Data: 2015-07-24 05:54:58

SLOT MACHINE - legittime le distanze di 500 metri - sent. 22/7/2015

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[color=red][b]TAR LOMBARDIA – MILANO, SEZ. II – sentenza 22 luglio 2015 n. 1761[/b][/color]

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FATTO

1. La ricorrente Sisal s.p.a. (di seguito anche Sisal) ha preso in locazione, mediante contratto stipulato il 5 luglio 2013 con la proprietaria Immobiliare Marengo s.r.l., una porzione dell’immobile sito a Milano, in Corso Garibaldi n. 49, al fine di destinarla ad esercizio dedicato al gioco con apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (TULPS), nonché all’attività accessoria di somministrazione di alimenti e bevande.

Il 27 maggio 2014 Sisal ha ottenuto l’autorizzazione all’apertura, presso i suddetti locali, di un esercizio dedito al gioco (doc. 5 della ricorrente).

Dopo breve termine, la stessa Società ha ricevuto la notifica della nota del Comune di Milano PG 461087/2014 in data 15 luglio 2014, con la quale l’Amministrazione – facendo seguito alla propria precedente comunicazione del 30 maggio 2014, indirizzata a Immobiliare Marengo s.r.l. – ha reso noto di aver appurato che gli apparecchi da gioco non risultavano ancora installati e che, tuttavia, la prevista sala giochi si sarebbe collocata a distanza inferiore a quella di cinquecento metri, prescritta dalla normativa regionale, rispetto a numerosi luoghi sensibili.

Sulla scorta di tali presupposti, l’Amministrazione ha diffidato con la stessa nota Immobiliare Marengo s.r.l. e Sisal s.p.a. dall’insediamento e dall’apertura della sala giochi e dalla collocazione delle nuove apparecchiature per il gioco d’azzardo lecito.

2. La nota comunale del 15 luglio 2014 e quella precedente del 30 maggio 2014 sono state impugnate Sisal con il presente ricorso, notificato l’11 agosto 2014 e depositato il 2 settembre 2014. La Società ha impugnato altresì la delibera di Giunta regionale n. X/1274 del 24 gennaio 2014, con la quale – in applicazione della legge regionale 21 ottobre 2013, n. 8 – sono state stabilite le distanze da osservare nell’apertura di sale giochi rispetto ai luoghi qualificati come sensibili.

Avverso i provvedimenti impugnati, la ricorrente allega:

A) illegittimità della delibera di Giunta regionale n. X/1274 del 2014 e, in via derivata, del provvedimento comunale impugnato, per violazione dell’articolo 5 della legge regionale n. 8 del 2013 e dell’articolo 41 della Costituzione, nonché eccesso di potere sotto plurimi profili; ciò in quanto la legge regionale avrebbe attribuito alla Giunta regionale il potere di determinare le distanze degli esercizi dedicati al gioco rispetto ai luoghi sensibili operando una graduazione di tali distanze, in modo da realizzare un equo bilanciamento degli interessi in gioco; a fronte di tale indicazione, la previsione di un unico limite di distanza (cinquecento metri), operante in tutto il territorio regionale, avrebbe determinato l’impossibilità di fatto di aprire sale giochi in una città ad elevata densità urbanistica come Milano; la delibera sarebbe quindi illegittima per aver realizzato una disparità di trattamento tra gli esercizi siti nei grandi centri e quelli siti nelle zone di provincia, per difetto di istruttoria e motivazione, per sviamento e per violazione dell’articolo 41 della Costituzione;

B) in subordine, illegittimità costituzionale della legge regionale n. 8 del 2013, per violazione: (i) degli articoli 3 e 41 della Costituzione, in quanto le finalità di tutela di determinati soggetti maggiormente vulnerabili e di prevenzione dei fenomeni di c.d. GAP (Gioco d’Azzardo Patologico) sarebbero perseguite in violazione dei canoni di proporzionalità e ragionevolezza, rendendo di fatto impossibile l’esercizio dell’attività economica; (ii) dell’articolo 3 della Costituzione, sotto altro profilo, in quanto la disciplina regionale non sarebbe applicabile ad altre forme di gioco d’azzardo lecito diverse rispetto a quelle realizzate mediante gli apparecchi di cui all’articolo 110, commi 6 e 7, del TULPS, e che presentano rischi di fenomeni di GAP più seri e preoccupanti; (iii) dell’articolo 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione, che attribuisce allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di tutela della concorrenza; (iv) degli articoli 43, 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE);

C) illegittimità in via autonoma del provvedimento comunale impugnato per: (i) violazione degli articoli 1, 2, 3 7, 8 e 10 della legge n. 241 del 1990, dell’articolo 97 della Costituzione, dei principi fondamentali dell’azione amministrativa, del principio del contraddittorio ed eccesso di potere sotto plurimi profili, in quanto Sisal non avrebbe mai ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento, e comunque l’atto comunale del 15 luglio 2014 sarebbe contraddittorio e ambiguo, perché non concluderebbe il procedimento avviato dal Comune con riferimento alla comunicazione di attività edilizia libera (c.d. CIAL) presentata dalla proprietaria dell’immobile (Immobiliare Marengo s.r.l.), ma si rivolgerebbe verso un terzo soggetto (Sisal), impedendogli l’esercizio dell’attività; (ii) violazione dell’articolo 5 della legge regionale n. 8 del 2013, della delibera di Giunta regionale n. X/1274 del 2014 e degli articoli 6 e 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché eccesso di potere, in quanto la disciplina regionale non sarebbe comunque applicabile ratione temporis nel caso di specie; (iii) violazione degli articoli 6 e 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, degli articoli 3, 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990, del principio del legittimo affidamento ed eccesso di potere sotto plurimi profili, in quanto laddove il provvedimento comunale costituisse esercizio del potere di autotutela, risulterebbe carente dei requisiti prescritti dalla legge.

La ricorrente ha altresì proposto domanda di risarcimento del danno.

3. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Milano, la Regione Lombardia e il Ministero dell’Interno, insistendo per il rigetto del ricorso.

4. In esito alla camera di consiglio dell’11 settembre 2014, la Sezione ha emesso l’ordinanza n. 1203 del 12 settembre 2014, con la quale – ritenuto che le esigenze di parte ricorrente fossero adeguatamente tutelabili attraverso l’immediata trattazione del merito del ricorso – ha fissato la data dell’udienza pubblica.

5. All’udienza pubblica del 6 maggio 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Giova premettere che la legge regionale della Lombardia 21 ottobre 2013, n. 8, recante “Norme per la prevenzione e il trattamento del gioco d’azzardo patologico” è diretta – secondo quanto enunciato all’articolo 1 – “alla prevenzione e al contrasto di forme di dipendenza dal gioco d’azzardo lecito, nonché al trattamento e al recupero delle persone che ne sono affette e al supporto delle loro famiglie. Stabilisce, inoltre, misure volte a contenere l’impatto negativo delle attività connesse alla pratica del gioco d’azzardo lecito sulla sicurezza urbana, sulla viabilità, sull’inquinamento acustico e sul governo del territorio”.

Vi si precisa, inoltre, che “Gli interventi di cui alla presente legge sono rivolti a favore dell’intera popolazione e in particolare ai soggetti affetti da gioco d’azzardo patologico (GAP), ai loro familiari e alle fasce di popolazione più deboli e maggiormente esposte ai rischi da GAP” (articolo 3, comma 2).

[b]Il perseguimento di tali finalità è affidato, tra l’altro, alle misure stabilite dall’articolo 5 della legge, avente ad oggetto “Competenze dei comuni e altre disposizioni”, che – nel tenore testuale vigente all’epoca dell’emanazione dei provvedimenti comunali impugnati nel presente giudizio, anteriormente alle modifiche apportate dall’articolo 1 della legge regionale 6 maggio 2015, n. 11 – ha introdotto la previsione per cui “Per tutelare determinate categorie di soggetti maggiormente vulnerabili e per prevenire fenomeni da GAP, è vietata la nuova collocazione di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito in locali che si trovino a una distanza, determinata dalla Giunta regionale entro il limite massimo di cinquecento metri, da istituti scolastici di ogni ordine e grado, luoghi di culto, impianti sportivi, strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o sociosanitario, strutture ricettive per categorie protette, luoghi di aggregazione giovanile e oratori” (comma 1).[/b]

Il comma 7 dello stesso articolo 5 affida, poi, ai comuni l’attività di controllo sul rispetto di tali previsioni, stabilendo che “Spetta al comune la competenza dei controlli, tramite la polizia locale sui locali di cui al comma 1, al fine di evitare la diffusione del fenomeno del gioco d’azzardo patologico e di garantirne il monitoraggio anche utilizzando gli strumenti previsti dal titolo V della legge regionale 14 aprile 2003, n. 4 (Riordino e riforma della disciplina regionale in materia di polizia locale e sicurezza urbana)”.

[b]I limiti di distanze degli apparecchi di nuova collocazione rispetto ai luoghi sensibili sono stati stabiliti dalla Giunta provinciale, in attuazione delle previsioni del comma 1 dell’articolo 5 della legge regionale, con la delibera X/1274 del 24 gennaio 2014, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia del 28 gennaio 2014, n. 5 (doc. 2 della ricorrente e doc. 7 del Comune), impugnata nel presente giudizio, la quale, per quanto qui rileva:[/b]

– stabilisce che “per ‘apparecchi per il gioco d’azzardo lecito’ si intendono quelli di cui all’art. 110 commi 6 e 7 del regio decreto 18.6.1931 n. 773 ‘Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza’” (Allegato A, articolo 2, n. 1);

– reca la definizione dei “luoghi sensibili” (Allegato A, articolo 2, n. 2);

– dispone che “per ‘nuova collocazione’ di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito si intende la prima installazione di apparecchi da gioco oppure l’installazione di apparecchi ulteriori rispetto a quelli già detenuti lecitamente” (Allegato A, articolo 2, n. 3);

– determina il proprio ambito di applicazione, stabilendo che le previsioni in essa contenute “si applicano a tutte le nuove collocazioni di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito di cui all’art. 110, commi 6 e 7, del regio decreto n. 773 del 1931, effettuate dopo la pubblicazione sul BURL (…)” della stessa delibera (Allegato A, articolo 3);

– determina le distanze degli apparecchi dai luoghi sensibili, disponendo che “non è ammessa la nuova collocazione di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito in locali che si trovino entro la distanza di 500 metri dai luoghi sensibili come sopra definiti” (Allegato A, articolo 4, comma 1) e che “tale distanza è calcolata autonomamente dai Comuni considerando la soluzione più restrittiva tra quella che prevede un raggio di 500 metri dal baricentro del luogo sensibile, ovvero un raggio di 500 metri dall’ingresso considerato come principale” (Allegato A, articolo 4, comma 2).

2. Ciò posto, può quindi venirsi all’esame del primo gruppo di censure – rubricate sub (A) – con le quali la ricorrente allega l’illegittimità della delibera di Giunta regionale n. X/1274 del 2014 e, in via derivata, del provvedimento comunale impugnato, per violazione dell’articolo 5 della legge regionale n. 8 del 2013.

2.1 Ritiene, al riguardo, il Collegio di poter prescindere dalle eccezioni di irricevibilità per tardività di tali doglianze, in quanto il motivo è infondato nel merito, per le ragioni che di seguito si espongono.

[color=red][b]La disposizione dell’articolo 5, comma 1 della legge regionale n. 8 del 2013 riferisce il divieto di nuova collocazione agli apparecchi per il gioco d’azzardo lecito “che si trovino a una distanza, determinata dalla Giunta regionale entro il limite massimo di cinquecento metri” rispetto ai c.d. luoghi sensibili.[/b][/color]

La ricorrente ritiene che il potere di fissare i limiti di distanze attribuito alla Giunta avesse come finalità – e, quindi, come limite implicito – quello di operare una graduazione delle misure in relazione alle caratteristiche dei diversi centri urbani presenti nel territorio regionale. Secondo l’avviso della Società, un limite indiscriminato di cinquecento metri non sarebbe adeguato, in particolare, rispetto a città densamente urbanizzate, come Milano. E ciò in quanto – tenuto conto della rilevante quantità dei luoghi sensibili indicati dalla legge, e interpretati in senso estensivo dalla delibera regionale – una misura così radicale renderebbe di fatto impossibile la collocazione di nuovi apparecchi da gioco.

2.2 Rileva, al riguardo, il Collegio che la necessità di operare una graduazione dei limiti di distanze degli apparecchi da gioco in funzione delle caratteristiche dei diversi contesti urbani non risulta in alcun modo evincibile dal tenore della disposizione della legge regionale, la quale fissa unicamente il limite massimo (cinquecento metri) che la determinazione della Giunta non avrebbe potuto superare.

D’altro canto, la possibilità di ravvisare un divieto implicito, per la Giunta, di disporre un unico limite di distanza applicabile in tutto il territorio regionale appare del tutto estranea alla finalità e alla ratio e della norma. Questa è, infatti, chiaramente diretta al perseguimento di finalità di carattere socio-sanitario, ossia di scopi che attengono alla tutela di un interesse costituzionalmente primario, quale il diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione).

[b]In tale prospettiva, la scelta operata dalla legge regionale è stata chiaramente quella di predeterminare solo un limite massimo di distanza rispetto ai luoghi sensibili, non superabile dalla Giunta, e di demandare poi a quest’ultima la determinazione in concreto del limite da applicare. Tale mandato doveva essere assolto dalla Giunta sulla base di un’adeguata istruttoria, che consentisse di stabilire quale distanza (entro il limite massimo stabilito dalla legge) dovesse ritenersi adeguata allo scopo da perseguire, ossia – sulla base di quanto enunciato all’articolo 1 della legge, sopra riportato – quello di prevenire e contrastare le forme di dipendenza dal gioco d’azzardo lecito.[/b]

Sulla scorta di tali indicazioni, la Giunta ha svolto i necessari approfondimenti, sentendo anche – secondo quanto risulta dalle premesse della delibera – le associazioni regionali delle imprese e ANCI Lombardia. E, in tale istruttoria, ha accertato – tra l’altro – che: “la Lombardia è tra le regioni italiane con la maggior spesa assoluta per il gioco”, “numerose persone in Lombardia hanno manifestato problemi legati a questo fenomeno, che è in continua crescita e interessa in particolare coloro che hanno minori capacità di reddito”, “le indicazioni provenienti dagli osservatori specializzati mostrano che la crescita delle patologie compulsive legate al gioco d’azzardo tocca in particolare le fasce sociali più deboli, minori, anziani e casalinghe, in conseguenza anche delle tipologie di gioco offerto e della loro immediata fruibilità, elementi che generano una sovraesposizione nei soggetti predisposti, allargando allo stesso tempo la fascia di quelli interessati” e che “sta crescendo il livello di attenzione per le nuove generazioni, che sempre più spesso vanno incontro ad una vera e propria sindrome da abuso in fatto di giochi” (così le motivazioni della delibera impugnata).

[b]Sulla scorta di tali considerazioni, la scelta di determinare nella misura fissa di cinquecento metri il limite di distanza dai luoghi sensibili degli apparecchi di nuova collocazione è stata motivata in relazione “sia al fine di dare piena attuazione agli indirizzi univocamente manifestati dal Consiglio Regionale durante i lavori preparatori e quelli per l’approvazione della legge in argomento, sia per consentire in fase di prima applicazione della medesima legge l’attuazione più uniforme e lineare da parte delle Amministrazioni comunali interessate” (così ancora le motivazioni della delibera impugnata).[/b]

La determinazione di Giunta, così motivata, non risulta affetta dai vizi allegati dalla ricorrente.

L’intendimento dell’Organo è stato infatti quello di esercitare la propria discrezionalità in modo da assicurare la massima tutela, entro i limiti previsti dalla legge regionale, all’interesse di tipo sanitario affidato alla sua cura. Opzione, questa, che certamente rientrava tra quelle consentite, attesa la rilevanza costituzionale primaria di tale interesse.

E, essendo questa la scelta di fondo compiuta dalla Giunta, risulta del tutto coerente e ragionevole l’aver ritenuto di dover applicare la misura in modo uniforme su tutto il territorio regionale, così assicurando uguale intensità di tutela avverso la possibilità che i soggetti appartenenti alle fasce vulnerabili vengano a imbattersi in nuove occasioni di gioco.

D’altro canto, non risulta neppure ravvisabile lo squilibrio, rappresentato dalla ricorrente, tra il perseguimento dell’interesse di ordine sanitario e quello allo svolgimento delle attività economiche dei soggetti autorizzati alla collocazione degli apparecchi da gioco, posto che il principio della libertà di iniziativa economica privata di cui all’invocato articolo 41 della Costituzione trova il proprio indefettibile argine nel “contrasto con l’utilità sociale”. Clausola, questa, che impone di dare rilevanza ai limiti derivanti dalle esigenze di tutela degli interessi costituzionalmente primari, quale – come detto – quello alla salute, che è stato ritenuto preminente nel caso di specie.

[b]Non è ravvisabile, inoltre, alcuno sviamento di potere, posto che le determinazioni assunte dalla Giunta risultano coerenti rispetto al fine dichiarato e affidato alla cura dell’Organo, ossia la prevenzione e il contrasto della ludopatia.[/b]

Neppure rilevano le considerazioni svolte dalla ricorrente – al fine di dimostrare la mancanza di proporzionalità delle scelte assunte – in merito alla definizione dei luoghi sensibili operata dalla delibera di Giunta regionale.

Più in dettaglio, secondo la Società, l’irragionevolezza della determinazione operata dalla Giunta e lo sviamento di potere emergerebbero anche dall’aver indebitamente dilatato – mediante le definizioni contenute all’articolo 2, n. 2) dell’Allegato A della delibera impugnata – il novero dei c.d. luoghi sensibili indicati all’articolo 5 della legge regionale n. 8 del 2013. Le doglianze riguardano, in particolare, la definizione dei “luoghi di culto” (v. nota 1 a p. 5 del ricorso).

Al riguardo, la ricorrente non ha anzitutto dimostrato il proprio interesse alla censura, considerato che, nel caso di specie, non è controverso che il locale in cui è stata prevista l’installazione degli apparecchi da gioco si collochi a distanza inferiore a quella prescritta rispetto a ventuno luoghi sensibili, fra i quali figurano – tra l’altro – numerose scuole, ossia luoghi che certamente e in ogni caso rientrano nel divieto posto dalla legge regionale (la quale, come detto, si riferisce testualmente agli “istituti scolastici di ogni ordine e grado”).

In ogni caso, le doglianze della ricorrente sono da ritenere infondate, poiché la precisazione della definizione dei luoghi sensibili indicati dalla legge regionale rientra tra i poteri della Giunta, cui spettano, in virtù della disposizione regionale, i normali poteri in tema di esecuzione delle norme di principio stabilite dal Consiglio regionale, come già chiarito da questo Tribunale (TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 13 marzo 2015, n. 706).

D’altro canto, deve pure soggiungersi che la definizione introdotta non risulta irragionevole o arbitraria, poiché i “luoghi di culto” sono stati individuati mediante rinvio alle previsioni dell’articolo 70, commi 1 e 2 e dell’articolo 71 della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12, che definiscono le strutture aventi una destinazione urbanisticamente rilevante quali “attrezzature di interesse comune per servizi religiosi”.

2.3 In definitiva, per tutte le suesposte ragioni, va ribadito il rigetto del gruppo di censure sub (A).

3. Con il gruppo di censure sub (B) la ricorrente allega – in subordine rispetto alle censure sub (A), che si sono già respinte – l’illegittimità costituzionale della legge regionale, sotto vari profili, ivi inclusa l’incompatibilità con il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

Anche tale gruppo di censure è infondato, per le ragioni che di seguito si espongono.

3.1 La ricorrente afferma anzitutto che, laddove la legge regionale dovesse essere intesa nel senso di consentire l’emanazione di una delibera quale quella in concreto adottata dalla Giunta regionale, sarebbe essa stessa affetta dalla violazione dei canoni di ragionevolezza, proporzionalità e della libertà di iniziativa economica privata. In particolare, la misura di cinquecento metri sarebbe eccessivamente ampia, tanto più laddove ritenuta non modulabile, e sarebbe, inoltre, irragionevolmente esteso il novero dei luoghi sensibili.

Al riguardo, le considerazioni già sopra svolte con riferimento alla portata della delibera della Giunta regionale consentono di escludere che la legge regionale, nel permettere l’adozione di determinazioni quali quelle scrutinate, possa risultare irragionevole o sproporzionatamente afflittiva nei confronti dell’attività economica privata.

Deve in questa sede aggiungersi che la distanza di cinquecento metri è stabilita dalla legge regionale come limite massimo, e che la Giunta è chiamata a determinare l’effettiva distanza degli apparecchi da gioco rispetto ai luoghi sensibili, nella misura necessaria allo scopo, ossia – come detto – anzitutto in funzione della gravità e la diffusione nella Regione del fenomeno della ludopatia.

La scelta compiuta dal legislatore regionale rientra nella sua discrezionalità, ed è censurabile solo nei limiti in cui appaia manifestamente irragionevole o arbitraria. Ciò, però, è da escludere nel caso di specie, posto che la distanza – fino a cinquecento metri – introdotta dalla legge lombarda rientra pienamente nella “forbice” che può riscontrarsi tra le diverse discipline adottate dalle Regioni che hanno legiferato in materia; discipline che prevedono distanze comprese tra i trecento e i cinquecento metri (v., per considerazioni analoghe a quelle sin qui svolte, ma con riferimento ad altra legge regionale: TAR Lazio, Sez. II, 10 marzo 2014, n. 2729).

In particolare, una distanza minima fissa non inferiore a cinquecento metri è prescritta dall’articolo 4 della legge della Regione Toscana 18 ottobre 2013, n. 57 e dall’articolo 7 della legge della Regione Puglia 13 dicembre 2013, n. 43; una distanza minima di trecento metri è invece stabilita dall’art. 5-bis della legge della Provincia di Bolzano 13 maggio 1992, n. 13, dall’articolo 13-bis della legge della Provincia autonoma di Trento 14 luglio 2000, n. 9, dall’articolo 2 della legge della Regione Liguria 30 aprile 2012, n. 17, nonché dall’articolo 3 della legge della Regione Abruzzo 29 ottobre 2013, n. 40.

Quanto, poi, alla circostanza che la definizione dei luoghi sensibili sarebbe, già nella legge regionale, estremamente estesa – includendo anche luoghi che non potrebbero ritenersi frequentati da soggetti vulnerabili, quali i luoghi di culto o gli impianti sportivi – la prospettata censura di illegittimità costituzionale non potrebbe in ogni caso trovare ingresso, già sul piano della rilevanza nel presente giudizio. Come sopra detto, infatti, la ricorrente non ha affatto comprovato che, con riferimento all’immobile ove è programmata l’installazione delle macchine da gioco, si ponga unicamente una questione attinente al superamento della prescritta distanza da edifici di culto o da impianti sportivi, risultando invece che rilevi, nella specie, anche la prossimità rispetto a scuole e centri di accoglienza.

D’altro canto, non risulta neppure ravvisabile l’irragionevolezza prospettata dalla ricorrente, poiché i luoghi di culto sono, per loro natura, destinati alla frequentazione da parte di un ampio pubblico e, quindi, anche da un numero rilevante di soggetti vulnerabili. Inoltre, le strutture religiose spesso includono servizi diretti proprio ai giovani e agli emarginati, che rientrano specificamente tra le categorie a rischio di GAP. Analoghe considerazioni valgono, poi, per gli impianti sportivi, destinati ad essere frequentati da molte persone e, in particolare, dai giovani.

Le censure sono quindi, in ogni caso, manifestamente infondate.

3.2 Viene, poi, allegata l’illegittimità costituzionale della legge regionale per violazione, sotto altro profilo, dell’articolo 3 della Costituzione, in quanto la disciplina regionale non sarebbe applicabile ad altre forme di gioco d’azzardo lecito diverse rispetto a quelle realizzate mediante gli apparecchi di cui all’articolo 110, commi 6 e 7, del TULPS, nonostante tali diverse forme di gioco presentino, ad avviso della ricorrente, rischi di fenomeni di GAP più seri e preoccupanti.

Al riguardo, rileva il Collegio che la particolare pericolosità, ai fini del rischio di determinare forme di dipendenza patologica, dei giochi cui si riferisce la delibera di Giunta regionale è stata già più volte affermata dalla giurisprudenza, la quale ha evidenziato che gli apparecchi a ciò destinati “per la loro ubicazione, modalità, tempistica, danno luogo – più di altre – a manifestazioni di accesso al gioco irrefrenabili e compulsive, non comparabili, per contenuti ed effetti, ad altre forme di scommessa che possono anch’esse dare dipendenza, ma in grado ritenuto (ragionevolmente) dal legislatore di gravità ed allarme sociale assai minore e, perciò, non necessitante di apposita e più stringente tutela preventiva mirata. Invero, come già diffusamente evidenziato da questo Tribunale con le sentenze n. 63/2013 e n. 96/2013, è oramai assodato da fonti scientifiche (vedasi, fra i tanti, il progetto “Dipendenze Comportamentali/Gioco d’azzardo patologico: progetto sperimentale nazionale di sorveglianza e coordinamento/monitoraggio degli interventi” curato dal Ministero della Salute) che diversa e assai più pericolosa – per la possibilità che ne derivi lo sviluppo della ludopatia – è l’attrattiva che esercitano, sui potenziali giocatori, gli apparecchi da gioco di cui trattasi” (così TAR Trento, 20 giugno 2013, n. 206). Tale orientamento è stato di recente condiviso anche da questo Tribunale amministrativo, il quale ha avuto modo di osservare che “gli apparecchi presi in considerazione dalla deliberazione regionale in esame (tra cui, in particolare, slot machine e videolottery) paiono i più insidiosi nell’ambito del fenomeno della ludopatia, in quanto, a differenza dei terminali per la raccolta delle scommesse, implicano un contatto diretto ed esclusivo tra l’utente e la macchina, senza alcuna intermediazione umana volta a disincentivare, per un normale meccanismo psicologico legato al senso del pudore, l’ossessione del gioco, specie nella fase iniziale del processo di dipendenza patologica” (così TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 13 marzo 2015, n. 706; Id., 8 luglio 2015, n. 1570).

Alla luce di tali considerazioni, che il Collegio integralmente condivide, deve ritenersi manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla ricorrente.

3.3 Sarebbe poi violata, ad avviso di Sisal, la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza, prevista dall’articolo 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione.

Secondo la ricorrente, il legislatore italiano avrebbe intrapreso una politica di progressiva liberalizzazione del gioco, in cui le uniche deroghe sono giustificate nell’ottica della lotta alla criminalità e non in quella della limitazione delle occasioni di gioco. La finalità perseguita dalla disciplina regionale sarebbe opposta rispetto alla linea seguita dal legislatore nazionale e, d’altro canto, non sarebbe individuabile in materia alcun titolo di competenza regionale. Assunto, questo, che ad avviso della ricorrente sarebbe confermato anche dall’articolo 7, comma 10, del decreto legge n. 158 del 2012, che ha previsto la fissazione a livello nazionale dei limiti di distanze degli apparecchi da gioco dai luoghi sensibili.

3.3.1 Al fine di inquadrare correttamente la tematica, occorre anzitutto tenere presente che la Corte costituzionale, pronunciandosi, con la sentenza n. 300 del 2011, sulla legge della Provincia autonoma di Bolzano 22 novembre 2010, n. 13, che – al pari di quella lombarda – prevede limiti di distanza delle sale da gioco rispetto ai luoghi c.d. sensibili, ha escluso la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, ossia della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza.

In tale occasione, la Corte ha rilevato che “Nella specie, le disposizioni oggetto del giudizio – le quali si inseriscono in corpi normativi volti alla regolamentazione degli spettacoli e degli esercizi commerciali, dettando precipuamente limiti alla collocazione nel territorio delle sale da gioco e di attrazione e delle apparecchiature per giochi leciti – sono dichiaratamente finalizzate a tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio assistenziale, e a prevenire forme di gioco cosiddetto compulsivo, nonché ad evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilità e la quiete pubblica”.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte ha escluso che la disciplina provinciale innanzi ad essa impugnata fosse riconducibile alla materia ordine pubblico e sicurezza; materia che, secondo la consolidata giurisprudenza della stessa Corte, “attiene alla «prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine pubblico», inteso questo quale «complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge la civile convivenza nella comunità nazionale» (ex plurimis, sentenza n. 35 del 2011)”.

La Corte ha precisato che gli unici interessi pubblici primari che potrebbero determinare il radicarsi della potestà legislativa esclusiva dello Stato, in tale ambito, sono “unicamente gli interessi essenziali al mantenimento di una ordinata convivenza civile: risultando evidente come, diversamente opinando, si produrrebbe una smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico, tale da porre in crisi la stessa ripartizione costituzionale delle competenze legislative, con l’affermazione di una preminente competenza statale potenzialmente riferibile a ogni tipo di attività. La semplice circostanza che la disciplina normativa attenga a un bene giuridico fondamentale non vale, dunque, di per sé, a escludere la potestà legislativa regionale o provinciale, radicando quella statale”.

La legittimità costituzionale delle disposizioni provinciali è stata, quindi, ritenuta sulla base della considerazione che “Nel caso in esame, le disposizioni censurate hanno riguardo a situazioni che non necessariamente implicano un concreto pericolo di commissione di fatti penalmente illeciti o di turbativa dell’ordine pubblico, inteso nei termini dianzi evidenziati, preoccupandosi, piuttosto, delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell’impatto sul territorio dell’afflusso a detti giochi degli utenti.

Le disposizioni impugnate, infatti, non incidono direttamente sulla individuazione ed installazione dei giochi leciti, ma su fattori (quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità) che potrebbero, da un canto, indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell’illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni; dall’altro, influire sulla viabilità e sull’inquinamento acustico delle aree interessate”.

La Corte ha quindi chiaramente ritenuto che la legge della Provincia di Bolzano fosse diretta al perseguimento di finalità anzitutto di carattere socio-sanitario, come tali estranee rispetto alla materia della tutela dell’ordine pubblico, rimessa in via esclusiva allo Stato.

3.3.2 Ciò posto, deve evidenziarsi che finalità e contenuti del tutto analoghi rispetto alla legge altoatesina presenta anche la legge regionale della Lombardia n. 8 del 2013, e – con essa – numerose altre leggi regionali, la cui prospettata illegittimità costituzionale è stata scrutinata ed esclusa, per manifesta infondatezza delle relative questioni, dalla giurisprudenza (con riferimento alla legge regionale della Liguria 30 aprile 2012, n. 17 v. Cons. Stato, Sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5251, TAR Lazio, Roma, Sez. II, 10 marzo 2014, n. 2729 e TAR Liguria, Sez. II, 5 febbraio 2014, n. 189; con riguardo all’articolo 13-bis della legge della Provincia autonoma di Trento 14 luglio 2000, n. 9 v. TAR Trento, 20 giugno 2013, n. 206).

Se, pertanto, il titolo di competenza esercitato dalla Regione attiene alla tutela della salute – rientrante nella potestà legislativa concorrente, ai sensi dell’articolo 117, comma 3 della Costituzione – è esclusa non solo la violazione della potestà normativa statale in materia di ordine pubblico (in coerenza con il sopra riportato insegnamento della Corte costituzionale e della successiva giurisprudenza amministrativa), ma anche di quella in materia di tutela della concorrenza.

La disciplina regionale non è, infatti, diretta a limitare la concorrenza, ma ad attuare finalità di carattere eminentemente sanitario, in diretta attuazione dei principi posti in materia dalla disciplina primaria statale. Quest’ultima non esclude affatto un intervento regionale nella fissazione di distanze degli apparecchi da gioco dai luoghi sensibili, per finalità di contrasto della ludopatia, ma anzi fornisce all’intervento della regione una base ulteriore.

E invero, il decreto legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, reca:

– l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, che vengono estesi alle “prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia, intesa come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro, così come definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (G.A.P.)” (articolo 5, comma 2);

– l’introduzione (all’articolo 7) di “misure di prevenzione per contrastare la ludopatia”, che includono la disciplina delle forme pubblicitarie (commi 4 e 4-bis e 6), la previsione di formule di avvertimento sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro e delle relative probabilità di vincita, nonché la previsione obblighi di rendere disponibile, da parte dei gestori delle sale da gioco, il materiale informativo predisposto dalle aziende sanitarie locali (comma 5), l’introduzione di misure, divieti e controlli volti a contrastare il gioco minorile (commi 5-bis, 8 e 9) e, soprattutto, la previsione della pianificazione, da parte dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, a seguito della sua incorporazione, dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, sulla base di criteri definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata, “di forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettera a), del testo unico di cui al regio decreto n. 773 del 1931, e successive modificazioni”, che risultano territorialmente prossimi a istituti di istruzione primaria e secondaria, strutture sanitarie e ospedaliere, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi (comma 10).

Ora, la giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire che tale la recente normativa statale e, in particolare, il decreto legge n. 158 del 2012, si caratterizza per aver collocato per la prima volta “il fenomeno del gioco nella materia del diritto alla salute, per la cui tutela sono previsti strumenti (sia diretti che tramite i rapporti di concessione) per garantire e promuovere un più efficace livello di contrasto alla ludopatia” (così TAR Trento n. 206 del 2013, cit.).

Proprio tale circostanza ha consentito alla giurisprudenza di escludere l’incompatibilità con la normativa statale delle discipline che, analogamente a quella introdotta dalla Regione Lombardia, hanno stabilito limiti di distanze tra gli esercizi in cui sono installati gli apparecchi da gioco e i luoghi individuati come sensibili, per la loro frequentazione anche da parte di soggetti vulnerabili al rischio di ludopatia.

In particolare, si è affermato che la legge statale e quelle introdotte da alcune regioni e dalle province autonome in vista del perseguimento del contrasto alla ludopatia “non configgono tra loro né si elidono ma, anzi, concorrono, ciascuna nel proprio ambito, e secondo opzioni temporali e metodologiche differenziate ma in reciproca sintonia, al perseguimento dello stesso obiettivo”; obiettivo che attiene alla materia della tutela della salute, rimessa alla potestà legislativa concorrente, con il solo limite del rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione (così TAR Trento, n. 206 del 2013, cit.; negli stessi termini TAR Lazio, Roma, n. 2729 del 2014, cit.).

I principi della disciplina statale sono, poi, da ritenere osservati da tali discipline regionali e provinciali, in quanto “uno dei principi fondamentali del sopravvenuto decreto Balduzzi è sicuramente rappresentato proprio da quello che si può definire di “prevenzione logistica”, in base al quale tra i locali ove sono installati gli apparecchi da gioco e determinati luoghi di aggregazione e/o permanenza di fasce vulnerabili della popolazione deve intercorrere una distanza minima, ritenuta plausibilmente e ragionevolmente idonea ad arginare, sotto il profilo della “vicinitas”, i richiami e le suggestioni di facile ed immediato arricchimento»” (così TAR Trento, n. 206 del 2013, cit.; negli stessi termini TAR Lazio, Roma, n. 2729 del 2014, cit.).

Sulla scorta di tali premesse, deve quindi ritenersi che possano integralmente predicarsi, con riferimento alla legge regionale della Lombardia n. 8 del 2013, le conclusioni già raggiunte dalla giurisprudenza con riferimento all’articolo 13-bis della legge della Provincia di Trento n. 9 del 2000 e alla legge regionale della Liguria n. 17 del 2012, ossia che “la disciplina statale e quella regionale siano reciprocamente coerenti rispetto all’obiettivo da perseguire, utilizzando strumenti analoghi con analoghe finalità di prevenzione” (così TAR Lazio, n. 2729 del 2014, cit.; nel senso dell’attinenza della legge regionale n. 8 del 2013 della Lombardia alla tutela della salute, e per la sussistenza di una potestà legislativa regionale in materia, non preclusa dal decreto legge n. 158 del 2012, v. anche TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 13 luglio 2015, n. 1613).

Tali conclusioni trovano ulteriore conferma alla luce della recente legge 11 marzo 2014, n. 23 (“Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”), la quale reca, all’articolo 14, la delega al Governo del “riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, riordinando tutte le norme in vigore in un codice delle disposizioni sui giochi” (comma 1).

Tra i principi e criteri direttivi dettati all’esecutivo per l’esercizio della delega legislativa, vi è infatti anche quello di “introdurre e garantire l’applicazione di regole trasparenti e uniformi nell’intero territorio nazionale in materia di titoli abilitativi all’esercizio dell’offerta di gioco, di autorizzazioni e di controlli, garantendo forme vincolanti di partecipazione dei comuni competenti per territorio al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, che tenga conto di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l’intero territorio nazionale, della dislocazione locale di sale da gioco e di punti di vendita in cui si esercita come attività principale l’offerta di scommesse su eventi sportivi e non sportivi, nonché in materia di installazione degli apparecchi idonei per il gioco lecito di cui all’articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, comunque con riserva allo Stato della definizione delle regole necessarie per esigenze di ordine e sicurezza pubblica”, e ciò con l’espressa previsione che debba assicurarsi “la salvaguardia delle discipline regolatorie nel frattempo emanate a livello locale che risultino coerenti con i princìpi delle norme di attuazione della presente lettera”.

La previsione normativa si pone in linea con l’insegnamento della Corte costituzionale e con gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria. Essa, infatti, stabilisce bensì la futura fissazione di “parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l’intero territorio nazionale”, ma ciò prevede senza affatto negare l’esistenza di concorrenti poteri delle Regioni e degli Enti locali. La facoltà per tali soggetti di esercitare le proprie prerogative, in attesa della fissazione dei nuovi criteri uniformi a livello nazionale, viene, infatti, implicitamente riconosciuta, affermando anzi espressamente la necessità che il futuro codice dei giochi d’azzardo leciti faccia salve le regolazioni locali coerenti con i principi in esso espressi.

3.3.3 In definitiva, alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte, deve quindi concludersi che la questione di legittimità costituzionale prospettata con riferimento alla all’articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione è anch’essa manifestamente infondata.

3.4 La ricorrente allega, poi, il contrasto della disciplina regionale con le libertà economiche garantite dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

In particolare, la Società evidenzia, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia, che il Trattato consente bensì l’imposizione di limiti in materia di giochi d’azzardo, ma che tali limiti sarebbero giustificati solo ove perseguiti in modo coerente e sistematico rispetto allo scopo dichiarato dal legislatore. Tali condizioni non risulterebbero soddisfatte, poiché il legislatore nazionale italiano perseguirebbe lo scopo dello sviluppo controllato del mercato del gioco d’azzardo, salve solo le esigenze di contrasto della criminalità, ossia finalità che non giustificherebbero i limiti di distanze previsti dalla legge regionale. Inoltre, tali limiti sarebbero stati imposti unicamente con riferimento ad alcune forme di gioco e, quindi, le misure non avrebbero carattere coerente e sistematico rispetto alla dichiarata finalità di contrasto della ludopatia.

3.4.1 Al riguardo, giova tenere presente che la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha chiarito che:

– devono considerarsi restrizioni alla libertà di stabilimento e/o alla libera prestazione di servizi tutte le misure che vietino, ostacolino o rendano meno interessante l’esercizio delle libertà garantite dagli articoli 49 TFUE e 56 TFUE (ex multis: C. Giust., Sez. III, 22 gennaio 2015, causa C-463/13);

– a tal riguardo, deve tenersi presente che “L’art. 49 CE impone l’eliminazione di qualsiasi restrizione alla libera prestazione di servizi, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, quando sia tale da vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legittimamente servizi analoghi (v., in tal senso, sentenze 25 luglio 1991, causa C-76/90, Säger, Racc. pag. I-4221, punto 12, e 3 ottobre 2000, causa C-58/98, Corsten, Racc. pag. I-7919, punto 33). Peraltro, della libertà di prestazione di servizi beneficia tanto il prestatore quanto il destinatario dei servizi (v., in tal senso, sentenza 31 gennaio 1984, cause riunite 286/82 e 26/83, Luisi e Carbone, Racc. pag. 377, punto 16)” (così C. Giust., Grande Sez., 08 settembre 2009, causa C-42/07);

– le discipline nazionali che introducono limitazioni di varia natura e tipologia in materia di attività economiche concernenti il gioco d’azzardo sono state costantemente ritenute dalla Corte come qualificabili, in linea di principio, quali discipline limitative delle libertà economiche previste dal TFUE e, in particolare, della libertà di stabilimento e/o di prestazione di servizi (cfr.ex multis: C. Giust., Sez. III, 22 gennaio 2015, causa C-463/13; C. Giust., Sez. III, 12 giugno 2014, causa C-156/13; C. Giust., Sez. III, 30 aprile 2014, causa C-390/12; C. Giust. Sez. IV, 19 luglio 2012, causa C-470/11; C. Giust., Grande Sez., 8 settembre 2009, causa C-42/07; C. Giust., Grande Sez., 6 marzo 2007, cause riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04);

– si rende, quindi, necessario di volta in volta verificare se le restrizioni alle libertà economiche fondamentali possano essere ammesse a titolo di misure derogatorie espressamente previste dal Trattato, ovvero se possano essere giustificate, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi di interesse generale (C. Giust, Sez. IV, 13 settembre 2007, causa C-260/04; C. Giust., Grande Sez., 6 marzo 2007, cause riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04);

– tra restrizioni esplicitamente consentite dal Trattato rientrano le ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, espressamente previste dagli articoli 51 TFUE e 52 TFUE, applicabili anche in materia di libera prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 62 TFUE (C. Giust., Sez. III, 22 gennaio 2015, causa C-463/13);

– quanto ai motivi imperativi di interesse generale, la giurisprudenza della Corte ha enucleato, in particolare, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione della frode e dell’incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative all’ordine sociale (C. Giust., Sez. IV, 13 settembre 2007, causa C-260/04; C. Giust., Grande Sez., 6 marzo 2007, cause riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04);

– per quanto riguarda la normativa italiana in materia di giochi d’azzardo, la Corte ha dichiarato che l’obiettivo attinente alla lotta contro la criminalità collegata a tali giochi è idoneo a giustificare le restrizioni alle libertà fondamentali derivanti da tale normativa (C. Giust., Sez. III, 12 settembre 2013, cause riunite C-660/11 e C-8/12);

– peraltro, la disciplina dei giochi d’azzardo rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale; ne deriva che, in mancanza di un’armonizzazione a livello dell’Unione, gli Stati membri sono liberi, in linea di principio, di stabilire gli scopi della loro politica in materia di gioco d’azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di tutela perseguito (C. Giust., Sez. III, 22 gennaio 2015, causa C-463/13; C. Giust., Sez. III, 12 giugno 2014, causa C-156/13);

– per tale ragione, in questo specifico settore, le autorità nazionali dispongono di un ampio potere discrezionale per stabilire quali siano le esigenze che la tutela del consumatore e dell’ordine sociale comporta e, a condizione che siano inoltre rispettati i requisiti stabiliti dalla giurisprudenza della Corte, spetta a ciascuno Stato membro decidere se, nel contesto dei legittimi scopi da esso perseguiti, sia necessario vietare totalmente o parzialmente attività riconducibili ai giochi e alle scommesse, oppure soltanto limitarle e prevedere a tal fine modalità di controllo più o meno rigorose (C. Giust., Sez. III, 22 gennaio 2015, causa C-463/13; C. Giust., Sez. III, 12 giugno 2014, causa C-156/13);

– le restrizioni imposte dagli Stati membri devono soddisfare le condizioni risultanti dalla giurisprudenza della Corte per quanto concerne la loro proporzionalità, nel senso che devono essere idonee a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non eccedere quanto è necessario per il suo raggiungimento; una normativa nazionale è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo invocato solo se essa soddisfa effettivamente l’esigenza di conseguirlo in modo coerente e sistematico (C. Giust., Sez. III, 22 gennaio 2015, causa C-463/13; C. Giust., Sez. III, 30 aprile 2014, causa C-390/12; C. Giust., Grande Sez., 8 settembre 2009, causa C-42/07);

– il giudice nazionale è chiamato a verificare, nel quadro della causa di cui è investito, se tali condizioni siano soddisfatte (C. Giust., Sez. III, 22 gennaio 2015, causa C-463/13; C. Giust., Sez. III, 30 aprile 2014, causa C-390/12), così come allo stesso giudice spetta, anche in caso di rinvio pregiudiziale alla Corte ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la determinazione degli obiettivi effettivamente perseguiti dalla normativa nazionale (C. Giust., Sez. III, 12 giugno 2014, causa C-156/13).

3.4.2 Ciò posto, la ricorrente richiama (a p. 20 del ricorso) quanto espressamente statuito dalla sentenza della Corte di Giustizia, Grande Sez., 6 marzo 2007, cause riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04, laddove in tale pronuncia si legge che “è pacifico, secondo la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione, che il legislatore italiano persegue una politica espansiva nel settore dei giochi d’azzardo allo scopo di incrementare le entrate fiscali e che nessuna giustificazione della normativa italiana possa essere fatta derivare dagli obiettivi di limitare la propensione al gioco dei consumatori o di limitare l’offerta di giochi”. La circostanza che il legislatore nazionale perseguirebbe una finalità di espansione controllata del gioco d’azzardo, con il solo limite delle misure strettamente necessarie al contrasto della criminalità organizzata, renderebbe quindi illegittime le previsioni contenute nella legge regionale della Lombardia, in quanto confliggenti rispetto allo scopo assunto dalla legge dello Stato (v. p. 23 del ricorso).

Occorre, tuttavia, tenere presente che le affermazioni contenute nella sentenza della Corte di Giustizia in ordine all’individuazione, operata dalla Corte di Cassazione, delle finalità della normativa italiana non possono essere ritenute più attuali alla luce dei più recenti interventi normativi, di cui si è sopra dato conto. Tali interventi dimostrano infatti che la finalità di contrasto della ludopatia è stata assunta come qualificante della disciplina in materia di giochi d’azzardo almeno a far data dal decreto legge n. 158 del 2012. Conseguentemente, non può affatto affermarsi che la legislazione della Lombardia si ponga i contrasto con gli obiettivi stabiliti dalla legge nazionale, che hanno invece in essa trovato attuazione, come pure sopra detto.

D’altro canto, la Corte di Giustizia ha avuto modo di affermare espressamente, proprio in materia di giochi, che la possibilità che vengano introdotte, in un dato ambito locale, normative che risultino non in linea con quelle operanti nel resto del territorio nazionale non costituisce di per sé un indice di violazione del principio di proporzionalità nel perseguimento degli scopi assunti dalla legislazione, e ciò in considerazione “della tutela conferita dall’articolo 4, paragrafo 2, TUE, che obbliga l’Unione a rispettare l’identità nazionale degli Stati membri insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali” (C. giust., Sez. III, 12 giugno 2014, causa C-156/13; il caso riguardava l’introduzione di una disciplina più permissiva in materia di giochi, per un periodo limitato, da parte di un solo Land della Repubblica Federale Tedesca; la disciplina del singolo Land era peraltro idonea ad incidere anche sulla concreta operatività dei divieti posti dagli altri Lander, trattandosi di normativa più permissiva in materia di autorizzazione alla commercializzazione di scommesse sportive su Internet).

Quanto, poi, alla circostanza che gli scopi di contrasto della ludopatia sarebbero perseguiti in modo non sistematico, perché riferiti solo ad alcune tipologie di gioco, appare sufficiente rinviare a quanto sopra si è detto con riferimento alla maggiore insidiosità delle tipologie di gioco oggetto della disciplina regionale.

In definitiva, la legge regionale n. 8 del 2013 appare rispondente allo scopo del contrasto della ludopatia, che è stato assunto quale obiettivo anche dal legislatore nazionale e rientra tra gli interessi che giustificano, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, l’introduzione di limitazioni alle libertà economiche fondamentali poste dal TFUE.

D’altro canto, l’obiettivo risulta anche perseguito mediante misure proporzionali e sistematiche rispetto allo scopo, in quanto dirette a limitare le occasioni di accesso dei soggetti vulnerabili alle tipologie di gioco maggiormente idonee a determinare dipendenza patologica.

3.4.3 In definitiva, per tutte le suesposte ragioni, deve escludersi che la disciplina della legge regionale della Lombardia si ponga in contrasto con il TFUE.

3.5 Le censure sub (B) vanno, quindi, integralmente respinte.

4. Con un ulteriore gruppo di censure – sub (C) – la ricorrente allega l’illegittimità in via autonoma del provvedimento comunale impugnato.

Anche tali doglianze sono da respingere.

4.1 Quanto all’allegata violazione delle norme e dei principi in materia di partecipazione procedimentale, dovuta al fatto che Sisal non avrebbe mai ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento, basta rilevare che – secondo quanto evidenziato dalla difesa comunale – l’Amministrazione non era inizialmente a conoscenza della circostanza che i locali oggetto della comunicazione di attività edilizia libera presentata da Marengo immobiliare s.r.l. fossero stati concessi in locazione all’odierna ricorrente. Ciò spiega perché la nota del 30 maggio 2014, recante la comunicazione di avvio del procedimento, fosse indirizzata solo alla società proprietaria.

Una volta appresa, nel corso del procedimento, tale circostanza, l’Amministrazione ha indirizzato anche nei confronti di Sisal s.p.a. il provvedimento conclusivo.

D’altro canto, le determinazioni assunte dal Comune avevano carattere vincolato, alla luce della disciplina regionale, né la ricorrente ha evidenziato le ragioni che avrebbe potuto sottoporre al Comune al fine di pervenire a un diverso esito del procedimento.

La censura va quindi respinta, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale per il quale “l’interessato che lamenta la violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento ha anche l’onere di allegare e dimostrare che, se avesse avuto la possibilità di partecipare, egli avrebbe potuto sottoporre all’amministrazione elementi che avrebbero potuto condurla a una diversa determinazione da quella che invece ha assunto” (così, tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2127).

Sotto altro profilo, neppure può convenirsi con l’affermazione della ricorrente, per la quale l’atto comunale del 15 luglio 2014 sarebbe contraddittorio e ambiguo, perché non concluderebbe il procedimento avviato dal Comune con riferimento alla CIAL presentata dalla proprietaria dell’immobile (Immobiliare Marengo s.r.l.), ma si rivolgerebbe verso un terzo soggetto (Sisal), impedendogli l’esercizio dell’attività.

Il provvedimento costituisce, invero, esercizio del generale potere di controllo del territorio spettante all’Ente locale, nonché del potere specificamente attribuito ai comuni dall’articolo 5, comma 7 della legge regionale n. 8 del 2013. Il procedimento avviato, nell’esercizio di tali poteri, con la comunicazione del 30 maggio 2014 risulta, quindi, coerentemente concluso con il provvedimento del 15 luglio 2014.

4.2 Non è neppure ravvisabile la violazione dell’articolo 5 della legge regionale n. 8 del 2013 e della delibera di Giunta regionale n. 1274 del 2014, prospettata dalla ricorrente allegando che la disciplina regionale non sarebbe applicabile ratione temporis nel caso di specie, perché entrata in vigore in epoca successiva alla comunicazione di attività edilizia libera del 26 agosto 2013 e a quella, sostitutiva della prima, intervenuta il 21 ottobre 2013.

Al riguardo, deve osservarsi che la comunicazione di attività edilizia libera non dà luogo ad alcun titolo destinato a consolidarsi per effetto della mera presentazione della comunicazione stessa o del decorso del tempo; per loro stessa natura, infatti, le attività edilizie libere sono compiute sotto l’esclusiva responsabilità del soggetto interessato; responsabilità che attiene sia al fatto che gli interventi rientrino effettivamente nel novero di quelli previsti dalla disciplina primaria, sia alla circostanza che essi vengano eseguiti nel rispetto di tutte le norme vigenti e applicabili.

Ne deriva che laddove, prima che l’attività comunicata sia portata a termine, sopravvenga una disciplina, applicabile all’intervento, che modifichi le condizioni per la sua esecuzione o lo renda in tutto o in parte non più attuabile, il privato – che svolge l’attività libera sotto la propria esclusiva responsabilità, in virtù di una mera comunicazione al Comune – è tenuto a prendere conoscenza direttamente di tale disciplina e ad osservarla, anche senza necessità di uno specifico provvedimento inibitorio.

Nel caso di specie, sia la legge regionale n. 8 del 2013 che la delibera di Giunta regionale X/1274 del 24 gennaio 2014 sono intervenute prima della collocazione degli apparecchi da gioco e prima del rilascio dell’autorizzazione del Questore a tale collocazione.

Inoltre, la delibera di Giunta ha espressamente riferito la propria applicabilità con riferimento a tutti gli apparecchi collocati dopo la sua pubblicazione sul BURL, avvenuta il 28 gennaio 2014.

D’altro canto, anche l’autorizzazione rilasciata dalla Questura il 27 maggio 2014 reca l’espressa dicitura che “La presente autorizzazione deve intendersi rilasciata ai soli fini di Pubblica Sicurezza, fatte salve le limitazioni imposte da norme di legge statale, regionale o di regolamento comunale e, in particolare, di quelle inerenti alla nuova collocazione di apparecchi a distanza dai luoghi sensibili, ai sensi della legge regionale n. 8 del 2013 e dei relativi atti attuativi” (v. doc. 5 della ricorrente).

Ritiene, pertanto, il Collegio che non sussista alcun dubbio sull’applicabilità, nel caso di specie, della disciplina regionale.

Deve infine aggiungersi, per completezza, che – successivamente ai fatti di causa e alla camera di consiglio in cui è stata definita la controversia – è stata pubblicata, sul supplemento al Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia dell’8 maggio 2015, n. 19, la legge regionale 6 maggio 2015, n. 11, la quale reca, all’articolo 1, alcune modifiche all’articolo 5 della legge regionale n. 8 del 2013. Per effetto della novella, il nuovo comma 1 dell’articolo 5 della legge regionale n. 8 del 2013 non fa più riferimento alla “nuova collocazione di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito”, bensì alla “nuova installazione di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito di cui all’articolo 110, comma 6, del r.d. 773/1931”. E, al riguardo, il nuovo comma 1-bis dell’articolo 5, anch’esso aggiunto dalla legge regionale n. 11 del 2015, ha cura di precisare che “Ai fini della presente legge per nuova installazione s’intende il collegamento degli apparecchi di cui al comma 1 alle reti telematiche dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli in data successiva alla data di pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione della deliberazione della Giunta regionale di cui al comma 1 relativa alla determinazione della distanza da luoghi sensibili”.

Tali disposizioni, pur non applicabili nel presente giudizio, in quanto entrate in vigore successivamente alla camera di consiglio del 6 maggio 2015, appaiono tuttavia in linea con le conclusioni sopra esposte, attesa la loro valenza interpretativa quanto all’individuazione del momento cui far risalire l’operatività della disciplina sulle distanze (la valenza interpretativa delle nuove previsioni è stata affermata, con specifico riferimento alle disposizioni introdotte in tema di sostituzione di apparecchi da gioco, anche da TAR Milano, n. 1613 del 2015, cit.).

4.3 Deve, infine, escludersi la possibilità di accogliere le censure prospettate avverso il provvedimento comunale del 15 luglio 2014 per la mancanza dei requisiti normativamente prescritti per l’esercizio del potere di autotutela.

Al riguardo, deve osservarsi che la c.d. CIAL differisce significativamente rispetto alla denuncia d’inizio attività e alla segnalazione certificata di inizio attività, poiché ha ad oggetto attività del tutto libere, che il privato può svolgere senza necessità di alcun titolo, limitandosi a una mera comunicazione all’Amministrazione.

A fronte di ciò, il Comune ha un mero compito di verifica della regolarità della comunicazione e dell’intervento, e può e deve certamente inibirlo laddove siano rilevate irregolarità. Non è, però, previsto che l’intervento del comune debba esercitarsi entro un dato termine, decorso il quale possa ritenersi in qualche modo “consolidato” l’effetto abilitativo della comunicazione, poiché – come detto – la comunicazione ha ad oggetto attività che per legge si svolgono senza alcun titolo e sotto l’esclusiva responsabilità, quanto alla loro conformità a legge, del privato interessato.

Per le stesse ragioni, non è configurabile in radice l’esercizio di poteri di autotutela, che sarebbero privi di oggetto a fronte di attività del tutto libere.

5. In conclusione, alla luce di quanto sopra esposto, le domande di annullamento dei provvedimenti impugnati devono essere integralmente respinte.

6. Il rigetto delle impugnazioni proposte comporta che debba essere respinta altresì anche la domanda di risarcimento del danno.

7. In conseguenza della soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio in favore del Comune di Milano e della Regione Lombardia, per il complessivo importo di euro 3.000,00 (tremila/00), pari a euro 1.500,00 (millecinquecento/00 per ciascuna parte pubblica, oltre oneri per spese generali, IVA e CPA. Vanno invece compensate le spese nei confronti del Ministero dell’Interno, costituitosi con memoria di stile a seguito della notificazione del ricorso.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del Comune di Milano e della Regione Lombardia, per il complessivo importo di euro 3.000,00 (tremila/00), pari a euro 1.500,00 (millecinquecento/00) per ciascuna parte pubblica, oltre oneri per spese generali, IVA e CPA. Compensa le spese nei confronti del Ministero dell’Interno.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Mario Mosconi, Presidente

Giovanni Zucchini, Consigliere

Floriana Venera Di Mauro, Referendario, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 22/07/2015.

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