qualunque contenitore di alimenti ovvero bevande e imposto l’orario di chiusura per tutti i giorni dalla 1.30 alle 6 di tutti i relativi esercizi di vendita (doc. 3 ricorrenti, copia ordinanza citata).

L’ordinanza in questione è stata impugnata avanti questo Tribunale da alcuni esercenti, che in parte coincidono con gli odierni ricorrenti, e nel relativo giudizio, iscritto al n°1645/2014 R.G. e chiamato a sua volta all’odierna udienza pubblica, è stata in parte sospesa con l’ordinanza cautelare 15 gennaio 2015 n°72 (doc. 5 ricorrenti, copia di essa)

Il provvedimento cautelare in questione ha infatti disposto la decorrenza dalle 22.30 e non dalle 20 del divieto di vendita degli alcolici, nonché un orario differenziato di chiusura dalle 2.30 alle 6 per i giorni prefestivi e festivi, fermo il resto; a sostegno, per quanto interessa nel presente giudizio, ha poi osservato in motivazione che il Comune avrebbe meglio potuto disciplinare il fenomeno non con provvedimenti di necessità e urgenza, ma in via ordinaria, con un regolamento adottato dal Consiglio comunale previi gli opportuni approfondimenti istruttori ed il confronto con i residenti, gli esercenti e le relative associazioni (doc. 5 ricorrenti, cit.).

Intendendo rispondere a questo invito, il Comune ha allora adottato i provvedimenti di cui meglio in epigrafe, ovvero il “Regolamento per la convivenza tra le funzioni residenziali e le attività degli esercizi commerciali e artigianali alimentari, dei pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande e di svago nel territorio cittadino” approvato con la delibera consiliare n°79/2015 (doc. 1 ricorrente, copia di essa) ed l’ordinanza n°4/2015, che lo applica ad alcuni locali, specificamente indicati, aperti nella zona che interessa (doc. 2 ricorrenti, copia di essa).

I ricorrenti, titolari appunto di alcuni dei locali interessati da tale ultima ordinanza (doc. 2 ricorrenti, cit.), impugnano quindi i provvedimenti suddetti, sulla base di quattro censure, riconducibili secondo logica ai seguenti sette motivi:

– con il primo di essi, corrispondente ai contenuti della prima censura da p. 6 undecimo rigo a p. 7 sesto rigo dal basso dell’atto, deducono violazione dell’ordinanza cautelare 72/2015, ma più propriamente eccesso di potere per illogicità, quanto all’art. 6 del regolamento. Tale articolo dispone in merito agli orari delle attività commerciali e artigianali alimentari e di somministrazione e in linea di principio (comma 1) li rimette “alla libera determinazione degli esercenti nel rispetto della normativa vigente”; prevede però al comma 2 un “potere del Sindaco” di “coordinare e riorganizzare” gli orari stessi “sulla base degli indirizzi espressi dal Consiglio comunale”; al comma 3 poi prevede una “deroga ai principi generali”, nel senso che il Sindaco possa imporre comunque la “apertura dalle ore 6.00 del mattino” e la “chiusura alle ore 00.30 del giorno dopo” per “singoli esercizi, intere vie, zone o quartieri” in base a ragioni urbanistiche, di ordine pubblico e sicurezza urbana” (doc. 1 ricorrenti, cit.). Di tale previsione, i ricorrenti censurano, in sintesi estrema, il carattere illogico sia perché il potere di riorganizzazione degli orari spettante al Sindaco sarebbe eccessivamente discrezionale, sia perché la facoltà di deroga ai principi generali di cui si è detto non prevede alcun orario differenziato per i giorni festivi e prefestivi. Fanno notare che tale tipo di orario era stato previsto dall’ordinanza di questo TAR citata e ritenuto necessario alla concorrenzialità delle imprese dalle osservazioni dell’ASCOM (doc. 7 ricorrenti, copia di esse);

– con il secondo motivo, corrispondente ai contenuti dell’atto alla prima censura da p. 7 dal quinto rigo dal basso a p. 8 prime nove righe, e alla terza censura alle pp. 12 e 13 fino alle ultime tre righe di essa, deducono ancora violazione dell’ordinanza cautelare 72/2015, ma più propriamente eccesso di potere per illogicità, quanto all’art. 3 del regolamento. Tale articolo prevede le “indicazioni operative agli esercenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei beni culturali” e impone agli stessi (comma 2) di adottare “misure idonee a contenere eventuali fenomeni di degrado e di disturbo alla quiete pubblica”, ovvero di assicurare la pulizia dei rifiuti derivanti “da eventuali comportamenti generanti degrado ambientale posti in essere dagli avventori o frequentatori dei locali” quanto a “tutti gli spazi ed i luoghi contigui o vicini agli esercizi e alle eventuali aree in concessione”; impone poi agli stessi esercenti (commi 2 e 3) di adottare “ogni utile accorgimento” per mitigare il rumore ed il disturbo e di esporre “idonea cartellonistica” sulle norme di convivenza civile (doc. 1 ricorrenti, cit.). I ricorrenti affermano che tale previsione attribuirebbe, in modo non consentito, a loro stessi, soggetti privati, compiti che sarebbero propri dell’autorità di pubblica vigilanza;

– con il terzo motivo, corrispondente ai contenuti dell’atto alla terza censura, da p. 14 alla fine di p. 15 alla fine, deducono ancora eccesso di potere per illogicità quanto al “meccanismo premiale” di cui agli artt. 9 e 10 del regolamento. Gli articoli citati prevedono che singoli esercenti possano concludere con il Comune accordi di cui all’art. 11 della l. 7 agosto 1990 n°241 volti a “minimizzare gli impatti” delle loro attività: in sintesi, in tale tipo di accordo, l’esercente si impegna ad adottare accorgimenti volti a limitare il potenziale disturbo sia all’interno del locale, sia all’esterno di esso, sia nelle “immediate adiacenze degli ingressi” e si impegna ad altre prestazioni di valenza in senso ampio sociale, come organizzare eventi rivolti al “bere responsabile” ovvero non installare macchinette per il gioco d’azzardo; l’amministrazione, in contraccambio, consente in primo luogo una proroga di un’ora per la chiusura. Di tale previsione, i ricorrenti contestano il presunto carattere illogico;

– con il quarto motivo, corrispondente ai contenuti dell’atto alla prima censura, parte prima da p. 5 nono rigo a p. 6 decimo rigo e parte finale da p. 8 nono rigo, nonché alla seconda censura, da p. 10 settimo rigo dal basso a p. 11 escluse le ultime tre righe, deducono violazione degli artt. 3, 7 e 10 l. 241/1990, e comunque eccesso di potere per mancanza di idonea istruttoria nella formazione del regolamento. Lamentano in particolare che non ci sarebbe stato il confronto, pur ritenuto necessario anche dall’ordinanza cautelare, con le categorie interessate. In particolare, le osservazioni dell’ASCOM si riferirebbero (doc. 7 ricorrenti, cit.) ad una bozza di regolamento diversa da quella poi votata, né sarebbero chiare le ragioni alla base delle scelte dell’amministrazione;

– con il quinto motivo, corrispondente ai contenuti dell’atto alla seconda censura da p. 9 quinto rigo a p. 10 diciottesimo rigo, deducono ancora violazione, propriamente della D.G.R. Lombardia 23 gennaio 2008 n°VIII/6495, perché il regolamento è stato adottato senza il necessario parere della Commissione comunale competente in materia di orari delle attività;

– con il sesto motivo, di contenuti analoghi al quarto e illustrato negli stessi passaggi dell’atto, deducono ancora violazione degli artt. 3, 7 e 10 l. 241/1990, e comunque eccesso di potere per mancanza di idonea istruttoria quanto all’ordinanza applicativa del regolamento, la quale sarebbe stata emanata in sintesi senza riferimento alcuno alle precise circostanze per cui le restrizioni sono state imposte ai ricorrenti e non ad altri;

– con il settimo ed ultimo motivo, deducono infine eccesso di potere per sviamento, in quanto a loro dire l’ordinanza impugnata perseguirebbe il reale obiettivo di espellere dalla zona le loro attività. Premettono che la libertà di iniziativa economica è garantita nel nostro ordinamento da norme di livello costituzionale, gli articoli 119 TFUE e 41 Cost., nonché di legge, il recente d.l. 6 dicembre 2011 n°201 convertito nella l. 22 dicembre 2011 n°214, e in base a dette norme può essere limitata solo in base a ragioni accertate di utilità sociale; ciò posto affermano che nella specie le ragioni in questione non sarebbero individuate.

Con decreto 14 luglio 2015 n°1339, il presidente della Sezione staccata ha respinto l’istanza di misure cautelari monocratiche; al contempo, ha disposto istruttoria per valutare il pericolo nel ritardo ai fini della decisione collegiale, ed ha prescritto al Comune di produrre in giudizio chiarimenti sui pareri acquisiti, sull’istruttoria svolta e sull’esatto numero di locali coinvolti; ai ricorrenti invece di documentare gli incassi conseguiti prima o dopo l’entrata in vigore dell’ordinanza. Di conseguenza, il Comune ha depositato in data 20 agosto 2015 l’elenco degli esercizi interessati, in totale ventiquattro, compresi i sette ricorrenti; questi ultimi in data 26 e 27 agosto 2015 hanno depositato documentazione contabile sui corrispettivi, illustrando meglio le loro asserite ragioni con memoria 28 agosto 2015.

Parallelamente, il Comune ha resistito, e chiesto che il ricorso sia respinto, con memoria pure del 28 agosto 2015, in cui:

– preliminarmente, contesta che l’ordinanza abbia prodotto un calo di incassi in qualche modo sensibile, ed evidenzia che i ricorrenti sono una minoranza fra gli esercizi interessati (memoria, pp. 7-8);

– quanto all’istruttoria svolta, deduce di avere adottato il regolamento in base a relazioni degli uffici urbanistici (doc. 3 Comune, copia di essa) e della Polizia locale (doc. 4 Comune, copia di essa) e dopo aver acquisito osservazioni sia dell’ASCOM sia del Comitato dei residenti, e di avere scelto consapevolmente di non accogliere talune di esse, in particolare le osservazioni dei commercianti che chiedevano un orario differenziato nel fine settimana (doc. ti da 5 a 10 comune, copia di esse; memoria, pp. 10-20). Deduce ancora ad ogni buon conto (memoria, pp. 28-29) che né il regolamento, atto normativo, né l’ordinanza applicativa, a suo dire necessitata, sono soggetti alle norme sulla partecipazione della l. 241/1990;

– quanto ai poteri conferiti al Sindaco, ha precisato come, secondo logica, il Sindaco possa esercitarli solo sulla base di una “accurata e documentata indagine istruttoria” (memoria, pp. 21 e 22, ove la citazione al sedicesimo rigo);

– ha poi dedotto come la Commissione di cui alla D.G.R. Lombardia 23 gennaio 2008 n°VIII/6495 più non esista, per implicita abrogazione delle norme che la prevedevano da parte delle norme statali sulla liberalizzazione dei pubblici esercizi (memoria, pp. 26-29);

– quanto ai contenuto del regolamento, ha dedotto di aver sempre cercato la collaborazione dei gestori, per fronteggiare una situazione grave soprattutto per il rumore prodotto dai clienti che stazionano in strada (doc. ti 24 e 25 Comune, copie rilevazione ARPAV e articolo di stampa in merito); a riprova, produce le copie (doc. ti Comune da 11 a 22) di dodici accordi già stipulati ai sensi del Regolamento impugnato; di conseguenza, difende i contenuti dell’ordinanza applicativa (memoria, pp. 29-36).

Alla camera di consiglio del 1 settembre 2015, le parti hanno concordato di riunire la domanda cautelare al merito e di rinviare la causa per la relativa trattazione alla udienza del giorno 21 ottobre 2015, già fissata per decidere il parallelo ricorso 1645/2014 di cui s’è detto; con memorie 15 settembre 2015 per il Comune e 30 settembre 2015 per i ricorrenti, hanno illustrato poi le rispettive asserite ragioni

Alla predetta udienza, da ultimo, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

[b]1. Il ricorso è solo in parte fondato, nei termini ora illustrati.[/b]

2. In via preliminare, va chiarito che l’istruttoria svolta per verificare se, per effetto dell’ordinanza impugnata, il giro d’affari dei ricorrenti sia diminuito era volta in primo luogo a verificare l’esistenza del pericolo cautelare, ma riveste ora rilevanza limitata ai fini della decisione di merito.

3. Infatti, in termini generali e per costante insegnamento del Consiglio di Stato, espresso per tutte dalla decisione sez. VI 16 febbraio 2002 n°961, e, nella giurisprudenza della Sezione, dalla sentenza sez. II 4 ottobre 2010 n°730, “il soggetto autorizzato a svolgere una certa attività, in concreto avente alcune caratteristiche”, nella specie un bar, “ben può impugnare l’atto amministrativo generale che regoli, senza necessità di un atto applicativo, la medesima attività sotto qualsiasi suo profilo di svolgimento… anche se al momento della proposizione del ricorso non sussiste una immediata incidenza nella sua sfera patrimoniale”. L’impugnazione del regolamento è quindi ammissibile anche quanto alle disposizioni applicabili in via generale e non riprese dall’ordinanza applicativa.

4. Ciò chiarito, è infondato il primo motivo di ricorso, imperniato da un lato sulla presunta eccessiva discrezionalità conferita al Sindaco e dall’altro sull’altrettanto presunta eccessiva rigidità degli interventi limitativi, che non prevedono orari differenziati nel fine settimana.

5. Sul primo punto, come correttamente osserva la difesa del Comune (memoria 28 agosto 2015 p. 21 nono rigo dal basso), la disposizione impugnata dell’art. 6 comma 2 del Regolamento riproduce il disposto dell’art. 50 comma 7 prima parte TUEL 18 agosto 2000 n°267, per cui “Il Sindaco, altresì, coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell’àmbito dei criteri eventualmente indicati dalla Regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici…”.

6. Tanto premesso, si può interpretare la norma in questione alla luce degli orientamenti della giurisprudenza, a cominciare da quella costituzionale ed europea, su fattispecie analoghe. In primo luogo, non si può dubitare che la norma sia conforme alla Costituzione nazionale, la quale, con norma che vale principio fondamentale, afferma all’art. 41 che l’iniziativa economica privata, pur libera, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. In tal senso, da ultimo C. cost. 22 luglio 2010 n°270, citata anche dai ricorrenti (ricorso, p. 16 quarto rigo), considera lecite le limitazioni alla concorrenza dettate da fini sociali, ai quali ovviamente deve ispirarsi l’azione del Comune di cui si tratta.

7. D’altro canto, è vero che il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea- TFUE, come risulta ad esempio dall’art. 119 invocato anche dai ricorrenti (ricorso, p. 16 nono rigo dal basso), eleva a principio dell’ordinamento europeo la concorrenza di mercato; ciò però non senza limiti, a cominciare da quelli di cui all’art. 9, per cui “Nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto” fra l’altro, “delle esigenze connesse con … la garanzia di un’adeguata protezione sociale… e tutela della salute umana”. In tal senso, quindi, anche la giurisprudenza europea, per tutte la nota C. giustizia UE sez. I 14 ottobre 2004 in C – 36/02 Omega, considera in linea di principio lecite le limitazioni alle attività economiche, nella specie si trattava di una sala giochi, ispirate a tali esigenze.

8. Tali argomenti, secondo logica, mantengono intatto il loro valore anche dopo la liberalizzazione degli orari di cui al già citato d.l. 241/2011, che da un lato ha inteso adeguarsi proprio a norme europee, dall’altro però, essendo disposta con fonte di rango legislativo ordinario, va interpretata in conformità ai principi suddetti.

9. Quanto sopra va poi coordinato con le regole generali, sempre individuate dalla giurisprudenza, per l’esercizio di ogni potere amministrativo ampiamente discrezionale, che nell’imporre limiti all’attività privata deve sempre obbedire ai principi di proporzionalità e adeguatezza. In tal senso, anzitutto, esso deve essere in grado di assicurare il raggiungimento del risultato avuto di mira e non andar oltre quanto necessario a raggiungerlo, come affermato in termini generali per tutte dalla fondamentale Corte Giustizia 22 febbraio 2002 C 390/99 Canal Satelite.

10. Più in concreto, come ritenuto a partire da C.d.S. sez. VI 17 aprile 2007 n°1736, da cui le citazioni, e dalle conformi TAR Lazio Roma 6 dicembre 2006 (ud.) n°563 e n°777, applicare il principio comporta un’indagine “trifasica”. In primo luogo, si deve verificare la “idoneità” del provvedimento, ovvero il “ rapporto tra il mezzo adoperato e l’obiettivo perseguito. In virtù di tale parametro l’esercizio del potere è legittimo solo se la soluzione adottata consenta di raggiungere l’obiettivo”.

11. In secondo luogo, si deve verificare la sua “necessarietà”, ovvero la “assenza di qualsiasi altro mezzo idoneo ma tale da incidere in misura minore sulla sfera del singolo. In virtù di tale parametro la scelta tra tutti i mezzi astrattamente idonei deve cadere su quella che comporti il minor sacrificio”.

12. Infine, si deve verificare la “adeguatezza”, cioè la “tollerabilità della restrizione che comporta per il privato. In virtù di tale parametro l’esercizio del potere, pur idoneo e necessario, è legittimo solo se rispecchia una ponderazione armonizzata e bilanciata degli interessi, in caso contrario la scelta va rimessa in discussione”.

13. Applicando i principi appena delineati al caso di specie, è evidente che il potere conferito al Sindaco dal regolamento in questione è tutt’altro che indeterminato. Si comprende infatti che gli indirizzi consiliari dovranno in primo luogo essere centrati sulla necessità di garantire la sicurezza, la libertà e la dignità, e in secondo luogo proporzionati ed adeguati secondo le modalità esaminate, e che il Sindaco a ciò dovrà conformarsi.

14. I principi delineati offrono altresì il criterio per valutare l’ulteriore disposizione censurata dell’art. 6 comma 3, la quale come si è detto conferisce al Sindaco il potere di imporre l’orario di apertura dalle 6 del mattino alla mezzanotte e mezzo senza differenziare fra i giorni della settimana, là dove, per esercizi come quelli dei ricorrenti, sarebbe maggiormente gradita la possibilità di un orario protratto nei giorni festivi e prefestivi, su modello di quanto previsto dall’ordinanza cautelare 72/2015.

[b]15. Ad avviso del Collegio, siffatta previsione non è di per sé illegittima. La stessa può essere applicata, in base al regolamento stesso, per ragioni di “sicurezza urbana”, fra le quali, anche secondo il senso comune, c’è sicuramente l’esigenza di garantire il riposo delle persone, e quindi, in ultima analisi, la loro salute fisica e psichica. In tali casi, come affermato ad esempio da TAR Veneto sez. III 2 aprile 2009 n°1071, da cui si cita, e 30 novembre 2007 n°3807, “il sacrificio imposto ai gestori” appare in linea di principio “adeguato e proporzionato agli interessi generali che si vogliono tutelare.. comunque prevalenti su quelli d’impresa o su quelli degli avventori..”.[/b]

[b]16. Depone poi nel senso della proporzionalità e adeguatezza di siffatta misura una lettura del regolamento nel suo complesso. Infatti, il meccanismo premiale, su cui più oltre, previsto dagli artt. 9 e 10 consente di prorogare, in base ad accordi di buona prassi, di un’ora l’orario di chiusura, e quindi offre a temperamento una flessibilità utilizzabile non solo nel fine settimana.[/b]

17. Il secondo motivo di ricorso è invece fondato. E’ principio generale del nostro ordinamento, previsto dall’art. 23 Cost., che nessuna prestazione personale possa essere imposta, se non per legge, e alla luce di tale principio vanno esaminate le prestazioni, appunto di carattere personale, previste dall’art. 3 del regolamento, che si censura. In tal senso, quindi, si deve distinguere.

[color=red][b]18. Da una parte, sono illegittime le previsioni generali dell’articolo in esame, per cui i gestori dovrebbero adottare “misure idonee a contenere eventuali fenomeni di degrado e di disturbo alla quiete pubblica”, di contenuto indeterminato, assicurare la pulizia dei rifiuti derivanti “da eventuali comportamenti generanti degrado ambientale posti in essere dagli avventori o frequentatori dei locali” quanto a “tutti gli spazi ed i luoghi contigui o vicini agli esercizi e alle eventuali aree in concessione”, spazi di cui oltretutto nemmeno si specifica la dimensione, e adottare “ogni utile accorgimento”, quindi ampiamente inteso, per mitigare il rumore ed il disturbo.[/b][/color]

19. In tal modo, si viene a creare un vero e proprio trasferimento, per le aree considerate, delle funzioni di polizia locale e di igiene urbana a soggetti privati, e ciò è senz’altro illegittimo, in sintesi perché nessuna norma lo prevede, come affermato anche da TAR Emilia Romagna Parma 10 febbraio 2015 n°37, citata dai ricorrenti (ricorso, p. 13 quattordicesimo rigo), per cui “la pubblica sicurezza, la viabilità, la salute, l’ambiente e i beni culturali sono beni che l’ordinamento affida alla cura della pubblica Autorità”, dotata a tal fine dei pertinenti poteri autoritativi.

20. Fa però parte dell’ordinamento anche la norma generale dell’art. 1173 c.c., per cui le parti di un rapporto obbligatorio, al quale senz’altro è assimilabile quello fra il Comune che conferisce l’autorizzazione e l’esercizio pubblico autorizzato, sono tenute a comportarsi secondo buona fede, nel che si comprende, come ritenuto dalla miglior dottrina in merito, un obbligo positivo di attivarsi a tutela della posizione altrui, quando ciò si possa fare senza apprezzabile sacrificio.

[b]21. In tal senso, alcune limitate e specifiche prescrizioni, che si desumono sempre dall’art. 3, sono sicuramente legittime. In primo luogo, se è illegittimo pretendere dal gestore di un locale indeterminate misure di contrasto al “degrado”, è invece legittimo imporgli come doverosa la condotta di ogni gestore prudente, il quale in presenza di clienti molesti li richiama civilmente al rispetto e, se le molestie persistono, rifiuta di servirli e li allontana dal locale, richiedendo se necessario l’intervento delle forze di polizia.[/b]

22. Inoltre, rientrano certamente nel concetto dell’attivarsi che non richiede apprezzabile sacrificio la predisposizione di cestini e posacenere fuori dalla porta del proprio locale, come pure l’affissione di uno o più cartelli che invitino a non disturbare. E’ poi appena il caso di ricordare che l’obbligo, previsto sempre dall’art. 3, di mantenere i servizi igienici puliti e funzionanti a disposizione dei propri clienti sfugge ad ogni censura, perché riguarda la gestione interna del locale, responsabilità del solo gestore. Parimenti, rimangono immuni da censura il divieto, sancito sempre dall’art. 3 comma 1, di installare all’esterno mensole porta bicchieri – che a ben vedere realizzano un’occupazione di suolo pubblico, per quanto limitata- e l’obbligo di tenere in ordine gli spazi pubblici oggetto di concessione come “dehors”, previsto dal comma 4 e per vero non contestato in alcun modo.

23. Infondato è invece il terzo motivo di ricorso, che censura nel suo complesso il più volte ricordato “meccanismo premiale” tramite il quale i locali – e risulta che i ricorrenti, se pure con riserva dell’esito di questo ricorso, se ne siano già avvalsi (doc. ti Comune da 11 a 22, copie accordi)- possono estendere l’orario di chiusura. Si può solo osservare che gli accordi stessi non operano alcun trasferimento indeterminato di funzioni dall’ente pubblico alla controparte privata, ma si limitano a concedere una deroga a fronte di prestazioni ben precise, che fanno presumere, secondo ragione, che il locale non sarà fonte di disturbo, e secondo quanto è localmente notorio recepiscono una prassi già esistente, per cui i gestori, onde non esasperare la situazione e i rapporti con i residenti, avevano già ingaggiato personale di vigilanza esterno per sorvegliare il comportamento degli avventori che stazionano all’esterno.

24. Infondato è anche il quarto motivo, che fa centro sulla lamentata carenza di istruttoria. Premesso che, come correttamente osservato dalla difesa del Comune, agli atti regolamentari come quello impugnato non si applicano né le norme sulla partecipazione di cui all’art. 7 né quelle sulla motivazione di cui all’art. 3 della l. 241/1990, l’istruttoria di un atto regolamentare potrà cagionarne, secondo logica, la legittimità solo se riveli un esercizio del relativo potere discrezionale illogico, abnorme o fondato su un errato apprezzamento della realtà, tutte fattispecie nel caso non ravvisabili.

25. Infatti, come non è contestato, prima di provvedere il Comune ha consultato i soggetti interessati, in particolare l’associazione di categoria ASCOM, la quale (doc. ti da 5 a 10 Comune, cit.), ha potuto esaminare una bozza di regolamento che già conteneva le disposizioni oggi censurate, ed esprimere il proprio parere in merito. Ciò posto, il regolamento non diviene illegittimo sol perché il Comune, nell’esercizio del proprio potere di indirizzo amministrativo, ha ritenuto di disattendere le indicazioni dell’associazione stessa. In altri termini, un regolamento adottato dal Comune non è illegittimo sol perché non recepisce determinati contenuti segnalati come graditi da questo o quel soggetto interessato.

26. Il quinto motivo, incentrato sulla mancata audizione della Commissione comunale orari, è parimenti infondato, dovendosi condividere l’ordine di idee della difesa del Comune. La Commissione in questione era prevista da ultimo dall’art. 78 della l.r. Lombardia 2 febbraio 2010 n°6, con funzione di rendere parere obbligatorio, in sintesi, sulla “programmazione dell’attività dei pubblici esercizi” Lo stesso concetto di programmazione in materia è però venuto meno in forza delle sopravvenute norme di legge statale, da ultimo con il d.l. 6 dicembre 2012 n°201, e si è realizzato un caso di abrogazione per incompatibilità ai sensi dell’art. 11 delle preleggi.

27. Il sesto e settimo motivo, specificamente rivolti contro l’ordinanza applicativa, vanno infine esaminati congiuntamente, poiché connessi, e sono all’evidenza infondati. L’istruttoria svolta ha appurato, come in premesse, che l’ordinanza limitativa, atto di esercizio di un potere in sé legittimo, nei termini sopra dimostrati, è stata adottata per ventisei esercizi della zona considerata, a fronte di una situazione di disagio per le persone del tutto notoria, e ciò basta a ritenere che non si sia affatto agito in base a scelte casuali o arbitrarie

28. La parziale soccombenza e l’assenza di indirizzi giurisprudenziali consolidati sulla specifica questione dei limiti che è possibile imporre all’attività dei locali pubblici in casi come il presente, dopo la relativa liberalizzazione degli orari nel 2011 conducono a compensare le spese.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

[b]a) accoglie in parte il ricorso e per l’effetto annulla la deliberazione 15 giugno 2015 n°79 del Consiglio comunale di Bergamo, di approvazione del “Regolamento per la convivenza tra le funzioni residenziali e le attività degli esercizi commerciali e artigianali alimentari, dei pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande e di svago nel territorio cittadino”, limitatamente alla parte dell’art. 3 di detto regolamento che impone agli esercenti indicazioni operative a tutela della salute, dell’ambiente e dei beni culturali diverse da quelle indicate in motivazione;[/b]

[color=red][b]b) respinge nel resto;[/b][/color]

c) compensa per intero fra le parti le spese del presente giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Alessandra Farina, Presidente

Stefano Tenca, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 03/11/2015.

riferimento id:29715

Data: 2015-11-06 15:05:12

Re:RUMORE: legittimo regolamento e ordinanza del Comune - SENTENZA

Egregio Dottore,
i colleghi di Bergamo mi hanno trasmesso il loro regolamento con relativa ordinanza ed era mia intenzione per procedere in questo senso anche nel mio Comune, considerato che nel centro storico la movida crea disturbo al riposo dei residenti.
Mi aveva fermato dal procedere il fatto che il garante della concorrenza ha "bloccato" un simile regolamento approvato dal Comune di Ferrara.
Secondo Lei posso procedere con l'approvazione del Consiglio di Stato oppure conviene aspettare eventuale pronuncia del Consiglio di Stato? Grazie per la cortese risposta

riferimento id:29715

Data: 2015-11-06 15:08:52

Re:RUMORE: legittimo regolamento e ordinanza del Comune - SENTENZA


Egregio Dottore,
i colleghi di Bergamo mi hanno trasmesso il loro regolamento con relativa ordinanza ed era mia intenzione per procedere in questo senso anche nel mio Comune, considerato che nel centro storico la movida crea disturbo al riposo dei residenti.
Mi aveva fermato dal procedere il fatto che il garante della concorrenza ha "bloccato" un simile regolamento approvato dal Comune di Ferrara.
Secondo Lei posso procedere con l'approvazione del Consiglio di Stato oppure conviene aspettare eventuale pronuncia del Consiglio di Stato? Grazie per la cortese risposta
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Ciao,
personalmente ti consiglierei di attendere:
1) appello in Consiglio di Stato
2) le novità normative del DDL concorrenza (che potrebbero contenere norme che risolvono la questione).
Si tratta di attendere quantomeno fino a primavera e poi valutare il da farsi.

OVVIAMENTE, vista la citata sentenza, potresti adottare anche oggi un regolamento simile a quello di Bergamo (escluse le parti annullate dal TAR) .... essendo "coperto" da questa sentenza (che però NON SO se verrà confermata in appello!!!

riferimento id:29715

Data: 2015-11-06 15:13:17

Re:RUMORE: legittimo regolamento e ordinanza del Comune - SENTENZA

Quella citata è solo una sentenza del TAR che riguarda il caso specifico ivi affrontato.
A mio avviso non è detto che se tale regolamento ed ordinanza fossero presi a modello per il vs territorio, il TAR competente lo valuti altrettanto positivamente. E' già successo recentemente con un regolamento in tema di orari di sale giochi e slot, se non erro di Massa Carrrara, praticamente identico ad altro di una città del nord con la differenza che quello del nord è stato valutato positivamente dal TAR competente mentre quello di MAssa è stato giudicato carente sotto il profilo motivazionale e quindi "bocciato".

In tutti i provvedimenti amministrativi va quindi sempre tenuta in debito conto la motivazione e la proporzionalità della misura adottata. E poi nè il TAR nè il Cons. Stato "approvano" simili atti, si limitano a valutarli a fronte di ricorsi.

Nulla vieta di usare "modelli" di altri enti ma vanno sempre calati nella realtà in cui si opera onde evitare spiacevoli soprese.

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