Data: 2015-10-31 15:54:40

PAESAGGISTICA: il termine di 45 giorni è PERENTORIO

PAESAGGISTICA: il termine di 45 giorni è PERENTORIO

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[b]CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – sentenza 28 ottobre 2015 n. 4927[/b]

N. 04927/2015REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.

sul ricorso numero di registro generale 640 del 2015, proposto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12

contro

Eugenio Agazzi, rappresentato e difeso dall’avvocato Sabina Ciccotti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Lucrezio Caro, 62

nei confronti di

Comune di San Michele al Tagliamento

per la riforma della sentenza in forma semplificata del T.A.R. del Veneto, Sezione II, n. 698/2014

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor Eugenio Agazzi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2015 il Cons. Claudio Contessa e udito l’avvocato Ciccotti per l’appellante;

Sentite le parti ai sensi dell’articolo 60 del cod. proc. amm.

I fatti all’origine della causa vengono così descritti nell’ambito della impugnata sentenza del T.A.R. del Veneto, n. 698/2014.

Il signor Eugenio Agazzi, odierno appellato, presentava in data 11 giugno 2013 al Comune di San Michele al Tagliamento la richiesta di autorizzazione paesaggistica per la demolizione di un edificio esistente in località Bibione, al fine di realizzarvi un compendio immobiliare a destinazione residenziale.

In data 26 luglio 2013 la Commissione edilizia integrata, riscontrata la conformità degli interventi proposti ai pertinenti strumenti urbanistici, esprimeva parere favorevole al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, impartendo la sola prescrizione per cui il rivestimento esterno dei vani scala avrebbe dovuto essere realizzato con “superfici vetrate”, in luogo di “pannelli color rosso”.

Detto parere era trasmesso agli istanti e (per l’espressione del parere di cui all’articolo 146, comma 8 del decreto legislativo n. 42 del 2004) alla competente Soprintendenza, che lo acquisiva al protocollo in data 13 agosto 2013.

Il successivo 10 settembre 2013 la Soprintendenza comunicava i motivi ostativi al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, essenzialmente relativi all’altezza dell’immobile realizzando (si tratta di un progetto di costruzione di otto piani fuori terra con un’altezza totale di 24,90 metri).

A questo punto della vicenda, il procuratore speciale dei proprietari trasmetteva per mezzo di posta elettronica certificata documentazione fotografica relativa al “sistema abitativo limitrofo” (i.e.: delle costruzioni circostanti), sottolineando la presenza nella medesima zona – vincolata – di altri edifici (oltre a quelli di oltre 30 metri già siti in via Pleione, già indicati nell’istanza di autorizzazione paesaggistica) di altezza consimile o superiore (sino a 35 metri) rispetto a quella dell’intervento edilizio proposto, realizzati o in corso di realizzazione, peraltro al confine di abitazioni monofamiliari o bifamiliari, anche di un solo piano.

Seguiva un incontro con il nuovo Soprintendente in data 24 settembre 2013, nel corso del quale si completava la partecipazione al procedimento dei ricorrenti in primo grado.

In data 11 ottobre 2013 veniva in scadenza il termine di sessanta giorni entro il quale la Soprintendenza avrebbe dovuto esprimere il parere di competenza ai sensi del comma 8 dell’articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004.

A decorrere da tale data il Comune avrebbe potuto indire una conferenza di servizi la quale, ai sensi del comma 9 del medesimo articolo 146, si sarebbe dovuta esprimere nei successivi 15 giorni ovvero, in ogni caso, avrebbe dovuto provvedere sulla domanda di autorizzazione entro sessanta giorni dalla data di ricezione degli atti da parte del Soprintendente (in tal senso, il già menzionato comma 9 dell’articolo 146, cit.) .

Nonostante ciò, solo in data 17 dicembre (i.e.: dopo il decorso di ulteriori 83 giorni dalla riunione tenutasi il 24 settembre, e quindi dopo 111 giorni dal ricevimento del parere favorevole della Commissione edilizia integrata), la Soprintendenza esprimeva parere sfavorevole (comunicato il successivo 24 dicembre 2013), riproponendo nella sostanza quanto già esposto nella comunicazione dei motivi ostativi.

Il parere negativo veniva quindi impugnato dinanzi al T.A.R. del Veneto dal signor Eugenio Agazzi il quale ne chiedeva l’annullamento articolando plurime ragioni di illegittimità dell’atto impugnato.

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale adito riteneva il ricorso inammissibile per carenza di un interesse diretto ed attuale alla sua proposizione in relazione al contenuto dell’atto impugnato.

In particolare, il T.A.R. osservava che il parere oggetto di gravame fosse un atto privo di portata vincolante e meramente endoprocedimentale, in quanto tale non direttamente impugnabile.

La sentenza in questione è stata appellata dal Ministero per i beni e le attività culturali il quale ne ha chiesto la riforma articolando un unico motivo di ricorso e ha, altresì, chiesto la sospensione in via cautelare dei relativi effetti.

In particolare, l’amministrazione appellante lamenta che il primo Giudice avrebbe erroneamente qualificato come non vincolante il (tardivo) parere della Soprintendenza, seppur nell’ambito di una decisione tesa a dichiarare il ricorso inammissibile in forza della ritenuta portata endoprocedimentale dell’atto gravato.

In particolare, l’amministrazione appellante osserva che la decorrenza del termine di cui al comma 5 del’articolo 146 del decreto legislativo 42 del 2004 non consuma il potere consultivo della Soprintendenza, di tal che un parere tardivo, oltre a essere pienamente valido ed efficace, conserverebbe altresì la propria natura vincolante.

Si è costituito in giudizio il Signor Agazzi il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello e ha, altresì, articolato appello incidentale.

Con un primo motivo il ricorrente incidentale, nel contestare le statuizioni del T.A.R., ripropone la tesi difensiva in virtù della quale cui il parere tardivamente reso, ascrivibile alla categoria della nullità-inesistenza per carenza di potere, sarebbe tout-court irrilevante, privo di ogni effetto e, in ultima analisi, non in grado di condizionare in alcun modo l’azione del Comune.

Inoltre, la sentenza in epigrafe risulterebbe priva di motivazione in ordine alla decisione circa la denunciata violazione dell’art 10 bis della legge 241 del 1990 da parte della Soprintendenza.

In particolare, il decisum del T.A.R. sarebbe meritevole di riforma per avere i primi Giudici omesso di valutare il contenuto dell’atto gravato, in ragione della ritenuta natura endoprocedimentale dello stesso.

Con il secondo motivo, il ricorrente incidentale torna in sede di appello a eccepire la falsa applicazione degli articoli 3, 10 e 10-bis della legge n. 241 del 1990 e dell’articolo 146, comma 8 del decreto legislativo n. 42 del 2004, invocando il vizio di eccesso di potere sotto svariati profili.

In particolare, nel riproporre le doglianze già profuse in primo grado e attinenti alla manifesta illegittimità che vizierebbe il parere di cui è causa sotto i profili della carenza di motivazione della disparità di trattamento e del travisamento dei fatti, il signor Agazzi chiede la riforma della sentenza per aver i primi Giudici omesso di svolgere un adeguato sindacato giurisdizionale sul corretto esercizio del potere amministrativo.

Il ricorrente incidentale ha, altresì, chiesto la sospensione degli effetti del parere impugnato.

Alla camera di consiglio del 22 settembre 2015 il Collegio ha avvertito le parti presenti circa la possibilità di una decisione in forma semplificata e il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo avverso la sentenza del T.A.R. del Veneto con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal signor Agazzi avverso il [color=red][b]parere negativo (tardivamente) reso dalla competente Soprintendenza ai sensi dell’articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004, in relazione al progetto di realizzazione di un compendio immobiliare presso il Comune di San Michele al Tagliamento (VE) .[/b][/color]

2. In via preliminare il Collegio osserva che la res controversa può essere definita con sentenza in forma semplificata ai sensi degli articoli 60 e 74 c.p.a., sussistendone i presupposti in fatto e in diritto.

[b]3. L’appello è infondato.[/b]

3.1. Il Collegio rileva che il principio di diritto espresso dal primo giudice risulti sostanzialmente conforme a quanto già espresso dalla Sezione con la sentenza n. 2136 del 2015, resa su vicenda per alcuni aspetti analoga a quella che qui rileva.

Si è in tale occasione osservato che, nel caso di adozione di un parere (negativo) da parte della Soprintendenza successivamente al decorso del richiamato termine di quarantacinque giorni, sarebbero astrattamente ipotizzabili tre opzioni:

a) in base a una prima opzione, in siffatte ipotesi dovrebbe concludersi nel senso dell’intervenuta consumazione del potere per l’Organo statale di rendere un qualunque parere (di carattere vincolante o meno);

b) in base a una seconda opzione, nelle medesime ipotesi dovrebbe concludersi nel senso della permanenza in capo alla Soprintendenza del potere di emanare un parere di carattere comunque vincolante (dovendosi in particolare riconoscere carattere meramente ordinatorio al richiamato termine);

c) in base a una terza opzione interpretativa, nelle ridette ipotesi non potrebbe escludersi in radice la possibilità per l’Organo statale di rendere comunque un parere in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’intervento; tuttavia il parere in parola perderebbe il carattere di vincolatività e dovrebbe essere autonomamente valutato dall’amministrazione deputata all’adozione dell’atto autorizzatorio finale.

Non sfugge al Collegio l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale (peraltro, richiamato dall’appellante) di fatto tributario dell’orientamento dinanzi richiamato sub b).

E’ stato in particolare osservato che, in caso di superamento da parte della competente Soprintendenza del termine ordinariamente previsto per il rilascio del proprio parere (vincolante) ai sensi dei commi 5 e 8 dell’articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004, il potere in capo all’Organo statale continua a sussistere (tanto che un suo parere tardivo resta comunque disciplinato dai richiamati commi 5 e 8 e mantiene la sua natura vincolante), ma l’interessato può proporre ricorso dinanzi al G.A. per contestare l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione statale (in tal senso: Cons. Stato, VI, 4 ottobre 2013, n. 4914; in termini simili: Cons. Stato, VI, 18 settembre 2013, n. 4656).

In base a tale orientamento, la perentorietà del termine riguarderebbe non la sussistenza del potere o la legittimità del parere, ma l’obbligo di concludere la fase del procedimento (obbligo che, se rimasto inadempiuto, può essere dichiarato sussistente dal Giudice con le relative conseguenze sulle spese del giudizio derivato dall’inerzia del funzionario – in tal senso: Cons. Stato, VI, 4 ottobre 2013, n. 4914).

Ebbene, pur tenendo nella massima considerazione l’orientamento appena richiamato, [color=red][b]il Collegio ritiene che prevalenti ragioni di carattere sistematico depongano nel senso dell’adesione al diverso orientamento volto a riconoscere carattere perentorio al termine di quarantacinque giorni di cui al comma 5 dell’articolo 146, cit. (in tal senso: Cons. Stato, VI, sent. 15 marzo 2013, n. 1561).[/b][/color]

La decisione in parola (richiamando il pregresso orientamento che riconosceva carattere perentorio al termine riconosciuto alla Soprintendenza per procedere all’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica reso dall’amministrazione competente ai sensi dell’articolo 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n 616 – in seguito: articolo 162 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 -) ha quindi ritenuto che l’evoluzione normativa, la quale ha trasformato l’atto di controllo annullatorio in una forma di cogestione del vincolo, non ha inciso sulla perentorietà del termine entro il quale l’atto di esercizio del relativo potere può e deve essere adottato.

Si osserva al riguardo che, nell’ambito di entrambi i modelli normativi (quello pregresso basato su una relazione di controllo e quello attuale basato su un modello di sostanziale cogestione del vincolo), [b]il Legislatore ha inteso individuare un adeguato punto di equilibrio fra:

– (da un lato) l’esigenza di assicurare una tutela pregnante a un valore di rilievo costituzionale quale la tutela del paesaggio attraverso il riconoscimento all’Organo statale di poteri (quale quello di annullamento e in seguito quello di rendere un parere conforme) di assoluto rilievo nell’ambito della fattispecie autorizzatoria e

– (dall’altro) l’esigenza – parimenti di rilievo costituzionale – di garantire in massimo grado la certezza e la stabilità dei rapporti giuridici, imponendo che i richiamati poteri debbano essere esercitati in tutta la loro ampiezza entro un termine certamente congruo ma allo stesso tempo certo e non superabile.
[/b]
Sul punto occorre tuttavia operare una precisazione.

La sentenza n. 1561, cit. ha stabilito che il parere reso dalla Soprintendenza nell’ambito della procedura autorizzativa ex art. 146, cit. “è da considerarsi privo dell’efficacia attribuitagli dalla legge e cioè privo di valenza obbligatoria e vincolante”.

Ma una volta chiarito che il parere tardivamente espresso resti privo di alcun effetto vincolante, occorre domandarsi se il medesimo articolo 146 ne impedisca tout-court l’espressione, ovvero se – più semplicemente – un siffatto parere possa comunque essere reso nei confronti dell’amministrazione procedente la quale dovrà quindi valutarlo in modo adeguato.

Ad avviso del Collegio il quesito deve essere risolto nel secondo dei sensi indicati.

Depone in tal senso il primo periodo del comma 9 del richiamato articolo 146 secondo cui “decorso inutilmente il termine di cui al primo periodo del comma 8 senza che il soprintendente abbia reso il prescritto parere, l’amministrazione competente può indire una conferenza di servizi, alla quale il soprintendente partecipa o fa pervenire il parere scritto”.

Sussiste, quindi, un univoco indice normativo secondo cui, a seguito del decorso del più volte richiamato termine per l’espressione del parere vincolante (rectius: conforme) da parte della Soprintendenza, l’Organo statale non resti in assoluto privato della possibilità di rendere un parere; tuttavia il parere in tal modo espresso perderà il proprio valore vincolante e dovrà essere autonomamente e motivatamente valutato dall’amministrazione preposta al rilascio del titolo.

Del resto, una lettura in senso sistematico del combinato disposto dei commi 8, 9 e 10 rende piuttosto evidente l’esistenza di un ordito normativo volto a configurare, in tema di rilascio dell’autorizzazione ai fini paesaggistici, una sorta di atteggiamento inverso per ciò che riguarda la possibilità per l’Organo statale di incidere attraverso l’espressione del proprio parere sugli esiti della vicenda autorizzatoria.

Ed infatti:

– nel corso di una prima fase – per così dire: fisiologica – che si esaurisce con il decorso del termine di quarantacinque giorni, l’Organo statale può, nella pienezza dei suoi poteri di cogestione del vincolo, emanare un parere vincolante dal quale l’amministrazione deputata all’adozione dell’autorizzazione finale non potrà discostarsi (comma 8);

– una volta decorso inutilmente il richiamato termine senza che la Soprintendenza abbia reso il prescritto parere (seconda fase), l’amministrazione procedente può indire una conferenza di servizi nel cui ambito – per le ragioni dinanzi esposte – l’Organo statale, pur se non privato in assoluto del potere di esprimersi, potrà soltanto emanare un parere che l’amministrazione procedente avrà l’onere di valutare in modo autonomo;

– laddove poi l’inerzia della Soprintendenza si protragga ulteriormente oltre il termine di sessanta giorni da quello della ricezione della documentazione completa (terza fase), “l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione” (comma 9, terzo periodo). In tal modo il Legislatore rende chiaro che l’ulteriore, ingiustificabile decorso del tempo legittima l’amministrazione competente all’adozione dell’autorizzazione prescindendo in radice dal parere della Soprintendenza (il quale, evidentemente, viene così a perdere il proprio carattere di obbligatorietà e vincolatività).

[b]Impostati in tal modo i termini della questione, risulta evidente che il principio di diritto espresso dal Tar nell’impugnata sentenza sia compatibile con quello espresso da questa Sezione del Consiglio di Stato (con la richiamata sentenza n. 2136 del 2015) e al quale il Collegio ritiene di conformarsi.[/b]

3.2. Alla luce delle coordinate ermeneutiche sopra evidenziate, pertanto, si osserva che il parere tardivamente reso e liberamente valutabile dal Comune perde, insieme con la propria efficacia vincolante, valenza di arresto procedimentale, assumendo connotazione strumentale rispetto al provvedimento comunale conclusivo del procedimento.

[b]Ad avviso del Collegio, dunque, la delineata lettura sistematica dell’articolo 146, cit. non consente di accedere alla soluzione prospettata dall’amministrazione appellante (la quale mira a riconoscere perdurante vincolatività al parere reso oltre i termini di legge).[/b]

3.3. Peraltro, è qui appena il caso di segnalare che la sostanziale condivisione del principio di diritto espresso dal primo Giudice con l’impugnata sentenza non comporta l’accoglimento delle tesi sottese all’articolazione dell’appello incidentale.

In particolare – e per le ragioni dinanzi esposte – non può essere condivisa l’opzione interpretativa suggerita dall’appellante incidentale secondo cui il parere reso oltre il termine di cui al più volte richiamato articolo 146 sarebbe affetto dal più grave vizio della nullità/inesistenza.

Il parere espresso dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso è, dunque, un atto meramente endoprocedimentale, di tal che oggetto di impugnazione può essere solo il provvedimento finale, con il quale il Comune si può motivatamente discostare dalle determinazioni della Soprintendenza.

3.4. L’appello in epigrafe deve quindi essere respinto.

4. L’appello incidentale deve essere dichiarato inammissibile sia perché l’infondatezza del ricorso principale priva i signor Agazzi di un interesse effettivo alla sua coltivazione, sia perché – per le ragioni dinanzi esposte – esso risulta fondato su presupposti giuridici che non possono essere condivisi.

5. Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Dichiara inammissibile l’appello incidentale.

Spese del doppio grado compensate.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere

Carlo Mosca, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 28/10/2015.

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