Illegittimo licenziamento di DIPENDENTE LOCALE che collabora con quotidiani (Cassazione)
[color=red][b]CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO – sentenza 11 giugno 2015 n. 12120[/b][/color]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
[b]La Corte di appello di Bologna, rigettando l’impugnazione proposta dal Comune di AAAAA confermava la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia con la quale era stato dichiarato illegittimo il provvedimento di decadenza dall’impiego adottato dal Comune nei confronti dell’agente di polizia municipale BBBB disponendone la reintegra nel posto di lavoro e condannando l’ente locale al risarcimento del danno in suo favore.[/b]
Nel pervenire a tali conclusioni i giudici dell’appello ritenevano, in sintesi, che la decadenza dall’impiego non aveva natura disciplinare, ma presupponeva la perdita dei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se mancanti ab origine, precluderebbero la costituzione del rapporto; che in tale ottica andavano riguardati i comportamenti ascritti al dipendente, al quale era stata addebitata la redazione di articoli di stampa, anche in violazione dei doveri di segretezza connessi al servizio; che il numero ridotto degli articoli redatti ed il loro contenuto, dimostravano l’esiguità dell’impegno profuso dal BBBB nella attività di collaborazione giornalistica, peraltro previamente autorizzata dal Comune, e la sua compatibilità con le funzioni rivestite di agente di polizia municipale.
La cassazione di tale decisione è domandata dal Comune di AAAAA sulla base di un unico motivo di ricorso, resistito con controricorso dal BBBB
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art.378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’ art.60 d.p.r. 10/1/57 n.3.
[b]Si lamenta una erronea disamina, da parte della Corte distrettuale, degli episodi contestati, la cui corretta lettura avrebbe dovuto condurre a qualificare come stabile e continuativa l’attività giornalistica svolta dal dipendente.[/b]
Ci si duole, altresì, che i giudici del gravame abbiano concentrato la propria attenzione esclusivamente su tre episodi, tralasciando di considerare, come desumibile già dal provvedimento di decadenza, che il BBBB aveva pubblicato in meno di due mesi, un numero di articoli ben superiore, pari a venticinque. Facendo leva sui concetti di ampiezza delle prestazioni e di intensità della collaborazione, il ricorrente patrocina una lettura della condotta assunta dal dipendente come idonea a distoglierlo dalle proprie mansioni di agente di polizia municipale in modo da pregiudicarne il rendimento.
[b]La censura è priva di pregio.[/b]
Si impone l’evidenza della ricorrenza di profili di inammissibilità della censura con la quale parte ricorrente, mediante il denunciato vizio di violazione di legge, intende introdurre in realtà, una critica attinente al difetto di motivazione.
Come più volte affermato da questa Corte (vedi, ex plurimis, Cass. 30 gennaio 2012 n. 1312), e va qui ribadito, quando nel ricorso per Cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con l’interpretazione delle stesse fornita dalia giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il motivo è inammissibile, poiché non consente alla Corte di cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (cfr. Cass, 20 gennaio 2006, n, 1108; Cass. 29 novembre 2005 n,26048; Cass. 11 novembre 2005, n. 21659).
In altri termini, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di cassazione). Viceversa, la allegazione – come prospettata qui dal ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, e esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e si risolve nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dalla circostanza che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (in termini, Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonché Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499)”.
Nella specie il Comune di AAAAA pur deducendo che i giudici del merito, in tesi, hanno male interpretato la disposizione normativa indicata nella intestazione del motivo, in realtà, si limita a censurare l’interpretazione delle risultanze di causa ritenuta inadeguata, sollecitando, così, contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze.
Non può, poi, sottacersi, che viene in rilievo, ratione temporis, la novella di cui all’art.54 c. 1 lett. b d.l. 22/6/12 n. 83 conv. in l. 7/8/12 n.Ì34 secondo cui è ammesso il ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”.
Nella interpretazione resa dalle sezioni unite di questa Corte alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi (vedi Cass. S.U. 7 aprile 2014 n. 8053), la disposizione va letta in un’ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, di guisa che è stato ritenuto denunciabile in cassazione, solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente alla esistenza della motivazione in sé, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, esaurendosi nelle ipotesi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile fra motivazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” esclusa qualsiasi rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione-
[color=red][b]Nello specifico la motivazione, congrua e completa, muove da una esegesi della disposizione di cui all’art. 60 d.p.r. 10/1/57 n. 3 con la quale i giudici del gravame hanno mostrato di conoscere e condividere l’indirizzo tracciato da questa Corte secondo cui in materia di pubblico impiego, la disciplina della incompatibilità prevista dagli artt. 60 e seguenti d.p.r. 10/1/57 n. 3, applicabile a tutti i dipendenti pubblici contrattualizzati e non, a norma dell’art. 53 c.l d.lgs. n. 165/01, nonché ai dipendenti degli enti locali in virtù della abrogazione dell’art.241 r.d. n. 393/34 ex art.64 1.142/90 – da cui discende l’istituto della decadenza dal rapporto di impiego, è estranea all’ambito delle sanzioni e della responsabilità disciplinare di cui all’art.55 del d.lgs. n. 165/01 (vedi Cass 26 marzo 2010 n. 7343, Cass. 21 agosto 2009 n. 10608, Cass. 19 gennaio 2006 n. 967).[/b][/color]
Procede, quindi, alla analitica disamina degli episodi oggetto di specifica censura da parte appellante, rimanendo coerente nei vari elementi che ne costituiscono la struttura argomentativa, e pervenendo alla conclusione secondo cui l’impegno profuso dal BBBB nello svolgimento della attività di collaborazione giornalistica, per la esiguità che lo connota, non determinava una situazione di incompatibilità con le funzioni di agente di polizia municipale alle quali egli era addetto.
Si tratta, quindi, di un tessuto motivazionale del tutto congruo ed esaustivo, che non può essere validamente ascritto ad alcuna delle categorie di vizio motivazionale enucleate dalla giurisprudenza di legittimità in relazione al novellato testo di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. e non resta, pertanto, scalfito dalle censure formulate sul punto.
In definitiva, il ricorso va respinto.
Le spese del presente giudizio di cassazione seguono, infine, il regime della soccombenza e si liquidano nella misura in dispositivo indicata, con distrazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3,000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r, 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 4 febbraio 2015.
Depositata in Cancelleria l’11 giugno 2015.
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