Consiglio Nazionale Forense - DIMENSIONI DEI RICORSI E SCRITTI - parere 16/4/15
[color=red][b]PROCESSO AMMINISTRATIVO, CNF: IL DIRITTO DI DIFESA NON SI PUÒ MISURARE IN NUMERO DI PAGINE[/b][/color]
21/04/2015 - Parere critico del CNF sulla bozza di decreto del Presidente del Consiglio di Stato che disciplina le dimensioni dei ricorsi ai Tribunali amministrativi regionali e degli altri atti difensivi
Roma. Il Consiglio Nazionale Forense ha approvato- nella seduta amministrativa del 16 aprile- il parere sullo schema di decreto con cui il Presidente del Consiglio di Stato - sentiti il Consiglio nazionale forense, l’Avvocato generale dello Stato e le associazioni di categoria riconosciute degli avvocati amministrativisti - stabilisce le dimensioni del ricorso e degli altri atti difensivi nel processo amministrativo, in attuazione del principio di sinteticità degli atti dettato dal Codice del Processo Amministrativo. Tale previsione è contenuta nell’articolo 40 della legge di conversione del decreto legge n. 90/2014, che detta le regole anche per i casi in cui si ammette il superamento dei limiti prefissati. Il parere è stato trasmesso alla segreteria generale del Consiglio di Stato.
Secondo il CNF, che pure apprezza la regola di sinteticità degli atti per promuovere la speditezza del giudizio amministrativo, una norma che imponga limiti di dimensione degli atti processuali, prevedendo anche sanzioni “processuali” pesanti, si pone in contrasto con i principi di effettività e di efficacia del principio costituzionale di difesa. Per questo il Consiglio ha chiesto la modifica della norma primaria che, peraltro, assegna ad una fonte “impropria” - come un decreto del Presidente del Consiglio di Stato- il potere di intervenire sul diritto di difesa. I processi amministrativi sono processi spesso complessi (si pensi alla materia degli appalti pubblici), che possono comportare l’impugnazione di più atti amministrativi, la cui sola descrizione può richiedere numerose pagine: “strozzare” le argomentazioni in un numero pre-definito di pagine può portare alla sostanziale negazione del diritto di difesa.
Meglio sarebbe promuovere una formazione specifica e tecniche di autolimitazione, piuttosto che imporre la brevità con misure coercitive.
Nello spirito della doverosa collaborazione istituzionale, il CNF ha comunque provveduto all’analisi puntuale delle disposizioni del decreto, suggerendo modifiche e interventi sempre nell’ottica di favorire il dispiegarsi del diritti di difesa. Tante le osservazioni critiche, a partire dal numero minimo di pagine ammissibili nelle difese.
Ma soprattutto il CNF si è soffermato sull’aspetto più critico del decreto - che coinvolge anche la interpretazione della norma di legge: quello della sorte dei motivi di ricorso o delle argomentazioni a sostegno delle tesi difensive che siano poste nelle pagine eccedenti il numero ammissibile.
Per il Consiglio Nazionale Forense una interpretazione costituzionalmente orientata porta a ritenere che la norma non precluda affatto espressamente la delibazione delle questioni trattate nelle pagine eccedenti il limite. In questi casi, si deve applicare la norma generale dell’articolo 3 , comma 2 del Codice del processo amministrativo, per cui il giudice sarà tenuto a valutare in concreto se la violazione dei limiti di pagine costituisca un comportamento elusivo del principio di sinteticità e, come tale, da sanzionare; o piuttosto se il superamento del limite non si sia reso necessario, perché funzionale alla tutela della posizione giuridica della parte.
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[b] CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE - PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA[/b]
Il Consiglio Nazionale Forense, - nella seduta amministrativa del 16 aprile 2015, ha adottato il seguente parere:
Osservazioni del Consiglio Nazionale Forense sulla bozza di decreto del Presidente del
Consiglio di Stato che disciplina la dimensione dei ricorsi e degli altri atti difensivi, ai sensi
dell’art.120, co.6, dell’allegato I al decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104 dall’articolo 40 del
decreto legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014 n. 114.
[color=red][b]Il Consiglio Nazionale Forense, nel formulare le presenti osservazioni, deve premettere la propria
contrarietà a tutte le forme di regolamentazione in via normativa delle dimensioni del ricorso e degli
atti difensivi, ritenendo che esse siano in contrasto con il principio di efficacia ed effettività dei
diritti della difesa (art. 24 Cost.). [/b][/color]Il Consiglio ritiene infatti che l’obiettivo dello spedito
svolgimento del giudizio, in conformità con il principio di sinteticità di cui all’art. 3, comma 2, del
Codice del processo amministrativo possa essere meglio perseguito attraverso tecniche di
autolimitazione e di formazione, che non mediante misure di coercizione: e per questo auspica che
possa intervenire una modifica normativa alla disposizione introdotta nell’articolo 120 dell’allegato
I al decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104 dall’articolo 40 del decreto legge 24 giugno 2014 n. 90,
convertito in legge 11 agosto 2014 n. 114 ed ogni sua forma applicativa: questo anche in relazione
al problema della improprietà della fonte (Decreto del Presidente del Consiglio di Stato) ad incidere
su di un diritto, come quello di difesa, espressamente qualificato come fondamentale dalla nostra
Costituzione.
Tuttavia, secondo il principio di leale collaborazione ed in conformità al dettato della norma di
legge sopraddetta (che prevede il parere del CNF per l’adozione di misure organizzative per il
migliore funzionamento della Giustizia amministrativa), si formulano le seguenti osservazioni e/o
richieste di modificazione allo schema di decreto presidenziale attuativo.
A. Le dimensioni degli atti indicati al punto n. 2 dello schema di decreto devono essere aumentate,
con la previsione di un numero di pagine non inferiore a 30, in conformità agli esiti della verifica
effettuata dall’Ufficio sulla lunghezza media degli atti depositati al Consiglio di Stato.
B. Tra gli atti difensivi disciplinati al punto n. 2 dello schema di decreto vanno inseriti sia l’atto di
intervento (salvo che non si tratti di intervento meramente adesivo), sia l’atto di riassunzione, che
entrambi presentano caratteri ed esigenze processuali analoghi all’atto di introduzione del giudizio.
C. Le dimensioni degli atti indicati ai punti nn. 3 e 4 (e, se non accolta l’osservazione di cui al
paragrafo B che precede, ai punti 5 e 6) dello schema di decreto devono essere aumentate in
proporzione alle dimensioni stabilite per gli atti elencati al n. 2.
D. Dai limiti di cui ai numeri 2, 3, 4, 5 e 6 vanno esclusi altresì il P.Q.M. e le conclusioni dell’atto
(in tal senso richiedendosi pertanto un’integrazione del punto n. 9).
E. La previsione del raddoppio dei limiti di dimensione degli atti difensivi, con riferimento al valore
effettivo della controversia, va allineata ai valori di soglia previsti dalla normativa, comunitaria e
nazionale, sui contratti pubblici (in tali sensi richiedendosi pertanto modifica del punto n. 10 lett.
a).
E1. Il valore effettivo della controversia va determinato con riferimento all’importo posto a base
della procedura di gara o di affidamento, al netto dell’IVA (in tal senso richiedendosi pertanto
integrazione del punto sub n. 10 lett. a).
E2. Il raddoppio dei limiti di dimensione degli atti difensivi (già previsto quando la controversia
presenti questioni tecniche, giuridiche o di fatto particolarmente complesse, tenuto conto, tra l’altro,
della “esigenza di riproposizione di motivi dichiarati assorbiti”) va esteso, per ragioni di coerenza
rispetto al disposto dell’art. 102, comma 2, c.p.a., alla esigenza di riproposizione di domande ed
eccezioni non esaminate nella sentenza di primo grado (in tal senso richiedendosi pertanto
integrazione del punto sub n. 10 lett.b).
F. Ferma restando la modifica richiesta al paragrafo E2, la previsione del punto n.11 in ordine
all’inapplicabilità dei limiti dimensionali va estesa, oltre ai casi in cui il valore della controversia sia
superiore ad un certo importo (che va comunque opportunamente ridotto rispetto all’importo di
100.000.000 di euro previsto dallo schema di decreto), anche ai casi contemplati al punto n. 10 lett.
b) (per questo richiedendosi modifica, rispettivamente, dei punti sub n. 10 e sub n. 11). Tanto, al
fine di rispettare la lettera e la ratio del novellato art. 120, comma 6, cit. che distingue i casi “per i
quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti” dai casi nei quali, nella
fissazione dei limiti dimensionali degli atti difensivi, occorre tener “conto del valore effettivo della
controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti
dalle parti”.
G. Quanto al punto n. 13, si offrono le seguenti riflessioni.
G.1. Il Giudice deve pronunciarsi in ordine al ricorrere di uno o più dei casi di cui ai numeri 10 o
11, ai fini di quanto stabilito dall’art. 120, comma 6, ultimo periodo, c.p.a.: ma questo deve essere
fatto prima della proposizione del ricorso stesso.. A tal fine il ricorrente, con apposita istanza,
motivata con riferimento al ricorrere nella fattispecie dei casi di cui ai numeri 10 o 11, potrà
chiedere di essere autorizzato ad applicare una delle due disposizioni. Il presidente del tribunale
amministrativo regionale o un magistrato da lui delegato provvede sull’istanza entro il giorno
successivo a quello di presentazione (in tal senso richiedendosi pertanto modifica del punto sub n.
13).
G.2. La previsione dell’onere in capo al collegio di accertare e dichiarare se ricorrano o meno “uno
o più dei casi di cui ai numeri 10 e 11, ai fini di quanto stabilito dall’art. 120, comma 6, ultimo
periodo dell’allegato I del decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104”, pone inoltre e in ogni caso la
questione della portata interpretativa della predetta disposizione di legge. Se cioè il legislatore,
statuendo espressamente che “il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine
rientranti nei suddetti limiti; il mancato esame delle suddette questioni costituisce motivo di appello
avverso la sentenza di primo grado e di revocazione della sentenza di appello”, abbia inteso
implicitamente affermare l’inammissibilità/improcedibilità delle questioni trattate nelle pagine
eccedenti i suddetti limiti, con la conseguenza che le questioni poste non sarebbero esaminate,
senza che il mancato esame delle stesse (e quindi delle doglianze, eccezioni e domande e/o dei capi
di domanda ivi trattati) possa costituire motivo di impugnazione.
In realtà, secondo questo Consiglio Nazionale, ove della norma fosse data l’interpretazione di cui
sopra, la stessa apparirebbe manifestamente incostituzionale (artt. 3 e 24 Cost).
. L’unica interpretazione sistematicamente sostenibile e quindi coerente con il principio della
domanda di cui all’art. 112 c.p.c. e con il principio di sinteticità declinato dall’art. 3, co. 2, c.p.a. è
la seguente:non si può sostenere che il rispetto del limite di pagine sostanzi un presupposto della
domanda, violato il quale la pretesa (o la doglianza o la eccezione) debba essere dichiarata
inammissibile o comunque non debba essere sottoposta al vaglio giurisdizionale.
Invero, il rispetto dei limiti dimensionali del ricorso e degli altri atti difensivi stabiliti con il decreto
presidenziale vale a garantire la parte circa l’obbligo di delibazione di tutte le questioni esposte
con il proprio atto difensivo, sicché può dirsi che in tal caso il rispetto del canone di sinteticità è
coperto da una presunzione assoluta e che quindi il giudicante non potrà in nessun caso censurare la
violazione dell’art. 3, co. 2, c.p.a., né esimersi dal pronunciarsi sulle questioni introdotte in giudizio.
In caso contrario, quello in cui l’atto difensivo risulti eccedente rispetto al limite di pagine
prestabilito, la norma non preclude affatto espressamente la delibazione delle questioni
introdotte con le pagine eccedenti il limite, né tantomeno stabilisce che in caso di pronuncia
sulle stesse questioni la sentenza non sia suscettibile di impugnazione.
In questo caso, in mancanza di una previsione espressa di legge, non può che ritornare ad
espandersi la disciplina generale di cui all’art. 3, co. 2, c.p.a.: per cui il giudicante sarà tenuto
a valutare in concreto se la violazione dei limiti costituisca effettivamente un comportamento
elusivo del principio di sinteticità; o se invece il superamento dei limiti si sia reso necessario
perché funzionale alla migliore, o comunque necessaria, tutela della posizione processuale
della parte.
Ma anche quando vi sia violazione del canone di cui all’art. 3, co. 2, c.p.a. al giudicante non può
essere consentito di omettere aprioristicamente la delibazione delle questioni eccedenti il limite, a
ciò ostando il disposto di cui all’art. 112 c.p.c. e ancor più il precetto costituzionale di cui all’art. 24
Cost.. Se infatti l’ordinamento assicura l’effettività della tutela in giudizio nel rispetto del principio
della domanda, tale obiettivo ultimo non può essere in nessun caso frustrato e disatteso, e la
violazione in argomento potrà al più rilevare sul (e non potrà eccedere il) piano del comportamento
processuale e della condanna alle spese, in linea con i più recenti arresti giurisprudenziali in tema di
applicazione dell’art. 3, co. 2, c.p.a.
H. In sede di impugnazione, il decreto non si applica ai giudizi il cui ricorso di primo grado sia stato
proposto prima della entrata in vigore del decreto (in tal senso richiedendosi pertanto modifica del
punto n. 17).
Roma, 16 aprile 2015