Corte di giustizia dell’Unione europea
COMUNICATO STAMPA n. 35/15
Lussemburgo, 26 marzo 2015
Conclusioni dell’avvocato generale nella causa C-67/14
Jobcenter Berlin Neukölln / Nazifa, Sonita, Valentina e Valentino Alimanovic
[color=red][b]Secondo l'avvocato generale Melchior Wathelet aicittadini dell'Unione che si
spostano verso uno Stato membro del quale non hanno la cittadinanza per cercarvi
lavoro possono essere negate talune prestazioni sociali
Tuttavia, quando la persona interessata vi abbia già esercitato un’attività lavorativa, tali prestazioni
non le possono essere rifiutate automaticamente, senza esame individuale
[/b][/color]
Nella sentenza Dano 1
, la Corte di giustizia ha recentemente dichiarato che gli Stati membri
possono escludere dal beneficio di prestazioni di assistenza sociale i cittadini dell'Unione che
arrivino sul loro territorio senza volontà di trovarvi un lavoro. Tale causa riguardava le prestazioni
assicurative di base tedesche «Grundsicherung») volte a garantire la sussistenza dei beneficiari.
Nella presente causa, la Corte deve chiarire se siffatte prestazioni possano essere rifiutate anche
ad un cittadino dell'Unione, che sia alla ricerca di un impiego dopo aver già lavorato per un certo
periodo nello Stato membro ospitante.
La sig.ra Nazifa Alimanovic e i suoi tre figli, Sonita, Valentina e Valentino, posseggono tutti la
cittadinanza svedese. Tutti e tre i figli sono nati in Germania, rispettivamente nel 1994, nel 1998 e
nel 1999. Dopo aver risieduto all'estero, la famiglia si è nuovamente recata in Germania nel giugno
2010. Tra il giugno 2010 e il maggio 2011, vale a dire per meno di un anno, la sig.ra Alimanovic e
la figlia maggiore Sonita hanno lavorato in Germania con impieghi di breve durata o misure di
promozione dell’occupazione. Da allora le due donne non hanno più esercitato alcuna attività
lavorativa. Dal 1° dicembre 2011 al 31 maggio 2012 hanno percepito contributi di sussistenza per
disoccupati di lungo periodo abili al lavoro («Arbeitslosengeld II»), mentre Valentina e Valentino
hanno beneficiato delle prestazioni sociali per inabili al lavoro. In seguito, l'autorità tedesca
competente, il Jobcenter di Berlino Neukölln, ha cessato di versare tali prestazioni ritenendo chela
sig.ra Alimanovic e la figlia maggiore Sonita, in quanto richiedenti lavoro stranieri, così come, di
conseguenza, Valentina e Valentino, non avessero diritto alle prestazioni. Infatti, secondo la
legislazione tedesca, tali prestazioni non spettano agli stranieri (e ai loro familiari), il cui diritto di
soggiorno sia giustificato solo dalla ricerca di un impiego. Investito della controversia, il
Bundessozialgericht (Corte federale del contenzioso sociale, Germania) ha chiesto alla Corte se
siffatta esclusione sia compatibile con il diritto dell’Unione.
Nelle sue conclusioni odierne, l'avvocato generale Melchior Wathelet parte dal presupposto che le
prestazioni controverse, così come nella causa Dano, mirino (perlomeno in maniera
preponderante) a garantire i mezzi di sussistenza necessari a condurre un'esistenza conforme alla
dignità umana, e non invece a facilitare l'accesso al mercato del lavoro (oppure solo a titolo
secondario). Ne consegue che tali prestazioni devono essere qualificate come prestazioni di
assistenza sociale ai sensi della direttiva «cittadinanza dell'Unione»
2 3 4
.
Pur ricordando che è vietato discriminare un cittadino dell'Unione in ragione della sua nazionalità,
la direttiva contiene una deroga a tale principio per le prestazioni di assistenza sociale. Infatti,
secondo la direttiva, uno Stato membro non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni di
assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo
di ricerca di un posto di lavoro per i cittadini dell'Unione che siano entrati nel suo territorio a tal fine.
Secondo l’avvocato generale, tale eccezione deve essere interpretata restrittivamente e le
limitazioni che ne derivano devono essere legittime. Egli propone, di conseguenza, di distinguere
tre ipotesi:
a) un cittadino di uno Stato membro che si rechi sul territorio di un altro Stato membro e
che vi soggiorni (da meno di tre mesi ovvero da più di tre mesi) senza l'obiettivo di ricercarvi
un lavoro può legittimamente, come ha dichiarato la Corte nella sentenza Dano, essere
escluso dalle prestazioni di assistenza sociale per preservare l'equilibrio finanziario del
sistema di assistenza sociale nazionale;
b) , una tale esclusione è parimenti legittima, per le medesime ragioni, rispetto al cittadino di
uno Stato membro che si rechi sul territorio di un altro Stato membro al fine di ricercarvi un
lavoro;
c) l’avvocato generale ritiene invece che le prestazioni non possano essere automaticamente
rifiutate al cittadino di uno Stato membro che soggiorni da più di tre mesi sul territorio di un
altro Stato membro e che ivi abbia svolto un'attività lavorativa,
È vero che un cittadino dell'Unione che abbia svolto sul territorio nazionale un'attività lavorativa per
meno di un anno può, in conformità con il diritto dell’Unione, perdere la propria qualità di lavoratore
dopo sei mesi di disoccupazione (nel caso della sig.ra Alimanovic e di sua figlia Sonita ciò è
avvenuto nel dicembre 2011).
Tuttavia,5
escludere automaticamente un cittadino dell'Unione dal beneficio di prestazioni di
assistenza sociale quali quelle controverse al di là di un periodo di sei mesi di
disoccupazione involontaria, dopo un'attività professionale inferiore ad un anno, senza
autorizzarlo a dimostrare il suo collegamento reale con lo Stato membro ospitante
contrasta con il principio di uguaglianza .
A tal proposito, oltre agli elementi che emergono dal contesto familiare (come la scolarità dei figli),
la ricerca effettiva e concreta di un lavoro per un periodo ragionevole, è un elemento atto a
dimostrare l'esistenza di un tale collegamento con lo Stato membro ospitante. A tal fine
dovrebbero altresì essere presi in considerazione l'esercizio in passato di un'attività lavorativa o
anche il fatto di aver trovato un nuovo lavoro dopo avere presentato la domanda di prestazioni
sociali.
Al di là delle questioni del Bundessozialgericht, l’avvocato generale Wathelet sottolinea che,
qualora risulti dimostrato che i figli Valentina e Valentino Alimanovic sono regolarmente
scolarizzati in un istituto situato in Germania (il che dovrà essere verificato dal
Bundessozialgericht), essi sono titolari, unitamente alla madre, la sig.ra Alimanovic, di un
diritto di soggiorno sul territorio tedesco in virtù del diritto dell’Unione.
Infatti, i figli di un cittadino di uno Stato membro che lavori o abbia lavorato nello Stato membro
ospitante e il genitore che ne abbia l’effettivo affidamento possono avvalersi, in quest’ultimo Stato,
di un diritto di soggiorno per il semplice fatto che il diritto dell’Unione 6
conferisce loro un
diritto di accesso all'istruzione. Il loro diritto di soggiorno non dipende dalle condizioni definite
nella direttiva «cittadinanza dell’Unione» (tra cui figura quella di disporre di risorse sufficienti ed
un’assicurazione malattia completa). Di conseguenza, l’esclusione dalle prestazioni di
assistenza sociale, prevista dalla normativa tedesca, non risulterebbe applicabile alla
sig.ra Alimanovic, né ai suoi due figli minori, poiché essa riguarda esclusivamente le persone
«il cui diritto di soggiorno sia giustificato unicamente dalla ricerca di un lavoro e i loro familiari».
IMPORTANTE: Le conclusioni dell'avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia. Il compito
dell'avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella
causa per la quale è stato designato. I giudici della Corte cominciano adesso a deliberare in questa causa.
La sentenza sarà pronunciata in una data successiva.
IMPORTANTE: Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell'ambito di una controversia
della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla
validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale
risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri
giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.
1
Sentenza della Corte dell’11 novembre 2014, Dano (C-333/13), v. anche il comunicato stampa n. 146/14.
2 Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini
dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il
regolamento (CEE) n. 1612/68 e abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE,
75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e rettifiche in GU L 229, pag. 35, e GU 2005, L
197, pag. 34).
3
L’avvocato generale Wathelet parte inoltre dal presupposto che si tratti anche di prestazioni speciali in denaro di
carattere non contributivo ai sensi del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29
aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 166, pag. 1 e rettifica in GU L 200, pag. 1),
come modificato dal regolamento (UE) n. 1244/2010 della Commissione, del 9 dicembre 2010 (GU L 338, pag. 35).
4
Egli ritiene che in caso contrario occorrerebbe esaminare la compatibilità dell'esclusione delle prestazioni di cui trattasi
alla luce delle disposizioni sulla libera circolazione dei lavoratori contenute nei trattati dell’Unione. Nell’ambito di un
siffatto esame dovrebbe applicarsi il medesimo ragionamento.
5 Quale sancito dai trattati dell’Unione e precisato dal regolamento n. 883/2004 e dalla direttiva 2004/38.
http://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2015-03/cp150035it.pdf
http://curia.europa.eu/juris/documents.jsf?num=C-67/14
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