Data: 2015-03-07 08:19:08

PARTECIPATE - mobilità del personale dipendente - Corte dei Conti 5/3/2015

PARTECIPATE - mobilità del personale dipendente - Corte dei Conti 5/3/2015

[b]Corte dei Conti - Delibera/9/2015/QMIG -5 marzo 2015 - Richiesta di parere concernente la corretta applicazione della disciplina recata dall’art. 1, commi 563-568, l. 27 dicembre 2013, n. 147, in materia di mobilità del personale dipendente da società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, o dai loro enti strumentali.
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Corte dei Conti
Sezione delle autonomie
N. 9 /SEZAUT/2015/QMIG
Adunanza del 17 febbraio 2015
Presieduta dal Presidente della Sezione delle autonomie, funzione di coordinamento
Mario FALCUCCI
Composta dai magistrati:
Presidenti di Sezione Antonio DE SALVO, Ciro VALENTINO, Raffaele DAINELLI,
Gaetano D’AURIA, Roberto TABBITA, Maria Giovanna
GIORDANO, Carlo CHIAPPINELLI, Simonetta ROSA, Teresa
BICA, Diodoro VALENTE, Ermanno GRANELLI, Rosario SCALIA,
Francesco PETRONIO
Consiglieri Fulvio Maria LONGAVITA, Carmela IAMELE, Alfredo
GRASSELLI, Rinieri FERONE, Paola COSA, Adelisa CORSETTI,
Elena BRANDOLINI, Licia CENTRO, Laura D’AMBROSIO,
Stefania PETRUCCI, Angela PRIA, Simonetta BIONDO
Primi Referendari Francesco ALBO, Valeria FRANCHI, Luigi DI MARCO
Visto l’art. 100, secondo comma, della Costituzione;
Vista la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;
Visto l’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, recante disposizioni per
l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3;
Visto il Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il Regio
decreto12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;2
Visto il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei
conti, approvato dalle Sezioni riunite con la deliberazione n. 14 del 16 giugno 2000, dalle
stesse modificato con le deliberazioni n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004, e
da ultimo, ai sensi dell’art. 3, comma 62, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, dal
Consiglio di Presidenza con la deliberazione n. 229 del 19 giugno 2008;
Vista la legge 4 marzo 2009, n. 15;
Visto l’art. 17, comma 31, decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102;
Visto l’art. 6, comma 4, decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213;
Vista la deliberazione 17 dicembre 2014, n. 143/2014/PAR, con la quale la Sezione
regionale di controllo per le Marche ha sottoposto al Presidente della Corte dei conti la
questione concernente l’applicabilità, ai consorzi di sviluppo industriale, della disciplina
recata dall’art. 1, commi 563-568, l. 27 dicembre 2013, n. 147, in materia di mobilità del
personale dipendente di società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche
amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, o dai loro enti
strumentali;
Vista l’ordinanza del Presidente della Corte dei conti, n. 6 del 4 febbraio 2015, di
deferimento della questione alla Sezione delle autonomie, valutata l’insussistenza dei
presupposti per il deferimento della questione alle Sezioni riunite, ai sensi dell’art. 17,
comma 31, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla
legge 3 agosto 2009, n. 102;
Vista la nota del Presidente della Corte dei conti, n. 128 del 9 febbraio 2015, di
convocazione della Sezione delle autonomie per l’adunanza del 17 febbraio 2015, con
l’iscrizione, all’ordine del giorno, della questione proposta dalla Sezione regionale di
controllo per le Marche con la deliberazione n. 143/2014/PAR;
Udito, nell’adunanza del 17 febbraio 2015, il relatore Cons. Adelisa CORSETTI.
PREMESSO
La Provincia di Ancona, in data 5 novembre 2014, ha inoltrato, tramite il Consiglio delle
autonomie locali, una richiesta di parere (pervenuta in data 10 novembre 2014) concernente
la corretta applicazione della disciplina recata dall’art. 1, commi 563-568, l. 27 dicembre
2013, n. 147, in materia di mobilità del personale dipendente da società controllate 3
direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2,
d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, o dai loro enti strumentali.
Ad avviso della Provincia istante, le sopracitate disposizioni normative, sebbene riferibili
stricto iure agli organismi partecipati aventi natura societaria, sarebbero applicabili a
fattispecie diverse, nelle quali i soggetti interessati siano enti pubblici economici il cui
fondo di dotazione sia interamente posseduto da pubbliche amministrazioni.
Al riguardo, fa presente che l’Ente partecipa al fondo di dotazione di un consorzio di
sviluppo industriale, ente pubblico economico denominato Z.I.P.A. (Zone Imprenditoriali
Provincia di Ancona), il cui statuto è stato approvato con decreto del Presidente della
Giunta regionale ai sensi della l.r. 19 novembre 1996, n. 48.
Nel perdurante stato di crisi del Consorzio, il Presidente della Giunta regionale ha
provveduto, in data 1 ottobre 2014, alla nomina di un Commissario straordinario, a mente
della citata l.r. n. 48/1996, con probabili riflessi negativi in termini occupazionali per il
personale alle dipendenze del Consorzio.
L’applicazione, nella fattispecie, delle norme sulla mobilità del personale dipendente da
società partecipate da una pubblica amministrazione, trova giustificazione, ad avviso
dell’Ente richiedente, nell’identica ratio sottesa alle situazioni regolate dalla legge di
stabilità 2014, intesa a razionalizzare il fabbisogno occupazionale di società ed enti il cui il
capitale/fondo di dotazione sia posseduto da pubbliche amministrazioni.
Tale interpretazione troverebbe conferma, secondo la Provincia di Ancona, sia nella
deliberazione della Sezione di controllo per l’Abruzzo 23 ottobre 2012, n. 354/PAR/2012,
che ha esteso ai consorzi talune disposizioni destinate, in via letterale, alle sole società (art.
6, comma 19, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla l. 30 luglio 2010, n. 122) sia nelle
norme di cui all’art. 1, comma 90, lett. a), l. 7 aprile 2014, n. 56, che prevedono la
soppressione degli enti che svolgono servizi di rilevanza economica, le cui funzioni
dovrebbero essere attribuite alle Province nel nuovo assetto istituzionale.
La Sezione remittente, con la delibera n. 143/2014/PAR, ha ritenuto di sospendere la
pronuncia sul parere richiesto e di rimettere gli atti al Presidente della Corte dei conti, ai
sensi dell’art. 6, comma 4, d.l. n. 174/2012, sulla base di un approccio di tipo sistematico,
volto ad interpretare le disposizioni sulla mobilità del personale delle società partecipate nel 4
più ampio contesto dei processi di razionalizzazione e di riordino della “disomogenea realtà
degli organismi partecipati – nel cui novero non sono ricomprese esclusivamente società”.
La Sezione Marche, muovendo dalle premesse di un precedente parere, secondo cui “i
consorzi di sviluppo industriale costituiti ai sensi della vigente legislazione nazionale e
regionale sono enti pubblici economici” a norma dell’art. 36, l. 5 ottobre 1991, n. 317 e,
pertanto, non direttamente destinatari delle disposizioni dettate per le società (tra cui l’art.
14, comma 32, d.l. 78/2010, oggetto della richiesta di parere evasa con deliberazione n.
76/2013/PAR), ha ritenuto possibile una diversa conclusione con riferimento alla
peculiarità delle norme introdotte dall’art. 1, commi 563-568, l. n. 147/2013.
Infatti, sotto il profilo della mobilità del personale, la Sezione rammenta che consorzi e
società condividono la natura privatistica del rapporto di lavoro del personale dipendente,
come esattamente evidenziato dalla difesa erariale nel giudizio di legittimità costituzionale
in via principale avviato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nei confronti dell’art. 1,
commi 1 e 3, l.r. 15 novembre 2010, n. 22; nel contenzioso costituzionale, concluso con
l’estinzione del processo in quanto nelle more del giudizio la Regione Marche ha abrogato
la disposizione impugnata (cfr. ordinanza 29 maggio 2013, n. 113), è stata contestata la
possibilità di attivare le procedure di mobilità di cui all’art. 30, d.lgs. n. 165/2001 per
l’immissione dei dipendenti dei Consorzi di sviluppo industriale nei ruoli degli enti locali
partecipanti.
Ad avviso della Sezione remittente, tali profili privatistici – che convivono con gli aspetti
francamente pubblicistici della disciplina dei consorzi - sono da ritenere prevalenti ai fini
della soluzione del quesito proposto, anche alla luce della favorevole interpretazione offerta
dalla Sezione di controllo Abruzzo, mediante la delibera richiamata dalla Provincia istante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Sezione delle autonomie prende atto dalla rilevanza della questione sollevata dalla
Sezione regionale Marche, per i profili di legittimità che si riflettono sul rispetto dei vincoli
di finanza pubblica.
2. Il quesito concerne un consorzio di sviluppo industriale (Z.I.P.A.), organismo partecipato
esclusivamente da enti territoriali (la Provincia di Ancona che detiene 44/112 quote del
fondo di dotazione e sette Comuni della stessa Provincia), riorganizzato con decreto del 5
Presidente della Giunta regionale 29 dicembre 1999, n. 200, ai sensi dell’art. 2, l.r. n.
48/1996.
L’art. 11 della citata legge regionale prevede che “La Regione, ai sensi dell'articolo 2,
comma 2, provvede anche attraverso i Consorzi di sviluppo industriale alle attività di
promozione industriale nel territorio regionale in particolare relativamente alla
realizzazione di infrastrutture”.
Infatti, il Consorzio Z.I.P.A. svolge compiti di pianificazione urbanistica e di propulsione
dello sviluppo globale del territorio e dell'economia mediante l'organizzazione di zone
imprenditoriali e infrastrutture; in particolare, favorisce il sorgere di nuove iniziative
industriali e le condizioni necessarie per la creazione e per lo sviluppo di attività produttive
e di servizi, accompagna e sostiene lo sviluppo economico della Provincia di Ancona fin
dal 1950, epoca in cui venne costituito per la prima volta.
3. L’art. 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, ha espressamente qualificato i consorzi di
sviluppo industriale come “enti pubblici economici”.
Tuttavia, il giudice di legittimità ha precisato che, ancor prima dell'entrata in vigore della l.
n. 317/1991, “era largamente consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte
l'orientamento secondo cui i consorzi per le aree di sviluppo industriale previsti dal d.p.r. 6
marzo 1978, n. 218, art. 50 dovevano considerarsi «enti pubblici non economici», in quanto
in via prevalente, rispetto ad attività di tipo imprenditoriale contemplate dai singoli statuti,
svolgevano funzioni pubblicistiche di interesse generale, con un'organizzazione che si
inseriva nell'ambito dell'amministrazione centrale dello Stato, e poi di quella locale degli
enti regionali, con i penetranti controlli ed i benefici finanziari connessi a tale inserimento”
(v. Cass. ss.uu., 16 novembre 1999, n. 781; id., ss.uu., 25 marzo 1991, n. 3199).
Ad avviso della Cassazione, la mera qualificazione legislativa dei consorzi di sviluppo
industriale come enti pubblici economici non ne ha mutato la struttura, i compiti e le
attribuzioni, né invalida l'affermazione circa lo svolgimento, da parte dei consorzi in parola,
di prevalenti funzioni pubblicistiche di interesse generale.
In tale ambito si inquadrano le attività provvedimentali poste in essere dai consorzi, come
quelle che attengono all'esercizio dei poteri autoritativi inerenti alla localizzazione
industriale e, in particolare, alla individuazione delle imprese destinate ad operare nelle 6
singole aree, poteri a fronte dei quali la posizione giuridica soggettiva che compete agli
aspiranti ha, comunque, consistenza di interesse legittimo.
Sono, invece, riconducibili all’ambito privatistico le questioni in materia di rapporto di
lavoro o di attività a carattere imprenditoriale svolte dall'ente su un piano paritetico con i
privati, rilevando, questo, ai fini dell’individuazione del giudice competente (Cass., Sez. II,
31 marzo 2011, n. 7469; id., ss.uu. n. 781/1999 cit.).
Da ciò deriva l’inapplicabilità, al personale dei consorzi, delle disposizioni recate dal d.lgs.
n. 165/2001, in materia di mobilità del personale, come evidenziato dall’Avvocatura dello
Stato nel contenzioso costituzionale in via principale avviato dalla Presidenza del Consiglio
dei Ministri nei confronti dell’art. 1, commi 1 e 3, l.r. Marche 15 novembre 2010, n. 22,
esitato nell’ordinanza 29 maggio 2013, n. 113.
4. La natura di ente pubblico economico, nel diritto amministrativo, non è una prerogativa
dei consorzi. Essa è riconosciuta dalla legge anche con riferimento alle aziende speciali, ai
sensi dell’art. 114, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, mentre va considerata l’esistenza di taluni
consorzi di diversa natura: la disciplina dei Consorzi di sviluppo industriale del FriuliVenezia
Giulia, approvata con l.r. 18 gennaio 1999, n. 3, comprende un ente pubblico non
economico (EZIT – Ente Zona Industriale di Trieste).
5. Con riferimento ai consorzi qualificati come enti pubblici economici, tra cui Z.I.PA., in
funzione delle prevalenti funzioni pubblicistiche loro assegnate e dell’autonomia
imprenditoriale loro riconosciuta, si evidenzia che la regolamentazione degli aspetti
privatistici dei consorzi è contenuta nel codice civile.
All’origine del consorzio c’è un contratto: quello tra imprenditori per lo svolgimento in
comune di determinate fasi delle rispettive imprese (art. 2602 c.c.); disposizioni speciali
sono dettate per i consorzi con attività esterna, per i quali è prevista l’iscrizione nel registro
delle imprese (art. 2612 c.c.); adempimento, questo, prescritto anche per le aziende speciali
e le istituzioni (art. 114, d.lgs. n. 267/2000).
L’oggetto sociale tipico del consorzio (l’organizzazione in comune di determinate fasi delle
rispettive imprese) può essere perseguito anche mediante la costituzione di una delle società
previste nei capi III e seguenti del titolo V del codice civile (società di persone e di
capitali). 7
Le società consortili sono regolate dall’art. 2615-ter c.c. La disciplina permette, dal punto di
vista oggettivo, il perseguimento dello scopo consortile da parte di società commerciali e,
sotto il profilo soggettivo, l’utilizzazione di queste ultime per realizzare lo scopo stesso.
Ai sensi dell’art. 2615-ter, comma 2, c.c., l’atto costitutivo può stabilire l’obbligo dei soci
di versare contributi in denaro. In tal caso si costituisce il fondo consortile, avente la
duplice funzione di dotazione dei mezzi patrimoniali necessari al conseguimento dello
scopo sociale e di tutela dei terzi a fronte delle obbligazioni assunte dal consorzio. Inoltre,
la struttura societaria dei consorziati rende applicabili le norme poste a tutela dell’integrità
del capitale sociale, ivi comprese quelle relative al regime di responsabilità (artt. 2325 e
2462 c.c.).
In materia, si è posta l’esigenza di coordinare l’applicazione delle norme in tema di
consorzi con quelle relative alle società. Secondo l’orientamento prevalente alle società
consortili si applicano in ogni caso le regole societarie relative al tipo prescelto, per
l’inderogabilità delle norme societarie dettate a tutela dei terzi o di interessi generali.
6. Sotto il profilo pubblicistico, il consorzio di sviluppo industriale oggetto della richiesta di
parere può essere considerato un consorzio tra enti locali, ai sensi dell’art. 31, d.lgs. n.
267/2000, in quanto il capitale/fondo di dotazione è interamente posseduto da
amministrazioni pubbliche locali.
Anche tali consorzi possono avere rilevanza esterna e, in tal caso, è prescritta l’iscrizione
nel registro delle imprese, anche se partecipano enti pubblici.
In questa prospettiva, il consorzio è, al pari degli altri organismi partecipati (tra cui aziende
speciali e società di capitale), una modalità di gestione dei servizi pubblici locali e delle
funzioni strumentali dell’ente (cfr. C. conti, sezione di controllo Lombardia, 11 maggio
2009, n. 196), in particolare nelle ipotesi in cui il capitale/fondo di dotazione sia
interamente posseduto da pubbliche amministrazioni, come si verifica nel caso di specie.
Pertanto, sono stati individuate due categorie: i consorzi di funzioni, nei cui confronti sono
state dettate le norme limitative di cui all’art. 2, comma 186, l. 23 dicembre 2009, n. 191, e
i consorzi di servizi. Premesso che la collocazione di un consorzio in una delle prospettate
tipologie si determina in base all’attività concretamente svolta, come risultante dalle norme
di settore e dallo statuto consortile, degna di nota è la sovrapponibilità della distinzione a 8
quella riguardante le società pubbliche (cfr. C. conti, sezione di controllo Lazio, 14 febbraio
2011, n. 15).
Infatti, i consorzi di funzioni sono forme organizzative dedicate alla gestione associata di
servizi propri dell’ente territoriale (funzioni di polizia locale, anagrafe, servizi
automatizzati), sulla falsariga delle società che svolgono attività c.d. strumentali.
I consorzi di servizi, invece, sono finalizzati alla gestione dei servizi pubblici locali a
rilevanza economica e non (igiene ambientale, servizio idrico integrato, trasporti etc.),
ricalcando il modello delle società che gestiscono servizi pubblici locali.
In relazione alla predetta distinzione, il consorzio Z.I.P.A. è un consorzio di servizi e alla
stessa categoria appartiene il consorzio “Ente autonomo Fiera di Lanciano” oggetto della
richiamata delibera n. 354/2012/PAR della Sezione di controllo Abruzzo, come pure
l’intera categoria dei consorzi di sviluppo industriale.
Per gli aspetti pubblicistici si rammenta che i consorzi costituti ai sensi dell’art. 31, d.lgs. n.
267/2000, sono considerati tra le pubbliche amministrazioni che, in caso di acquisti di beni
e servizi, versano direttamente all’Erario l’IVA (imposta sul valore aggiunto) dovuta (c.d.
split payment di cui all’art. 17-ter, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, introdotto dall’art. 1,
comma 629, l. n. 190/2014).
7. Tanto premesso in ordine alla disciplina dei consorzi e, in particolare, di quelli di
sviluppo industriale, nella quale si fondono aspetti privatistici con quelli pubblicistici, deve
essere valutata l’estensione nei loro confronti delle disposizioni introdotte dall’art. 1,
commi 563-568, l. 27 dicembre 2013, n. 147.
Il contesto normativo di cui si invoca l’applicazione estensiva è costituito dalla disciplina
sulla mobilità del personale alle dipendenze di società partecipate; norme, queste, tendenti
ad applicare a tale settore i principi della mobilità vigenti nel pubblico impiego (art. 30,
d.lgs. n. 165/2001).
La finalità è quella di predisporre mezzi di tutela in favore del personale in esubero a
seguito dei processi di razionalizzazione della galassia delle partecipazioni pubbliche e, nel
contempo, di incentivare il percorso di risanamento degli organismi partecipati, anche al
fine della riduzione degli oneri gravanti sugli Enti soci; processo da tempo avviato e sul
quale è crescente l’attenzione del legislatore.9
La questione della riallocazione del personale è, infatti, centrale ai fini del buon esito delle
operazioni di dismissione/alienazione degli organismi partecipati, nella prassi frenate per i
riflessi occupazionali che ne conseguono.
D’altra parte, è pacifico che la soluzione al problema non può essere trovata nel
riassorbimento del personale in esubero nei ruoli dell’Ente partecipante.
La Consulta ha più volte censurato le leggi regionali che consentivano i meccanismi di
reinternalizzazione attraverso il passaggio automatico dall’impiego privato (società
partecipata) a quello pubblico (Ente territoriale), aggirando in tal modo l’art. 97 Cost. e, in
particolare, la regola che condiziona l’acquisizione dello status di dipendente pubblico al
previo esperimento di un pubblico concorso.
Al riguardo, la Corte costituzionale ha ritenuto che l’operazione di trasferimento avrebbe
realizzato un’ipotesi di «inquadramento riservato senza concorso» anche nei casi in cui il
personale dipendente da una società partecipata fosse stato assunto ab origine in seguito
all’espletamento di una procedura selettiva equiparabile ad un concorso pubblico;
argomentazione che tiene conto del carattere chiuso e riservato di tale passaggio, in
contrasto con la regola costituzionale che garantisce l’imparzialità mediante l’accesso
dall’esterno con procedure selettive reclutamento (cfr. C. cost., 1 luglio 2013, n. 167 e 16
luglio 2013, n. 227, nonché, da ultimo, 30 gennaio 2015, n. 7). Ciò senza considerare i
riflessi sul rispetto, da parte degli enti territoriali, dei limiti alle facoltà assunzionali e delle
norme sul patto di stabilità interno (art. 1, commi 557 ss., l. 27 dicembre 2006, n. 296).
Dall’esigenza di superare le problematiche sopra evidenziate è nata l’idea di un’apposita
disciplina della mobilità del personale dipendente dalle società a partecipazione pubblica,
introdotta dal d.l. 31 agosto 2013, n. 101, le cui disposizioni sono state stralciate dal
provvedimento d’urgenza in sede di conversione (l. 30 ottobre 2013, n. 125).
La legge di stabilità 2014 ha, invece, accolto le disposizioni sulle procedure di mobilità di
tali categorie di personale, che sono state ritenute applicabili di diritto ai dipendenti in
esubero per effetto dello scioglimento o dell’alienazione di società controllate direttamente
o indirettamente da pubbliche amministrazioni locali; situazioni, queste, che sono state
incentivate anche mediante i benefici fiscali e contabili individuati dall’art. 2, comma 1, d.l.
6 marzo 2014, n. 16, convertito dalla l. 2 maggio 2014, n. 68 (che ha aggiunto, all’art. 1, l.
n. 147/2013, il comma 568-bis).10
Peraltro, a seguito della novella introdotta dalla l. di stabilità 2015, gli incentivi previsti dal
citato comma 568-bis (tra cui la mobilità del personale) sono stati estesi alle parallele
situazioni di scioglimento/alienazione riguardanti le aziende speciali (art. 1, comma 616, l.
23 dicembre 2014, n. 190).
In ogni caso, resta fermo il divieto di attuare processi di mobilità fra la partecipata e l’Ente
controllante (art. 1, comma 563, ultimo periodo, l. n. 147/2013), ad evitare elusioni dei
vincoli alle assunzioni nonché dei richiamati principi costituzionali che garantiscono il
percorso di accesso tramite concorso pubblico (sul punto, cfr. C. conti, sezione di controllo
Lombardia, 18 febbraio 2014, n. 76).
Il meccanismo previsto dalla legge di stabilità 2014 tende a far sì che il personale a rischio
di esubero possa essere trasferito verso altre società sulla base di apposite convenzioni tra le
società stesse (escluse le quotate e quelle da esse controllate).
I processi di mobilità tengono conto dei fabbisogni di personale e delle esigenze funzionali
e organizzative di ciascuna società e si perfezionano senza il consenso del lavoratore, con il
solo obbligo dell’informativa alle rappresentanze aziendali e alle organizzazioni sindacali
firmatarie del contratto collettivo applicato in azienda (citato art. 1, comma 563, l. n.
147/2013).
Analoga informativa è prevista per le società partecipate che rilevino eccedenze di
personale, oppure nell’ipotesi in cui l’incidenza delle spese di personale sia pari o superiore
al 50% delle spese correnti: con essa sono individuati il numero, la collocazione aziendale e
i profili professionali del personale in eccedenza. Spetta all’ente controllante provvedere
alla riallocazione totale o parziale del personale in eccedenza nell’ambito della stessa
società mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro, ovvero presso
altre società controllate dal medesimo ente o dai suoi enti strumentali (art. 1, commi 565 e
566, l. n. 147/2013) .
Con il d.l. n. 16/2014 è stato aggiunto il comma 568-ter all’art. 1, l. n. 147/2013, con cui si
riconosce al personale in esubero delle società partecipate che risulti privo di occupazione,
fatta salva l’applicazione delle misure sopra riferite, la precedenza, a parità di requisiti, per
l’impiego nell’ambito di missioni afferenti a contratti di somministrazione di lavoro
stipulati dalle stesse pubbliche amministrazioni, per esigenze temporanee o straordinarie,
proprie o di loro enti strumentali.11
Il meccanismo è stato poi incentivato consentendo che il personale dipendente dalle
predette società potesse presentare alla società datrice di lavoro o all’ente controllante,
entro un termine determinato, istanza di ricollocazione anche in una qualifica inferiore nella
stessa o in altra società (art. 1, comma 567-bis, l. n. 147/2013, introdotto dall’art. 5, comma
2, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla l. 11 agosto 2014, n. 114).
Il trasferimento dei rapporti di lavoro è subordinato al rispetto di diverse condizioni, tra cui
il riconoscimento delle garanzie stabilite dall’art. 2112, commi 1 e 3, c.c., consistenti nella
salvaguardia degli ordinamenti professionali. Tuttavia, ai fini dell’attuazione dei piani di
riequilibrio finanziario pluriennale e per il riequilibrio strutturale di bilancio di Roma
Capitale, è previsto che le società controllate dagli Enti locali interessati ai predetti piani
applichino i processi di mobilità di personale tra società partecipate, anche in deroga al
principio della coerenza con il rispettivo ordinamento professionale (cfr. art. 3, comma 4-
bis, d.l. n. 16/2014). Tali deroghe, intese a favorire un più agevole ricorso all’istituto della
mobilità, sono figlie dell’esigenza primaria di rimuovere una delle cause più importanti
dello squilibrio finanziario degli enti, quella correlata alla partecipazione in organismi
inefficienti e/o in perdita.
8. I meccanismi e le finalità delle disposizioni sulla mobilità nelle società partecipate
offrono elementi importanti ai fini della soluzione del quesito proposto.
Nel ragionamento della Sezione remittente, l’interpretazione estensiva appare fondata sul
rapporto di lavoro di tipo privatistico del personale dipendente dai consorzi.
Da tale circostanza, invero, derivano due conseguenze: in primo luogo, il personale dei
consorzi è escluso dall’applicazione delle norme sulla mobilità previste per i dipendenti di
una pubblica amministrazione, come emerso anche dal testo dell’ordinanza costituzionale
n. 113/2013, trattandosi di personale con contratto di lavoro privatistico; secondariamente,
l’interpretazione estensiva non impatta con i vincoli di finanza pubblica poiché non
determina il passaggio diretto del personale dei consorzi nei ruoli degli Ente soci, né
contrasta con i principi del reclutamento tramite concorso nella pubblica amministrazione,
più volte richiamati dalla Corte costituzionale nelle pronunce sopra citate.
Su un piano più generale, deve essere, tuttavia, valutato il carattere di “norme eccezionali”
e, quindi, di stretta interpretazione delle disposizioni in materia di mobilità del personale
previste dalla legge di stabilità 2014, che possono essere lette come un primo passaggio 12
verso la formazione di un “comparto” del personale delle società partecipate, ossia come
una misura, esplicita, di “pubblicizzazione” di tali organismi.
In tal senso, le norme in commento potrebbero essere incluse in uno specifico statuto delle
società controllate da una pubblica amministrazione che, a determinati fini, vengono incluse
nel c.d. settore pubblico allargato. Si tratta, infatti, di enti nei quali alla forma giuridica
privatistica corrisponde una diversa sostanza, quella di organismi che “vivono” delle risorse
degli Enti soci.
L’universo degli organismi di cui è parte una pubblica amministrazione non è, tuttavia,
limitato a quelli in forma societaria.
Ne è ben consapevole il legislatore che, in taluni casi, ha dettato misure di
“pubblicizzazione” nei confronti di una platea più vasta di soggetti. Le stesse disposizioni
sulla mobilità del personale dipendente dalle società partecipate sono state, appunto, estese
alle aziende speciali (cfr. il citato art. 1, comma 568-bis, d.l. n. 147/2014).
L’elenco degli organismi è ancora più ampio nelle disposizioni del d.lgs. 14 marzo 2013, n.
33, che, avendo incluso nel perimetro della trasparenza le pubbliche amministrazioni di cui
all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001 e le società da esse partecipate (art. 11, d.lgs. n.
33/2013), ha pure considerato altri organismi, di cui le P.A. sono tenute a dare contezza.
Essi sono: a) gli enti pubblici, comunque denominati, vigilati e finanziati da una pubblica
amministrazione; b) le società di cui la P.A. detiene una partecipazione minoritaria; c) gli
enti di diritto privato in controllo pubblico (categoria che comprende gli enti costituiti o
vigilati da una P.A. alla quale sia riconosciuto, anche in assenza di partecipazione azionaria,
un potere di nomina dei vertici o dei componenti degli organi, ai sensi degli artt. 22, d.lgs.
n. 33/2013 e 1, comma 2, lett. c, d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39).
Del pari sono a largo raggio le norme sul consolidamento dei bilanci degli enti territoriali
che, in base al disposto dell’art. 11-bis, d.lgs. 23 giugno 2011 n. 118, comprendono le
aziende, le società controllate e partecipate gli enti e gli organismi strumentali degli enti
territoriali.
L’esigenza di sottoporre specifiche attività degli enti privati (partecipati da una P.A.) a una
regolamentazione di tipo pubblicistico, si coglie nella nozione di “organismo di diritto
pubblico” che comprende, ai fini dell’applicazione del codice dei contratti pubblici, 13
qualsiasi organismo, anche in forma societaria, che presenti determinate caratteristiche (art.
3, comma 26, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163).
Decisamente inclusivo, infine, è il concetto, di derivazione comunitaria, di amministrazione
pubblica che comprende, accanto agli organismi pubblici dello Stato e degli enti territoriali,
le unità istituzionali che producono beni non destinabili alla vendita soggetti a controllo
pubblico, a prescindere dalla forma giuridica da esse rivestita; concetto basato su
determinati indicatori, sostanzialmente di natura economica, che possono essere desunti dal
Regolamento (UE) n. 549/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio
2013, relativo al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nell'Unione europea, noto
come SEC 2010. L’individuazione in concreto delle unità istituzionali rientranti nel
concetto di amministrazione pubblica (c.d. “settore S13) è affidata ad apposito elenco,
emanato annualmente dall’ISTAT ai sensi dell’art. 1, comma 2, l. 31 dicembre 2009, n.
196.
L’appartenenza o meno alla predetta categoria è foriera di rilevanti effetti giuridici, tra cui
la soggezione a determinati vincoli negli acquisti di beni e servizi (cfr. art. 6, d.l. n.
78/2010; artt. 1, commi 7 e 5, comma 2, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla l. 7 agosto
2012, n. 135; art. 1, comma 141, l. l. 24 dicembre 2012, n. 228). In relazione a tali ricadute,
è previsto il ricorso alle Sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione, ai
sensi dell’art. 1, comma 269, n. 228/2012, da parte degli organismi compresi nell’elenco
ISTAT.
9. Il richiamo alla presenza, nell’ordinamento (nazionale e comunitario), di diversi criteri di
individuazione del c.d. settore pubblico allargato (perimetro che risulta mutevole nel tempo,
come nel caso delle unità istituzionali inserite nell’elenco annuale predisposto dall’ISTAT),
dimostra che la scelta di estendere le misure di “pubblicizzazione” deve essere rimessa al
prudente apprezzamento del legislatore.
Pertanto, il Collegio ritiene di stretta interpretazione le norme sulla mobilità del personale
dipendente dalle società partecipate (e dalle aziende speciali) introdotte dalla legge di
stabilità 2014.
Allo stesso tempo, ricorda che le predette norme meriterebbero di essere ricondotte a
sistema, per la grande rilevanza del settore ai fini degli equilibri di finanza pubblica.14
È, infatti, evidente che le esigenze sottese alla riallocazione del personale delle
società/aziende speciali da dismettere o da alienare si profilano anche per altre tipologie di
organismi sottoposti a controllo pubblico, aventi o meno forma societaria e, segnatamente,
per quelli il cui capitale/fondo di dotazione sia interamente posseduto da una pubblica
amministrazione. Il tutto con riferimento al disfavore del legislatore verso la partecipazione
degli Enti in realtà organizzative inefficienti e spesso in perdita, oltre che foriere di spese
incontrollate.
De iure condendo è, pertanto, auspicabile la previsione di uno statuto unitario dei predetti
organismi, anche con riferimento a misure diverse da quelle considerate nella questione
rimessa all’attenzione della Sezione delle autonomie.
P.Q.M.
la Sezione delle autonomie della Corte dei conti, sulla questione di massima posta dalla
Sezione regionale di controllo per la Regione Marche con deliberazione n. 143/2014/PAR,
enuncia il seguente principio di diritto:
“Al personale dipendente dai consorzi e segnatamente da quelli di sviluppo industriale,
non si estende la disciplina recata dall’art. 1, commi 563-568, l. 27 dicembre 2013, n. 147,
in materia di mobilità del personale dipendente da società controllate direttamente o
indirettamente dalle pubbliche amministrazioni”.
La Sezione regionale di controllo per la Regione Marche, renderà il parere richiesto
tenendo conto del suindicato principio di diritto, al quale si conformeranno tutte le Sezioni
regionali di controllo, ai sensi dell’art. 6, comma 4, d.l. n. 174/2012.
Così deliberato in Roma, nell’adunanza del 17 febbraio 2015.
Il Relatore
f.to Adelisa CORSETTI
Il Presidente
f.to Mario FALCUCCI
Depositata in Segreteria il giorno 5 marzo 2015
Il Dirigente
f.to Renato PROZZO

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