Approfondiamo in questo POST le problematiche relative all'adozione di provvedimenti interdittivi variamente denominati dal legislatore come:
- DECADENZA
- REVOCA
- SOSPENSIONE
- ANNULLAMENTO
- DIFFIDA
ecc...
**************
Partiamo da questa sentenza
[color=red][b]Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 23/2/2015 n. 852
[/b][/color]
N. 00852/2015REG.PROV.COLL.
N. 09396/2005 REG.RIC.
logo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9396 del 2005, proposto da:
Celli Giuseppina, rappresentata e difesa dall'avvocato Mario Cappelleri, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, Via Caio Mario, n. 13;
contro
Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore,rappresentato e difeso dall'avvocato Rosalda Rocchi, domiciliata in Roma, Via del Tempio di Giove, n. 21;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II TER, n. 9153/2004, resa tra le parti, concernente revoca autorizzazione esercizio di somministrazione di alimenti e bevande.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 febbraio 2015 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Mario Cappelleri e Angela Raimondi su delega dell’avvocato Rosalda Rocchi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Lazio, Celli Giuseppina invocava l’annullamento della determinazione dirigenziale della XVII Circoscrizione del Comune di Roma n. 1808 del 8/10/1999, con cui veniva disposta nei suoi confronti la revoca della autorizzazione assentita per esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, sul rilievo che l’esercizio legittimo di tale attività era stato subordinato al possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi mentre invece non era stata dalla interessata completata la relativa documentazione, né era stata dalla stessa indicata l’ubicazione del locale per l’esercizio della suddetta attività per la quale ragione era ormai decorso il termine previsto dall’art. 4 della L. n. 287/1991 per l’inizio delle attività di somministrazione di alimenti e bevande già autorizzate.
2. Il primo giudice respingeva il ricorso, rilevando la corretta applicazione dell’art. 4 della legge n. 287/1991, il quale impone l’attivazione dell’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande autorizzato nel termine di centottanta giorni a pena di revoca della stessa autorizzazione. Sotto questo profilo il TAR, inoltre, evidenziava la correttezza dell’agere dell’amministrazione comunale nel non riconoscere alcuna rilevanza alla vicenda connessa con la domanda dell’interessato di occupazione di suolo pubblico, né alla sua reiezione né al ricorso presentato avverso il relativo atto di diniego.
3. Avverso la sentenza indicata in epigrafe ha proposto appello l’originaria ricorrente, chiedendo la riforma della sentenza impugnata per le seguenti ragioni: a) l’amministrazione comunale avrebbe dovuto applicare l’art. 22, comma 4, lett. a), d.lgs. 114/1998, jus superveniens rispetto alla l. n. 287/1991, che, nel disciplinare la revoca della licenza di somministrazione di alimenti e bevande, prevede il più ampio termine di un anno, risultando irrilevante la circostanza che la norma faccia riferimento agli esercizi commerciali allocati su aree privata; b) la sentenza non avrebbe dato il giusto peso alla condotta dell’amministrazione, culminata nel diniego di concessione di suolo pubblico, che avrebbe fatto maturare il termine semestrale di decadenza dalla licenza di somministrazione.
4. Costituitasi in giudizio, l’amministrazione comunale con le proprie difese ha chiesto la conferma della sentenza di prime cure, evidenziando tra l’altro che il diniego di occupazione di suolo pubblico impugnato dinanzi al TAR per il Lazio è stato ritenuto legittimo con sentenza n. 2578/2001, passata in giudicato. Inoltre, la licenza di somministrazione sarebbe stata rilasciata per l’esercizio in locali e non su suolo pubblico, quindi nulla avrebbe impedito all’originaria ricorrente di dare corso alla suddetta attività. Non sarebbe applicabile l’art. 22, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 114/1998, che si riferisce alle medie strutture di vendita. Pertanto, dovrebbe trovare applicazione l’art. 4, l. n. 287/1991, disposizione confermata anche dalla legislazione successiva, ossia dall’art. 64, d.lgs. n. 59/2010.
5. All’udienza di discussione del 3 febbraio 2015 il difensore dell’appellante ha avanzato istanza istruttoria volta all’acquisizione di documenti per comprovare la collocazione di un chiosco su area pubblica.
6. Il Collegio ritiene di non poter dare seguito all’istanza istruttoria suddetta, trattandosi di richiesta generica, avanzata tardivamente solo in sede di discussione, in assenza di un elemento documentale indiziario, sicché non può essere accolta nemmeno secondo il principio dispositivo con metodo acquisitivo, che pure anima il processo amministrativo, ma non consente al giudicante di supplire alla inerzia di parte.
7. Tanto premesso, l’appello è in parte inammissibile ed in parte infondato.
7.1. Quanto alla prima doglianza, la stessa non può essere scrutinata atteso che non rientra nel thema decidendi fissato con il ricorso introduttivo del giudizio di prime cure.
7.2. Quanto alla seconda doglianza, invece, la stessa è del tutto destituita di fondamento per plurime ragioni. Innanzitutto non può in alcun modo essere addebitato all’amministrazione comunale il decorso del termine semestrale per il quale era maturata la decadenza dalla licenza di somministrazione, giacché la legittimità del diniego in questione veniva confermata con la sentenza del TAR Lazio sopra citata. Inoltre, poiché la licenza era stata rilasciata per l’esercizio in locali privati non vi era alcuna ragione di impedimento all’utilizzo della stessa, non potendo l’avvio dell’attività ritenersi condizionato al positivo accoglimento della diversa richiesta di occupazione di suolo pubblico.
D’altro canto, [color=red][b]l’art. 4, l. n. 287/1991, come costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questo Consiglio (ex plurimis, Cons. St., Sez. V, 25 maggio 2009, n. 3232), configura un’ipotesi di decadenza ex lege[/b][/color]. Infatti, benché impropriamente definita come revoca, [b]si tratta di un effetto giuridico che si determina al verificarsi delle condizioni di non esercizio indicate dalla detta norma e che comporta, da parte dell'autorità competente, l'adozione del provvedimento conseguente che si pone alla stregua di un atto dovuto di natura ricognitiva - dichiarativa, salvo che non intervenga una proroga rilasciata a seguito di apposita motivata richiesta, tuttavia, prima del decorso del termine assegnato dalla legge[/b]. Ne consegue che,[b][color=red] qualora tale proroga non risulti rilasciata ed il titolare della detta autorizzazione non attivi l'esercizio entro centottanta giorni dalla data del rilascio, si è in presenza di un'ipotesi di decadenza dell'autorizzazione precedente[/color][/b].
8. In definitiva, per le suddette ragioni l’appello deve essere in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile ed in parte infondato.
Condanna Celli Giuseppina al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, in favore dell’amministrazione comunale di Roma.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Nicola Gaviano, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
Raffaele Prosperi, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
[b]MSV: silenzio assenso, pianificazione e (ampi) poteri del giudice amministrativo[/b]
Segnaliamo questa interessante sentenza sul meccanismo di formazione del silenzio assenso e sui relativi obblighi dell'Amministrazione Comunale in materia di procedure per Medie Strutture di Venita (ma il ragionamento si estende ad ogni analoga fattispecie).
*******************************
[color=red][img]http://TAR LOMBARDIA – MILANO, SEZ. I – sentenza 20 febbraio 2015 n. 521[/img][/color]
N. 00521/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01535/2013 REG.RIC.
N. 01952/2013 REG.RIC.
logo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1535 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
XXL S.R.L., rappresentata e difesa dall’avv. Marco Sica, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Milano, via della Guastalla, 2
contro
COMUNE DI COMO, rappresentato e difeso dagli avv.ti Antonietta Marciano e Chiara Piatti, con domicilio eletto presso la segreteria del T.A.R.
nei confronti di
CHIC S.R.L.
sul ricorso numero di registro generale 1952 del 2013, proposto da:
CHIC S.R.L., rappresentata e difesa dall’avv. Marco Sica, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Milano, via della Guastalla, n. 2
contro
COMUNE DI COMO, rappresentato e difeso dagli avv.ti Antonietta Marciano e Chiara Piatti, con domicilio eletto presso la segreteria del T.A.R.;
REGIONE LOMBARDIA, non costituita in giudizio
nei confronti di
XXL S.R.L., rappresentata e difesa dall’avv. Marco Sica, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Milano, via della Guastalla, n. 2
per l’annullamento
quanto al ricorso n. 1535 del 2013:
- della nota del Comune di Como prot. n. 23329 del 17.5.2013, ricevuta in data 21.5.2013, avente ad oggetto “Comunicazione protocollo n. 13350 pervenuta il 18/3/2013 di subingresso a Chic S.r.l. in una media struttura di vendita di prodotti del settore non alimentare, di mq. 1200 di superficie di vendita, in via Asiago 37”, con la quale il Comune ha comunicato che “questa Amministrazione non ha rilasciato a Chic S.r.l. l’autorizzazione di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 114/1998 per l’apertura di una media struttura di vendita in via Asiago 37, né può convenire circa il fatto che sulla domanda di autorizzazione presentata dalla medesima società si sia formato il silenzio assenso [...] in quanto la società Chic non ha dato riscontro alcuno alla raccomandata a. r. 23/10/2012, con cui venivano resi noti i motivi ostativi all’accoglimento della domanda stessa” e, per l’effetto, ha ritenuto che “la comunicazione di subingresso presentata da codesta società è priva di efficacia e l'attività commerciale nei locali di Via Asiago 37 non può essere legittimamente svolta”;
- della nota del Comune di Como prot. n. 48729 del 23.10.2012, richiamata nel provvedimento sopra indicato, con la quale, peraltro tardivamente, l’Amministrazione sembra avere comunicato a Chic S.r.l. l’esistenza di motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza senza, tuttavia, successivamente respingere, con provvedimento motivato e trasmesso alla richiedente, la domanda dalla stessa presentata il 13.04.2012;
- di tutti gli atti del procedimento e di quelli presupposto, connessi e consequenziali, conosciuti e non conosciuti;
*****
quanto al ricorso n. 1952 del 2013:
- della nota del Comune di Como prot. n. 23324 in data 17.05.2013 avente ad oggetto “Domanda in data 13/4/2012, n. 19843 di protocollo, di autorizzazione all’apertura in via Asiago, 37 di una media struttura di commercio al dettaglio su aree private di prodotti del settore non alimentare della superficie di vendita di 1200”, con la quale l’A.C. ha comunicato a Chic s.r.l. che “la domanda indicata in oggetto non può essere accolta”;
- della nota del Comune di Como prot. n. 48729 in data 23.10.2012, avente ad oggetto “Domanda in data 13/4/2012, n. 19843 di protocollo, all’autorizzazione all’apertura in via Asiago 37 di una media struttura di commercio al dettaglio su aree private di prodotti del settore non alimentare della superficie di vendita di 1200 mq.”, con la quale l’A.C. ha comunicato a Chic s.r.l. l’esistenza di motivi ostativi all'accoglimento dell’istanza;
- del verbale della Conferenza interna di servizi in data 15.6.2012, avente ad oggetto “Chic S.r.l. domanda in data 13.4.2012, n. 19843 di protocollo, di autorizzazione all’apertura in via Asiago 37 di una media struttura di commercio al dettaglio su aree private di prodotti del settore non alimentare della superficie di vendita di 1200 mq”;
- della nota del Comune di Como - Area Governo del Territorio - Settore Edilizia Privata prot. n. 24628/12 in data 16.5.2012, avente ad oggetto “Valutazioni di competenza - Chic S.r.l. Via Asiago”;
- della nota del Comune di Como prot. n. 23037 in data 9.05.2012, avente ad oggetto “Domanda in data 13/4/2012, n. 19483 di protocollo, di autorizzazione all’apertura in via Asiago vendita di una media struttura di commercio al dettaglio su aree private di prodotti del settore non alimentare della superficie di vendita di 1200 mq”;
- della nota del Comune di Como prot. n. 17794 in data 11.4.2013, avente ad oggetto “CHIC s.r.l. via Asiago 37 - pratica n. 19483 del 13.4.2012 riguardante una media struttura di commercio al dettaglio su aree private di prodotti del settore non alimentare della superficie di vendita di 1200 mq”;
- in parte qua della deliberazione di G.R. n. 4503 in data 4.5.2001, con la quale la G.R. ha approvato il PRG di Como e, in particolare, dell’art. 23.3.2.2 delle NTA del PRUG, nella parte in cui prescrive che, per le zone B4 e B5, sono considerate destinazioni d’uso compatibili le “attività del settore terziario non connesso ad attività produttive nella quantità e superficie già a tali usi destinate alla data del 31.12.96”;
- in parte qua della deliberazione di C.C. n. 32 in data 13.6.2013 con la quale il C.C. ha approvato il PGT di Como, nella parte in cui prevede che l’area sulla quale sorge la media struttura di vendita in discorso è classificata in zona CR2.1 “Ambiti, prevalentemente non residenziali con valenza ambientale, da riqualificare anche per gli aspetti della struttura urbanistica” (non conosciuta) e, in particolare degli artt. 62 delle disposizioni attuative del PGT del Comune di Como, recante “CR2.1 - Ambiti, prevalentemente non residenziali, con valenza ambientale, da riqualificare anche per gli aspetti della struttura urbanistica”, 21 delle disposizioni attuative del PGT del Comune di Como, recante “Norme di salvaguardia per gli interventi riguardanti gli immobili inclusi negli ambiti per i quali è prevista la predisposizione di un Programma di riassetto urbano”, 20.2 delle disposizioni attuative del PGT del Comune di Como, recante “Individuazione degli ambiti strategici di riqualificazione urbana”, 24 delle disposizioni attuative del PGT del Comune di Como, recante “CP/PA — Ambiti strategici affiancati dalla redazione di programma di riassetto urbano” e 8.2 delle disposizioni attuative del PGT del Comune di Coma, recante “Attuazione del PGT - Programma di riassetto urbano”;
- di tutti gli atti dei procedimento e di quelli presupposti, connessi e consequenziali, conosciuti e non conosciuti, con espressa riserva di motivi aggiunti.
Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Como
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2014 il dott. Dario Simeoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I. Con i due ricorsi in epigrafe, depositati rispettivamente in data 19 giugno 2013 e 5 agosto 2013, qui riuniti per evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva, le società istanti hanno dedotto: - che Chic s.r.l., in data 13.4.2012, aveva presentato al Comune di Como domanda di autorizzazione per l’apertura di una media struttura di vendita di generi non alimentari; - che, con comunicazione del 9.5.2012, il Comune aveva avviato il procedimento e, in data 15.06.2012, aveva convocato una conferenza di servizi; - che nel termine perentorio di legge di novanta giorni dalla presentazione della domanda, il Comune non aveva trasmesso alla richiedente alcun atto e/o provvedimento; - che, soltanto in data 23.10.2012, il Comune aveva comunicato alla ricorrente l’esistenza di motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, cui tuttavia non era seguito il provvedimento di diniego definitivo; - che, in data 28.1.2013, CHIC s.r.l. aveva ceduto alla XXL s.r.l. il ramo d’azienda costituito dalla media struttura; - che, in data 18.3.2013, la società XXL S.r.l. aveva presentato la comunicazione di apertura della media struttura di vendita per subingresso nell’autorizzazione tacitamente rilasciata; - che, nel termine perentorio di 60 giorni (ai sensi dell’art. 19, comma 3, della L. n. 241/1990), non era pervenuto alcun divieto di prosecuzione dell’attività; - che, tuttavia, in data 17.5.2013, il Comune di Como aveva trasmesso il provvedimento di rigetto della domanda di autorizzazione presentata oltre un anno prima; - che solo in data 21.5.2013 era pervenuto il provvedimento impugnato con cui era stato comunicato che “questa Amministrazione non ha rilasciato a Chic S.r.l. l’autorizzazione di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 114/1998 per l’apertura di una media struttura di vendita in via Asiago 37, né può convenire circa il fatto che sulla domanda di autorizzazione presentata dalla medesima società si sia formato il silenzio assenso in quanto la società Chic s.r.l. non ha dato riscontro alcuno alla raccomandata a.r. 23/10/2012 con cui venivano resi noti i motivi ostativi all’accoglimento della domanda stessa” ed inoltre che “la comunicazione di subingresso presentata da codesta società è priva di efficacia e l’attività commerciale nei locali di Via Asiago 37 non può essere legittimamente svolta”. Su queste basi, le società ricorrenti argomentano le ragioni per le quali gli atti e i provvedimenti impugnati sarebbero illegittimi e, conseguentemente, ne chiedono l’annullamento.
I.1. Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, chiedendo il rigetto del ricorso.
I.2. Con ordinanza 30/08/2013 n. 2102, la Sezione: “Letto l’art. 55, comma 10, c.p.a., Ritenuto: che la complessità delle questioni di fatto implicate nella vicenda per cui è causa rende opportuno procedere alla sollecita definizione del giudizio nel merito, adottando nelle more (con separata ordinanza) le necessarie iniziative istruttorie”; ha, quindi, fissato per la trattazione di merito del ricorso l’udienza pubblica del 18 dicembre 2013.
I.3. Con ulteriore ordinanza 14/2/2014 n. 486, la Sezione: “Rilevato che, a causa dell’assenza del magistrato relatore, il connesso ricorso NRG 1535/2013 è stato rinviato alla data del 26 febbraio 2014; Ritenuto che i due ricorsi, aventi ad oggetto la medesima vertenza, debbano necessariamente essere riuniti e definiti contestualmente”; ha rinviato all’udienza del 26 febbraio 2014 per la trattazione congiunta.
I.4. All’udienza del 23 aprile 2014, su richiesta delle parti, il Presidente della Sezione ha disposto la cancellazione della causa dal ruolo.
I.5. Depositata nuova istanza di fissazione, sul contraddittorio così nuovamente istauratosi, la causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva all’odierna udienza. Di seguito le motivazioni.
II. In via pregiudiziale, il Comune di Como eccepisce l’irricevibilità del ricorso, sul presupposto che il preavviso di diniego del 23/10/2012, in quanto autonomamente lesivo dell’interesse pretensivo di Chic s.r.l., avrebbe dovuto essere impugnato tempestivamente. Per le medesime ragioni, si eccepisce l’inammissibilità del ricorso per tardività con riferimento all’impugnazione della conferenza di servizi del 15/6/2012.
II.1. L’eccezione è priva di fondamento. Il preavviso di rigetto, previsto dall’art. 10 bis della l. n. 241/1990, ha natura di atto endoprocedimentale la cui funzione è quella di instaurare un contraddittorio a carattere necessario tra la P. A. ed il cittadino al fine di aumentare le possibilità del privato di ottenere ciò a cui aspira. Tali sue caratteristiche escludono che esso possa considerarsi immediatamente lesivo della sfera giuridica dei suoi destinatari e, dunque, non è autonomamente né immediatamente impugnabile. La conferenza di servizi, poi, ha nella specie un contenuto prettamente istruttorio.
III. Ancora in via pregiudiziale, il Comune eccepisce il difetto di legitimatio ad causam di XXL s.r.l., in quanto quest’ultima sarebbe priva dei necessari requisiti della personalità e dell’attualità, posseduti (così pare di capire) dalla sola Chic s.r.l.
III.1. Anche tale eccezione non può essere accolta. Il thema decidendum del presente giudizio riguarda la legittimità o meno degli atti del Comune resistente che si frappongono alla realizzazione dell’interesse pretensivo a svolgere l’attività commerciale al dettaglio nella media struttura di vendita all’interno della struttura in via Asiago, n. 37. XXL s.r.l., in quanto cessionaria del ramo d’azienda (intervenuta con atto in data 28.1.2013) deputato allo svolgimento della predetta attività ed essendo quindi subentrata a Chic s.r.l. nei rapporti giuridici inerenti al compendio aziendale, è sicuramente titolare della posizione legittimante derivante dall’interesse qualificato e differenziato all’esito positivo della procedura autorizzatoria (senza contare che la stessa è destinataria del provvedimento del 17.5.2013 con il quale il Comune ha vietato di proseguire l’attività in questione).
IV. E’ possibile, a questo punto, entrare nel merito della vicenda. Come si è sopra accennato, il diniego della domanda di autorizzazione si fonda sulla motivazione per cui non sarebbe “possibile riscontrare elementi totalmente convergenti rispetto alla sussistenza del presupposto richiesto dall'art. 23.3.2.2. delle N.T.A. del P.R.G.”. In particolare, l’amministrazione ritiene che l’attività che si vorrebbe intraprendere non sia conforme sul piano urbanistico della destinazione d’uso dell’immobile; ciò in quanto quest’ultimo, alla data del 31/12/1996, sarebbe stato destinato principalmente ad attività produttiva e non commerciale (ai sensi dell’art. 23.3.2.2 della N.T.A. del P.R.U.G. vigente all’epoca della presentazione della domanda di Chic. s.r.l., per la zona B4, si prevede che: “per le attività del terziario non connesse a attività produttive, insediate o da insediare, in sostituzione di attività terziarie esistenti al 31.12.1996, sono ammesse opere sino alla ristrutturazione edilizia”).
[color=red][b]V. Sennonché, ritiene il Collegio che, ai fini dell’accoglimento della domanda di annullamento, sia dirimente rilevare la circostanza per cui, sulla domanda di autorizzazione, essendo trascorso inutilmente il termine di 90 giorni (decorrenti dal 13 aprile 2012), si è già irrimediabilmente formato il silenzio assenso, previsto dall’art. 8 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (il quale recita: Il comune adotta le norme sul procedimento concernente le domande relative alle medie strutture di vendita; stabilisce il termine, comunque non superiore ai novanta giorni dalla data di ricevimento, entro il quale le domande devono ritenersi accolte qualora non venga comunicato il provvedimento di diniego, nonché tutte le altre norme atte ad assicurare trasparenza e snellezza dell'azione amministrativa e la partecipazione al procedimento ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche”).[/b][/color]
V.1. In senso contrario, non vale replicare, come fa il Comune, che la non conformità urbanistica dell’istanza presentata da Chic S.r.l. in data 13 aprile 2012, avrebbe reso impossibile la formazione del silenzio assenso. Secondo questa tesi, in sostanza, la possibilità di conseguire l’autorizzazione implicita non sarebbe legata solamente al decorso del termine, ma esigerebbe anche la ricorrenza di tutti gli elementi richiesti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo.
[b][color=red]V.2. Invero, il dispositivo tecnico denominato “silenzio-assenso” risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia “equivale” a provvedimento di accoglimento. Tale equivalenza non significa altro che gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo; con il corollario che, ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge; fermo restando, come si specificherà a breve, l’autotutela per l’amministrazione e l’impugnativa giudiziale per il controinteressato. Reputare, invece, che la fattispecie sia produttiva di effetti soltanto ove corrispondente alla disciplina sostanziale, significherebbe sottrarre i titoli così formatisi alla disciplina della annullabilità: tale trattamento differenziato, per l’altro, neppure discenderebbe da una scelta legislativa oggettiva, aprioristicamente legata al tipo di materia o di procedimento, bensì opererebbe (in modo del tutto eventuale) in dipendenza del comportamento attivo o inerte della p.a. Inoltre, l’impostazione di “convertire” i requisiti di validità della fattispecie “silenziosa” in altrettanti elementi costitutivi necessari al suo perfezionamento, vanificherebbe in radice le finalità di semplificazione dell’istituto: nessun vantaggio, infatti, avrebbe l’operatore se l’amministrazione potesse, senza oneri e vincoli procedimentali, in qualunque tempo disconoscere gli effetti della domanda.[/color][/b]
V.3. Dovendo, in forza di quanto appena teorizzato, distinguere tra elementi essenziali e requisiti di validità, i primi vanno correttamente individuati nella presentazione della domanda di autorizzazione nei termini e secondo le indicazioni di legge. Nella specie, la domanda di CHIC s.r.l. era corredata di tutti gli elementi individuati dall’art. 8, comma 2 del d.lgs. n. 114/1998 (le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà rese dai sigg. Luraschi e della Torre, cui si riferisce il Comune nella propria memoria, oltre a non essere richieste, non erano state presentate a corredo della domanda di Chic S.r.l. del 13.4.2012, ma solo successivamente, in data 25.6.2012, e dal proprietario dell’immobile). Per contro, nell’alveo dei requisiti di validità si colloca la conformità alle prescrizioni urbanistiche (la presentazione del progetto di adeguamento viabilistico chiesto dal Settore Mobilità, poi, sembra riguardare il distinto procedimento concernente gli aspetti di carattere edilizio).
[color=red][b]IV.4. Ovviamente il conseguimento di un provvedimento amministrativo favorevole da parte del privato, formatosi a seguito del silenzio assenso, non esclude che l’amministrazione possa disporre, in via di autotutela e in presenza dei necessari presupposti, anche l’annullamento postumo dell’autorizzazione tacitamente assentita. Il diniego esplicito, sopravvenuto alla formazione del silenzio-assenso, non può considerarsi atto inesistente, ma atto che si sostituisce all’assenso tacito, quale ulteriore rinnovata espressione del potere di cui l'amministrazione era e rimane titolare, quanto meno in via di autotutela. Tuttavia, deve ritenersi illegittimo il provvedimento che, come accade nel caso che ci occupa, non abbia né la forma, né la sostanza di un atto di autotutela, atteggiandosi a mero diniego tardivo dell’autorizzazione, privo della necessaria fase partecipativa, nonché dell’esplicazione dei motivi di interesse pubblico posti a sostegno dell’intervento postumo in autotutela.[/b][/color]
IV.5. In definitiva, il diniego di autorizzazione impugnato è illegittimo, in quanto disposto sulla base della non conformità urbanistica della destinazione d’uso, sebbene si fosse già consolidato sull’istanza il silenzio-assenso. A fronte dell’inutile decorso del termine, l’amministrazione, ritenendo mancanti i presupposti per il rilascio dell’autorizzazione, non avrebbe potuto considerare quest’ultima come inesistente, ma avrebbe dovuto dar corso all’unico rimedio legittimamente esperibile consistente nel suo annullamento d’ufficio in via di autotutela.
[b][color=red]V. Possono assorbirsi tutti gli altri motivi, in quanto i profili di illegittimità accertati garantiscono alle società istanti il conseguimento della massima utilità sostanziale. Ai fini conformativi, occorre rimarcare i vincoli discendenti dai recenti sviluppi legislativi. Questo stesso Tribunale (Sez. I, 10 ottobre 2013, n. 2271) ha chiarito in quali termini le recenti innovazioni normative (nella specie, l’art. 11, comma 1, lett. e del D.lgs. n. 59 del 2010, nonché l’art. 34, comma 3, lett. a del D.lgs. 201/2011) subordinano, oramai, la legittimità degli atti di pianificazione urbanistica, che dispongono limiti o restrizioni all’insediamento di nuove attività economiche in determinati ambiti territoriali, ad uno scrutinio molto più penetrante di quello che si riteneva essere consentito in passato; e ciò per verificare, attraverso un’analisi degli atti preparatori e delle concrete circostanze di fatto che a tali atti fanno da sfondo, se effettivamente i divieti imposti possano ritenersi correlati e proporzionati a effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio sotto il profilo della viabilità, della necessaria dotazione di standard o di altre opere pubbliche; dovendosi, in caso contrario, reputare che le limitazioni in parola non siano riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e siano, perciò, illegittime (sul punto si veda la sentenza 15/3/2013 n. 38 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato la illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 31 del D.L. 201 del 2011 dell’art. 5, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e dell'art. 6 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 marzo 2012, n. 7, perché con essi veniva precluso l’esercizio del commercio al dettaglio in aree a destinazione artigianale e industriale, in assenza di plausibili esigenze di tutela ambientale che potessero giustificare il divieto).[/color][/b]
VI. Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (sez. I), definitivamente pronunciando:
- accoglie i ricorsi e, per l’effetto, annulla i provvedimenti in epigrafe nei termini di cui in motivazione;
- condanna l’amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite in favore delle ricorrenti che liquida in € 8.800,00, oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Mariuzzo, Presidente
Dario Simeoli, Primo Referendario, Estensore
Roberto Lombardi, Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)