Riporto una recente e interessante sentenza del TAR di Milano che ha ritenuto legittima l'ordinanza del Comune che ha sanzionato un bar "autorizzato" alla somministrazione di bevande ed alimenti freddi per aver somministrato anche cibi caldi.
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La Sentenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 515 del 2012, proposto da:
Valsar s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Massimiliano Lavia, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Via Marcantonio Colonna, 43
contro
Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Rita Surano, Ruggero Meroni e Anna Maria Pavin, domiciliato in Milano, Via Andreani, 10
per l'annullamento
del provvedimento di sospensione dell’autorizzazione di pubblico esercizio (notificato in data 13.1.2012), emesso dal direttore centrale del settore attività produttive del Comune di Milano per violazione dell’art. 69, comma 10 della legge regionale 6/2010 e dell’art. 6, comma 3 del D.lgs. 193/2007, nonché del presupposto rapporto della Direzione centrale Polizia locale del 21.8.2011.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2015 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso ritualmente proposto la società Valsar s.r.l., titolare dell’autorizzazione n. 5293 del 25.1.2011 alla somministrazione di alimenti e bevande e gestore del bar sito in Milano alla Via Pattari, 1/3, ha impugnato, chiedendone l’annullamento, il provvedimento di sospensione dell’autorizzazione di pubblico esercizio (notificato in data 13.1.2012), emesso dal direttore centrale del settore attività produttive del Comune di Milano per violazione dell’art. 69, comma 10 della legge regionale 6/2010 e dell’art. 6, comma 3 del D.lgs. 193/2007, nonché il presupposto rapporto della Direzione centrale Polizia locale del 21.8.2011.
A fondamento dell’impugnazione la società ricorrente ha preliminarmente dedotto che nella specie non sussisterebbe la giurisdizione del Giudice Amministrativo, indicata in calce al provvedimento ai sensi dell’art. 3, comma 4 della legge 241/1990, censurando la legittimità dell’impugnato provvedimento per:
1°) incompetenza del Comune di Milano ad accertare violazioni della normativa igienico-sanitaria;
2°) insussistenza di reiterazione degli ascritti illeciti e violazione dell’art. 8 bis della legge 689/1981;
3°) tardiva emissione del provvedimento;
4°) difetto di motivazione;
5°) violazione dell’art. 20, comma 2 della legge 689/1981.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione (30.3.2012), la quale ha opposto che “il provvedimento impugnato costituisce applicazione degli artt. 9 e 10 del TULPS” (cfr. pag. 3); che “nel caso in questione, l’inosservanza reiterata da parte della ricorrente delle prescrizioni (sanitarie) dettate dall’Amministrazione per l’esercizio dell’attività ha configurato un evidente abuso del titolo autorizzatorio e ciò ha giustificato l’ordine di sospensione” (cfr. pag. 4); che “alla ricorrente viene contestata la stessa infrazione per ben 3 volte nel corso di un anno” (cfr. pag. 6).
Con ordinanza n. 509 del 5.4.2012 la Sezione ha respinto la domanda cautelare, con la seguente motivazione: “ritenuto che la domanda di annullamento del provvedimento impugnato ad una prima sommaria delibazione non appare assistita dal necessario fumus boni iuris, in quanto la licenza di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è qualificabile come autorizzazione di polizia e, in quanto tale, è soggetta alle misure di sospensione o revoca previste in generale dall'art. 10, t.u.l.p.s. in caso di abuso (T.A.R. Campania - Napoli sez. III, 12 aprile 2011, n. 2102); (…) che, stante l’avvenuto superamento della data in cui la sanzione della sospensione per giorni 1 doveva essere eseguita, non sussiste il pericolo di danno grave ed irreparabile lamentato”.
In vista dell’udienza di discussione nel merito, fissata per il 14.1.2015, le parti hanno depositato le rispettive memorie, ribadendo le medesime argomentazioni svolte nei precedenti scritti, e, a tale udienza, la causa è stata trattenuta per la decisione.
Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
Preliminarmente, occorre rilevare che sussiste, nella fattispecie, la giurisdizione del Giudice Amministrativo.
A quest’ultimo vanno, infatti, devolute le controversie in materia di sanzioni di tipo ripristinatorio o restitutorio o interdittivo, destinate, cioè, a salvaguardare il medesimo interesse pubblico al cui soddisfacimento è preordinata la funzione amministrativa assistita dalla sanzione concretamente applicata.
Nel preambolo dell’impugnato provvedimento, in particolare, sono stati richiamati l’art. 9 (“oltre le condizioni stabilite dalla legge, chiunque ottenga un’autorizzazione di polizia deve osservare le prescrizioni, che l’autorità di pubblica sicurezza ritenga di imporgli nel pubblico interesse”) e l’art. 10 (“le autorizzazioni di polizia possono essere revocate o sospese in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata”) del R.D. 773/1931.
Nella specie è invero inequivoca, in ragione dell’esercizio del potere amministrativo da parte del Comune di Milano, la natura provvedimentale dell’emessa sospensione dell’autorizzazione, per cui è, di riflesso, palese che la situazione giuridica soggettiva riconoscibile in capo alla ricorrente ha consistenza di interesse legittimo; deve, conseguentemente, respingersi l’assunto secondo cui sussisterebbe la giurisdizione del Giudice ordinario, all’opposto ascrivibile alle controversie in materia di sanzioni amministrative, di carattere punitivo e/o afflittivo, volte a garantire soltanto il rispetto della norma violata posta a tutela dell’interesse pubblico, come quelle consistenti nel pagamento di una somma di denaro, nei cui confronti la posizione giuridica del privato ha natura di diritto soggettivo.
Del resto, con la sentenza n. 204 del 6 luglio 2004 la Corte Costituzionale, nell’interpretare gli artt. 33 e 34 del D.lgs. 80/1998, ha espressamente fatto salva la competenza del Giudice Ordinario nel caso in cui (come, ad esempio, per le ordinanze ingiunzioni di cui all’art. 22 della legge 689/1981) “la pubblica Amministrazione non esercita – nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici – alcun pubblico potere”.
Nel merito, tutti i motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
È pacifico, anzitutto, che l’autorizzazione alla somministrazione, finalizzata alla gestione di un bar/tavola fredda, non consentiva la preparazione di pasti caldi, come invece è stato ripetutamente accertato dagli agenti di polizia locale in occasione di tutti i sopralluoghi (10.2.2011; 3.8.2011 e 21.8.2011); dette reiterate infrazioni hanno conseguentemente condotto all’emissione del provvedimento impugnato in applicazione della norma di carattere riassuntivo di cui all’art. 69, comma 10 della legge regionale 6/2010 (in cui è previsto che “le attività di somministrazione di alimenti e bevande devono essere esercitate nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e igienico-sanitaria, nonché di quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici, fatta salva l’irrogazione delle sanzioni relative alle norme e prescrizioni violate”), che perfettamente si raccorda alla vista disciplina prevista dall’art. 9 del R.D. 773/1931.
Nella specie l’Amministrazione comunale – competente a provvedere in virtù del principio del contrarius actus – ha, dunque, legittimamente disposto la sospensione dell’efficacia del titolo che aveva precedentemente rilasciato, peraltro dopo aver diffidato la ricorrente, in data 28.6.2011, dal persistere nelle violazioni in questione, tuttavia riscontrate per ben due volte.
Come ha statuito la giurisprudenza, “il provvedimento di sospensione (…) ai sensi dell’art. 10 T.U.L.P.S., è finalizzato a prevenire abusi dell’autorizzazione di polizia”, presentando “un’evidente scopo cautelare, nell’attesa di approfondimento e certezza sui fatti, onde prevenire la commissione di abusi del titolo” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 11 ottobre 2013, n. 4983).
L’illustrata finalità del provvedimento in oggetto conferma la limitatezza della qualificazione della disposta sospensione quale mera sanzione amministrativa, il che determina l’infondatezza dei motivi di impugnazione (secondo e quinto) incentrati sulla violazione delle disposizioni della legge 689/1981.
Non è, peraltro, risolutivo il richiamo alla disciplina di cui all’art. 80 della legge regionale 6/2010, in cui si prevede l’applicazione di sanzioni nei confronti di “chiunque eserciti l’attività di somministrazione di alimenti e bevande senza la prescritta autorizzazione o altro titolo abilitativo o, quando sia stato emesso un provvedimento di inibizione o di divieto di prosecuzione dell’attività ed il titolare non vi abbia ottemperato, ovvero quando il titolo autorizzatorio o abilitativo sia sospeso o decaduto, ovvero senza i requisiti di cui agli articoli 65 e 66”, con rinvio all’art. 17 bis, comma 1 del R.D. 773/1931 (ovvero l’art. 17 bis, comma 3 per tutte le ulteriori violazioni previste dal testo unico sul commercio).
Tale disciplina, infatti, non avrebbe potuto comportare per l’Amministrazione alcuna preclusione per contestare alla società Valsar s.r.l. la violazione degli artt. 9 e 10 del medesimo TULPS e, quindi, disporre la sospensione dell’attività.
Non può, infine, trovare accoglimento neppure la censura relativa all’individuazione del giorno in cui sarebbe dovuta avvenire l’ottemperanza all’emesso provvedimento (13.3.2012), e ciò, a dire della ricorrente, in quanto “il giorno di sospensione (…) ricada entro il periodo di 60 giorni (…) entro il quale è ancora possibile effettuare il ricorso” (cfr. pag. 13).
Nel nostro ordinamento non esiste, infatti, alcuna disposizione che imponga l’obbligo di differire l’efficacia di un provvedimento amministrativo a un momento successivo al decorso del termine per l’impugnazione giurisdizionale, piuttosto rinvenendosi nell’art. 1 della legge 241/1990 (“l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza”) un’espressa e solida base normativa per l’affermazione, all’opposto, del principio di speditezza cui si è informata l’azione del Comune di Milano.
In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono quantificate – facendo applicazione dei parametri previsti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55 – in €. 2.500,00, oltre accessori, che il ricorrente dovrà corrispondere al Ministero dell’Interno.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in €. 2.500,00, oltre accessori, in favore del Comune di Milano.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Mariuzzo, Presidente
Roberto Lombardi, Referendario
Angelo Fanizza, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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