BURL Serie Ordinaria n. 35 - Mercoledì 26 agosto 2015
E) PROVVEDIMENTI DELLO STATO
Corte Costituzionale
Ordinanza 7 luglio 2015 n. 136
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
(OMISSIS)
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di [b]legittimità costituzionale degli artt. 23, comma
1, e 24, comma 1, della legge della Regione Lombardia 8 agosto
1998, n. 14 (Nuove norme per la disciplina della coltivazione di
sostanze minerali di cava)[/b], promosso dal Tribunale amministrativo
regionale per la Lombardia nel procedimento vertente tra
P.G. ed altro e la Provincia di Varese ed altri con ordinanza del
2 maggio 2014, iscritta al n. 147 del registro ordinanze 2014 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima
serie speciale, dell’anno 2014.
Udito nella camera di consiglio del 10 giugno 2015 il Giudice
relatore Paolo Grossi.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia,
con ordinanza del 2 maggio 2014, ha sollevato, in riferimento
agli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma, della
Costituzione, in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questione
di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 1, e 24,
comma 1, della legge della Regione Lombardia 8 agosto 1998,
n. 14 (Nuove norme per la disciplina della coltivazione di sostanze
minerali di cava);
che il Tribunale rimettente espone di essere stato adìto per
l’annullamento, «previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale»,
del provvedimento con il quale il dirigente del settore
Ecologia ed Energia della Provincia di Varese ha assegnato in
concessione a terzi alcuni terreni di proprietà dei ricorrenti per
la coltivazione di una cava, con la determinazione di un indennizzo
annuale;
che, sviluppati analiticamente i motivi di censura prospettati
dai ricorrenti circa l’illegittimità costituzionale di una serie di disposizioni
della richiamata legge della Regione Lombardia n. 14
del 1998 e le repliche delle controparti, il TAR rappresenta, in punto
di rilevanza, che le disposizioni censurate costituiscono il fondamento
normativo del provvedimento impugnato, il quale andrebbe
annullato se queste venissero dichiarate incostituzionali;
che l’art. 23, comma 1 – nel disporre, in caso di concessione
del giacimento a terzi, che al titolare del diritto sul giacimento
medesimo sia corrisposto, per il periodo di durata della concessione,
un indennizzo annuo pari al 30 per cento del valore agricolo
delle aree delimitate nel provvedimento di concessione,
determinato ai sensi delle leggi statali – prevedrebbe un criterio
di determinazione dell’indennizzo «astratto e predeterminato
(quale quello del valore agricolo)», svincolato dall’effettivo valore
di mercato dei suoli, tale da non garantire agli aventi diritto un
indennizzo integrale o ragionevole, «in netto contrasto con l’art.
1, primo protocollo, allegato alla Convenzione CEDU», nell’interpretazione
della Corte europea dei diritti dell’uomo e, così, in
violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.;
che sarebbe anche violato l’art. 42, terzo comma, Cost., in
quanto si adotterebbe un criterio di indennizzo «simbolico ed
irrisorio», tale da non rappresentare per il proprietario un «serio
ristoro», tenuto conto della vocazione produttiva dell’area;
che di detta disposizione risulterebbe impossibile un’interpretazione
«conforme alle statuizioni convenzionali»;
che, per «le medesime ragioni», e con riferimento ai medesimi
parametri, sarebbe rilevante e non manifestamente infondata
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1,
della legge regionale n. 14 del 1998, nella parte in cui dispone
che il titolare del diritto sul giacimento, benché diffidato ai sensi
dell’art. 22, comma 2, della stessa legge regionale, ove ritenga
di non presentare domanda di autorizzazione alla coltivazione,
possa far pervenire, a chi abbia presentato la richiesta di coltivazione
del giacimento, una proposta irrevocabile di cessione
temporanea del diritto di scavo, ad un compenso annuo pa-
ri al 30 per cento del valore agricolo delle aree interessate dal
giacimento.
Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per la
Lombardia ha sollevato, in riferimento agli artt. 42, terzo comma,
e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 1 del
Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge
4 agosto 1955, n. 848, questione di legittimità costituzionale degli
artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, della legge della Regione
Lombardia 8 agosto 1998, n. 14 (Nuove norme per la disciplina
della coltivazione di sostanze minerali di cava), nella parte
in cui prevedono, rispettivamente, a proposito di coltivazione di
sostanze minerali di cava, che in caso di concessione del giacimento
a terzi, al titolare del diritto sul giacimento medesimo
sia corrisposto, per il periodo di durata della concessione, un
indennizzo annuo pari al 30 per cento del valore agricolo delle
aree delimitate nel provvedimento di concessione, determinato
ai sensi delle leggi statali; e, ancora, che il titolare del diritto
sul giacimento, benché diffidato ai sensi dell’art. 22, comma 2,
della stessa legge regionale, ove ritenga di non presentare domanda
di autorizzazione alla coltivazione, possa far pervenire, a
chi abbia presentato la richiesta di coltivazione del giacimento,
una proposta irrevocabile di cessione temporanea del diritto di
scavo, ad un compenso annuo pari al 30 per cento del valore
agricolo delle aree interessate dal giacimento;
che, in particolare, l’art. 23, comma 1, stabilendo un criterio
di determinazione dell’indennizzo «astratto e predeterminato»,
senza alcuna considerazione dell’effettivo valore di mercato dei
suoli sulla base delle loro «caratteristiche essenziali» e della loro
«possibile utilizzazione economica», assicurerebbe all’avente diritto
un indennizzo «del tutto irragionevole, irrisorio e meramente
simbolico»; 4
che, perciò, esso contrasterebbe con l’art. 117, primo comma,
Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU,
per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo,
secondo la quale «una misura che costituisce un’ingerenza nel
diritto al rispetto dei beni di una persona fisica o giuridica deve
realizzare un “giusto equilibrio” tra le esigenze di interesse generale
della comunità ed il principio della salvaguardia dei diritti e
delle libertà fondamentali», «aggiungendo che, in caso di espropriazione
isolata di un terreno, soltanto un indennizzo integrale
può essere considerato ragionevole»;
che risulterebbe anche violato l’art. 42, terzo comma, Cost.,
per come costantemente interpretato da questa Corte, nel senso
che l’indennità da corrispondere in ogni procedimento di
tipo ablatorio deve comunque rappresentare un «serio ristoro»
per l’interessato;
che la questione relativa all’art. 24, comma 1, risulta priva di
adeguata motivazione sulla rilevanza, dal momento che questa
disposizione, censurata «per le medesime ragioni» prospettate a
proposito dell’art. 23, comma 1, riguarda, come si è ricordato,
l’ipotesi della volontaria cessione temporanea del diritto di scavo
da parte del titolare del diritto sul giacimento, diversa e alternativa
rispetto a quella di cui al predetto art. 23, sulla cui base,
invece, è stato adottato il provvedimento di concessione di cui si
controverte nel giudizio a quo;
che, peraltro, il Tribunale rimettente – limitandosi a lamentare
che il previsto criterio di indennizzo non consenta al titolare del
diritto sul giacimento, gravato dell’onere della concessione a
terzi, di ottenere, per il suo sacrificio, un «serio ristoro» o un corrispettivo
«ragionevole» – formula un petitum privo di indicazioni
di tipo emendativo, devolvendo a questa Corte il compito
di prescegliere, fra le molteplici soluzioni astrattamente ipotizzabili,
quella da adottare come risolutiva delle problematiche
enunciate;
che tale indeterminatezza finisce per risolversi nella richiesta
di una non consentita invasione della sfera della discrezionalità
legislativa, in assenza di criteri univoci di commisurazione
che rendano una specifica opzione come costituzionalmente
imposta;
che, d’altra parte, il silenzio serbato sul punto dal Tribunale
rimettente neppure può essere interpretato come richiesta di
una pronuncia meramente caducatoria della intera disciplina
censurata, dal momento che una simile soluzione risulterebbe,
per un verso, incongrua rispetto al perseguito obiettivo dell’adeguamento
dell’indennizzo e, per altro verso, comunque non
satisfattiva della domanda formulata nel giudizio a quo, rivolta a
censurare non già il procedimento relativo al rilascio della concessione,
ma soltanto i previsti criteri di determinazione dell’ammontare
dell’indennizzo;
che, pertanto, le questioni proposte devono essere dichiarate
manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi avanti
alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
[b]dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, della
legge della Regione Lombardia 8 agosto 1998, n. 14 (Nuove
norme per la disciplina della coltivazione di sostanze minerali di
cava), sollevate, in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 117,
primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 1 del Protocollo
addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, dal Tribunale amministrativo
regionale per la Lombardia con l’ordinanza in epigrafe[/b].
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 10 giugno 2015.
Marta Cartabia, Presidente
Paolo Grossi, Redattore
Gabriella Paola Melatti, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2015.
Il direttore della cancelleria
Gabriella Paola Melatti