La dizione "mercato" nelle NTA significa INGROSSO - vietato il dettaglio
[color=red]Cons. di Stato, Sez. IV, 7 novembre 2014, n. 5494[/color]
N. 05494/2014REG.PROV.COLL.
N. 09077/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9077 del 2012, proposto da:
Setra Srl, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Raffaele Padrone, Saverio Profeta, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
contro
Comune di Altamura, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Emilio Bonelli, con domicilio eletto presso il Consiglio di Stato Segreteria in Roma, p.za Capo di Ferro 13;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della PUGLIA –Sede di BARI- SEZIONE I n. 01719/2012, concernente approvazione piano di lottizzazione
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Altamura;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 luglio 2014 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Profeta e Bonelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Puglia – sede di Bari - ha respinto il ricorso di primo grado, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla società odierna appellante Setra s.r.l., volto ad ottenere l’annullamento,
(con il ricorso principale) in parte qua e nei limiti del proprio interesse, della deliberazione del Consiglio comunale di Altamura n. 34 del 12 luglio 2007, pubblicata mediante l’affissione all’albo pretorio dal 9 agosto al 24 agosto 2007, recante l’approvazione del piano di lottizzazione per la realizzazione di un mercato annonario in zona F5 del PRG e di tutti gli atti e provvedimenti comunque connessi, consequenziali e presupposti rispetto a quello impugnato, ancorché non conosciuti, con particolare riferimento al parere del Dirigente dell’UTC allegato alla deliberazione impugnata.
Con il mezzo per motivi aggiunti depositato in data 20 dicembre 2011, invece, l’appellante aveva gravato la deliberazione del Consiglio comunale di Altamura n. 33 del 22 settembre 2011, pubblicata mediante l’affissione all’albo pretorio dal 5 ottobre al 20 ottobre 2011, recante l’approvazione dell’adeguamento degli strumenti di programmazione comunale in materia di commercio.
In punto di fatto l’odierna appellante aveva premesso di essere proprietaria di un suolo sito nel Comune di Altamura riportato in catasto al fg. 167, part. 34, 35, 38 e 47 tipizzato dal vigente piano regolatore generale di Altamura a zona F5, così come disciplinata dall’art. 32 delle norme tecniche di attuazione.
Ai sensi dell’art. 32 delle NTA citato (rubricato: “Zone per attrezzature annonarie F5”) in dette zone “… è consentito l’insediamento di impianti, anche privati, per la conservazione e la preparazione, a scopo di trasformazione e/o distribuzione di prodotti alimentari, nonché degli impianti tipici del settore annonario, quali depositi, mercati e simili, compresi alloggi di custodia.”.
Sulla scorta di tale previsione la detta società aveva proposto al Comune di Altamura un piano di lottizzazione per l’edificazione dell’area.
Il piano di lottizzazione era stato adottato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 26 del 26 maggio 2003; prima dell’approvazione il Dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale aveva richiesto a alcune modificazioni al piano e successivamente aveva espresso un nuovo parere.
In seguito, il piano veniva approvato, in conformità al secondo parere del Dirigente dell’UTC il quale prevedeva l’insediamento nella zona in questione di un mercato generale all’ingrosso di prodotti alimentari.
La società Setra con il ricorso introduttivo era insorta, prospettando tre articolate macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere.
[color=red]Nella sostanza, ci si doleva della circostanza che l’approvazione del piano di lottizzazione dalla stessa proposto era relativo alla realizzazione di un mercato annonario in zona F5 del PRG.
Senonchè, ad avviso dell’appellante, da un canto l’art. 32 delle NTA (relativa alla possibilità di insediamento in tale area anche di impianti tipici del settore annonario, quali depositi, mercati e simili) non sanciva affatto detta destinazione a mercato generale all’ingrosso, dovendo ritenersi compatibile anche la destinazione ad attività di commercio al dettaglio, peraltro non necessariamente limitata al settore alimentare.[/color]
Per altro verso, il Comune avrebbe “chiuso” il procedimento in modo atipico, modificando ex officio e senza legittimazione il piano proposto dalla società, imprimendo all’area una destinazione non ambita dall’appellante: le successive modificazioni proposte dal Dirigente non avevano mai trovato l’approvazione della società; all’opposto la nota del 13 ottobre 2004 dimostrava come la società Setra non abbia inteso apportare alcuna modificazione al piano così come originariamente presentato; le modifiche richieste dal Dirigente dell’UTC ed effettuate dal progettista della ricorrente non erano mai state sottoscritte e ratificate dalla stessa; la nuova destinazione a “mercato” trovava fondamento nell’approvazione di un piano di lottizzazione del tutto difforme da quello presentato dalla società ed inizialmente adottato.
Con il ricorso per motivi aggiunti (recante ulteriori due articolate macrocensure) la società Setra s.r.l. aveva contestato, in parte qua e nei limiti del proprio interesse, la deliberazione del Consiglio comunale n. 33 del 22 settembre 2011, pubblicata mediante l’affissione all’albo pretorio dal 5 ottobre al 20 ottobre 2011, recante l’approvazione dell’adeguamento degli strumenti di programmazione comunale in materia di commercio: detta deliberazione, secondo la prospettazione della originaria parte ricorrente, aveva di fatto escluso la zona F5 dalle aree in cui era possibile insediare strutture commerciali ed in particolare strutture commerciali diverse dal mero esercizio di vicinato.
Il primo giudice ha ritenuto d potere prescindere dall’esame dalla eccezione di inammissibilità formulata dall’Amministrazione comunale, ed ha partitamente scrutinato le doglianze, respingendole.
Il primo versante di indagine è stato quello relativo al sostanziale “disconoscimento” da parte dell’odierna appellante della convenzione di lottizzazione nei termini i cui essa era stata successivamente approvata dal Comune.
Il Tar ha in proposito osservato che con comunicazione del 5 ottobre 2004 l’ amministrazione comunale aveva richiesto all’odierna appellante di apportare modificazioni alle destinazioni indicate negli elaborati in conformità con quanto previsto dall’art. 32 delle NTA.
Il legale rappresentante della società Setra ed i suoi progettisti incaricati (arch. Angelo Tedesco e ing. Domenico Indrio) con nota datata 13-14 ottobre 2004 dagli stessi sottoscritta avevano dichiarato, in risposta a detta nota, che:“In riferimento alla pratica oggettivata ed alla richiesta ivi contenuta, siamo con la presente a comunicarvi, che eventuali modifiche alle destinazioni ritenute conformi a leggi, ben possono essere effettuate ex officio, a fronte della domanda da noi avanzata. Una volta si era soliti dire: Da mihi factum, dabo tibi ius”.
Ad avviso del Tar, la detta nota del 13-14 ottobre 2004 conferiva nella sostanza piena libertà al Comune di apportare al progetto originario tutte le modificazioni ritenute necessarie.
Quindi, non poteva condividersi quanto evidenziato, in termini riduttivi, dalla società Setra (pag. 9 dell’atto introduttivo: “La ricorrente riscontrò questa richiesta con la nota addì 13 ottobre 2004 declinando sostanzialmente l’invito a modificare i grafici”).
In realtà, stando al tenore letterale della citata nota del 13-14 ottobre 2004, la società interessata aveva rimesso all’Amministrazione comunale massima discrezionalità per l’eventuale modificazione dei grafici in questione e quindi anche con riferimento alla destinazione dei suoli in esame.
Peraltro, dagli atti di causa risultava che il tecnico incaricato dalla Setra (arch. Angelo Tedesco) in data 6 maggio 2005 aveva provveduto ad integrare l’originario piano di lottizzazione per renderlo conforme alle destinazioni urbanistiche di PRG.
Il Tar ha poi rammentato che ad avviso dell’odierna appellante (pag. 9 dell’atto introduttivo) il progettista della Setra aveva modificato le destinazioni di propria iniziativa senza mandato o ratifica da parte della società mandante.
Senonchè, -ha osservato il primo giudice- non era ipotizzabile che la società potesse disconoscere l’operato del proprio professionista incaricato ( né era stata fornita alcuna dimostrazione in ordine alla circostanza dell’assenza di mandato del suddetto professionista con riferimento alla citata modificazione).
Pertanto, ad avviso del Tar, doveva ritenersi che con l’approvazione del contestato piano di lottizzazione (i.e. deliberazione consiliare n. 34/2007) l’Amministrazione comunale aveva sostanzialmente “ratificato” un progetto proposto e voluto dalla società con modificazioni che la stessa aveva accettato e che non poteva più contestare in sede giurisdizionale, dopo l’approvazione.
Per altro verso, passando al secondo argomento centrale della causa, il Tar ha espresso il convincimento che la locuzione “mercato” utilizzata dall’art. 32 delle NTA fosse stata correttamente interpretata dall’Amministrazione comunale (nel senso, cioè, di commercio all’ingrosso).
L’art. 32 delle NTA non consentiva, infatti, in modo evidente la cosiddetta vendita/commercio al dettaglio nella zona F5: nel corpo dell’art. 32 delle NTA non si faceva esplicita menzione della vendita/commercio al dettaglio.
All’opposto, l’art. 32 delle NTA si riferiva espressamente alla zona F5 (zona per attrezzature annonarie: “… è consentito l’insediamento di impianti, anche privati, per la conservazione e la preparazione, a scopo di trasformazione e/o distribuzione di prodotti alimentari, nonché degli impianti tipici del settore annonario, quali depositi, mercati e simili, compresi alloggi di custodia. …”), diversa evidentemente dalla zona commerciale dove era permesso il commercio al dettaglio.
La “distribuzione” di cui all’art. 32 –ad avviso del Tar- non poteva che concernere una fattispecie differente dal commercio al dettaglio.
Inoltre, l’art. 32 delle NTA se considerato illegittimo avrebbe dovuto essere impugnato, mentre la detta norma tecnica era rimasta inoppugnata.
Conclusivamente, ad avviso del primo giudice, laddove la società Setra avesse voluto impedire al Comune di approvare un piano di lottizzazione con le modificazioni implicanti per la zona F5 la destinazione di cui all’art. 32 delle NTA (inteso nel senso dell’ammissibilità dell’ubicazione in detta zona unicamente di strutture di mercato all’ingrosso, e non già al dettaglio) essa avrebbe dovuto evidentemente comunicare al Comune una nota con differente contenuto rispetto a quella del 13-14 ottobre 2004, senza lasciare alcun margine di discrezionalità all’Amministrazione comunale
Il mezzo introduttivo è stato quindi integralmente disatteso dal Tar, ed analoga reiezione doveva essere pronunciata in relazione ai motivi aggiunti gravanti la deliberazione consiliare n. 33/2011 trattandosi di doglianze che contestavano l’impossibilità di realizzare in zona F5 complessi destinati al commercio al dettaglio.
La odierna appellante, già ricorrente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha riproposto le tre doglianze disattese evidenziando che la distribuzione non era altro che una fattispecie di commercio al dettaglio e che, pertanto, il divieto si appalesava illogico.
L’esegesi dell’art. 32 delle NTA conduceva ad affermare che nell’area F5 l’attività di commercio al dettaglio dovesse essere ammessa.
La sentenza era altresì viziata ex art. 112 cpc laddove non aveva colto che i motivi aggiunti introducevano doglianze diverse.
Il piano di lottizzazione proposto prevedeva un’attività al dettaglio; l’affidamento ripostovi era pieno; del tutto irritualmente erano state prospettate modifiche, mai accettate,
L’appellata amministrazione comunale ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato. Dopo avere rievocato le principali tappe del contenzioso, ha fatto presente che, sebbene il piano di lottizzazione fosse stato adottato ed approvato, non era stata sottoscritta né trascritta la relativa convenzione di lottizzazione, di guisa che nessun permesso di costruire poteva essere –almeno allo stato- rilasciato (pag.4 della memoria depositata il 27 maggio 2014).
Nel merito, l’art. 32 delle NTA era rimasto inimpugnato; la “lettura” di detta norma patrocinata dall’appellante era del tutto errata, rendendosi impossibile, ove fosse stata seguita la tesi appellatoria, distinguersi tra la Zona F5 (zona per attrezzature annonarie) e la Zona Commerciale (ove, invece, il commercio al dettaglio era ammesso).
All’adunanza camerale del 22 gennaio 2013 la Sezione con la ordinanza n. 00200/2013
ha respinto l’istanza di sospensione della esecutività della impugnata decisione alla stregua della considerazione per cui “seppur nella sommarietà della delibazione cautelare l’appello proposto non appare fornito del prescritto fumus, in relazione alla condivisidilità della tesi sostenuta nella gravata decisione secondo la quale la locuzione “mercato” utilizzata dall’art. 32 delle NTA sia riferibile al commercio all’ingrosso ma non consente di ricomprendervi la vendita/commercio al dettaglio;
rilevato peraltro che, quanto al periculum in mora, l’interesse dell’amministrazione appellata appare certamente prevalente;”.
Tutte le parti processuali, in vista della odierna udienza pubblica, hanno depositato scritti difensivi tesi a puntualizzare le rispettive censure ed eccezioni.
Alla odierna pubblica udienza dell’8 luglio 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio
DIRITTO
1.L’appello è infondato e va disatteso, nei termini di cui alla motivazione che segue.
1.1.Al fine di sgombrare il campo da argomenti pretestuosi o comunque manifestamente infondati appare immediatamente utile sottolineare la non persuasività (ed anzi, la manifesta inconsistenza) di tutte le censure articolate nella seconda parte dell’appello, e volte nella sostanza a disconoscere il significato della nota datata 13-14 ottobre 2004 sottoscritta dal legale rappresentante della società Setra e dai suoi progettisti incaricati (arch. Angelo Tedesco e ing. Domenico Indrio) ove era dichiarato: “In riferimento alla pratica oggettivata ed alla richiesta ivi contenuta, siamo con la presente a comunicarvi, che eventuali modifiche alle destinazioni ritenute conformi a leggi, ben possono essere effettuate ex officio, a fronte della domanda da noi avanzata. Una volta si era soliti dire: Da mihi factum, dabo tibi ius”.
1.2. La detta nota, non è “equivoca” come sostenuto nell’appello: è chiarissima nel conferire al Comune -in risposta alla precedente comunicazione comunale del 5 ottobre 2004 di richiesta di modificazioni da apportare alle destinazioni indicate negli elaborati in conformità con quanto previsto dall’art. 32 delle NTA - la possibilità di modificare le destinazioni degli elaborati.
Sostenere che comunque la Società declinò l’invito a modificare i grafici, è arbitrario, non congruente con il dato letterale, ma, soprattutto inutile: si era consentito al Comune di fare ciò che oggi si contesta giudizialmente.
Parimenti priva di spessore è la tesi secondo cui il Tar – constatato che il tecnico incaricato dalla Setra (arch. Angelo Tedesco) in data 6 maggio 2005 aveva provveduto ad integrare l’originario piano di lottizzazione per renderlo conforme alle destinazioni urbanistiche di PRG- avrebbe dovuto acquisire le specifiche deleghe da questi possedute, non limitandosi a recepire le dette modifiche.
Al contrario di quanto dall’appellante sostenuto, evidenzia il Collegio che, semmai, sarebbe stato onere della ditta –che al detto tecnico aveva incontestatamente conferito in precedenza il mandato- dimostrare che esso era stato revocato, o che il tecnico ne aveva ecceduto i limiti.
A tutto concedere, poi, anche una simile circostanza (comunque non provata) ove non debitamente comunicata all’amministrazione comunale non avrebbe potuto spiegare alcun rilievo al fine di dimostrare la supposta illegittimità dell’azione amministrativa, stante la necessità espressa in via generale dall’ art. 1396 cc, secondo cui la modificazione e la revoca della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei e, in mancanza, non sono opponibili se non si provi che i terzi medesimi le conoscevano.
Ma così, all’evidenza non è: le dette censure costituiscono un postumo tentativo di evitare una pronuncia di inammissibilità del mezzo per acquiescenza, ma non apportano alcun utile elemento favorevole all’appellante.
Questi non ha provato di avere revocato l’incarico al tecnico; non ha dimostrato che il tecnico avesse esuberato rispetto al mandato conferitogli; men che meno ha anche soltanto labialmente affermato che taluno di detti eventi, quand’anche realmente verificatisi fossero stati portati a conoscenza dell’Amministrazione: il gravame di primo grado non sarebbe stato ammissibile per pregressa acquiescenza e tutte le doglianze sul punto prospettate appaiono speciose ed inaccoglibili.
2. Senza recesso alcuno dalla superiore prospettazione, e per mera completezza espositiva, si rileva comunque che, nel merito, la critica appellatoria è destituita di fondamento in ogni parte.
[color=red]2.1. La dizione “mercato” utilizzata dall’art. 32 delle NTA è correttamente interpretata dall’Amministrazione comunale riferendola al concetto di commercio all’ingrosso.[/color]
L’art. 32 delle NTA così prevede riferendosi espressamente alla zona F5 (zona per attrezzature annonarie: “… è consentito l’insediamento di impianti, anche privati, per la conservazione e la preparazione, a scopo di trasformazione e/o distribuzione di prodotti alimentari, nonché degli impianti tipici del settore annonario, quali depositi, mercati e simili, compresi alloggi di custodia. …”).
[color=red]L’attività degli impianti anche privati,che possono essere ivi allocati è quella della “conservazione e la preparazione”; lo scopo è quello della “ trasformazione e/o distribuzione”: dette espressioni sono totalmente incompatibili con la vendita/commercio al dettaglio che, conseguentemente, non è permessa nella zona F5.[/color]
Soltanto la evidente lettura forzata di parte appellante può equiparare il concetto di “distribuzione” con quello di vendita/commercio al dettaglio
2.2. Posto che l’unica lettura consentita dell’art. 32 delle NTA è quella resa dal Tar e che, per le ragioni sinora chiarite essa appare al Collegio persuasiva, ne discendono due conseguenze.
2.3. La prima di esse è quella che implica la inammissibilità di tutte le doglianze (ivi comprese quelle riferentesi al D.Lgs. 26-3-2010 n. 59, ed al D.Lgs. 31-3-1998 n. 114) incentrate sulla supposta illegittimità di
quest’ultima.
Posto che per via interpretativa non è possibile accedere alla tesi dell’appellante, essa avrebbe dovuto gravare la detta prescrizione ove ritenuta illegittima per contrasto con le dette fonti normative: ciò non è tuttavia avvenuto,il che rende la prescrizione immodificabile e la doglianza non delibabile, ove diretta ad ottenerne la declaratoria di illegittimità ( e non articolata al mero fine di connotare di plausibilità -facendo riferimento alle dette fonti normative- la interpretazione dall’appellante patrocinata e , per le già chiarite ragioni, ritenuta non accoglibile).
Secondariamente, non v’è alcuna violazione ex art.112 cpc nello sviluppo motivazionale della sentenza gravata allorchè questa (quanto alle censure avverso la deliberazione consiliare n. 33/2011 gravata con motivi aggiunti) le ha respinte alla stregua della considerazione che trattavasi di doglianze che contestavano l’impossibilità di realizzare in zona F5 complessi destinati al commercio al dettaglio.
L’art. 32 delle NTA rimasto impugnato -lo si ripete -ciò ha prescritto, dal che discende l’infondatezza anche sotto tal profilo dell’appello.
2.3.1. Si osserva ancora che, a tutto concedere, anche se non si volesse affermare la inammissibilità delle doglianze, le stesse appaiono palesemente inaccoglibili.
L’appellante infatti tenta di interpretare il dato consistente in una prescrizione urbanistica, attraverso nozioni ricavate dalle norma di legge disciplinanti l’attività di vendita.
Senonchè, dall’art. 27 dell’invocato d.Lgs. 114/1998, si ricava che nel “mercato” è possibile anche esercitare attività di vendita al dettaglio, ma ciò non implica che la individuazione di un’area deputata all’insediamento (tra l’altro) di “mercati” implichi che detta ultima locuzione sia sinonimo di “struttura di vendita al dettaglio”.
La locuzione di cui all’art. 32 delle NTA che si riferisce espressamente alla zona F5 (la si ripete per comodità espositiva: zona per attrezzature annonarie “… è consentito l’insediamento di impianti, anche privati, per la conservazione e la preparazione, a scopo di trasformazione e/o distribuzione di prodotti alimentari, nonché degli impianti tipici del settore annonario, quali depositi, mercati e simili, compresi alloggi di custodia. …”), ruota sul concetto di “impianti” per trasformazione o distribuzione e la nozione di mercati ivi contenuta non può essere –se non forzando ratio e lettera della prescrizione medesima- essere interpretata in senso sinonimo a quello di “negozio per la vendita al dettaglio” posto che, evidentemente, interpretandola in tal senso non si scorgerebbe alcuna differenza (il dato è stato acutamente colto dal primo giudice) con la “zona commerciale” (quest’ultima ove, pacificamente, è permesso il commercio al dettaglio).
Che poi tutta la locuzione ivi contenuta (anche tale dato è contestato dall’appellante) si riferisca a prodotti alimentari è reso palese dalla circostanza che il “nonché” ivi contenuto si lega espressamente con la specificazione “ conservazione e la preparazione, a scopo di trasformazione e/o distribuzione di prodotti alimentari”, che altrimenti, ove si accedesse alla lettura patrocinata da parte appellante (che pretenderebbe ivi si potessero installare negozi al dettaglio di rivendita di prodotti non alimentari) non avrebbe alcun senso logico.
2.4. Nessuna violazione dei precetti di cui al d.Lgs. 26-3-2010 n. 59
(recante attuazione della direttiva 2006/123/CE c.d. Direttiva Bolkestein relativa ai servizi nel mercato interno) è poi ravvisabile, essendo tale corpo di disposizioni evocato del tutto a sproposito.
Sia l’art. 10 (recante libertà di accesso ed esercizio delle attività di servizi “ Nei limiti del presente decreto, l'accesso e l'esercizio delle attività di servizi costituiscono espressione della libertà di iniziativa economica e non possono essere sottoposti a limitazioni non giustificate o discriminatorie.”) sia l’art. 15 (recante “condizioni per il rilascio dell'autorizzazione” : “Ove sia previsto un regime autorizzatorio, le condizioni alle quali è subordinato l'accesso e l'esercizio alle attività di servizi sono:
a) non discriminatorie;
b) giustificate da un motivo imperativo di interesse generale;
c) commisurate all'obiettivo di interesse generale;
d) chiare ed inequivocabili;
e) oggettive;
f) rese pubbliche preventivamente;
g) trasparenti e accessibili.
I requisiti e i controlli equivalenti o sostanzialmente comparabili quanto a finalità, ai quali il prestatore sia già assoggettato in un altro Stato membro, sono da considerarsi idonei ai fini della verifica della sussistenza delle condizioni per il rilascio di un titolo autorizzatorio, sempre che il prestatore o le autorità competenti dell'altro Stato membro forniscano al riguardo le informazioni necessarie.) non incidono certo sulle potestà programmatorie urbanistiche, né tampoco possono essere interpretate nel senso (preteso da parte appellante) secondo cui l’Amministrazione sarebbe obbligata a consentire sempre e comunque l’installazione di esercizi di vendita al dettaglio in qualsiasi area del territorio comunale.
Ma, in disparte tale considerazione, è palese che nel caso in esame la discriminatorietà non sussiste affatto, avendo il pianificatore comunale riservato l’area de quo a strutture all’ingrosso, e non avendo introdotto alcun elemento “in danno” di alcuno specifico soggetto, ma essendosi limitata ad indicare specificamente in quali aree del territorio comunale potessero svolgersi i c.d. “mercatini”, non ricomprendendovi quella di parte appellante in quanto destinata ad altre attività (id est: quelle prima indicate)
Recente qualificata giurisprudenza (ex aliis T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, 15-10-2013, n. 2305, T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, 10-10-2013, n. 2271) ha fatto presente (proprio con riferimento alla c.d. direttiva Bolkestein recepita nell'ordinamento interno dal d.Lgs. n. 59 del 2010)che ivi si rinviene la distinzione fra atti di programmazione economica - che in linea di principio non possono più essere fonte di limitazioni all'insediamento di nuove attività - e atti di programmazione aventi natura non economica, i quali, invece, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono imporre limiti rispondenti ad esigenze annoverabili fra i motivi imperativi di interesse generale (art. 11, comma 1, lett. e) del D.Lgs. n. 59 del 2010, art. 34, comma 3, lett. a) del D.Lgs. n. 201 del 2011).
Ad avviso della richiamata giurisprudenza di merito, tale distinzione deve essere operata anche nell'ambito degli atti di programmazione territoriale, i quali non vanno esenti dalle verifiche prescritte dalla direttiva servizi per il solo fatto di essere adottati nell'esercizio del potere di pianificazione urbanistica, dovendosi verificare se in concreto essi perseguano finalità di tutela dell'ambiente urbano o, comunque, riconducibili all'obiettivo di dare ordine e razionalità all'assetto del territorio, oppure perseguano la regolazione autoritativa dell'offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle imprese.
Il legislatore ha stabilito, infatti, che:
a) ricadono nell'ambito delle limitazioni vietate (salvo la sussistenza di motivi imperativi d'interesse generale) non solo i piani commerciali che espressamente sanciscono il contingentamento numerico delle attività economiche, ma anche gli atti di programmazione che impongano "limiti territoriali" al loro insediamento (artt. 31, comma 1 e 34, comma 3 del D.L. n. 201 del 2011)
b) debbono, perciò, considerarsi abrogate le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongano limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate e che in particolare impediscano, condizionino o ritardino l'avvio di nuove attività economiche o l'ingresso di nuovi operatori economici (art. 1 del D.L. n. 1 del 2012).
Le norme sopra menzionate impongono al giudice chiamato a sindacare la legittimità degli atti di pianificazione urbanistica che dispongono limiti o restrizioni all'insediamento di nuove attività economiche in determinati ambiti territoriali, l'obbligo di effettuare un riscontro molto più penetrante di quello che si riteneva essere consentito in passato; e ciò per verificare, attraverso un'analisi degli atti preparatori e delle concrete circostanze di fatto che a tali atti fanno da sfondo, se effettivamente i divieti imposti possano ritenersi correlati e proporzionati a effettive esigenze di tutela dell'ambiente urbano o afferenti all'ordinato assetto del territorio sotto il profilo della viabilità, della necessaria dotazione di standard o di altre opere pubbliche, dovendosi, in caso contrario, reputare che le limitazioni in parola non siano riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e siano, perciò, illegittime (sul punto si veda la sentenza 15/3/2013 n. 38 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato la illegittimità costituzionale per contrasto con l'art. 31 del D.L. n. 201 del 2011 dell'art. 5, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e dell'art. 6 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 marzo 2012, n. 7, perché con essi veniva precluso l'esercizio del commercio al dettaglio in aree a destinazione artigianale e industriale, in assenza di plausibili esigenze di tutela ambientale che potessero giustificare il divieto).
Secondo il Tar lombardo, poi, neppure potrebbe obiettarsi che le norme sopra richiamate non potrebbero trovare applicazione perché sopravvenute rispetto alla disciplina urbanistica e commerciale da essa adottata, la cui efficacia, in difetto di tempestiva impugnazione, non potrebbe più essere rimessa in discussione nell'ambito dei ricorsi riguardanti gli atti applicativi.
Ciò in quanto i provvedimenti legislativi sopra menzionati non dispongono solo per il futuro, ma contengono clausole di abrogazione attraverso le quali il legislatore statale ha manifestato la volontà di incidere sulle norme regolamentari e sugli atti amministrativi generali vigenti, imponendo alle regioni ed agli enti locali una revisione dei propri ordinamenti finalizzata ad individuare quali norme siano effettivamente necessarie per la salvaguardia degli interessi di rango primario annoverabili fra i motivi imperativi di interesse generale e quali, invece, siano espressione diretta o indiretta dei principi dirigistici che la direttiva servizi ha messo definitivamente fuori gioco (vedasi l'ultimo periodo del comma 2 dell'art. 31 del D.L. n. 201 del 2011 e il comma 4 dell'art. 1 del D.L. n. 1 del 2012).
Il Tar ha pertanto posto in luce che il problema se, una volta decorso il periodo assegnato agli enti territoriali per recepire i nuovi principi nei propri ordinamenti, le norme regolamentari e gli atti amministrativi generali con essi incompatibili debbano o considerarsi automaticamente abrogati (e, quindi, non più applicabili anche nei giudizi concernenti l'impugnazione di atti applicativi) aveva già trovato risposta nella giurisprudenza amministrativa, la quale ha sancito che l'inutile decorso del termine assegnato dal legislatore statale per l'adeguamento degli ordinamenti regionali e locali ai principi in materia di concorrenza determina la perdita di efficacia di ogni disposizione regionale e locale, legislativa e regolamentare, con essi incompatibili. E ciò in forza di quanto sancito dal comma 2 dell'art. 1 della L. n. 131 del 2003 a mente del quale le disposizioni regionali vigenti nelle materie appartenenti alla legislazione esclusiva statale continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni statali in materia (Cons. Stato, V, 5/5/2009, n. 2808; TAR Toscana 6400/2010; TAR Sicilia, Palermo, 6884/2010, TAR Friuli Venezia Giulia 145/2011).
Nel caso di specie, però, pare al Collegio che - anche ipotizzando l’esercizio sul Piano per il commercio nel comune di Altamura gravato con i motivi aggiunti in seno al mezzo di primo grado del penetrante sindacato adombrato dal Tar lombardo- non emerga alcuna abnorme previsione.
Ma soprattutto, dato atto che l’appellante non ha gravato la determinazione n. 32 delle Nta, unicamente patrocinando di quest’ultima norma una interpretazione che già si è chiarito essere non aderente al dato normativo si potrebbe accedere alla critica
appellatoria.
Viceversa, il detto Piano commerciale non fa che conformarsi alla detta previsione inimpugnata, e quindi, essendo il Piano inattaccabile per tal motivo, e non affetto da vizi propri, non v’è possibilità alcuna di accogliere il mezzo.
3. Conclusivamente, l’appello è infondato e merita la reiezione,mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
4. Le spese processuali seguono la soccombenza, e pertanto l’appellante deve essere condannata al pagamento delle stesse in favore dell’amministrazione comunale appellata, in misura che appare congruo determinare in Euro duemila (€ 2000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore dell’amministrazione comunale appellata, nella misura di Euro duemila (€ 2000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.
l 'appello e, per l'effetto, .
Spese .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Goffredo Zaccardi, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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