Data: 2015-07-09 11:29:10

Stabilimenti balneari: no SCIA - necessario parere Soprintendenza

Stabilimenti balneari: no SCIA - necessario parere Soprintendenza
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza dell'8 luglio 2015 n. 3397
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Nessuna liberalizzazione se è necessaria la valutazioni di interessi sensibili quali l'ambiente, il paesaggio o la sicurezza pubblica. La sentenza dell'8 luglio 2015 n. 3397.

[b]Il rilascio dell’autorizzazione di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 80 r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) presuppone poi la verifica della solidità e della sicurezza degli edifici e l’esistenza di uscite pienamente adatte allo sgombero, quindi, tale titolo autorizzatorio non può essere surrogato a mezzo di SCIA. [/b]

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N. 03397/2015REG.PROV.COLL.
N. 01532/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale
1532 del 2013, proposto da:
Bagno Elena s.r.l., in persona del legale
rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avvocati
Antonio Palma e Simona Scatola, con
domicilio eletto presso lo studio legale
del primo in Roma, Via Ennio Quirino
Visconti, 103;
contro
Comune di Napoli, in persona del
sindaco pro-tempore, rappresentato e
difeso dagli avvocati Giuseppe Dardo e
Anna Pulcini, con domicilio eletto
presso lo studio legale Grez e Associati
s.r.l. in Roma, corso Vittorio Emanuele
II, 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA -
NAPOLI: SEZIONE III n. 4652/2012,
resa tra le parti, concernente divieto di
prosecuzione attività di stabilimento
balneare;
Visti il ricorso in appello e i relativi
allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di
Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell'udienza pubblica del
giorno 9 giugno 2015, il consigliere di
Stato Giulio Castriota Scanderbeg e
uditi per le parti l’avvocato Antonio
Palma e l’avvocato Alessio Petretti per
delega dell'avvocato Annalisa Cuomo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- La Bagno Elena s.r.l. impugna la
sentenza del Tribunale amministrativo
regionale della Campania 20 novembre
2012 n. 4652 nella parte in cui ha
respinto il ricorso della stessa società
avverso il provvedimento del 31 ottobre
2011 col quale il dirigente del settore
Sviluppo commerciale, artigianale e
turistico, Servizio polizia
amministrativa, del Comune di Napoli
ha disposto il divieto di prosecuzione
dell’attività di stabilimento balneare,
esercitata dalla predetta società alla via
Posillipo n. 14 sulla base della
segnalazione certificata di inizio attività
del 3 giugno 2011 (oggetto di revoca,
anch’essa impugnata in primo grado).
L’appellante insiste anche in questo
grado nel sostenere la piena legittimità
del titolo formatosi a seguito della
richiamata SCIA e si duole
dell’erroneità della gravata sentenza che,
sull’assunto della inapplicabilità alla
fattispecie dell’art. 19 della legge n. 241
del 1990, ha sostanzialmente ritenuto
immune da censure gli atti adottati dal
Comune di Napoli per ripristinare la
legalità violata ed oggetto della
impugnativa di primo grado.
Conclude la società appellante per
l’integrale accoglimento, con l’appello,
del ricorso di primo grado e per il
consequenziale annullamento, in riforma
per quanto di interesse della impugnata
sentenza, degli atti in quella sede
gravati.
Si è costituito in giudizio il Comune di
Napoli per resistere all’appello e per
chiederne la reiezione.
Con ordinanza cautelare 21 maggio
2013 n. 1892 la Sezione ha concesso,
per sole ragioni di pericolo nel ritardo
derivanti dall’imminente avvio della
stagione balneare, la sospensione della
esecutività della impugnata sentenza.
Le parti hanno prodotto memorie
illustrative in vista dell’udienza pubblica
di discussione.
All’udienza pubblica del 9 giugno 2015
la causa è stata trattenuta per la
sentenza.
2.- L’appello è infondato e va respinto.
Giunge alla decisione del Collegio la
vicenda che vede in contrapposizione il
Comune di Napoli e la società Bagno
Elena s.r.l., titolare della concessione
demaniale n. 34 del 2009, a tutt’oggi in
corso di validità, rilasciata per
l’esercizio, su un tratto dell’arenile
partenopeo, dell’attività di stabilimento
balneare e di attività connesse (bar,
ristorante, attività danzante, ecc.).
La materia del contendere di questo
grado riguarda le modalità di
formazione del titolo giuridico per
l’esercizio dello stabilimento balneare in
capo al soggetto già intestatario della
concessione demaniale (per le attività
connesse, il giudice di primo grado, con
capo decisorio non impugnato, ha
accolto il ricorso ravvisando la
perplessità ed il difetto di istruttoria del
diniego di agibilità).
La ricorrente, concessionaria demaniale,
ritiene che, per l’esercizio dell’attività di
stabilimento balneare, sia sufficiente la
segnalazione certificata di inizio di
attività, che essa aveva ritualmente
depositato agli atti del Comune di
Napoli il 3 giugno 2011, assumendo che
dovrebbe trovare applicazione la
disposizione generale dell’art. 19 della
legge 7 agosto 1990 n. 241 sulla
liberalizzazione delle attività
economiche.
Il Comune di Napoli è di diverso avviso
e ha dapprima revocato gli effetti della
SCIA (segnalazione certificata di inizio
attività) e poi ha disposto il divieto di
esercizio dell’attività di stabilimento
balneare, sull’assunto
dell’inapplicabilità alla fattispecie - in
cui vengono in gioco valutazioni
afferenti profili paesaggistici e
ambientali oltre che di tutela della
sicurezza pubblica - della richiamata
disposizione semplificatrice di cui
all’art. 19 della legge sul procedimento
amministrativo.
L’appellante torna a prospettare in
questo grado la tesi, disattesa dal giudice
di primo grado, della sufficienza della
segnalazione di inizio di attività per
intraprendere la suddetta attività
commerciale, perché i profili di
rilevanza paesaggistica sarebbero già
stati valutati a monte dall’autorità
demaniale in occasione del rilascio del
titolo concessorio per finalità turistico
ricreative.
3. Ritiene il Collegio che l’argomento
della società appellante sia infondato.
Non appare, in particolare, fondato il
rilievo secondo cui i profili paesaggistici
sarebbero già valutati dall’autorità
demaniale all’atto del rilascio del titolo
per finalità turistico ricreative.
La tesi non ha pregio sotto un duplice
profilo:
a) perché la competenza ad esprimere la
valutazione di compatibilità delle opere
funzionali all’esercizio dello
stabilimento balneare con il regime
proprio del vincolo paesaggistico cui è
astretto l’uso del bene demaniale non
spetta all’autorità demaniale ma, in
quanto espressione specifica della
funzione pubblica di tutela
paesaggistica, alla competente
Amministrazione per i beni culturali e il
paesaggio;
b) perché l’autorità demaniale non
potrebbe, in ogni caso, svolgere ex ante
una valutazione di compatibilità
paesaggistica degli interventi in carenza
di concreti elaborati progettuali che
descrivano dettagliatamente le opere
strumentali all’esercizio dello
stabilimento balneare (che non hanno
una conformazione identica in ogni
fattispecie concreta).
Per quanto possa trattarsi di opere
amovibili a carattere stagionale,
nondimeno l’autorità competente a
pronunciarsi sulla loro compatibilità con
il vincolo paesaggistico gravante sul sito
(pacificamente sussistente, trattandosi
della fascia costiera astretta al regime
dei beni paesaggistici ex lege ai sensi
dell’art. 142 del Codice dei beni
culturali e del paesaggio) non può che
essere - come detto - la competente
Soprintendenza; la quale, come
osservato dal giudice di prime cure, nel
caso in esame non risulta essere mai
stata coinvolta nel procedimento
funzionale alla formazione del titolo per
l’esercizio dello stabilimento balneare di
che trattasi.
Altrettanto convincente è l’assunto
dell’impugnata sentenza secondo cui il
rilascio dell’autorizzazione di pubblica
sicurezza ai sensi dell’art. 80 r.d. 18
giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle
leggi di pubblica sicurezza) suppone la
verifica della solidità e della sicurezza
degli edifici e l’esistenza di uscite
pienamente adatte allo sgombero, di tal
che appare evidente come detto titolo
autorizzatorio non possa essere
surrogato a mezzo di SCIA (tanto vero
che anche la materia della pubblica
sicurezza è espressamente esclusa dal
perimetro applicativo della disposizione
normativa dianzi richiamata).
Non giova alle ragioni della società
appellante il richiamo all’art. 19 della
legge n. 241 del 1990 posto che, come
affermato con motivazione condivisibile
dal giudice di primo grado, la
disposizione non è espressamente
applicabile ai casi in cui – come nella
specie - è necessaria la valutazioni di
interessi sensibili (quali l’ambiente, il
paesaggio o la sicurezza pubblica) in
ordine ai quali è richiesto un particolare
schema procedimentale.
Peraltro, la richiamata disposizione della
legge sul procedimento amministrativo,
nel testo vigente nel 2011 (e cioè
all’epoca dell’adozione degli atti in
primo grado impugnati), non ammetteva
deroghe riguardo alla inapplicabilità
dello strumento giuridico di
semplificazione procedimentale dell’art.
19 cit. alle fattispecie in cui fossero
implicati quegli interessi sensibili.
Soltanto con il d.-l 12 settembre 2014 n.
13, convertito dalla legge 11 novembre
n. 164 (Misure urgenti per l’apertura dei
cantieri, la realizzazione delle opere
pubbliche la digitalizzazione del Paese,
la semplificazione burocratica,
l'emergenza del dissesto idrogeologico e
per la ripresa delle attività produttive),
disposizione inapplicabile ratione
temporis alla fattispecie di causa, è stato
posto un onere motivazionale aggiuntivo
(cfr. art. 19, comma, 4, legge cit. nel
testo vigente dal 12 novembre 2014) al
potere di autotutela sui titoli già formati,
consentendo all’amministrazione di
intervenire “solo in presenza del
pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l’ambiente, per
la salute e la sicurezza pubblica o la
difesa nazionale,e previo motivato
accertamento dell’impossibilità di
tutelare comunque tali interessi
mediante conformazione dell’attività dei
privati alla normativa vigente”.
Tuttavia, indipendentemente dai pur
assorbenti rilievi inerenti
l’inapplicabilità della disposizione in
ragione del tempo, si tratta pur sempre
di previsione applicabile al caso di
tardivo esercizio del ius poenitendi da
parte della amministrazione (qui non
ricorrente, atteso il tempestivo
intervento inibitorio del Comune di
Napoli).
Di qui l’infondatezza dell’assunto della
società appellante, ribadito anche in sede
di discussione orale .
4.-Quanto, infine, al motivo d’appello
incentrato sulla contraddittorietà
dell’azione amministrativa per avere il
Comune riscontrato senza rilievi lo
strumento della SCIA proposta dalla
stessa società il 14 marzo 2011 in
relazione allo svolgimento, sullo stesso
bene in concessione, di distinta attività
commerciale (relativa a “intrattenimenti
danzanti”), osserva il Collegio che in
relazione a tale diversa attività il
Comune di Napoli aveva già rilasciato,
il 25 luglio 2008, una licenza
commerciale a carattere permanente: di
guisa che la SCIA ha rappresentato
soltanto lo strumento giuridico per
dichiarare la permanenza delle
condizioni di esercizio di detta attività
accessoria.
Pertanto non sussiste un’identità di
situazioni sostanziali da cui possa
desumersi la dedotta contraddittorietà tra
atti della stessa amministrazione
comunale: la società appellante non
risulta beneficiaria di analogo
provvedimento ampliativo a carattere
permanente per l’esercizio della distinta
attività connessa allo stabilimento
balneare; e ciò senza dire che ai fini
dell’esercizio della attività accessoria
non risultano implicate valutazioni che
coinvolgano profili paesaggistici. Perciò
non par dubbio che - ai limitati fini di
cui si è detto - la SCIA costituisca
strumento giuridico idoneo e funzionale
allo scopo.
5. In definitiva, l’appello va respinto in
quanto infondato e va confermata la
impugnata sentenza.
6. Le spese seguono la regola della
soccombenza e sono liquidate come da
dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Sesta)
definitivamente pronunciando
sull'appello (RG n. 1532/13), come in
epigrafe proposto,
lo respinge.
Condanna la società appellante al
pagamento, in favore del Comune di
Napoli, delle spese e degli onorari del
presente grado di giudizio, che liquida in
complessivi euro 3000,00 (tremila/00),
oltre accessori.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 9 giugno 2015 con
l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg,
Consigliere, Estensore
Roberta Vigotti, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/07/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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