[b]Accessibili i documenti che condannano il Comune[/b]
Parita' di armi nel processo. Il diniego di ostensione diventa quasi una confessione. I principi sanciti nella sentenza del 23 marzo 2015.
[b]Grosso errore quello di negare l'accesso ai documenti motivando tale diniego sulla circostanza che i documenti richiesti possono essere utilizzati contro l'Amministrazione in un processo e, quindi, si tratterebbe di un controllo indiretto sul materiale probatorio utilizzato dall’Amministrazione in una causa.[/b]
Per il Consiglio di Stato una tale affermazione è addirittura qualificabile quasi come una confessione dell'Amministrazione.
La vicenda
Un’impresa formulava al Comune domanda di accesso agli atti amministrativi e ai documenti relativi a determinati contratti di appalto, specificamente indicati, a essa affidati ed eseguiti nel periodo dal 1979 al 1984.
Il Comune respingeva l’istanza, considerandola preordinata a effettuare un controllo indiretto sul materiale probatorio utilizzato dall’Amministrazione in una causa per risarcimento del danno instaurata contro l’impresa richiedente all’esito di un giudizio penale contro quest’ultima per i reati di turbativa d’asta, truffa e corruzione in relazione alle aggiudicazioni delle gare d’appalto per i lavori nel settore strade del Comune.
L’impresa impugnava l’atto di diniego, proponendo un ricorso che il T.A.R. per la Lombardia, sez. I, che veniva accolto con sentenza 10 settembre 2014, n. 2336.
Il Tribunale regionale ha ritenuto fondata la pretesa della ricorrente in quanto correlata a un interesse sostanziale qualificato e differenziato, quale quello della difesa in giudizio del proprio diritto al pagamento di pretesi crediti residui.
La decisione del Consiglio di Stato
Il Comune ha proposto appello contro la sentenza del TAR e la Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 23 marzo 2015 ha ritenuto determinante, ai fini del rigetto del gravame, la circostanza -evidenziata dal Comune e ripetuta anche nell’appello- che finalità dell’accesso sarebbe stata essenzialmente l’esigenza di acquisire elementi utilizzabili contro l’Amministrazione nella causa di risarcimento del danno.
In questi termini, ad avviso del Consiglio di Stato "l’affermazione è quasi confessoria".
[color=red][b]Se l’accesso è almeno potenzialmente correlato alla posizione che l’impresa richiedente intende far valere in giudizio, l’art. 24, comma 7, primo periodo, della legge n. 241 del 1990 (“Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”) ne assicura l’integrale soddisfazione. [/b][/color]
"Il soggetto pubblico richiesto non può andare oltre una valutazione circa il collegamento dell’atto - obiettivo o secondo la prospettazione del richiedente - con la situazione soggettiva da tutelare e quanto all’esistenza di una concreta necessità di tutela, senza poter apprezzare nel merito la fondatezza della pretesa o le strategie difensive dell’interessato".
[b]Il Comune, peraltro, è controparte dell’impresa in una lite, nell’economia della quale possono assumere rilievo gli atti richiesti. Dunque, precisa il Collegio, l’esigenza, di rilievo costituzionale, di assicurare la parità delle armi nel processo vale a rendere ancora più solida la pretesa della parte appellata.[/b]
Dalle considerazioni che precedono, discende che - come anticipato - l’appello del Comune è stato respinto.
http://www.ilquotidianodellapa.it/_contents/news/2015/marzo/1427206043234.html
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[color=red][b]Consiglio di Stato sez. V, sentenza del 23 marzo 2015 n. 1545[/b][/color]
N. 01545/2015REG.PROV.COLL.
N. 08828/2014 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8828 del 2014, proposto da:
Comune di Busto Arsizio, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Carla Caputo, con domicilio eletto presso Lorenzo Grisostomi Travaglini in Roma, via Antonio Bosio, 2;
contro
Impresa Mario Prandoni di Graziella Prandoni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gabriele Pafundi, Liberto Losa, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14;
nei confronti di
Impresa Giavazzi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE I n. 02336/2014, resa tra le parti, concernente accesso ai documenti d'appalto e agli atti amministrativi
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Impresa Mario Prandoni di Graziella Prandoni;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 febbraio 2015 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Carla Caputo, Gabriele Pafundi e Liberto Losa,;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’impresa Mario Prandoni di Graziella Prandoni ha formulato al Comune di Busto Arsizio domanda di accesso agli atti amministrativi e ai documenti relativi a determinati contratti di appalto, specificamente indicati, a essa affidati ed eseguiti nel periodo dal 1979 al 1984.
Il Comune ha respinto l’istanza, considerandola preordinata a effettuare un controllo indiretto sul materiale probatorio utilizzato dall’Amministrazione in una causa per risarcimento del danno instaurata contro l’impresa richiedente all’esito di un giudizio penale contro quest’ultima per i reati di turbativa d’asta, truffa e corruzione in relazione alle aggiudicazioni delle gare d’appalto per i lavori nel settore strade del Comune.
L’impresa ha impugnato l’atto di diniego, proponendo un ricorso che il T.A.R. per la Lombardia, sez. I, ha accolto con sentenza 10 settembre 2014, n. 2336. Il Tribunale regionale ha ritenuto fondata la pretesa della ricorrente in quanto correlata a un interesse sostanziale qualificato e differenziato, quale quello della difesa in giudizio del proprio diritto al pagamento di pretesi crediti residui.
Il Comune ha interposto appello contro la sentenza.
Ricordata la vicenda delittuosa oggetto del giudizio penale, l’appellante osserva che:
1. non esisterebbe alcun concreto interesse all’accesso, meritevole di apprezzamento. La richiedente avrebbe motivato la richiesta in termini generici (con riguardo all’esigenza di definire quanto ancora contabilmente in sospeso in relazione ai contratti citati nella richiesta), senza specificare il nesso che legherebbe i documenti in questione alla propria posizione soggettiva. D’altronde, la maggior parte degli appalti sarebbero stati oggetto del procedimento penale, e i relativi contratti sarebbero nulli per contrarietà al buon costume e soggetti alla soluti retentio; quanto agli altri, la posizione dell’impresa sarebbe stata consensualmente definita tra le parti;
2. l’istanza di accesso avrebbe contenuto generico e riguarderebbe una congerie di atti, non sempre assunti nell’ambito di un appalto pubblico, di cui non sarebbe stata provata l’esistenza; essendo specificati i contratti, ma non anche i singoli documenti richiesti, l’accoglimento dell’istanza avrebbe intralciato il normale funzionamento dell’Amministrazione comunale, la cui tutela andrebbe valutata nell’ottica del necessario bilanciamento tra l’interesse privato e quello pubblico, e avrebbe finito per realizzare un indebito controllo sull’attività amministrativa;
3. gli atti sarebbero già in possesso della richiedente, che, senza valide ragioni, pretenderebbe di ricorrere all’istituto dell’accesso per supplire alle proprie negligenze;
4. quanto a un motivo su cui il T.A.R. non avrebbe deciso, non sussisterebbe la violazione di legge per il mancato preavviso del provvedimento sfavorevole. L’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, non si applicherebbe al procedimento di accesso agli atti; a tutto concedere, si tratterebbe di una violazione meramente formale che - a norma dell’art. 21 octies della stessa legge n. 241 del 1990 - non provocherebbe l’automatica illegittimità del provvedimento finale.
L’impresa Prandoni si è costituita in giudizio per resistere all’appello, riproponendo espressamente - a norma dell’art. 101, comma 2, c.p.a. - il motivo di cui al precedente punto 4 e affidando le sue difese a una successiva memoria.
L’impresa contesta la ricostruzione della vicenda fatta dal Comune, in particolar modo per quanto riguarda l’affermata definizione dei rapporti contrattuali fra le parti. Nel merito, considera inammissibile l’ampliamento del thema decidendum che la controparte avrebbe fatto con l’appello, ai singoli motivi del quale replica diffusamente.
Alla camera di consiglio del 17 febbraio 2015, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
DIRITTO
Con il provvedimento del 25 febbraio 2014, annullato dal T.A.R., il Comune di Busto Arsizio ha negato all’impresa ora appellata l’accesso ai documenti richiesti in base agli argomenti che seguono:
gli atti, assunti in contraddittorio o comunque sottoscritti dall’impresa, sarebbero già nella disponibilità di quest’ultima;
l’impresa non avrebbe fornito alcuna prova della loro concreta esistenza;
essendo gli atti relativi a rapporti ormai definiti (crediti prescritti o inesigibili, perché derivanti da contratti frutto di corruzione e dunque nulli), l’impresa non avrebbe dato prova dell’interesse;
la ricerca di atti e documenti di rilevante quantità sarebbe idonea a paralizzare per settimane l’attività degli uffici comunali e - anche alla luce di un necessario bilanciamento di interessi - non avrebbe giustificazione alcuna;
in definitiva, la richiesta apparirebbe finalizzata a effettuare un controllo indiretto sul materiale probatorio che l’Amministrazione avrebbe utilizzato o intenderebbe utilizzare in giudizio in causa di rifacimento di danni, proposta contro l’impresa in relazione ai fatti penali ricordati.
Nessuno di tali argomenti è tale da escludere il diritto di accesso, così che la sentenza impugnata merita conferma.
Infatti:
la possibile disponibilità degli atti richiesti da parte del richiedente - che, peraltro, potrebbe anche averli nel frattempo smarriti - non impedisce l’accesso, posto che nessuna norma dispone in tal senso;
quanto alla concreta esistenza degli atti, l’istanza di accesso del 27 gennaio 2014 indica dettagliatamente i contratti di appalto interessati nonché gli atti amministrativi e i documenti d’appalto richiesti;
in merito all’interesse, l’impresa contesta - con rilievi plausibili - che i rapporti contrattuali con il Comune si siano completamente definiti;
il lavoro necessario per dare seguito alla richiesta non è una ragione sufficiente per impedire l’accesso, posto che l’Amministrazione non può opporre al controinteressato circostanze inerenti alla propria organizzazione interna (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4286), potendo semmai dilazionare l’accesso, anche se, comunque, sempre nel rispetto di termini ragionevoli.
Resta la replica, ripetuta anche nell’appello, che finalità dell’accesso sarebbe stata essenzialmente l’esigenza di acquisire elementi utilizzabili contro l’Amministrazione nella causa di risarcimento del danno.
In questi termini, l’affermazione è quasi confessoria. Se l’accesso è almeno potenzialmente correlato alla posizione che l’impresa richiedente intende far valere in giudizio, l’art. 24, comma 7, primo periodo, della legge n. 241 del 1990 (“Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”) ne assicura l’integrale soddisfazione. Il soggetto pubblico richiesto non può andare oltre una valutazione circa il collegamento dell’atto - obiettivo o secondo la prospettazione del richiedente - con la situazione soggettiva da tutelare e quanto all’esistenza di una concreta necessità di tutela, senza poter apprezzare nel merito la fondatezza della pretesa o le strategie difensive dell’interessato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2007, n. 55; Id., sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 461).
Nella specie, il Comune è al momento controparte dell’impresa in una lite, nell’economia della quale possono assumere rilievo gli atti richiesti. Dunque l’esigenza, di rilievo costituzionale, di assicurare la parità delle armi nel processo vale a rendere ancora più solida la pretesa della parte appellata (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1211).
Dalle considerazioni che precedono, discende che - come anticipato - l’appello non ha pregio e va perciò respinto.
Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza, secondo la legge, e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida nell’importo di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/03/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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