No all'in house per i servizi strumentali
La sentenza 2291/2015 del Consiglio di Stato
http://www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/art/edilizia-e-appalti/2015-05-07/no-in-house-i-servizi-strumentali-215959.php?uuid=ABi6SQd
*********************
N. 02291/2015REG.PROV.COLL.
N. 10173/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10173 del 2014, proposto da:
Markas S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Silvio Bozzi, Pietro Adami, Carlo
Malinconico, Antonio Malaschini, con domicilio eletto presso Pietro Adami in
Roma, corso d'Italia, 97;
contro
Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanna
Corrente, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria, 2;
nei confronti di
Sanitaservice ASL Br S.r.l.;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
- Chemi Pul Italiana S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Luigi Nilo, con domicilio
eletto presso Pietro Adami in Roma, corso d'Italia, 97;
- Associazione Nazionale Imprese di Pulizia e Servizi Integrati (ANIP),
rappresentata e difesa dagli avv. Maria Stefania Masini, Damiano Lipani, Sergio
Grillo, con domicilio eletto presso Maria Stefania Masini in Roma, Via Antonio
Gramsci, 24;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE,
SEZIONE II, n. 02986/2014, resa tra le parti, concernente affidamento in
house del servizio di pulizia e sanificazione di tutte le strutture della ASL – mcp;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della ASL di Brindisi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2015 il Cons. Pierfrancesco
Ungari e uditi per le parti gli avvocati Adami per sé e su delega di Nilo,
Malinconico, Corrente, Masini e Grillo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con deliberazione n. 1487 in data 13 agosto 2014 la ASL di Brindisi ha disposto
l’affidamento in house a Sanitaservice ASL BR S.r.l., per sei anni a decorrere dal 1°
ottobre 2014, salvo rinnovo alla scadenza, del servizio di pulizia e sanificazione di
tutte le strutture della ASL.
2. Markas, gestore uscente dei servizi in parte delle strutture, ha impugnato detto
provvedimento, unitamente alla presupposta d.G.R. n. 2271/2013 (“Criteri di
organizzazione delle società strumentali alle aziende ed enti del Servizio Sanitario Regionale
della Puglia”).
3. Il TAR Puglia, con la sentenza appellata (Lecce, I, n. 2986/2014), ha respinto
l’impugnazione.
Questi i passaggi chiave della sentenza appellata:
(a) – l’art. 4, comma 7, del d.l. 95/2012, conv. nella legge 135/2012, impone
l’acquisizione di beni strumentali mediante procedure concorrenziali, ma il comma
8 consente in deroga l’affidamento diretto a favore di società a capitale interamente
pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza
comunitaria per la gestione in house; tale possibilità non può dirsi neanche venuta
meno per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 229/2013 (che ha
dichiarato l’illegittimità di alcune disposizioni dell’art. 4, tra cui il predetto comma
8), dovendosi ritenere la disposizione pleonastica, in quanto si limitava a recepire la
giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di generale operatività dell’in house
providing nel campo degli appalti e dei servizi pubblici.
(b) – il punto 5 del dispositivo della delibera n. 1487/2014, in cui, dopo aver
richiamato l’art. 30 della l.r. 4/2010, dichiarato incostituzionale (cfr. Corte Cost. n.
68/2011), la ASL prevede l’assunzione a tempo indeterminato del personale
utilizzato dai precedenti gestori del servizio, non perpetua il vizio che affliggeva
l’art. 30, cit., alla luce dell’insegnamento della Corte e delle varie disposizioni,
susseguitesi nel tempo, che hanno esteso alle società in house gli stessi divieti, in
materia di assunzione del personale, vigenti per le amministrazioni che le
controllano; infatti, il provvedimento si limita a conservare lo status quo ante e non
valica i limiti della clausola sociale (non crea nuovi diritti, ma conserva solo quelli
esistenti), dovendosi interpretare nel senso che l’assunzione a tempo indeterminato
non riguarderà in modo automatico e generalizzato tutti i lavoratori transitati,
compresi quelli assunti con contratto a termine, ma solo quelli già occupati sine
die dal precedente gestore; e la clausola sociale (o clausola di “protezione”, o di
“salvaguardia sociale” o “sociale di assorbimento”) è un istituto previsto dalla
contrattazione collettiva e da specifiche disposizioni legislative statali e
comunitarie.
(c) – una volta chiarito che l’opzione tra in house providing e outsourcing si risolve in
una scelta discrezionale fra modelli organizzativi alternativi, che ogni P.A. è
chiamata a operare entro margini di autonomia pienamente riconosciuti
dall’ordinamento comunitario, nel caso di specie la motivazione poste a
fondamento della scelta gestionale (maggiore convenienza economica della
gestione in house) non appare manifestamente illogica, irrazionale e arbitraria, né
fondata su di un altrettanto macroscopico travisamento dei fatti.
(d) – neanche la mancanza di contestualità tra scelta della gestione in house e
approvazione del disciplinare (intervenuta successivamente) è idonea a viziare
l’affidamento; infatti, il differimento dell’adozione del disciplinare in prossimità del
concreto affidamento del servizio appare, nella specie, giustificato dal processo di
riorganizzazione delle strutture ospedaliere in atto (con soppressioni, trasferimenti
e riallocazione di numerosi uffici).
4. Nell’appello, Markas deduce i motivi di censura appresso sintetizzati.
(a) – la materia è disciplinata interamente dall’art. 4, comma 7, del d.l. 95/2012;
infatti, il comma 8, che l’aveva derogato, non vige più, e non era espressione di una
disposizione o di un orientamento comunitario (il diritto comunitario, viceversa,
lascia agli ordinamenti nazionali la scelta di limitare l’affidamento in house ed
arginare il fenomeno della proliferazione di soggetti di diritto privato che
gestiscono la produzione di beni e servizi); né ricorrono i presupposti per
l’affidamento in house previsto da altre disposizioni (art. 3, commi 27-32, legge
244/2007, sui servizi di interesse economico generale; casi previsti dal medesimo
art. 4, cit., al comma 3: servizi erogati in favore dei cittadini, compiti di centrale di
committenza, forniture informatiche, società individuate con d.P.C.M., etc.).
(b) – sono illegittime le modalità concrete di affidamento del servizio alla società in
questione, posto che: (1) – è mancata ogni comparazione e valutazione relativa alla
qualità ed economicità del servizio (in violazione della d.G.R. 2271/2013, non è
stato contestualmente approvato il disciplinare di servizio, e conseguentemente
non sono stati valutati gli aspetti qualitativi del servizio da svolgere, e anche la
valutazione economica è inattendibile non conoscendosi le prestazioni); (2) – è
mancata ogni considerazione relativamente alla gara precedentemente bandita (e
poi sospesa, prima che il TAR annullasse il provvedimento con cui era stata ritirata
a seguito della decisione di aderire alla convenzione Consip – cfr. sentenza del
TAR Lecce, n. 1781/2014), in ordine al cui abbandono definitivo la ASL avrebbe
dovuto adottare un nuovo provvedimento di autotutela motivato; (3) – quanto
all’assunzione del personale, l’art. 30 della l.r. 4/2010, come manipolato dalla Corte
Costituzionale, impedisce qualsiasi assunzione a tempo indeterminato; le
disposizioni sulla clausola sociale valgono per le aziende private; la omessa
considerazione di tale aspetto dei rapporti di lavoro instaurandi dalla società in
house rende la sua gestione economicamente non conveniente.
(c) – vi è un altro profilo di illegittimità dell’affidamento, non esaminato dal TAR:
l’assunzione prevista dal punto 5 del dispositivo del provvedimento impugnato si
pone oltre i limiti finanziari previsti dalla Regione Puglia; viene al riguardo
richiamato dal provvedimento impugnato l’atto di indirizzo prot. 53390 in data 30
luglio 2014, ex art. 18, comma 2-bis, del d.l. 112/2008 e s.m. (da ultimo, ex art. 3,
comma 5-quinquies, d.l. 90/2014, conv. nella legge 114/2014), che riguarda il
contenimento degli oneri contrattuali ma fa salvi i divieti esistenti; comunque, non
è chiaro quali assunzioni la Regione Puglia può sopportare nel secondo semestre
del 2014 (per gli enti del S.S.R. vigono i divieti/limitazioni di cui: all’art. 2, comma
71, legge 191/2009, prorogato fino al 2015 ex art. 17, comma 3, del d.l. 98/2011,
ed al Piano di rientro dal disavanzo della spesa sanitaria; le assunzioni consentite da
d.G.R. n. 183/2014, coprono solo il primo semestre 2014 e comunque riguardano
personale diverso da quello addetto alle pulizie).
5. La ASL di Brindisi si è costituita in giudizio e controdeduce puntualmente.
6. Sono intervenuti ad adiuvandum l’Associazione Nazionale Imprese di Pulizia e
Servizi Integrati - ANIP, associazione di categoria, e la Chemi Pul S.r.l., impresa
che svolgeva parte dei servizi affidati in house.
7. Le parti hanno precisato con memorie le proprie difese.
In particolare, l’appellante ha puntualizzato le ragioni per le quali, a suo dire,
l’affidamento a Sanitaservice non comporterebbe alcun risparmio di spesa, bensì
maggiori oneri.
La ASL ha sottolineato la sopravvenienza della stipula del disciplinare del servizio
e dell’avvio di quest’ultimo “in auto produzione” dal 1 marzo 2015.
8. Il Collegio deve anzitutto esaminare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla
ASL in relazione alla omessa notifica alla Regione Puglia del ricorso di primo
grado, nonostante fosse stata gravata anche la d.G.R. n. 2271/2013.
L’eccezione va disattesa.
La d.G.R. n. 2271/2013 è stata adottata dalla Regione Puglia all’esito del giudizio
di costituzionalità sull’art. 4 della legge 135/2012, ed abilita espressamente le ASL
all’affidamento a proprie società in house dei servizi di pulizia e sanificazione.
Tuttavia, nessuna censura risulta sostanzialmente rivolta contro la d.G.R.,
impugnata solo in via “incidentale e cautelativa”, dato che la lesione dell’appellante
deriva esclusivamente dalla deliberazione della ASL BR n. 1487/2014.
D’altra parte, la d.G.R. non potrebbe legittimare un affidamento precluso dalla
normativa, e la controversia è incentrata, in primis, proprio sulla contrarietà
dell’affidamento in house all’art. 4, comma 7, del d.l. 95/2012, convertito nella legge
135/2012.
9. Passando al merito, può ricordarsi che l’art. 4, cit. (“Riduzione di spese, messa in
liquidazione e privatizzazione di società pubbliche”), ha dettato una serie di disposizioni
volte a limitare e razionalizzare il ricorso da parte delle pubbliche amministrazioni
all’attività di società controllate.
Il comma 7, al dichiarato fine di “evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di
assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale”, ha disposto che, a decorrere dal
1° gennaio 2014, le pubbliche amministrazioni, “nel rispetto dell’articolo 2 , comma 1 del
citato decreto acquisiscono sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le
procedure concorrenziali previste dal citato decreto legislativo”.
Il successivo comma 8, ha disposto che, sempre a decorrere da detta data,
“l’affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel
rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione
in house”.
10. Il Collegio osserva che il tenore del comma 7 sembra univoco nell’individuare
le procedure concorrenziali come modalità necessaria di acquisizione dei beni e
servizi strumentali.
La sentenza appellata ha ritenuto che il comma 8 avesse un contenuto derogatorio
del comma 7, nel senso di stabilire la possibilità di ricorrere all’affidamento diretto,
purché nel rispetto dei requisiti dell’in house providingstabiliti dal diritto comunitario,
e che quindi (sebbene dichiarato incostituzionale con sentenza n. 229/2012)
esprimesse un precetto comunque esistente nell’ordinamento comunitario e tuttora
applicabile.
Tale interpretazione non convince.
Quanto all’esistenza di un precetto comunitario, occorre precisare che l’in house
providing, così come costruito dalla giurisprudenza comunitaria, sembra
rappresentare, prima che un modello di organizzazione dell’amministrazione,
un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, le quali richiedono che
l’affidamento degli appalti pubblici avvenga mediante la gara.
Infatti, l’affidamento diretto del servizio – anche laddove non si traduca nella
creazione di posizioni di vantaggio economico che l’impresa in house possa sfruttare
nel mercato, presentandosi come “particolarmente” competitiva, con conseguente
alterazione della par condicio – rileva comunque ai fini della tutela della concorrenza
in quanto sottrae al libero mercato quote di contratti pubblici, nei confronti dei
quali le imprese ordinarie vengono escluse da ogni possibile accesso (cfr. Cons.
Stato, A.P. n. 1/2008).
Se dunque l’affidamento diretto ha carattere spiccatamente derogatorio, l’esistenza
di una sua disciplina normativa a livello comunitario (oggi contenuta nell’art. 12
della direttiva 24/2014/UE, da recepire entro il 18 aprile 2016, anche se nelle
disposizioni in questione è stata ravvisata una compiutezza tale da farle ritenere
“self-executing”, avendo indubbiamente “contenuto incondizionato e preciso” – cfr.
Cons. Stato, II, n. 298/2015; Cass. civ. SS.UU., n. 13676/2014) consente tale
forma di affidamento, ma non obbliga i legislatori nazionali a disciplinarla, né
impedisce loro di limitarla o escluderla in determinati ambiti.
La circostanza che un affidamento in house non contrasti con le direttive
comunitarie non vuol dire che sia contraria all’ordinamento UE una norma
nazionale che limiti ulteriormente il ricorso all’affidamento diretto.
Con ciò, si torna alla preclusione degli affidamenti diretti stabilita dall’art. 4,
comma 7, in questione, con scelta dichiaratamente pro-concorrenziale che non
può certamente ritenersi irragionevole.
11. Peraltro, anche la considerazione del comma 8 non può condurre ad una
diversa interpretazione della portata applicativa del comma 7.
Occorre considerare che i primi commi dell’art. 4 prevedevano - nei confronti
delle società controllate da pubbliche amministrazioni che nel 2011 avessero
conseguito un fatturato da prestazioni di servizi a favore di p.a. superiore al 90 per
cento dell’intero fatturato – lo scioglimento della società o l’alienazione della
partecipazione pubblica entro il 31 dicembre 2013 (comma 1); sanzionandone
l’inadempimento con il divieto di disporre nuovi affidamenti o rinnovare quelli in
essere (comma 2).
Le eccezioni all’applicazione di tale (comma 3) riguardavano: le “società che svolgono
servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica”; le “società che svolgono
prevalentemente compiti di centrali di committenza”; “le società di cui all'articolo 23-quinquies,
commi 7 e 8” dello stesso d.l. (si tratta della SOGEI e della CONSIP); le “società
finanziarie partecipate dalle regioni”; “quelle che gestiscono banche dati strategiche per il
conseguimento di obiettivi economico-finanziari” individuate con d.P.C.M; ed infine i casi
in cui “per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del
contesto, anche territoriale, di riferimento non sia possibile per l’amministrazione pubblica
controllante un efficace e utile ricorso al mercato”, dovendosi in tali casi procedere ad
un’analisi del mercato e predisporre una relazione sulla quale avrebbe espresso un
parere vincolante l’AGCM.
Dunque, la volontà del legislatore era quella di limitare il ricorso alle società
pubbliche, tra l’altro escludendolo nel settore dell’acquisizione di beni e servizi
strumentali, che non veniva tipologicamente considerato tra le eccezioni.
In tale contesto, al comma 8 sembra ragionevole attribuire il significato di stabilire,
nei confronti delle società alle quali, in applicazione dei commi 1, 2 e 3, era
consentito di continuare ad operare, le condizioni da rispettare per potere ricevere
ulteriori affidamenti diretti da parte delle amministrazioni controllanti a decorrere
dal 1° gennaio 2014; in altri termini, che l’affidamento diretto fosse consentito solo
nei casi in cui lo stesso art. 4 ammetteva la costituzione o il mantenimento di
società in house.
Del resto, la Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 229/2013, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale delle disposizioni dei commi 1 e 2 – nonché, in quanto
ad essi “strettamente collegati”, dei commi 3, secondo periodo, 3-sexies ed 8 -
dell’art. 4, ritenendo che incidessero sulla materia dell’organizzazione e
funzionamento della Regione, affidata dall’art. 117, quarto comma, Cost., alla
competenza legislativa regionale residuale delle Regioni ad autonomia ordinaria ed
alla competenza legislativa regionale primaria delle Regioni ad autonomia speciale
dai rispettivi statuti, tenuto conto che esse inibiscono in radice una delle possibili
declinazioni dell'autonomia organizzativa regionale.
12. Per contro, il comma 7 è uscito indenne dal giudizio di costituzionalità, e la
Corte ha rilevato che la disposizione obbedisce alla finalità, dichiarata dallo stesso
legislatore, “di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli
operatori sul territorio nazionale” e va quindi ricondotta alla materia della “tutela della
concorrenza” rientrante nella potestà legislativa esclusiva dello Sato.
Il comma 7 è l’unica disposizione vigente, tra quelle dell’art. 4 volte a limitare la
possibilità di ricorso all’utilizzazione delle società controllate ed aventi portata
generale (non settoriale), posto che l’art. 1, comma 562, della legge 147/2013, a
valle della pronuncia della Corte, ha abrogato i commi 1, 2, 3, 3-sexies, 9, 10 e 11
dell’art. 4.
E si tratta di disposizione avente una propria ratio, complementare a quelle sulla
cessazione delle società controllate e suscettibile di essere applicata a prescindere
dall’avvenuta caducazione di queste ultime.
13. D’altra parte, sembra evidente che la società Sanitaservice in questione non
rientri nemmeno nelle ipotesi nelle quali, nel disegno complessivo dell’art. 4, era
consentito il mantenimento delle società in house.
Infatti, il servizio di pulizia e sanificazione delle strutture è all’evidenza un servizio
strumentale, reso nei confronti della ASL, e non un servizio di interesse
economico generale rivolto agli utenti.
Inoltre, la circostanza che tale servizio, coerentemente con la prassi più diffusa,
venisse in precedenza reso alla ASL di Brindisi in regime di appalto da parte di
operatori commerciali, porta ad escludere la sussistenza di ragioni tali da far
ritenere che il servizio non possa proficuamente essere acquisito sul mercato.
14. Le considerazioni esposte conducono a ritenere fondato il primo motivo di
appello, che assume anche carattere assorbente.
Ne consegue, in riforma della sentenza appellata, l’accoglimento del ricorso di
primo grado e l’annullamento della delibera n. 1487/2013, con esso impugnata.
15. Considerata la relativa novità di alcuni aspetti della controversia, si ravvisano
giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di
giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente
pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in
riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso proposto in primo grado ed
annulla il provvedimento di affidamento in house con esso impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2015 con
l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/05/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)