PROCESSO AMMINISTRATIVO - alla Plenaria questioni su motivi di ricorso e .......
[color=red]CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – ordinanza 22 dicembre 2014 n. 6204[/color]
N. 06204/2014 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA
sul ricorso numero di registro generale 6921 del 2013, proposto da:
Postest S.a.s. di Sottile Cervini Gianantonio & C., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Carlin, Federica Scafarelli, con domicilio eletto presso Federica Scafarelli in Roma, via Giosuè Borsi, n. 4;
contro
Comune di Belluno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Claudia Alpagotti, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2;
nei confronti di
Consorzio Hibripost;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO – VENEZIA, SEZIONE I, n. 879/2013, resa tra le parti, concernente affidamento servizio di corrispondenza nell’ambito della Valbelluna – ris. danni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Belluno;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 luglio 2014 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Federica Scafarelli, anche su delega dell’avvocato Massimo Carlin e Gianluca Lemmo, su delega dell’avvocato Claudia Alpagotti;
1. L’odierna controversia trae origine dal ricorso proposto dinanzi al TAR per il Veneto da Postest S.a.s. di Sottile Cervini Gianantonio & C. per l’annullamento: I) della determinazione dirigenziale n. 597 del 26.10.2012, con la quale il Comune di Belluno ha aggiudicato al Consorzio Hibripost il servizio sperimentale di corrispondenza nell’ambito della Valbelluna; II) della nota del 28.12.2012, con la quale il dirigente Settore Affari Generali del Comune ha rifiutato l’esercizio di autotutela, rispetto al contratto di affidamento; III) di ogni altro atto annesso, connesso o presupposto; nonché per il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione del servizio.
2. Alla procedura di evidenza pubblica indetta dal Comune di Belluno per l’affidamento in via sperimentale del servizio di corrispondenza nell’ambito della Valbelluna partecipava oltre all’originaria concorrente soltanto il Consorzio Hibripost, che risultava aggiudicatario.
3. In primo grado la Società Postest invocava l’annullamento degli atti sopra indicati, prospettando le seguenti censure: a) violazione o falsa applicazione degli artt. 41, 42, 46, 121, 125 e 233 del d.lgs. 163/2006 e dell’art. 334 d.P.R. 207/2010 e nullità del contratto ex art. 1346 c.c., perché l’aggiudicataria non avrebbe documentato nella propria domanda di partecipazione di essere in possesso dei dipendenti necessari a svolgere il servizio di corrispondenza in esame; b) violazione del principio di pubblicità nell’esame delle offerte e del principio generale di trasparenza, in quanto
la Stazione appaltante non avrebbe comunicato alle due ditte concorrenti il luogo e la data di apertura ed esame delle offerte; c) violazione dei principi in materia di efficacia e di esecutività del provvedimento e di sua revoca (artt. 21 quater e 21 quinquies della legge 241/1990), perché
il Consorzio aggiudicatario non risulterebbe in possesso della necessaria autorizzazione ministeriale a svolgere il servizio di corrispondenza oggetto di gara.
4. Il primo giudice, respinta l’eccezione di tardività del ricorso, esaminava e valutava fondato il secondo motivo di ricorso, annullava, quindi, gli atti impugnati e respingeva la domanda risarcitoria.
5. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’originario ricorrente, dolendosi dell’erroneità della stessa, in quanto: I) il TAR avrebbe dovuto esaminare i motivi di ricorso nell’ordine in cui erano stati formulati nel ricorso introduttivo. Pertanto, il primo giudice avrebbe fatto un cattivo uso della tecnica di assorbimento dei motivi, che, specie all’indomani dell’introduzione dell’azione risarcitoria nel giudizio amministrativo, sarebbe utilizzabile soltanto quando sia evidente che anche sotto il profilo risarcitorio nessuna utilità deriverebbe al ricorrente dal suo esame. A sostegno della sua impostazione l’appellante cita due pronunce della Sezione VI del Consiglio di Stato, la n. 213/2008 e la n. 3002/2008 ed una più recente pronuncia della Sezione IV del Consiglio di Stato, la n. 4827/2012. Nella fattispecie, pertanto, il primo motivo del ricorso introduttivo avrebbe dovuto essere esaminato prioritariamente dal TAR per il Veneto, essendo la censura in questione maggiormente satisfattiva, tanto che al suo accertamento sarebbe seguito il risarcimento del danno non della perdita di chance, ma del mancato guadagno e della lesione curriculare, considerato che si era in presenza di una gara partecipata da due soli concorrenti; II) dall’accoglimento del primo motivo del ricorso proposto dinanzi al TAR, il primo giudice avrebbe dovuto desumere l’assorbimento del secondo motivo, e la verifica della sussistenza del terzo, solo per qualificare a fini risarcitori come illecita la condotta serbata dalla stazione appaltante; III) anche se si dovesse ritenere che il TAR ha esaminato nell’ordine corretto i motivi di ricorso, sarebbe dovuto giungere a conclusioni differenti sotto il profilo della richiesta risarcitoria per il danno da perdita di chance, non solo per la necessità di riconoscere a quest’ultima la valenza di bene giuridico, ma anche per la circostanza fattuale che al momento della decisione non vi erano più i presupposti per la riedizione della gara, essendo già stato svolto il servizio oggetto della stessa; IV) il TAR avrebbe fatto mal governo della disciplina delle spese del primo grado di giudizio, compensandole nonostante la soccombenza dell’amministrazione comunale e l’assenza di gravi ed eccezionali ragioni per procedere alla compensazione delle stesse.
6. In data 8 novembre 2013 si costituisce in giudizio l’amministrazione comunale di Belluno, che evidenzia la correttezza della pronuncia impugnata, atteso che sarebbero tuttora attuali l’obbligo del giudice di iniziare l’esame dei motivi, principiando da quello che denota la più radicale delle illegittimità denunciate, e la regola secondo cui l’accoglimento di una doglianza, che determini la caducazione dell’atto, comporta la perdita di interesse del ricorrente all’esame delle altre.
In ogni caso sarebbero infondati anche i motivi riproposti dall’appellante, considerato che: a) nell’avviso di procedura selettiva l’Amministrazione comunale avrebbe richiesto alle offerenti la dimostrazione dei soli requisiti di carattere generale ex art. 38, d.lgs. n. 162/2006, e di quelli di idoneità professionale ex art. 39 d.lgs. n. 162/2006, in omaggio a quanto stabilito ai sensi dell’art. 327, d.P.R., n. 207/2010 per gli appalti sottosoglia. Risulterebbe, pertanto, del tutto infondata la tesi avversaria secondo la quale l’impresa affidataria non poteva che essere esclusa dalla selezione in quanto non in possesso di capacità tecnico-organizzativa, perché, come detto, non doveva dimostrarla al momento della presentazione dell’offerta. Inoltre, il servizio sarebbe stato regolarmente reso, da qui l’infondatezza della richiesta di dichiarare nullo il contratto per impossibilità della prestazione; b) in caso di esclusione della Hibripost il servizio non sarebbe stato automaticamente affidato all’appellante atteso che l’amministrazione si sarebbe riservato comunque di non aggiudicare la gara in caso di tariffe giudicate non convenienti; c) sebbene, l’amministrazione non contesti la pronuncia di prime cure, considerato l’importo modesto dell’appalto non sarebbe possibile estendere le conclusioni raggiunte dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 31/2012. Inoltre, essendo l’offerta pervenuta per pec l’importanza della pubblicità della seduta sarebbe ridimensionata per la possibilità propria di questo strumento di cristallizzare la tipologia dei documenti inviati; d) anche il terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado sarebbe infondato, poiché i presunti comportamenti illeciti di Hibripost e della società Maxima s.r.l. non sarebbero provati. Ancora, l’amministrazione comunale non avrebbe con quest’ultima alcun rapporto; e) le pretese risarcitorie dell’appellante rispetto a quanto versato alla controinteressata (4.175,57 euro) sarebbero sproporzionate. Inoltre, non vi sarebbe prova del mancato guadagno, né dei danni morali, né del danno curricolare posto che la breve durata del servizio ed il suo carattere sperimentale porterebbe ad escludere una richiesta di tal genere. Tutte le spese documentate sarebbero state sostenute dopo l’11 ottobre 2012, termine per la presentazione delle offerte. Non vi sarebbe prova, da ultimo, dell’effettiva assunzione di due lavoratori ed il ricavo aziendale indicato sarebbe del tutto velleitario.
7. Nelle successiva memoria del 24 giugno 2014 l’amministrazione appellata argomenta circa la corretta scelta del Tribunale di compensare le spese del primo grado di giudizio.
8. Con memoria del 27 giugno 2014 l’appellante eccepisce l’irrituale produzione in giudizio in data 13 novembre 2013 della liquidazione del servizio illegittimamente affidato, perché in contrasto con l’art. 104 comma 2 c.p.a., atteso che il documento non sarebbe indispensabile e avrebbe potuto essere depositato in primo grado. Inoltre, oppone che in relazione al secondo motivo di ricorso accolto in primo grado l’amministrazione svolgerebbe considerazioni non valutabili, perché non introdotte con appello incidentale.
9. In sede di replica l’amministrazione appellata sostiene che il deposito solo in appello del documento di liquidazione si dovrebbe al fatto che lo stesso è stato formato in data 26 marzo 2013, quando il termine per la produzione documentale in vista dell’udienza dinanzi al TAR dell’11 aprile 2013, era scaduto. Non vi sarebbe, inoltre, un appello incidentale mascherato, ma deduzioni legittime in ragione della riproposizione da parte del ricorrente delle censure non esaminate dal giudice di prime cure.
10. Dal canto suo, l’appellante principale in sede di replica, reitera le argomentazioni già svolte a sostegno delle proprie tesi.
11. Il Collegio ritiene di dover sottoporre all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99 comma 1 c.p.a. la questione relativa all’ordine di esame delle domande e dei motivi di ricorso, qualora la parte le o li abbia esposti secondo un’elencazione, che non corrisponde a quella seguito in sede di scrutinio dal giudice, senza però richiedere espressamente il previo esame di quelle o quelli indicati per primi.
Nella fattispecie, è bene precisare, si esula dal caso in cui vi siano motivi rilevabili d’ufficio, sottratti alla gradazione vincolante delle parti (cfr. sul punto Ad. plen. n. 9 del 2014, pag. 31 ss., Ad. Plen. n. 10 del 2011, Ad. Plen. n. 4 del 2011, che fanno applicazione delle norme sancite dal combinato disposto degli artt. 76, co. 4, c.p.a. e 276, co. 2, c.p.c.)..
Il tema, sebbene non perfettamente coincidente con quello in questa sede esposto, è già stato portato all’attenzione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con ordinanza n. 761/2013 della VI Sezione, che nell’occasione non ha offerto risposta sul punto, con la differenza che nella vicenda ivi esaminata il ricorrente aveva espressamente subordinato i motivi proposti. Mentre nel caso in esame la graduazione deriva solo dall’ordine in cui i motivi o le domande sono stati elencati e dalla circostanza che l’appellante invoca una gerarchia ontologica collegata alla maggiore utilità ritraibile, in termini di ottenimento dell’aggiudicazione della gara piuttosto che in quelli di ripetizione della stessa, ovvero in termini di ottenimento di un risarcimento integrale del danno, non limitato alla mera perdita di chance.
12. Una prima questione da affrontare è dunque quella della distinzione tra domanda e motivo di ricorso, che appare particolarmente delicata, quando, ad esempio, l’azione di annullamento sia rivolta contro il medesimo atto per ragioni distinte: nel caso in esame la richiesta di caducazione del provvedimento di aggiudicazione è fondata sia su vizi che mirano a dimostrare l’illegittimità della procedura a monte della stessa, sia su vizi incentrati sulla mancata esclusione dell’aggiudicatario. In questo caso, infatti, utilizzando lo schema tradizionale che individua i tre elementi costitutivi della domanda (soggetti, causa petendi e petitum), potrebbe dirsi che la domanda sia unica e fondata su più ragioni, poiché a fronte di un unico interesse legittimo che si assume essere leso, si invoca l’eliminazione dal mondo giuridico dell’atto impugnato. Quest’impostazione, però, si presta ad essere superata laddove si ponga mente alle novità che hanno interessato la nozione di petitum nel processo amministrativo. In realtà, la prospettazione di un vizio che se riscontrato imporrebbe la ripetizione della gara e di una censura che se accolta eliminerebbe dalla graduatoria la prima classificata a vantaggio della sola altra concorrente, si presentano come richieste fortemente divergenti, perché se è vero che entrambe guardano al passato con l’unico intento di eliminare il provvedimento impugnato, al contempo palesano una diversa ambizione in relazione alla futura azione dell’amministrazione come vincolata dal giudicato.
Una simile soluzione è stata patrocinata dalla IV Sezione (Cons. St., Sez. IV, 11 settembre 2012, n. 4827). Nella pronuncia citata, la IV Sezione, da un lato, aderisce alla tesi prevalente all’interno della V Sezione, come si dirà infra, secondo la quale rientra nel potere del giudice amministrativo, derivante dal particolare oggetto del giudizio impugnatorio legato all’esercizio della funzione pubblica, decidere l’ordine di trattazione delle censure sulla base della loro consistenza oggettiva e del rapporto fra le stesse esistente sul piano logico giuridico, non alterabile dalla semplice richiesta dell’interessato. Dall’altro, però, ritiene che la domanda di annullamento del provvedimento di aggiudicazione tesa alla ripetizione della gara non coincida con la domanda di annullamento dello stesso provvedimento, finalizzata all’ottenimento dell’aggiudicazione della gara. In questo senso condivisibilmente richiama la disciplina contenuta negli artt. 120 e segg. c.p.a., che dettano regole distinte a seconda del risultato perseguito dal ricorrente. Nella fattispecie, inoltre, la Sezione conclude, pacificamente, che laddove vi sia espressa subordinazione delle domande il giudice amministrativo non possa esaminare quella subordinata tesa alla ripetizione della gara, invece di quella finalizzata all’ottenimento dell’aggiudicazione.
La questione, così prospettata, sebbene si presenti come di agevole soluzione secondo le coordinate già tracciate dalla IV Sezione, nella pronuncia sopra ricordata, richiede nella fattispecie l’intervento della Plenaria, sia perché la definizione del quesito appare pregiudiziale rispetto a quella delle successive questioni che si prospetteranno, sia perché il principio di diritto, che sarà affermato dal Supremo Consesso, potrà assumere il valore di una indicazione di carattere generale in relazione al rapporto tra domanda e motivi di ricorso anche al di fuori del ristretto ambito della materia disciplinata dagli artt. 120 e segg. c.p.a.
13. Un secondo tema, non coincidente con quello già esaminato dalla citata ordinanza n. 761/2013, è quello della sufficienza, ai fini dell’individuazione di una graduazione dei motivi, del mero ordine di elencazione degli stessi, rafforzato dalla satisfattività decrescente che deriva dal loro accoglimento, osservando, puramente e semplicemente, la tassonomia fatta propria dal ricorrente.
Appare, pertanto, utile interrogare l’Adunanza Plenaria, ponendole il quesito teso ad appurare se nel processo amministrativo, il principio della domanda e quello dell’interesse al ricorso consentono di ritenere che il ricorrente possa, pur senza esternarlo espressamente, graduare in questo modo i motivi di ricorso.
Un’indicazione utile non può trarsi dalla disciplina processuale giacché, l’art. 99 c.p.c., valevole anche nel giudizio amministrativo stante il rinvio esterno operato dall’art. 39 c.p.a., si limita ad enunciare il principio della domanda, mentre l’art. 40 c.p.a. indica quale contenuto necessario del ricorso: “i motivi specifici sui cui si fonda”.
Sul tema si affacciano due tesi.
Una prima tesi – seguita dalle pronunce dell’Adunanza Plenaria nn. 7 e 9 del 2014 (che sul punto ripropongono criticamente le conclusioni cui erano pervenute le precedenti decisioni della medesima plenaria nn. 1 del 2010 e 4 del 2011) – porta a ritenere che in assenza di un’esplicita graduazione dei motivi di ricorso, la loro mera elencazione si traduca in una prospettazione cumulativa degli stessi, con la conseguenza che gli stessi andranno esaminati, facendo applicazione del criterio cronologico di manifestazione delle denunciate illegittimità in seno all’attività amministrativa (principiando da quelle che colpiscono la legge di gara, per proseguire con quelle che si traducono in cause escludenti delle domande, dei concorrenti o delle offerte, per concludere con quelle che affliggono la procedura di gara); pertanto il giudice deve esaminare gli atti amministrativi nell’ordine in cui sono stati adottati per verificarne via via le censure indicate dal ricorrente, anche se l’ordine in questione non consente a quest’ultimo di ottenere la massima utilità dal processo. Tale indirizzo nega in radice che il processo amministrativo possa rappresentare il mezzo per la tutela di un interesse legittimo, che sottenda ad una pretesa che non si sarebbe potuta conseguire e che non può essere attribuita attraverso il sapiente gioco della graduazione delle censure.
Una tesi di segno opposto, invece, facendo leva sulla manifestazione del principio dispositivo, attraverso la prospettazione delle doglianze contenute nel ricorso e della volontà di ottenere il pieno soddisfacimento delle proprie ragioni, vira nella direzione di ritenere che non possa obliterarsi la volontà del privato di ottenere la massima utilità ritraibile, proprio quando elenchi le censure conformemente al massimo beneficio che può ottenere.
Una simile soluzione massimizza gli effetti derivanti dall’introduzione nel processo amministrativo del cd. giudizio di spettanza, poiché è con quest’ultimo che la tematica dell’ordine dei motivi ha assunto il massimo rilievo, mentre all’interno del processo amministrativo, inteso come giudizio meramente caducatorio presentava scarso rilievo.
14. Qualora si ritenga che la graduazione dei motivi di ricorso derivi dalla mera elencazione degli stessi secondo il principio del massimo beneficio conseguibile dal ricorrente, si pone la questione se un simile ordine vincoli il giudice nell’esame delle doglianze, quando la sua osservanza possa eventualmente condurre ad un risultato non in linea con la tutela piena dell’interesse pubblico.
Sul tema si registra un contrasto tra la giurisprudenza, da un lato, della Sezione VI e della Sezione III (Cons. St., Sez. VI, 25 gennaio 2008 n. 213; Id. 24 novembre 2009 n. 7387; Cons. St., Sez. III, 22 agosto 2012, n. 4592) e, dall’altro, della Sezione V (Cons. Stato, Sez. V, 6 aprile 2009 n. 2143).
Le due impostazioni sono già state compiutamente rappresentante nella citata ordinanza n. 761/2013. Così, secondo la giurisprudenza della sesta Sezione in linea generale il principio dispositivo che caratterizza ogni tipo di processo ad impulso di parte, ed il giudizio amministrativo in particolare, comporta che il ricorrente abbia non solo il potere di vincolare il giudice all’ordine di domande dallo stesso proposte, ma anche la possibilità di indicare l’ordine con il quale vuole che i motivi, all’interno della stessa domanda, debbano essere esaminati, dichiarando l’interesse all’accoglimento di alcuni di essi solo in via subordinata, per l’ipotesi in cui altri non vengano accolti. Pertanto, se in materia di appalti il ricorrente indica come prioritario l’esame del motivo che, se accolto, porterebbe all’aggiudicazione a suo favore della gara, e solo in seconda battuta invoca l’esame del vizio che travolgerebbe l’intera procedura, al g.a. sarebbe comunque inibito l’esame in via preliminare di quest’ultimo.
Unica eccezione sarebbe rappresentata dal vizio di incompetenza, seguendo infatti una concezione soggettiva del limite del mancato esercizio del potere, quale confine che il g.a. non può superare nell’esercizio della giurisdizione, si ritiene che nonostante la diversa graduazione dei motivi il vizio di incompetenza vada esaminato per primo. In questo senso può argomentarsi da quanto di disposto dal comma 2 dell’art. 34 c.p.a., secondo il quale: “In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”.
Secondo la tesi opposta, seguita dalla V Sezione, il principio dispositivo non può assumere latitudine tale da negare la peculiarità del giudizio amministrativo, nel cui ambito è consentito al giudice di decidere l’ordine di trattazione delle censure sulla base della loro consistenza oggettiva e del rapporto fra le stesse esistente sul piano logico giuridico, non alterabile dalla semplice richiesta dell’interessato. Pertanto, il principio dispositivo incontrerebbe un limite nell’ordine logico di esame delle censure, che comporterebbe l’onere di esaminare quelle che denunciano una illegittimità più radicale dell’attività amministrativa.
I due orientamenti sopra descritti pongono la questione del ruolo del giudice amministrativo e del confronto tra l’interesse legittimo del ricorrente e l’interesse pubblico all’interno di un paradigma processuale saldamente ancorato ai principi del giusto processo, richiamati dall’art. 2 c.p.a.
La soluzione, invece prospettata dalla IV Sezione e descritta al par. 11, propone di valorizzare l’alterità della causa petendi e del petitum, per inferirne la presenza di domande distinte, che si sottraggono ai principi sull’ordine di esame dei motivi.
15. Se si conclude nel senso che si tratta di motivi inerenti l’unica domanda di annullamento proposta avverso il provvedimento di aggiudicazione della gara, appare chiaro che la tesi sostenuta dalla VI e dalla III Sezione è nel senso che deve essere il maggior grado di soddisfacimento dell’interesse del ricorrente a dover orientare il giudicante nella selezione delle censure da esaminare in via prioritaria. Mentre, la tesi patrocinata dalla V Sezione ha come parametro di riferimento quello della piena legalità dell’azione amministrativa.
Dal confronto tra i due orientamenti esce rafforzata l’idea dell’esistenza di una diversa sensibilità nel declinare l’applicazione del principio del giusto processo amministrativo, che risente della crescente domanda di legalità dell’azione amministrativa e di tutela dell’interesse pubblico all’interno del processo amministrativo. Un’esigenza avvertita in modo chiaro dal legislatore, ad esempio, nel porre la misura sulla scorta della quale si chiede al giudice amministrativo di utilizzare la tutela cautelare.
Restando all’interno del paradigma secondo il quale la tematica è quella della graduazione dei motivi di ricorso, all’interno della stessa domanda, la questione si pone evidentemente tra motivi di ricorso che assegnano utilità diverse al ricorrente, giacché se si tratta di censure che assicurano al ricorrente lo stesso beneficio, allora non si porrà un‘alternativa tra quali motivi di ricorso esaminare per prima e l’indicazione del ricorrente sarà meramente esortativa, spettando al giudice di fare applicazione del meccanismo dell’“assorbimento proprio”, ossia della possibilità di tralasciare l’esame di quelle censure il cui accoglimento non assicurerebbe alcuna ulteriore utilità al ricorrente.
Questa riflessione consente di fare un altro passo nel senso che il principio dispositivo nel processo amministrativo vale per le domande e non per i motivi di ricorso a sostegno della stessa domanda. Una simile conclusione potrebbe desumersi dalla regola contenuta nel comma 1 dell’art. 43 c.p.a., secondo il quale: “I ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte”. Questa disposizione, infatti, distingue tra le ragioni a sostegno delle domande proposte e le domande nuove, presupponendo l’esistenza di una differenza ontologica tra le censure e le domande, che non può che riflettersi anche sulla disciplina processuale di riferimento. Ed, infatti, ulteriori censure all’interno della stessa domanda devono essere veicolate all’interno dello stesso giudizio, mentre domande nuove, connesse a quelle già proposte, possono ma non devono essere proposte con lo strumento del ricorso per motivi aggiunti. Da qui anche la possibile conclusione che solo le domande sarebbero sottoposte al principio dispositivo.
Pertanto, il vincolo espresso o implicito imposto dalla parte per le censure a sostegno della stessa domanda non potrebbe risultare vincolante per il giudice, che dovrebbe valutare quella censura che si è presentata per prima nel corso dell’azione amministrativa, in modo tale da consentire all’amministrazione di riprovvedere, eliminando ab imis ogni illegittimità denunciata, e consentendo in questo modo il soddisfacimento dell’interesse alla piena legalità dell’azione amministrativa. In questo caso, infatti, il principio di riferimento non sarebbe quello della domanda, ma quello della trattazione, il ché consente più agevolmente un esame prioritario del motivo condizionato, stante la minore rigidità che lo caratterizza rispetto al primo.
Differente appare la questione nel caso in cui il vincolo condizionale riguarda più domande. In questo caso, infatti, pur in presenza di un unico ricorso di annullamento, come nella fattispecie in esame, risulta essersi in presenza di due domande, una delle quali diretta al travolgimento della gara previo annullamento dell’aggiudicazione definitiva e degli atti alla stessa connessi, l’altra, invece, diretta ad ottenere l’aggiudicazione della gara previa caducazione degli stessi atti. Il differente effetto conformativo derivante dalla stessa pronuncia di annullamento, infatti, non può che portare ad inquadrare quelle citate come domande differenti.
In quest’ipotesi, pertanto, non solo il giudice non potrà utilizzare il meccanismo dell’assorbimento, ma in presenza di un vincolo esplicito da parte del ricorrente non potrà che osservarlo nel rispetto del principio della domanda.
Quid juris nel caso in cui un vincolo esplicito non sia stato manifestato dal ricorrente?
Sul punto appare preferibile ritenere che le domande siano state tutte contemporaneamente proposte ossia tutte introdotte in giudizio, senza che possa operare il principio dispositivo in omaggio al quale la domanda meno satisfattiva per il ricorrente non è posta se non nella misura in cui quella più satisfattiva risulta non accoglibile. Questa impostazione consente di sanare possibili squilibri nell’uso del processo, che potrebbe condurre eventualmente a premiare posizioni non meritevoli di protezione giuridica e a possibili risultati paradossali.
Nella fattispecie, infatti, l’accoglimento della domanda di annullamento dell’aggiudicazione del contratto comporterebbe che il bene della vita potrebbe essere riconosciuto in capo ad un concorrente, che potrebbe aver egli stesso fondatamente denunciato in primo grado l’irregolarità dell’intera procedura di gara, tanto da far ritenere che legittimamente l’aggiudicazione non possa essere riconosciuta ad alcuno senza una previa riedizione della competizione.
Del resto sotto questo profilo nulla impedirebbe all’amministrazione di annullare in autotutela l’intera procedura di gara, proprio facendo tesoro delle doglianze che investono la procedura descritte dall’originario ricorrente.
Da ultimo, va segnalato il risultato distorto al quale potrebbe giungersi seguendo la tesi che in assenza di esplicita graduazione della domanda ritiene che il giudice debba desumerla in omaggio al criterio del massimo soddisfacimento del ricorrente. In questo caso, infatti, potrebbe aversi che se l’appalto sia stato in parte eseguito, la tutela in forma specifica si incrocerebbe con quella per equivalente, giungendo ad esiti paradossali.
Infatti, l’annullamento dell’aggiudicazione e l’esclusione dell’aggiudicatario unico concorrente rimasto in gara, consegnerebbe il bene della vita al ricorrente, ma il giudice dovrebbe escludere il risarcimento per equivalente per la parte di appalto già eseguito, atteso che il giudizio di spettanza in sede risarcitoria non limitato alla domanda di aggiudicazione investirebbe tutte le censure denunciate dal ricorrente, così rivelando, in forza dell’esame delle doglianze che investono la procedura di gara, che a quest’ultimo non sarebbe spettata l’aggiudicazione della gara in esame.
16. In conclusione, il Collegio[color=red] ritiene sia necessaria una pronuncia dell’Adunanza Plenaria cui il presente ricorso viene deferito ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.a., al fine di risolvere i seguenti quesiti di diritto:
I) se nel processo amministrativo, a fronte di un ricorso di annullamento avverso l’aggiudicazione, qualora si facciano valere diverse tipologie di censure, alcune che denunciano una radicale illegittimità della gara ed altre che denunciano l’illegittima mancata esclusione dell’aggiudicatario ovvero l’illegittima pretermissione del ricorrente, si sia dinanzi ad una o a più domande;
II) se nel processo amministrativo, il principio della domanda e quello dell’interesse al ricorso consentono di ritenere che il ricorrente possa graduare implicitamente i motivi di ricorso attraverso il mero ordine di prospettazione degli stessi;
III) se e in che termini il giudice amministrativo, in assenza di espressa indicazione della parte, sia vincolato ad osservare l’ordine di esame dei motivi di ricorso proposti all’interno della stessa domanda, utilizzando come parametro il massimo soddisfacimento dell’utilità ritraibile dal ricorrente;
IV) se e in che in termini il giudice amministrativo, in assenza di espressa indicazione della parte, sia vincolato ad osservare l’ordine di esame delle domande proposte all’interno di uno stesso giudizio da un’unica parte, utilizzando come parametro il massimo soddisfacimento dell’utilità ritraibile dal ricorrente;
V) se il vizio di incompetenza relativa, in quanto vizio dell’organizzazione e non della funzione amministrativa, sfugga alla facoltà di graduazione, esplicita o implicita, dei motivi di ricorso.[/color]
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’Adunanza Plenaria.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Fulvio Rocco, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 22/12/2014.
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