:-[Il PRG del mio Comune è stato approvato nel 1962 , con variante del 1989 sono state apportate modifiche ed integrazione all’art. 32 delle N.T.A, che attualmente è il seguente:
“Le sedi Viarie, piazze e larghi risultano impegnate e vincolate per la conservazione, l’ampliamento e la creazione ex novo di spazi pubblici per la circolazione e la sosta dei veicoli e delle persone”.
Sulla base di quanto sopra descritto“ il nuovo” dirigente del Servizio edilizia ed urbanistica del territorio non ritiene di rilasciare alcun titolo edilizio per dette occupazioni "STAGIONALI" di suolo pubblico con chioschi e strutture similari per la somministrazione e vendita di prodotti alimentari, in quanto le aree assegnate non possono essere utilizzate per lo svolgimento del commercio su area pubblica perché in contrasto con la norma urbanistica sopra richiamata ovvero, in tali aree il P.R.G. non ammette alcuna possibilità di svolgere il commercio su area pubblica.
Si precisa che le aree dove permettere l’insediamento delle suddette attività (posteggi) sono state individuate (anno 2003) dal Consiglio Comunale con l’approvazione del Regolamento del commercio sulle aree pubbliche, i posteggi sono stati assegnati, a suo tempo, previa procedura ad evidenza pubblica. Sono stati rinnovati alla scadenza dei dieci anni e saranno oggetto di nuova procedura ad evidenza pubblica nel 2017.
A parere dello scrivente, la suddetta interpretazione non appare condivisibile, "sinteticamente" perché:
- il d.lgs 114/1998 e la L.R.Lazio n.33/1999 indicano ope-legis le aree dove è possibile svolgere il commercio su area pubblica (le strade, i canali, le piazze, comprese quelle di proprietà privata gravate da servitù di pubblico passaggio e ogni altra area di qualunque natura destinata a uso pubblico):
- per posteggio, la parte di area pubblica o di area privata della quale il Comune abbia la disponibilità che viene data in concessione all’operatore autorizzato all’esercizio dell’attività commerciale;
- che il d.lgs 114/1998 all’art. 15 ha stabilito che il Comune, sulla base delle disposizioni emanate dalla Regione, stabilisce l’ampiezza complessiva delle aree da destinare all’esercizio dell’attività;
- che il Comune lo ha fatto con la deliberazione del C.C. ( leggasi Regolamento comunale) che a suo tempo ha individuato le aree dove è possibile svolgere il commercio su area pubblica, in applicazione, appunto, all’art. 15 richiamato;
- che la Regione Lazio non ha ancora stabilito quanto alla mdesima demandato ai sensi dell’art. 70 comma 3, del d.lgs n. 59/2010;
- la direttiva Bolkstein, il trattato, il diritto comunitario sono il superamento, in materia di ostacoli alla liberta di stabilimento, di tutti i limiti anche quelli urbanistici, avendo l’onere il Comune di adeguare il P.R.G. alle norme comunitarie.
- il d.lgs 114/1998 e la L.R.Lazio n. 33/1999 non hanno previsto per il commercio sua area pubblica il rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche nonché quelle relative alle destinazioni d’uso, come invece è sancito espressamente per il commercio sulle aree private, fermo restando il rilascio dell’eventuale titolo edilizio ove previsto (per l'installazione anche stagionale di chioschi e strutture similari);
- ... altro ancora…
Preciso che i posteggi sono allocati sul marciapiede non occupano alcuna sede viaria e lasciano ampio spazio per il transito pedonale.
Chiedo cortesemente un autorevole parere di codesta redazione possibilmente supportato da altri riferimenti legislativi e/o da interpretazioni, circolari, sentenze ecc., avendo la necessità di contrastare in toto questa, per me, assurda interpretazione.
Aiutatemi ad essere :D
Cordiali saluti Maurizio
La questione che proponi andrebbe sviscerata nell’ambito di una ricostruzione giuridica e giurisprudenziale che non è possibile fare nella limitatezza del forum.
In ogni caso non posso che sposare la tua tesi. La programmazione urbanistica locale non può essere in contrasto con la normativa commerciale. Un conto è la definizione delle potenzialità dello sfruttamento edilizio del suolo pubblico e un conto è la successiva e autonoma pianificazione commerciale al fine di dare seguito all’esigenza privata ma di rilevanza pubblica consistete nell’esercizio del commercio al dettaglio su area pubblica. Il Piano del commercio su area pubblica è lo strumento giusto (giuridicamente corretto e nella competenza del Consiglio) per individuare le concessioni da rilasciare e le relative modalità di utilizzo.
Hai fatto bene a citare il d.lgs. n. 114/98 e il d.lgs. n. 59/2010 (in particolare nella parte che modifica l’art. 28 del d.lgs. n. 114/98). L’amministrazione non può astrattamente vietare in modo generale senza ragioni sostanziali ma deve contemperare esigenze diverse al fine di regolare l’attività (potendo indicare anche area soggette a divieto).
In sintesi, l'amminsitrazione deve porter garantire l'esercizio del commercio su area pubblica. Il consiglio valuterà i modi, in questo avrà completa discrezionalità ma nel limite della ragionevolezza e della proporzionalità nella valutazione dei vari ineteressi.
Ti incollo una ricostruzione fatta dal TAR Milano (sentenza n. 2271/2013)
[i]La direttiva Bolkestein è stata recepita nell’ordinamento interno dal D.lgs. n. 59 del 2010 e ad essa sono ispirati tutti i numerosi provvedimenti di liberalizzazione varati nella scorsa legislatura, i quali ne hanno precisato la portata e gli effetti.
Costituisce una costante di tutti questi atti normativi la distinzione fra atti di programmazione economica – che in linea di principio non possono più essere fonte di limitazioni all’insediamento di nuove attività – e atti di programmazione aventi natura non economica, i quali, invece, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono imporre limiti rispondenti ad esigenze annoverabili fra i motivi imperativi di interesse generale (art. 11, comma 1, lett. e) del D.lgs. n. 59 del 2010, art. 34, comma 3, lett. a) del D.lgs. 201/2011).
Tale distinzione deve essere operata anche nell’ambito degli atti di programmazione territoriale, i quali non vanno esenti dalle verifiche prescritte dalla direttiva servizi per il solo fatto di essere adottati nell’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, dovendosi verificare se in concreto essi perseguano finalità di tutela dell’ambiente urbano o, comunque, riconducibili all’obiettivo di dare ordine e razionalità all’assetto del territorio, oppure perseguano la regolazione autoritativa dell’offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle imprese.
Il legislatore ha stabilito, infatti, che:
a) ricadono nell’ambito delle limitazioni vietate (salvo la sussistenza di motivi imperativi d’interesse generale) non solo i piani commerciali che espressamente sanciscono il contingentamento numerico delle attività economiche, ma anche gli atti di programmazione che impongano “limiti territoriali” al loro insediamento (artt. 31, comma 1 e 34, comma 3 del D.L. 201/2011);
b) debbono, perciò, considerarsi abrogate le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongano limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate e che in particolare impediscano, condizionino o ritardino l’avvio di nuove attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici (art. 1 del D.L. n. 1/2012).
Le norme sopra menzionate impongono al giudice chiamato a sindacare la legittimità degli atti di pianificazione urbanistica che dispongono limiti o restrizioni all’insediamento di nuove attività economiche in determinati ambiti territoriali, l’obbligo di effettuare un riscontro molto più penetrante di quello che si riteneva essere consentito in passato; e ciò per verificare, attraverso un’analisi degli atti preparatori e delle concrete circostanze di fatto che a tali atti fanno da sfondo, se effettivamente i divieti imposti possano ritenersi correlati e proporzionati a effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio sotto il profilo della viabilità, della necessaria dotazione di standard o di altre opere pubbliche, dovendosi, in caso contrario, reputare che le limitazioni in parola non siano riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e siano, perciò, illegittime (sul punto si veda la sentenza 15/3/2013 n. 38 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato la illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 31
del D.L. 201 del 2011 dell’art. 5, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e dell'art. 6 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 marzo 2012, n. 7, perché con essi veniva precluso l’esercizio del commercio al dettaglio in aree a destinazione artigianale e industriale, in assenza di plausibili esigenze di tutela ambientale che potessero giustificare il divieto).
[/i]
Ringrazio per la solerte risposta. Spero di risolvere la controversia.
Saluti
23 aprile ore 9,45 – 13,30
[color=red][b]Commercio su aree pubbliche. Tutto sull'attuazione dell'intesa della conferenza unificata. Analisi dettagliata del contenuto dei nuovi regolamenti comunali[/b][/color]
http://www.omniavis.it/web/forum/index.php?topic=25404.0
Per coloro che sono interessati all'argomento, segnaliamo il seminario "[color=red][b]COMMERCIO SU AREE PUBBLICHE[/b][/color]", svolto recentemente dalla Omniavis, riguardante:
- Tutto sull'attuazione dell'intesa della conferenza unificata.
- Analisi dettagliata del contenuto dei nuovi regolamenti comunali
- Le varie attività di servizi di competenza SUAP
[b]La videoregistrazione del seminario, al costo di € 19,00+IVA[/b], è acquistabile qui: http://www.omniavis.com/images/DOCS/Brochure_Video_20150423_2015_10_OV_MasterSUAP.pdf
Per informazioni 055/6236286 o info@omniavis.it