Gentili Signori,
Il regolamento comunale di milano (n.46 dell'8nov 2010) dice espressamente che l'attività di estetista può essere svolta a domicilio del cliente solo per prestazioni occasionali, pena sanzioni amministrative e sospensione attività.
Ciò significa che,diversamente da quanto voi risposto ad utenti di altre regioni, a Milano non è possibile svolgere tale attività in modo visibile?
Nella modulistica relativa all'inizio dell' attività è espressamente richiesto di indicare la sede. In ipotesi di lavoro presso domicilio del cliente la sede sarebbe non fissa.cosa consigliate di fare al fine di: 1.non desistere dalla volontà di svolgere l'attività di estetista presso il domicilio del cliente;
2.non incorrere in sanzioni e sospensione di attività?
Potete allegare regolamenti comunali (diversi da milano) e leggi regionali che invece non osteggiano quanto sopra?
Come procedo?grazie
Prime di entrare nel merito specifico riporto un passo di una sentenza di qualche giorno fa in merito al parere regionale sulla verifica del fabbisogno di strutture sanitarie (cliniche private e simili). La normativa regionale in questione manteneva in vigore una disposizione contraria ai consolidati principi giuridici in materia di libertà di esercizio di attività economiche che sono stati introdotti nel 2011/2012 (il parere nasce con per l’esigenza di contingentare il mercato).
Gli stessi principi messi in luce dalla sentenza possono essere traslati al tuo caso nella misura in cui il divieto regolamentare contrasta con la generale possibilità di esercizio al domicilio prevista dalla legge 1/1990 e perché motivato da esigenze riferite a motivi rilevanti di interesse pubblico. Fra tali motivi c’è anche la tutela della salute ma il divieto di esercizio al domicilio non è di per sé pericoloso, un massaggio a domicilio non presenta rischi. Sarà l’estetista a descrivere nella SCIA quali prestazioni esegue a domicilio e in che modo ai fini della tutela della salute del cliente e ai fini del controllo.
Ecco parte del TAR veneto n. 1118 del 30/10/2015:
[i]L’art. 1, commi 1 e 2, del d.l. 24.01.2012, n. 1, conv. in l. 24.03.2012, n. 27, ha stabilito l’abrogazione di tutte le previsioni che comprimono o condizionano indebitamente la libertà di iniziativa economica sancita dagli artt. 2, 3, 4 e 41 della Costituzione e, ancorchè il comma 3 preveda l’emanazione di regolamenti attuativi per l’individuazione delle attività per le quali permanga l’esigenza della previa autorizzazione, la giurisprudenza si è già pronunciata nel senso di considerare le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, (che risultano ricognitive e attuative del principio, costituzionale ed europeo, di libertà d’iniziativa economica in condizioni di piena concorrenza fra tutti gli operatori, presenti e futuri, sancito dalla Costituzione e dal Trattato dell’Unione Europea) immediatamente applicabili (e non meramente “programmatiche”), stabilendo che l’ordinamento deve conformarsi al principio di libertà d’iniziativa economica indipendentemente dai regolamenti attuativi previsti dal comma 3.
Pertanto, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 1/2012, conv. in l. n. 27/2012, le disposizioni emanate a tutela del principio di libertà d’iniziativa economica sono da ritenersi entrate in vigore in data 01.01.2013, dopo la scadenza del termine (31.12.2012) stabilito dai commi 3 e 4 del suddetto articolo.
E’ ben vero che ai sensi del comma 2 del suddetto art. 1, “Le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all’accesso ed all’esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l’iniziativa economica privata é libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità sociale, con l’ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica”, per cui , in materia di “salute”, restano validi limiti, programmi e controlli, purché risultino necessari ad evitare possibili danni.
Ai sensi del comma 1, lett. b), del medesimo art. 1, tuttavia, non risultano né “adeguate”, né “proporzionate” le restrizioni che:- impediscano, condizionino o ritardino l’avvio di nuove attività o l’ingresso di nuovi operatori, ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori già presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi; impediscano, limitino o condizionino l’offerta di prodotti e servizi al consumatore, nel tempo nello spazio o nelle modalità.
[...]
L’unico, effettivo ed imprescindibile strumento di tutela rimane dunque quello costituito dalla puntuale verifica dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi mentre ogni altra limitazione non può che essere considerata “anti-concorrenziale”.[/i]
Quindi, disposizioni regolamentari comunali come quella che citi, devono ritenersi abrogate quando non siano opportunamente motivate. Lo stesso regolamento riporta ancora limiti di orario non più applicabili in modo generalizzato.
Detto questo, le strade sono due: o provare a spiegare all’amministrazione comunale anche approfondendo i concetti che ho espresso, o presentare una SCIA per esercizio al domicilio indicando che non vi è una sede ma che, ugualmente, l’attività viene svolta in modo professionale (libero professionista) e descrivendo le attività che ragionevolmente vengono svolte in funzione della tutela della salute del cliente. Nel secondo caso possono seguire sanzioni o divieti che poi dovrebbero essere impugnati o accettati.