Possibilità di assegnare gratuitamente o a canone ridotto un bene del patrimonio disponibile comunale.
Possibilità di assegnare gratuitamente o a canone ridotto un bene del patrimonio disponibile comunale. Modalità dell'affidamento.
Massima
[color=red][b]1) Sebbene il comodato costituisca una forma di utilizzo infruttifera e, quindi, non coerente con il principio di redditività dei beni immobili delle PP.AA., il più recente indirizzo della Corte dei conti afferma che non risulta precluso a priori, per l'ente locale, il ricorso a tale contratto, quale forma di sostegno/contribuzione nei confronti di attività di pubblico interesse, strumentali alla realizzazione delle proprie finalità istituzionali. 2) La concessione in uso gratuito di bene immobile, facente parte del patrimonio disponibile di un Ente locale, va qualificata in termini di attribuzione di un 'vantaggio economico' a favore di un soggetto di diritto privato (art. 12 l. 241/1990). Segue che, ai fini dell'individuazione del soggetto con cui stipulare il contratto di comodato o di locazione a prezzo ridotto, l'Ente dovrà, previamente, indicare una serie di criteri e modalità cui successivamente attenersi. [/b][/color]
[b]Testo completo del parere[/b]
Il Comune, atteso il principio di fruttuosità dei beni pubblici immobiliari, chiede di conoscere un parere in merito alla possibilità di assegnare gratuitamente o a canone ridotto, ad un imprenditore, un bene facente parte del patrimonio disponibile e, in caso di risposta positiva, desidera sapere se l'assegnazione debba essere o meno effettuata mediante procedura ad evidenza pubblica. Precisa, altresì, che l'assegnazione avrebbe ad oggetto un immobile destinato ad asilo nido[1] e che l'amministrazione comunale non offre alcun servizio analogo.
Il principio di fruttuosità dei beni pubblici, sancito per lo Stato dall'articolo 9 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 e per i comuni dall'articolo 32, comma 8, della legge 23 dicembre 1994, n. 724,[2] impone alle pubbliche amministrazioni di gestire il proprio patrimonio in modo da ottenere la massima redditività possibile.
Il Giudice contabile osserva che, a prescindere dall'individuazione dei rispettivi ambiti applicativi, le predette disposizioni «sono la chiara espressione della volontà del legislatore di rapportare i canoni locativi di tutti gli immobili pubblici ai valori di mercato; e ciò sia che si tratti, più propriamente, di immobili destinati ad uso abitativo (quali quelli disciplinati dall'art. 9, comma 3, della legge n. 537 del 1993), sia che si tratti di immobili appartenenti al patrimonio indisponibile (quali quelli regolati dall'art. 32, comma 8, della legge n. 724 del 1994), sia che si tratti [...] di immobili del patrimonio disponibile [...], relativamente ai quali - già prima della entrata in vigore delle nuove disposizioni - il principio della redditività secondo valori di mercato discendeva dai principi di buona amministrazione cui sono astretti gli enti pubblici».[3]
La Corte dei conti afferma, quindi, che le varie forme di gestione del patrimonio pubblico previste dall'ordinamento sono tutte finalizzate alla valorizzazione economica delle dotazioni immobiliari degli enti territoriali, vale a dire che esse «devono mirare all'incremento del valore economico delle dotazioni stesse, onde trarne una maggiore redditività finale».[4]
Il Collegio rileva, peraltro, che «il Comune non deve perseguire, costantemente e necessariamente, un risultato soltanto economico in senso stretto nell'utilizzazione dei beni patrimoniali, ma, come ente a fini generali, deve anche curare gli interessi e promuovere lo sviluppo della comunità amministrata[5]».[6]
La Corte dei conti, [7] dopo aver ribadito che, di norma, «l'atto di disposizione di un bene appartenente al patrimonio pubblico deve comunque tener conto dell'obbligo di assicurare una gestione 'economica' del bene stesso, in modo da aumentarne la produttività in termini di entrate finanziarie, obbligo che rappresenta una delle forme di attuazione da parte delle Pubbliche Amministrazioni del principio costituzionale di buon andamento (art. 97 Cost.) del quale l'economicità della gestione amministrativa costituisce il più significativo corollario (art. 1, Legge n. 241/1990 e s.i.m.)», precisa che «è il legislatore stesso che traccia i confini delle possibili eccezioni ai principi generali appena richiamati».[8]
Secondo la Corte dei conti, «Al di là delle citate eccezioni, espressamente previste dal legislatore, [...] qualsiasi atto di disposizione di un bene, appartenente al patrimonio comunale, non può prescindere dal rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza e pubblicità, che governano l'azione amministrativa, oltre che dal rispetto delle norme regolamentari dell'ente locale (il che concerne, anche e primariamente, la scelta del contraente cui concedere il bene in godimento)».[9]
Va, tuttavia, rilevato che, dopo aver assunto una posizione assai rigorosa, nella considerazione che lo scopo primario del patrimonio disponibile è quello di produrre reddito, la Corte dei conti ha compiuto una serie di valutazioni che appaiono idonee a ritenere ammissibile - a determinate condizioni e anche a favore di soggetti di diritto privato - la concessione in comodato di beni pubblici.
La Corte ritiene, infatti, che, anche se il comodato, in quanto contratto gratuito, costituisce una forma di utilizzo infruttifera, e dunque non in linea con il principio della redditività dei beni patrimoniali disponibili, non risulta precluso a priori, per l'ente locale, ricorrere a tale negozio quale forma di sostegno e di contribuzione indiretta «nei confronti di attività di pubblico interesse, strumentali alla realizzazione delle proprie finalità istituzionali».[10]
Viene, altresì, rilevato che «il principio generale di redditività del bene pubblico può essere mitigato o escluso ove venga perseguito un interesse pubblico equivalente o addirittura superiore rispetto a quello che viene perseguito mediante lo sfruttamento economico dei beni».[11]
Il Collegio contabile osserva, poi, che all'interno dell'ordinamento generale o nella disciplina di settore degli enti territoriali non esiste alcuna norma che ponga uno specifico divieto di concessione in uso gratuito di beni immobili facenti parte del patrimonio disponibile dell'ente locale[12] giacché, stante la loro natura, essi vengono assoggettati, in linea di principio, alla disciplina privatistica.
Tuttavia - chiarisce la Sezione - nell'esercizio della discrezionalità che gli compete in ordine alla gestione del proprio patrimonio, l'ente locale «deve non solo evidenziare e pubblicizzare le finalità pubblicistiche che intende perseguire con la stipula del negozio di comodato, bensì deve altresì verificare che l'utilità sociale perseguita rientri nelle finalità a cui è deputato l'ente locale medesimo».[13]
«Dunque» - prosegue la Corte dei conti - «rientra nella sfera della discrezionalità dell'ente locale la scelta sulle modalità di gestione del proprio patrimonio disponibile, purché l'esercizio di detta discrezionalità avvenga previa valutazione e comparazione degli interessi della comunità locale, nonché previa verifica della compatibilità finanziaria e gestionale dell'atto dispositivo».[14]
La Corte dei conti chiarisce, poi, che «l'attribuzione del 'vantaggio economico'[15] al destinatario del comodato si giustifica solo ed esclusivamente nella misura in cui le finalità perseguite dallo stesso rientrano tra quelle istituzionali del Comune»[16], a nulla rilevando la natura di tale destinatario, giacché «la natura pubblica o privata del soggetto che riceve l'attribuzione patrimoniale è indifferente, purché detta attribuzione trovi la sua ragione giustificatrice nei fini pubblicistici dell'ente locale»[17].[18]
Stante quanto rappresentato, si osserva che la concessione in comodato dei beni immobili della P.A. risulta subordinata alla rigorosa osservanza delle condizioni previste dalla Corte dei conti.
Passando a trattare della seconda questione posta inerente le modalità di individuazione del soggetto con cui stipulare il contratto di comodato o di locazione a canone ridotto al disotto dei normali prezzi di mercato, si rileva che, in generale, «la concessione in uso gratuito di bene immobile, facente parte del patrimonio disponibile di un Ente locale, va qualificata in termini di attribuzione di un 'vantaggio economico' a favore di un soggetto di diritto privato, anche se la disciplina codicistica del contratto di comodato [...] pone a carico del comodatario le spese per l'utilizzo del bene, con la diretta conseguenza che la concessione risulta soggetta alle procedure amministrative prescritte dall'art. 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241, in materia di provvedimenti attributivi di vantaggi economici».[19] Tale articolo così recita: '1. La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.
2. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1'.
Segue che, ai fini dell'individuazione del soggetto con cui stipulare il contratto di comodato o di locazione a prezzo ridotto, l'Ente dovrà, previamente, indicare una serie di criteri e modalità cui successivamente attenersi.[20]
Si osserva che, con riferimento alla richiesta dell'Ente circa la necessità di porre in essere una procedura ad evidenza pubblica per individuare il contraente, la giurisprudenza ha affermato, in generale, per tutti i contratti pubblici l'osservanza dei principi dell'evidenza pubblica di derivazione comunitaria per l'individuazione di tale soggetto.[21]
Concludendo, in riferimento al caso in esame, preme evidenziare, altresì, che, essendo già in essere un contratto di locazione tra Comune e soggetto privato, qualora l'Ente intenda modificare la tipologia contrattuale in essere (non più locazione ma comodato o locazione a prezzo ridotto) dovrà attendere la scadenza della stessa, o, comunque, pervenire ad uno scioglimento per mutuo consenso o per recesso[22] per procedere, successivamente, ad una nuova attribuzione dell'immobile nel rispetto delle condizioni sopra riportate. In particolare, l'Ente, nell'esporre le ragioni sulla cui base vorrebbe stipulare non più un ordinario contratto di locazione ma uno a canone ridotto o, addirittura, un contratto di comodato, dovrebbe adeguatamente indicare i motivi di pubblico interesse sottesi a tale scelta, idonei a giustificare la deroga al principio della fruttuosità dei beni pubblici.[23]
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[1] Va precisato che l'immobile in riferimento è, attualmente, 'regolarmente locato' ad una società in accomandita semplice che vi svolge l'attività di asilo nido.
[2] Il comma 8 dell'articolo 32 della legge 724/1994 così recita: 'A decorrere dal 1° gennaio 1995 i canoni annui per i beni appartenenti al patrimonio indisponibile dei comuni sono, in deroga alle disposizioni di legge in vigore, determinati dai comuni in rapporto alle caratteristiche dei beni, ad un valore comunque non inferiore a quello di mercato, fatti salvi gli scopi sociali'.
[3] Corte dei Conti, sezione II giurisdizionale centrale d'appello, sentenza del 22 aprile 2010, n. 149.
[4] Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, parere del 5 ottobre 2012, n. 716.
[5] Ai sensi dell'art. 13, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 («Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.») e dell'art. 16, comma 1, della legge regionale 9 gennaio 2006, n. 1 («Il Comune è titolare di tutte le funzioni amministrative che riguardano i servizi alla persona, lo sviluppo economico e sociale e il governo del territorio comunale, salvo quelle attribuite espressamente dalla legge ad altri soggetti istituzionali.»).
[6] Sez. reg.le contr. Veneto, parere n. 716/2012.
[7] Sez. reg.le contr. Puglia, parere 14 novembre 2013, n. 170.
[8] Al riguardo, la Corte dei conti richiama il già citato art. 32, comma 8, della L. 724/1994, ai sensi del quale i canoni annui per i beni appartenenti al patrimonio indisponibile dei comuni sono determinati in ragione delle loro caratteristiche e a valori non inferiori a quello di mercato, «fatti salvi gli scopi sociali», e l'art. 32, comma 1, della legge 7 dicembre 2000, n. 383, che consente agli enti locali di concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, alle associazioni di promozione sociale ed alle organizzazioni di volontariato per lo svolgimento delle loro attività istituzionali.
[9] Sez. reg.le contr. Puglia, parere n. 170/2013 e, in termini, Sez. reg.le contr. Lombardia, parere n. 172/2014, che rileva come da un tanto consegua che «risulta rimessa esclusivamente alla discrezionalità ed al prudente apprezzamento dell'ente, che si assume la responsabilità della scelta, la verifica della compatibilità finanziaria e gestionale dell'atto dispositivo, che dovrà risultare da una chiara ed esaustiva motivazione del provvedimento».
[10] Sez. reg.le contr. Veneto, parere 24 aprile 2009, n. 33. In tale sede, il Collegio chiarisce che «Ciò potrà avvenire, però, solo a seguito di attenta valutazione comparativa tra i vari interessi in gioco, rimessa esclusivamente alla discrezionalità e al prudente apprezzamento dell'ente, e che dovrà risultare da una chiara ed esaustiva motivazione del provvedimento».
[11] Sez. reg.le contr. Veneto, parere n. 716/2012.
[12] Sez. reg.le contr. Lombardia, pareri 17 giugno 2010, n. 672 e 13 giugno 2011, n. 349.
[13] Sez. reg.le contr. Lombardia, pareri n. 672/2010 e n. 349/2011.
[14] Sez. reg.le contr. Lombardia, pareri n. 672/2010 e n. 349/2011 e Sez. reg.le contr. Campania, parere 10 luglio 2013, n. 237.
[15] Si veda, al riguardo, la previsione di cui all'articolo 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
[16] Sez. reg.le contr. Puglia, parere n. 170/2013.
[17] Sez. reg.le contr. Lombardia, pareri n. 672/2010 e n. 349/2011 e Sez. reg.le contr. Puglia, parere n. 170/2013.
[18] Per completezza espositiva, si rinvia, anche, alla legge regionale 18 agosto 2000, n. 20, recante 'Sistema educativo integrato dei servizi per la prima infanzia', la quale, all'articolo 10, declina una serie di attività spettanti ai Comuni, volte al perseguimento delle finalità poste dalla legge in riferimento, e consistenti nel voler garantire il pieno esercizio dei diritti riconosciuti alle bambine e ai bambini di età compresa tra i tre mesi e i tre anni.
[19] Così, ANCI parere del 3 settembre 2014.
[20] Tra questi l'amministrazione potrebbe valutare l'inserimento della previsione dell'accollo, da parte del comodatario, di tutti gli oneri di manutenzione dell'immobile dato in comodato. Ciò in quanto la Corte dei Conti, in una propria pronuncia (Sez. reg.le contr. Puglia, parere n. 170/2013, cit.), relativa all'ipotesi in cui il comodante era un ente locale, dopo aver richiamato il principio di redditività dei beni pubblici, ne ha ricavato la necessità che l'ente medesimo sia quantomeno esentato da «qualunque onere di manutenzione, nessuno escluso».
Ancorché si tratti di disciplina normativa riferita ai soli beni immobili dello Stato, si vedano, altresì, gli artt. 10, comma 1, e 11, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 13 settembre 2005, n. 296, i quali dispongono, rispettivamente, che «Sono legittimati a richiedere a titolo gratuito la concessione ovvero la locazione dei beni immobili di cui all'articolo 9, con gli oneri di ordinaria e straordinaria manutenzione a loro totale carico, i seguenti soggetti [...]» e che «I beni immobili dello Stato di cui all'articolo 9 possono essere dati in concessione ovvero in locazione a canone agevolato per finalità di interesse pubblico connesse all'effettiva rilevanza degli scopi sociali perseguiti in funzione e nel rispetto delle esigenze primarie della collettività e in ragione dei princìpi fondamentali costituzionalmente garantiti, a fronte dell'assunzione dei relativi oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria, in favore dei seguenti soggetti [...]».
[21] Specificamente per la locazione, il Giudice amministrativo (T.A.R. Pescara, Sez. I, sentenza del 5 novembre 2008, n. 878) ha affermato che, anche in assenza di specifica disposizione normativa che imponga l'adozione di procedure concorrenziali per la selezione del contraente privato, l'amministrazione deve osservare i fondamentali canoni della trasparenza, dell'imparzialità e della par condicio (sul tema si veda, anche, T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, sentenza del 21 maggio 2008, n. 1978). Vero è che, con riferimento al contratto di comodato, pare che il rispetto di tali principi possa attuarsi osservando ed applicando quei criteri predisposti in sede regolamentare, l'applicazione dei quali dovrebbe consentire di attribuire il bene, in presenza di una pluralità di richiedenti, a colui che meglio pare soddisfare le esigenze della Pubblica Amministrazione.
[22] Si osserva che l'articolo 27, commi settimo e ottavo, della legge 27 luglio 1978, n. 392, prevede la possibilità, per il conduttore, di recedere dal contratto nel caso in cui una tale possibilità sia prevista contrattualmente o, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, qualora ricorrano gravi motivi.
[23] Al riguardo, spetta all'Ente, in relazione alla situazione concreta, esplicitare le ragioni che giustificherebbero la stipulazione di un contratto non comportante più un introito economico per lo stesso (o, comunque, di entità ridotta rispetto ai valori di mercato). Ad esempio, la determinazione di un canone di locazione ridotto al di sotto dei normali prezzi di mercato potrebbe risultare giustificata a fronte della previsione, nella convenzione intercorrente tra il Comune ed il soggetto gestore dell'asilo nido, di vantaggi ulteriori per la collettività comunale, anche sotto il profilo delle tariffe a carico dell'utenza. Ancora, si potrebbe presentare il caso in cui, a fronte di una mutata situazione di fatto (minori iscrizioni al nido; maggiori costi di gestione) non vi siano più le condizioni per il mantenimento in vita del servizio di asilo. In tale ultimo caso, spetta al Comune valutare se la situazione prospettata sia oggettivamente tale da giustificare e ritenere fondato il cambiamento di tipologia contrattuale.
L. 23.12.1994, n. 724, art. 32; L. 7.08.1990, n. 241, art. 12.
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