MOBBING nel pubblico impiego secondo il Consiglio di Stato (sent. 21/9/2015)
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[color=red][b]CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV – sentenza 21 settembre 2015 n. 4394[/b][/color]
N. 04394/2015REG.PROV.COLL.
N. 01732/2015 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1732 del 2015, proposto da:
Marco Caldarelli, rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Paladino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Corrado Marinelli in Roma, piazza dell'Orologio n. 7;
contro
Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria Abruzzo e Molise, Direzione Casa Circondariale di Pescara;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Abruzzo – Pescara, Sez. I, n. 506/2014, resa tra le parti, concernente risarcimento dei danni da mobbing.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati.
Viste le memorie difensive.
Visti tutti gli atti della causa.
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2015 il Cons. Alessandro Maggio e udito per la parte l’avvocato Alida Rita Paladino su delega dell'avvocato Angelo Paladino.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso al TAR Abruzzo – Pescara, il sig. Marco Caldarelli, assistente di Polizia penitenziaria presso la Casa Circondariale di Pescara e vice rappresentante locale del sindacato autonomo S.A.P.P.E., ha chiesto il risarcimento dei danni a suo dire riconducibili ad una complessiva attività vessatoria subita, fra il 2008 e il 2012, nell’ambito della propria attività lavorativa.
Il T.A.R., esaminati i fatti addotti a sostegno della domanda, ha rigettato il ricorso, non ravvisando sussistente la denunciata condotta vessatoria.
Ritenendo la sentenza erronea e ingiusta il sig. Cardarelli l’ha appellata chiedendone l’annullamento.
Alla pubblica udienza del 14/7/2015, la causa è stata posta in decisione.
L’appello non merita accoglimento.
[color=red][b]Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, il mobbing, nel rapporto di impiego pubblico, si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica (Cons. Stato, Sez. VI, 12/3/2015 n. 1282).[/b][/color]
[b]Pertanto, ai fini della configurabilità della condotta lesiva da mobbing, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati: a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; b) dall'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore; d) dalla prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.[/b]
[b]La sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall'accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing (Cons. Stato, Sez. III, 14/5/2015 n. 2412).[/b]
[color=red][b]Conseguentemente un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante (Cons. Stato Sez. VI, 16/4/2015 n. 1945).[/b][/color]
Sul piano processuale, la condotta che da luogo a mobbing deve essere allegata nei suoi elementi essenziali dal lavoratore, che non può limitarsi davanti al giudice a dolersi genericamente di esser vittima di un illecito, ovvero ad allegare l'esistenza di specifici atti illegittimi, ma deve quanto meno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il giudice - eventualmente, anche attraverso l'esercizio dei suoi poteri ufficiosi - possa verificare la sussistenza, nei suoi confronti, di un più complessivo disegno preordinato alla vessazione o alla prevaricazione.
[b]La ricorrenza del mobbing deve essere, dunque, esclusa tutte le volte che la valutazione complessiva dell'insieme delle circostanze addotte (ed accertate nella loro materialità), pur se idonea a palesare, singulatim, elementi od episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere esorbitante ed unitariamente persecutorio e discriminante del complesso di condotte poste in essere.[/b]
Ciò premesso in punto di diritto, vanno ora esaminate le censure dedotte dall’appellante nei confronti dell’impugnata sentenza.
Si denuncia in primo luogo che il giudice di prime cure non avrebbe verificato la sussistenza delle singole circostanze addotte.
Al contrario, dalla sentenza emerge che queste ultime, pur ritenute sussistenti, sono state giudicate non idonee a dimostrare una complessiva condotta vessatoria.
Così, in particolare, l’episodio in cui il graduato “preposto istituto” ha ordinato ad un agente tirocinante di chiudere l’appellante in un luogo diverso da quello prescritto (stanza denominata “posto agente”), a cui si fa espresso riferimento nel ricorso in appello, è stato ritenuto dal giudice privo di specifica rilevanza in quanto semplicemente frutto <<di un uso di toni un pò eccessivi da parte del graduato ed una reazione “eccessiva” del ricorrente>>.
Il TAR ha anche precisato che procedimento penale e procedimento disciplinare, aperti su tale episodio, sono stati archiviati.
Il sig. Caldarelli deduce, ancora, che il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto delle relazioni, unite al ricorso, che egli fece agli ispettori Ascenzo e Centorame, nonché delle testimonianze allegate. Ma, lo si ripete, il T.A.R. non ha dubitato dell’esistenza delle invocate circostanze fattuali, essendosi limitato a ritenerle insufficienti a dimostrare la sussistenza di un disegno vessatorio e persecutorio.
L’appellante lamenta, inoltre, che il medesimo giudice:
a) avrebbe ignorato la C.T.P. depositata in giudizio, dove erano elencate le patologie che lo affliggevano e i numerosi certificati medici allegati;
b) avrebbe erroneamente dedotto, dal superamento dei test psicoattitudinali relativi al concorso per vice ispettore, l’assenza delle patologie diagnosticategli;
c) non avrebbe tenuto conto delle varie istanze avanzate per ottenere l’assegnazione ad altri servizi, avendo considerato solo quella relativa al N.T.P.;
d) non avrebbe motivato la mancata nomina di un C.T.U. pur richiesta dal ricorrente, al fine di accertare natura, entità e causa delle lesioni lamentate;
e) non avrebbe valutato che i ripetuti episodi denunciati, pur se minimi, potrebbero essere stati percepiti dal destinatario come gravi e lesivi della propria sfera personale.
Orbene, tutti i suddetti profili di censura risultano inconferenti ai fini di causa.
Ed invero, quanto ai rilievi sub a), b) e d), basta rilevare che la dimostrazione dell’esistenza delle patologie lamentate dall’appellante, non varrebbe a dimostrare anche la sussistenza di una condotta vessatoria.
Il diritto al risarcimento danni da mobbing sorge soltanto in presenza in una tale condotta. Per cui solo dopo che la sussistenza di quest’ultima sia stata provata, si può procedere a verificare se la stessa abbia provocato una lesione della salute psicofisica del dipendente.
Con riguardo al rilievo sub c), il Collegio osserva che oltre all’istanza di assegnazione al N.T.P., che l’amministrazione ha soddisfatto, l’appellante fa riferimento, nel ricorso di primo grado, ad una sola altra istanza (quella presso il P.R.A.P. del novembre 2012) che non avrebbe trovato positivo riscontro, istanza che, diversamente da quanto si sostiene nel ricorso in appello, il giudice di primo grado ha considerato (si veda pag. 8 della sentenza), evidentemente non ritenendo il suo mancato accoglimento, indicativo di una condotta vessatoria.
Quanto, infine, al rilievo sub e), ritiene il Collegio che al fine di poter configurare una condotta persecutoria, i vari episodi addotti debbano essere, nella loro oggettiva portata, tali da dimostrarne la sussistenza, non essendo sufficiente fare riferimento alla percezione che l’interessato abbia avuto degli stessi.
In altre parole, atti o comportamenti obbiettivamente neutri o comunque, inidonei a configurare una condotta mobbizzante, non assumono tale ruolo solo perché colui nei confronti del quale sono diretti, li abbia avvertiti come vessatori.
In definitiva, l’appellante non è riuscito a dimostrare, attraverso le censure prospettate, che l’apprezzamento dei fatti che ha portato il giudice di prime cure a ritenere non provata l’esistenza di un disegno ripetuto e coerente preordinato alla prevaricazione, sia erroneo.
Alla luce delle considerazioni svolte, trova, quindi, conferma la già rilevata infondatezza dell’appello.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
La mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata, esonera il Collegio da ogni statuizione sulle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/09/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)