MOBBING nella PA - analisi nella sent. 4/2/2015 n. 549 del Consiglio di Stato
[color=red]CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III – sentenza 4 febbraio 2015 n. 549[/color]
N. 00549/2015REG.PROV.COLL.
N. 04355/2010 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4355 del 2010, proposto da:
Starace Massimo, rappresentato e difeso dagli avv. Romeo Russo, Piero Coluccia, Maria Antonella Tondo, Andrea De Vivo, con domicilio eletto presso Andrea De Vivo in Roma, Via E.Q. Visconti 20;
contro
Ministero dell'Interno, Questura di Lecce, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE III n. 00791/2009, resa tra le parti, concernente risarcimento dei danni per mobbing;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura di Lecce;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura di Lecce;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 gennaio 2015 il Cons. Carlo Deodato e uditi per le parti gli avvocati Russo per sé e su delega dichiarata di Coluccia, di De Vivo e di Tondo e dello Stato A. Soldani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, respingeva il ricorso proposto dal Sig. Massimo Starace, dipendente della Polizia di Stato dal 1983 al 2000 (quando è stato dispensato dal servizio per sopravvenuta inabilità fisica), al fine di ottenere l’accertamento del pregiudizio subito per effetto di una serie di condotte asseritamente illecite tenute dai suoi superiori e la condanna del Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni patiti a causa della denunciata attività di mobbing.
Avverso la predetta decisione proponeva appello lo Starace, contestandone la correttezza, insistendo nel sostenere la fondatezza del ricorso di primo grado e concludendo per l’accoglimento di quest’ultimo, in riforma della statuizione impugnata.
Resisteva il Ministero dell’Interno, eccependo l’inammissibilità del’appello e rilevandone, comunque, l’infondatezza.
Il ricorso veniva trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 29 gennaio 2015.
DIRITTO
1.- Deve preliminarmente disattendersi l’eccezione pregiudiziale di irricevibilità dell’appello, formulata dal Ministero appellato, siccome asseritamente notificato oltre il termine breve di decadenza, decorrente dalla notificazione al ricorrente della sentenza appellata.
Non risulta, infatti, configurabile, nella fattispecie, la fattispecie del termine breve per la proposizione dell’appello, atteso che la notificazione della sentenza risulta invalidamente eseguita in un domicilio diverso da quello eletto dal ricorrente nella procura a margine del ricorso di primo grado, con la duplice conseguenza della nullità della predetta notifica e della tempestività della proposizione dell’appello (entro il termine lungo previsto per la sua notifica).
2.- Nel merito e’ controversa la configurabilità, negli atti e nei comportamenti denunciati a fondamento dell’azione proposta dallo Starace come illeciti e lesivi della sua posizione lavorativa, degli estremi (soggettivi e oggettivi) della responsabilità per mobbing dell’Amministrazione di pubblica sicurezza.
I giudici di prima istanza hanno escluso qualsivoglia profilo di illiceità nella condotta tenuta dai superiori del ricorrente e hanno, quindi, negato la fondatezza della pretesa risarcitoria formulata dallo stesso.
L’appellante critica tale statuizione e insiste nel sostenere che il complesso degli atti e dei comportamenti indicati come lesivi rivela il carattere vessatorio e persecutorio della condotta dell’Amministrazione e fonda, quindi, la richiesta risarcitoria disattesa con la decisione gravata.
3.- L’appello è infondato, alla stregua delle considerazioni di seguito esposte, e va respinto.
3.1- Deve, innanzitutto, chiarirsi che il ricorrente non impugna, con il ricorso in esame, specifici provvedimenti, ma si duole di un prolungato atteggiamento ostile da parte dell’Amministrazione, che si è risolto in una sua sostanziale emarginazione dalla vita attiva dell’Amministrazione di pubblica sicurezza o, comunque, in un suo arbitrario e ingiustificato demansionamento, e domanda, quale conseguenza dell’accertamento della denunciata azione di mobbing, la condanna del Ministero dell’interno al risarcimento dei danni sofferti.
3.2- Così decifrata l’azione proposta dallo Starace, occorre procedere ad una sintetica ricognizione dei principi affermati da una giurisprudenza ormai univoca e consolidata (dalla quale non si ravvisano ragioni per discostarsi) sugli elementi costitutivi dell’azione di mobbing, onde verificare se risultano rintracciabili nella fattispecie controversa.
[color=red]E’ stato, innanzitutto, rilevato che per mobbing deve intendersi una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica e con l’ulteriore conseguenza che, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati: a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; b) dall'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore; d) dalla prova dell'elemento soggettivo e, cioè, dell'intento persecutorio (Cons. St., sez. IV, 6 agosto 2013, n.4135; sez. VI, 12 marzo 2012, n.1388).[/color]
Si è, poi, ulteriormente precisato che l'azione offensiva posta in essere a danno del lavoratore deve essere sistematica e frequente, deve articolarsi in una serie prolungata di atti e di comportamenti e deve avere le caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione o rivelare intenti meramente emulativi (Cons. St., sez. IV, 19 marzo 2013, n.1609).
[color=blue]Sotto il profilo del rilievo del fattore psicologico del datore di lavoro, è stato, ancora, chiarito che la sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall'accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito e che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing (Cons. St., sez. IV, 16 febbraio 2012, n.815).[/color]
Non sembra inutile – anche per una migliore comprensione dei princìpi di massima enunciati – ricordare che ciascuna delle sentenze ora citate ha conclusivamente giudicato infondate le pretese risarcitorie a titolo di mobbing, avanzate nelle rispettive controversie.
3.3- In coerenza con i predetti principi, anche in questo caso i giudici di prima istanza hanno escluso la configurabilità, nella condotta del Ministero, degli estremi del mobbing, giudicandola, al contrario, rispettosa dei canoni di corretta amministrazione del rapporto di lavoro.
3.4- L’appellante critica la correttezza di tale convincimento e, sulla base di cinque motivi, ribadisce la sussistenza di un’azione di mobbing in suo danno.
3.5- Con un primo ordine di argomentazioni si critica il convincimento dei primi giudici circa la preesistenza della patologia lamentata dal ricorrente (cardiopatia ipertensiva e retinopatia ipertensiva) rispetto al suo trasferimento dalla Squadra Mobile della Questura di Lecce all’Ufficio di Prevenzione Generale Soccorso Pubblico e, quindi, in ordine all’insussistenza di un nesso causale tra il predetto provvedimento e i danni asseritamente sofferti quale sua conseguenza.
[color=red]Rileva, al riguardo, il Collegio che, quand’anche venisse dimostrata la sussistenza di un nesso eziologico tra il trasferimento e le suddette patologie, la relativa prova resterebbe del tutto ininfluente, ai fini della configurabilità della responsabilità risarcitoria ascritta all’Amministrazione, a fronte dell’omessa impugnazione del provvedimento di assegnazione del ricorrente all’Ufficio di Prevenzione Generale Soccorso Pubblico (che è rimasto inoppugnato, che non può più essere sindacato in questa sede e che ha, quindi, consolidato i suoi effetti) e dell’impossibilità di rintracciare, comunque, in esso, indizi di qualsivoglia volontà persecutoria dell’interessato (nella misura in cui, in difetto di allegazioni contrarie, va considerato quale di ordinaria amministrazione del rapporto di lavoro e dell’organizzazione degli uffici della Questura di Lecce).[/color]
3.6- Con il secondo motivo di appello viene, invece, censurata l’accertata inconfigurabilità di un intento vessatorio nell’assegnazione del ricorrente (nel 1998) al secondo piano dell’Ufficio Assistenza ed Attività Sociali.
Anche tale doglianza dev’essere disattesa, sulla base dell’assorbente rilievo che dalla documentazione sanitaria a disposizione dell’Amministrazione al momento dell’assegnazione del ricorrente in un ufficio situato al secondo piano dell’edificio che ospita la Questura di Lecce non emergeva l’incompatibilità di tale collocazione logistica con le condizioni fisiche dell’interessato.
Che in tale contestato ordine di servizio non possano ravvisarsi gli estremi di un intento persecutorio risulta, in particolare, confermato dai seguenti elementi: l’assegnazione al predetto ufficio era stata disposta a tutela dello Starace e, in particolare, al fine di sottrarlo a servizi di ordine pubblico (quelli sì, per lui dannosi); gli accertamenti sanitari eseguiti dalla Direzione Centrale della Sanità in data 16 aprile 1999 avevano escluso qualsiasi pericolosità, per la salute del ricorrente, della controversa collocazione logistica; in seguito all’acquisizione delle diverse valutazioni sanitarie del C.M.O. di Bari, l’interessato veniva trasferito in un ufficio situato al piano terreno.
Dall’analisi della sequenza temporale e delle pertinenti risultanze sanitarie della peculiare vicenda in esame si evince, in definitiva, che la Questura ha trattato la posizione dell’interessato in conformità ai canoni di una corretta amministrazione del rapporto di lavoro e, soprattutto, si deve escludere che l’assegnazione al secondo piano fosse stata (dolosamente) deliberata per nuocere alla salute dello Starace.
3.7- Dev’essere, inoltre, disattesa la censura con cui si assume che i giudici di primo grado avrebbero errato nell’esaminare atomisticamente, e non globalmente (come, invece, avrebbero dovuto), i singoli comportamenti indicati come significativi della denunciata azione di mobbing.
E’ sufficiente, al riguardo, la lettura della motivazione della statuizione appellata per convincersi che, al contrario di quanto dedotto dall’appellante, il T.A.R. ha proceduto ad una completa ed esaustiva disamina del complesso della vicenda controversa, sicchè deve escludersi qualsivoglia profilo di illogicità nell’analisi che ha supportato la pronuncia reiettiva.
3.8- Quanto, ancora, alle deduzioni circa l’erroneità della valutazione della portata delle sentenze del T.A.R. di Lecce (n.4324 e 4325 del 2005) con le quali erano state annullate le sanzioni disciplinari inflitte al ricorrente, basti rilevare che con tali decisioni non è stata negata la sussistenza delle infrazioni contestate allo Starace (e, cioè, l’omessa, ingiustificata presentazione in ufficio), ma è stata esclusa la loro rimproverabilità al ricorrente (a causa delle sue condizioni di salute), con la conseguenza che, nei relativi provvedimenti (ancorchè giudicati illegittimi), non è possibile ravvisare indizi concludenti di un intento vessatorio.
In ordine, invece, al provvedimento di deplorazione adottato con D.M. 13 maggio 1999 nei confronti del ricorrente, è sufficiente rilevare che lo stesso è stato già giudicato immune da vizi di illegittimità dalla sentenza del T.A.R. di Lecce n.4322 del 2005 e che, in ogni caso, la sua adozione non rivela in alcun modo una volontà persecutoria dello Starace, nella misura in cui risulta del tutto giustificato dalla condotta del tutto inappropriata (oltre che significativa di scarso equilibrio) tenuta dall’interessato in occasione della visita del Ministro dell’Interno e del Capo della Polizia a Lecce.
3.9- In merito, da ultimo, alle censure relative al ritiro del tesserino e dell’arma di ordinanza, è sufficiente rilevare che il relativo provvedimento non è stato impugnato e che, anche negli stretti margini di apprezzamento consentiti dalla disamina della domanda risarcitoria avanzata dal ricorrente, la contestata determinazione (non più sindacabile sotto il profilo della sua legittimità) si rivela del tutto ininfluente, siccome espressiva della corretta amministrazione del rapporto di lavoro con l’interessato, nella misura in cui si fonda sugli accertamenti sanitari che hanno rivelato, a carico del dipendente, un’infermità che, ancorchè non riconducibile a disturbi psichici, è risultata così grave da giustificare la sua dispensa dal servizio per inabilità fisica (e, quindi, a fortiori, l’anticipato e cautelativo ritiro del tesserino e dell’arma di ordinanza).
[color=blue][b]3.10- In definitiva, la sequenza di atti e comportamenti denunciati dal ricorrente si rivela immune dai vizi dedotti a suo carico e, in ogni caso, non presenta quegli indefettibili caratteri di pervicace, continuativa e sistematica volontà del datore di lavoro di discriminare, emarginare ed estromettere il dipendente dalla vita lavorativa (nel chè si risolve il mobbing), dimostrando, al contrario, una corretta ed ordinata gestione del rapporto di lavoro, nella misura in cui si rivela coerente con le risultanze delle verifiche sanitarie opportunamente disposte e correttamente eseguite dall’Amministrazione.[/b][/color]
4- Alle considerazioni che precedono consegue il rigetto dell’appello.
5.- Sussistono, nondimeno, ragioni di equità che giustificano la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere, Estensore
Salvatore Cacace, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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