Data: 2015-02-28 21:48:05

Anticorruzione - AG/07/15/AP - accordo tra pubbliche amministrazioni

[b]Anticorruzione - AG/07/15/AP - accordo tra pubbliche amministrazioni[/b]

AREXPO s.p.a.
AG/07/15/AP
18/02/2015

In esito alla richiesta di parere formulata con Vs nota acquisita al prot. n. 9115 del 29 gennaio 2015 e successiva integrazione documentale pervenuta in pari data, prot. n. 9123, si rappresenta che nell’adunanza del 18 febbraio u.s. il Consiglio dell’Autorità ha approvato le seguenti considerazioni.

Nell’ambito degli interventi necessari per la realizzazione dell’Expo 2015, il Comune di Milano, in data 17/10/2008, ha promosso un Accordo di programma ex art. 34 d.lgs. 267/2000 (Tuel) «finalizzato a consentire la realizzazione dell’esposizione universale 2015, anche attraverso la definizione di un’idonea disciplina urbanistica e la riqualificazione dell’area successivamente allo svolgimento dell’evento», al quale hanno aderito la Regione Lombardia, la Provincia di Milano, il Comune di Rho, Poste Italiane s.p.a. ed Expo 2015 s.p.a.
Successivamente l’art. 7, comma 11, L.R. Lombardia n. 13/2010, al fine agevolare l’acquisizione delle aree del sito Expo Milano 2015 per la tempestiva realizzazione delle opere necessarie e contribuire alla loro valorizzazione dopo la chiusura dell’evento, ha autorizzato la Giunta regionale a promuovere, con il coinvolgimento di altri soggetti interessati, la costituzione di una società per azioni.
In data 16/04/2011 il Comitato per l’Accordo di programma, sopra citato, ha disposto la costituzione di una società con partecipazione pubblica maggioritaria, con possibilità per i proprietari delle aree interessate dall’evento espositivo, di diventare azionisti mediante conferimento di aree.
In data 01/06/2011 è stata, quindi, costituita la società Arexpo s.p.a., attualmente partecipata dai seguenti soggetti: Regione Lombardia (34,67% del capitale), Comune di Milano (34,67% del capitale), Fondazione Fiera di Milano (27,66% del capitale), Provincia di Milano (2,00% del capitale), Comune di Rho (1,00% del capitale).
Ai sensi dell’art. 3.1. dello Statuto, la società ha ad oggetto le seguenti attività:

l’acquisizione delle aree del sito espositivo Expo 2015 dai soggetti privati e pubblici, anche a mezzo di atti di conferimento;
la messa a disposizione di dette aree alla società Expo 2015 S.p.A. per gli interventi di progettazione e realizzazione della manifestazione espositiva, attraverso la costituzione di un diritto di uso o di superficie o di altro diritto che comunque garantisca le finalità per le quali la messa a disposizione è realizzata;
il monitoraggio, unitamente alla società Expo 2015 S.p.A., del processo di infrastrutturazione e trasformazione dell’area per assicurare la valorizzazione e la riqualificazione dell’area medesima anche nella fase post-Expo;
il coordinamento, anche attraverso le competenze tecniche dei Soci, del processo di sviluppo del piano urbanistico dell’area, relativamente alla fase post-Expo, tenendo conto della disciplina urbanistica e del mix funzionale definito dalla variante urbanistica approvata mediante l’Accordo di Programma;
la valorizzazione e la riqualificazione del sito espositivo, mediante la gestione e il coordinamento di tutte le fasi successive all’Expo, anche attraverso la possibile alienazione, mediante procedura ad evidenza pubblica, del compendio immobiliare di proprietà della Società nella fase post-Expo;
l’elaborazione della progettazione urbanistica dell’intervento post Expo, curando la formazione del programma integrato di intervento, sia in relazione alle aree di sviluppo a destinazione residenziale/direzionale/commerciale, sia in relazione alle aree di intervento pubblico.
In data 27/08/2014 la società richiedente ha pubblicato il bando di gara «per l’alienazione, ai fini della realizzazione di un programma di riqualificazione urbanistica, dell'area del sito Expo 2015 - successivamente alla conclusione dell'esposizione universale - con obbligo di realizzare il progetto di riqualificazione offerto»; tale gara è andata deserta.
Conseguentemente l’assemblea dei soci, in data 14/12/2014, ha deciso di conferire un incarico di ricerca scientifica all’Università Statale di Milano ed al Politecnico di Milano, al fine di acquisire una metodologia di indagine utile alla successiva valutazione delle modalità di riuso del sito.
L’incarico, avente ad oggetto «metodologie di ricerca e analisi dei potenziali di riuso nei processi di riqualificazione dell’area Expo 2015 dopo l’Esposizione Universale», ha come finalità il raggiungimento di tre macro-obiettivi: 1. Individuare punti di forza e criticità dei potenziali delle funzioni localizzabili nell’area di interesse in forme integrate e complementari; 2. Costruire scenari a partire da una strategia condivisa delle azioni da intraprendere con attori pubblici e privati potenzialmente attivabili nel successivo processo di riqualificazione; 3. Inquadrare le più efficaci linee di riuso dell’area transitoria (fast-post) oltre che per la fase finale (post-Expo) nei molteplici profili integrati: urbanistico, economico-tecnologico, ambientale e processuale.
Per lo svolgimento di tale incarico la società Arexpo s.p.a. intende versare a ciascun Ateneo un contributo non superiore a 90.000 euro, a titolo di rimborso dei costi sostenuti, previa rendicontazione, mentre gli Atenei contribuirebbero a titolo di co-finanziamento nella percentuale del 25% dei predetti costi. La società usufruirebbe, in tal modo, dell’ausilio degli Atenei, nella loro funzione scientifica e super partes, che corrisponde al ruolo di studio e di ricerca che li connota giuridicamente e li distingue dai prestatori di servizi professionali.
Per tali motivazioni la società chiede a questa Autorità se la cooperazione da porre in essere con i suddetti Atenei, possa essere ricondotta nell’alveo degli accordi tra amministrazioni pubbliche di cui all’art. 15 della citata l. 241/1990, restando così sottratta all’obbligo di espletare le procedure ad evidenza pubblica contemplate nel d.lgs. 163/2006.
Unitamente alla richiesta di parere, la società ha, altresì, trasmesso lo “schema tipo di convenzione di ricerca finanziata” e lo “schema di contratto di ricerca”.
* * *
Al fine di rendere il richiesto parere, sembra opportuno evidenziare, in via preliminare, che ai sensi dell’art. 15 (“accordi tra amministrazioni”), comma 1, della l. 241/1990 «anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune».
La norma è stata oggetto di interventi interpretativi da parte di questa Autorità, tra i quali in particolare la determinazione n. 7 del 21 ottobre 2010 (Questioni interpretative concernenti la disciplina dell’articolo 34 del d.lgs. 163/2006 relativa ai soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici).
In tale pronuncia l’Autorità ha in primo luogo affermato – anche sulla base delle considerazioni espresse dal giudice comunitario nella sentenza del 23 dicembre 2009, causa C-305/08 - che le Università possono operare sul mercato alla stregua degli altri operatori economici, atteso che l’art. 7, co. 1, lett. c), della l. 168/1989, include, tra le entrate degli Atenei, anche i corrispettivi di contratti e convenzioni, ed inoltre l’art. 66, del d.p.r. 382/1980 prevede che le Università possono eseguire attività di ricerca e consulenza, mediante contratti e convenzioni con enti pubblici e privati, con l’unico limite della compatibilità delle suddette attività con lo svolgimento della funzione scientifica e didattica.
In secondo luogo, in ordine alla disposizione dell’art. 15 della l. 241/1990, l’Autorità ha sottolineato che la norma prefigura un modello convenzionale attraverso il quale le pubbliche amministrazioni coordinano l’esercizio di funzioni proprie in vista del conseguimento di un risultato comune in modo complementare e sinergico, ossia in forma di reciproca collaborazione, in maniera gratuita e nell’obiettivo comune di fornire servizi indistintamente a favore della collettività.
Sulla base delle indicazioni del giudice comunitario in materia (Corte di Giustizia, sent. Coditel Brabant, 13 novembre 2008, causa C-324/07 e sent. del 9 giugno 2009, causa C-480/06), l’Autorità ha quindi precisato i limiti del ricorso a tali accordi tra pubbliche amministrazioni, chiarendo che:

l’accordo deve regolare la realizzazione di un interesse pubblico, effettivamente comune ai partecipanti, che le parti hanno l’obbligo di perseguire come compito principale, da valutarsi alla luce delle finalità istituzionali degli enti coinvolti;
alla base dell’accordo deve esserci una reale divisione di compiti e responsabilità;
i movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono l’accordo devono configurarsi solo come ristoro delle spese sostenute, essendo escluso il pagamento di un vero e proprio corrispettivo, comprensivo di un margine di guadagno;
il ricorso all’accordo non può interferire con il perseguimento dell’obiettivo principale delle norme comunitarie in tema di appalti pubblici, ossia la libera circolazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza non falsata negli Stati membri. Pertanto, la collaborazione tra amministrazioni non può trasformarsi in una costruzione di puro artificio diretta ad eludere le norme menzionate e gli atti che approvano l’accordo, nella motivazione, devono dar conto di quanto su esposto.
Anche la giurisprudenza è intervenuta con importanti pronunce in tema di accordi tra amministrazioni pubbliche ai sensi dell’art. 15 l. 241/1990, indagando (tra l’altro) sulla possibilità di ricondurre in tale istituto, l’affidamento di incarichi di ricerca e di studio alle Università da parte di pubbliche amministrazioni.
Tra le varie pronunce, si segnala, anche per le affinità con il caso in esame, l’ordinanza della Corte di Giustizia UE del 16 maggio 2013, causa C-564/11, emessa in ordine alla domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 267 TFUE, proposta dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 5207/2011. In tale pronuncia il giudice comunitario, intervenuto sull’istituto in esame, ha affermato che:
1) l’affidamento senza gara da parte di un’amministrazione aggiudicatrice di un contratto, contrasta con le norme ed i principi sull’evidenza pubblica comunitaria quando ha ad oggetto servizi i quali, pur riconducibili ad attività di ricerca scientifica, «ricadono, secondo la loro natura effettiva, nell’ambito dei servizi di ricerca e sviluppo di cui all’allegato II A, categoria 8, della direttiva 2004/18, oppure nell’ambito dei servizi d’urbanistica e dei servizi affini di consulenza scientifica e tecnica indicati nella categoria 12 di tale allegato» (punto 29); 2) non sussiste, per contro, l’obbligo della gara in caso di «contratti che istituiscono una cooperazione tra enti pubblici finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi” (punto 35); 3) questa ipotesi è configurabile quando dette forme di cooperazione rispettino le seguenti condizioni: «siano stipulati esclusivamente tra enti pubblici, senza la partecipazione di una parte privata, che nessun prestatore privato sia posto in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti, e che la cooperazione da essi istituita sia retta unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico» (punto 36).
Sulla base di tali principi, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3130 del 23/06/2014 - emessa in ordine alla controversia tra la Consulta Regionale dell’Ordine degli Ingegneri della Lombardia, il Comune di Pavia e l’Università di Pavia, per l’attribuzione a quest’ultima di un incarico di studio e consulenza tecnico-scientifica per la redazione del Piano di Governo del Territorio comunale - ha quindi chiarito che le direttive sugli appalti devono essere applicate sulla base di un approccio funzionale, e cioè in modo coerente con gli obiettivi ad esse sottesi, i quali consistono nell’imporre alle amministrazioni il rispetto della concorrenza, laddove debba affidare attività economicamente contendibili e, conseguentemente, nell’escludere l’operatività di detti imperativi quando non vi siano rischi di distorsioni del mercato interno, giacché in questo caso vi sarebbe un’eccedenza dei mezzi rispetto agli scopi anzidetti.
Visti nel prisma del diritto europeo, dunque, gli accordi tra PA sono necessariamente quelli aventi la finalità di disciplinare attività non deducibili in contratti di diritto privato, perché non inquadrabili in alcuna delle categorie di prestazioni elencate nell’allegato II-A alla direttiva appalti 2004/18/CE; il contenuto e la funzione elettiva di tali accordi è, pertanto, quella di regolare le rispettive attività funzionali, purché di nessuna di queste possa appropriarsi uno degli enti stipulanti. Pertanto, qualora un’amministrazione si ponga rispetto all’accordo come operatore economico (ai sensi di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 23 dicembre 2009, in C 305/08), prestatore di servizi ex All. II-A e verso un corrispettivo, anche non implicante il riconoscimento di un utile economico ma solo il rimborso dei costi, non è possibile parlare di una cooperazione tra enti pubblici per il perseguimento di funzioni di servizio pubblico comune, ma di uno scambio tra i medesimi.
Negli accordi tra amministrazioni pubbliche ex art. 15 l. 241/1990, dunque, assume rilievo la posizione di equiordinazione tra le stesse, al fine di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune e non di comporre un conflitto di interessi di carattere patrimoniale; occorre, in sostanza, una “sinergica convergenza” su attività di interesse comune, pur nella diversità del fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione.
Tale convergenza difetta nel caso in cui il contratto sia inquadrabile nel paradigma generale previsto dall’art. 1321 cod. civ., essendo caratterizzato dalla patrimonialità del rapporto giuridico con esso costituito e disciplinato, a causa della riconducibilità delle prestazioni demandate all’Università di servizi che - pur riconducibili in astratto alla istituzionale funzione di ricerca scientifica e consulenza delle Università, ai sensi dell’art. 66 d.p.r. n. 382/1980 - sono annoverabili tra le attività di cui all’allegato II-A alla direttiva 2004/18 e sono destinate ad essere fatte proprie dall’Amministrazione affidante, in quanto strumentali rispetto ai compiti demandati dall’ordinamento a tali amministrazioni, con acquisizione di una utilitas in via diretta delle stesse. Il tutto secondo la logica dello scambio economico suggellata dalla previsione di un corrispettivo, calcolato secondo il criterio del costo necessario alla produzione del servizio e dunque in perfetta aderenza allo schema tipico dei contratti di diritto comune ex art. 1321 cod. civ.
Sulla base di tali principi il Consiglio di Stato ha escluso la configurabilità di un accordo ex art. 15 l. 241/1990, in ordine all’affidamento all’Università di Pavia dell’incarico di ricerca e studio per la redazione del Piano di Governo del Territorio da parte del comune di Pavia.

Analoghi principi sono stati espressi dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 19 dicembre 2012, causa C-159/11, resa in ordine alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta con ordinanza n. 966/2011 dal Consiglio di Stato, in ordine al contenzioso tra Ordine degli ingegneri della Provincia di Lecce, Asl di Lecce e Università del Salento, per l’affidamento a quest’ultima di un incarico di studio e valutazione della vulnerabilità sismica delle strutture ospedaliere della Provincia di Lecce.
Anche in tal caso il Supremo consesso di giustizia amministrativa, con sentenza n. 3849 del 15 luglio 2013, e con analoghe motivazioni rispetto alla decisione n. 3130/2014 sopra richiamata, ha escluso la sussistenza dei presupposti legittimanti il ricorso agli accordi tra amministrazioni pubbliche ai sensi dell’art. 15 l. 241/1990, ove il contratto non contenga una disciplina di attività comuni agli enti, ma componga un contrasto di interessi tra l’Università che, grazie all’attività scientifica istituzionalmente svolta, offre prestazioni di ricerca e consulenza deducibili in contratti di appalto pubblico di servizi e l’ente che, conformandosi a precetti normativi, domanda tali prestazioni, in quanto strumentali allo svolgimento dei propri compiti di interesse pubblico. Tanto più ove sia previsto uno scambio economico, ossia la previsione di un corrispettivo, calcolato secondo il criterio del costo necessario alla produzione del servizio. Anche in tal caso è configurabile lo schema tipico dei contratti di diritto comune ex art. 1321 cod. civ., escludendo quindi che l’accordo dia luogo ad una cooperazione tra enti pubblici finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi. L’Università, infatti, si pone rispetto all’ente nella veste di operatore economico privato, in grado di offrire al mercato servizi rientranti in quelli previsti nell’allegato II-A alla direttiva 2004/18.
Sulla base di tali considerazioni il giudice amministrativo ha escluso, anche per tale fattispecie, la riconducibilità della stessa nell’alveo degli accordi tra PA ai sensi della disposizione normativa in esame.

* * *
Sulla base delle considerazioni che precedono, appare evidente che la disapplicazione delle disposizioni del d.lgs. 163/2006, nell’ambito degli accordi di cui all’art. 15 della l. n. 241/1990, è consentita esclusivamente nei casi in cui sussistano le condizioni ed i presupposti indicati dal giudice amministrativo e comunitario e da questa Autorità, come sopra illustrato.
Tali stringenti presupposti non sembrano sussistere nel caso sottoposto all’attenzione dell’Autorità dalla società Arexpo s.p.a. per le seguenti motivazioni.

In via preliminare e con riferimento al profilo soggettivo, si ritiene che Arexpo s.p.a. non possa essere assimilata ad una pubblica amministrazione, ai fini del ricorso all’istituto di cui all’art. 15 della l. 241/1990. Ciò in quanto, al capitale sociale della stessa Arexpo s.p.a., come evidenziato nella richiesta di parere, partecipano oltre a soggetti pubblici (Regione Lombardia 34,67%, Comune di Milano 34,67%, Provincia di Milano 2,00%, Comune di Rho 1,00%) anche una fondazione di diritto privato, la Fondazione Fiera di Milano con una quota pari al 27,66% del capitale sociale.
Tale Fondazione, come appreso dal sito internet e dallo Statuto [con nomina del Presidente da parte del Consiglio regionale ex art. 2 legge regionale n. 6/1999, partecipazione al Consiglio generale di membri di designazione sia pubblica sia privata (designati da organizzazioni associative di categoria), vigilanza rimessa alla Regione] - svolge funzioni di interesse generale senza fini di lucro, favorendo e promuovendo, in Italia e all'estero, l'organizzazione di manifestazioni fieristiche; è proprietaria di tutti gli asset fieristici e congressuali del Gruppo Fiera Milano (il quartiere espositivo di Fieramilano, le strutture alberghiere e quelle direzionali a Rho-Pero, il MiCo-Milano Congressi); svolge anche funzioni a carattere imprenditoriale volte all’organizzazione dell’attività fieristica e congressuale attraverso Fiera Milano S.p.a., della quale detiene il controllo attraverso la maggioranza assoluta. La Fondazione detiene, altresì, partecipazioni in altre società.
Inoltre, le azioni di Arexpo s.p.a., ai sensi dell’art. 9.2 dello Statuto (ancorché con i limiti temporali di cui all’art. 9.1) sono liberamente trasferibili, dunque possono acquisire quote azionarie anche soggetti privati.
Le caratteristiche in breve illustrate, sembrano quindi escludere l’assimilabilità di Arexpo s.p.a. alle pubbliche amministrazioni ai fini dell’applicazione del citato art. 15 della l. 241/1990.

Sotto altro profilo, con riferimento all’oggetto dell’accordo, si evidenzia che dall’esame dello schema di convenzione trasmesso dalla richiedente, emerge che le parti non intendono svolgere un’attività che risponde ad un interesse comune, ripartendo i relativi compiti, ma la convenzione prevede esclusivamente a carico degli Atenei interessati lo svolgimento dell’incarico di ricerca e studio.
Emerge, quindi, che attraverso tale accordo – come pure sottolineato nella richiesta di parere - la società Arexpo s.p.a intende avvalersi dell’ausilio e delle competenze dell’Università per l’acquisizione di un servizio di proprio esclusivo interesse.
L’incarico di ricerca e studio consiste, infatti, nell’elaborazione di «metodologie di ricerca e analisi dei potenziali di riuso nei processi di riqualificazione dell’area Expo 2015 dopo l’Esposizione Universale», con finalità di individuare, in favore della società richiedente, (anche) «le più efficaci linee di riuso dell’area transitoria (fast-post) oltre che per la fase finale (post-Expo) nei molteplici profili integrati: urbanistico, economico-tecnologico, ambientale e processuale».
E’ dunque evidente che l’incarico è svolto nell’interesse della società, escludendo quindi, in tale caso, una posizione di equiordinazione tra le parti, al fine di coordinare i rispettivi ambiti di intervento e quindi, la “sinergica convergenza” su attività di interesse comune, richiesta dal giudice comunitario in simili circostanze.

A ciò si aggiunga che la previsione di un corrispettivo, ancorché in termini di rimborso dei costi sostenuti dagli Atenei per lo svolgimento dell’attività di ricerca, previa rendicontazione, esclude in radice la configurabilità dell’accordo ex art. 15 l. 241/1990.
Come chiarito dalla giurisprudenza più recente sopra richiamata, infatti, la presenza di un corrispettivo è da considerarsi quale elemento sintomatico della qualificazione dell’accordo alla stregua di appalto pubblico, da assoggettare alla relativa disciplina secondo le prescrizioni del codice degli appalti.

Infine, occorre sottolineare che l’oggetto dell’incarico di ricerca e studio da affidare agli Atenei, costituisce un servizio che - pur riconducibile in astratto alla funzione istituzionale di ricerca e consulenza delle Università ex art. 66 d.p.r. n. 382/1980 - è annoverabile tra i servizi di cui all’allegato II-A del d.lgs. 163/2006, ed in particolare: “servizi di ricerca e sviluppo” (cat. 8) o “servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria, anche integrata; servizi attinenti all'urbanistica e alla paesaggistica; servizi affini di consulenza scientifica e tecnica; servizi di sperimentazione tecnica e analisi” (cat. 12).
Tali servizi devono essere affidati con le procedure ad evidenza pubblica contemplate nel d.lgs. 163/2006, in quanto destinati ad essere fatti propri dalla società affidante, con acquisizione di una utilitas in via diretta della stessa e, dunque, a formare oggetto di un rapporto contrattuale con un operatore economico.
* * *
Alla luce di tutto quanto sopra, si ritiene che non siano configurabili nel caso di specie i presupposti legittimanti il ricorso all’accordo tra pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 15 della l. 241/1990, come individuati dall’Autorità nella determinazione n. 7/2010 e dalla giurisprudenza amministrativa e comunitaria sopra richiamata.

Raffaele Cantone

http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/AttiDellAutorita/_Atto?ca=6041

riferimento id:25001
vuoi interagire con la community? vai al NUOVO FORUM - community.omniavis.it