DOPPIA FIRMA degli atti amministrativi ILLEGITTIMA salvo che ......
TAR Lazio-Latina, sentenza 29.07.2014 n. 667
[color=red]Interessante sentenza che evidenzia come la DOPPIA FIRMA sugli atti amministrativi sia consentita solo nel caso di sottoscrizione da parte del Responsabile del procedimento mentre nelle altre ipotesi ciò determina una illegittimità dell'atto adottato dalla PA.[/color]
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N. 00667/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00775/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
sezione staccata di Latina (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 775 del 2009, proposto dai sigg.ri
Michele Santulli e Rosalba Rapini, rappresentati e difesi dagli avv.ti Antonio e Loreto Gentile e con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R., in Latina, via A. Doria, n. 4
contro
Comune di Arpino in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Colonnello e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Fabio Cirilli, in Latina, via dei Piceni, n. 59
per l’annullamento
dell’ordinanza del Comune di Arpino n. 53/09, prot. gen. n. 4647/6 del 1° aprile 2009, notificata in pari data, con cui è stata ingiunta la demolizione di opere edilizie abusive descritte nell’ordinanza stessa e realizzate sul terreno distinto in catasto al fg. n. 66, mapp. n. 1134
e per la condanna
del Comune di Arpino al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c.
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Viste la memoria di costituzione e difensiva e la documentazione del Comune di Arpino;
Viste le note d’udienza e l’ulteriore documentazione depositata dai ricorrenti;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore nell’udienza pubblica del 19 giugno 2014 il dott. Pietro De Berardinis;
Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come specificato nel verbale;
Visto l’art. 74 del d.lgs. n. 104/2010 (c.p.a.);
Visto, altresì, l’art. 34, comma 2, c.p.a.
Considerato che con il ricorso indicato in epigrafe i ricorrenti, sigg.ri Michele Santulli e Rosalba Rapini, hanno trasposto in sede giurisdizionale – a seguito di opposizione – il ricorso straordinario avverso l’ordinanza del Comune di Arpino n. 53/09, prot. gen. n. 4647/6 del 1° aprile 2009, recante ingiunzione di demolizione delle opere edilizie abusive ivi elencate, realizzate sul terreno distinto in catasto al fg. n. 66, mapp. n. 1134;
Considerato che le opere abusive elencate nel provvedimento gravato consistono:
a) nella demolizione della trave e sovrastante muratura del muro di recinzione posto tra il terreno e la strada “Marco Agrippa”;
b) nell’ampliamento dell’apertura di circa cm. 40;
c) nell’installazione di un cancello automatizzato;
d) nella pavimentazione del terreno utilizzato come posto macchina con mantelle in cemento;
Considerato che a supporto del gravame, con cui hanno chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato, i ricorrenti hanno dedotto le censure di:
- violazione degli artt. 19 e 10, lett. b), della l. n. 241/1990 e dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001 ed eccesso di potere per palese contraddittorietà, illogicità e difetto di motivazione, in quanto i lavori eseguiti dai ricorrenti (resisi necessari per riparare i danni causati da movimenti franosi) sarebbero compresi negli interventi di manutenzione straordinaria e/o di restauro e risanamento conservativo ed avrebbero formato oggetto di D.I.A., nonché di dichiarazione di conclusione delle attività, senza che il Comune abbia mai adottato provvedimenti di divieto di prosecuzione di dette attività, ovvero di rimozione dei relativi effetti. Anzi, un primo procedimento sanzionatorio avviato dal Comune nel 2006 si sarebbe concluso senza l’irrogazione di sanzioni. In ogni caso, la P.A. non avrebbe valutato le memorie ed i documenti prodotti dal sig. Santulli;
- violazione ed errata applicazione degli artt. 10, 31 e 34 del d.P.R. n. 380/2001, eccesso di potere per palese contraddittorietà ed incompetenza, poiché i lavori effettuati dai ricorrenti non sarebbero compresi tra le opere per cui l’art. 10 del d.P.R. n. 380/2001 richiede il rilascio del previo permesso di costruire, né avrebbero avuto bisogno del previo assenso in materia paesaggistica ad opera della Regione;
- violazione dell’art. 19 della l. n. 241/1990, giacché, avendo i ricorrenti presentato una D.I.A. per i lavori in questione e non essendo la P.A. intervenuta sulla stessa, il Comune avrebbe dovuto prima intervenire in autotutela al fine di un riesame della situazione;
- incompetenza ed in ogni caso violazione degli art. 97 e 107 del d.lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.), per essere stata l’impugnata ordinanza firmata sia dal Capo Settore 6° – Urbanistica – Demanio, sia dal Segretario Comunale (rectius, Generale), laddove, invece, il precedente procedimento sanzionatorio (conclusosi senza irrogazione di sanzioni) era stato avviato dal Capo Settore Gestione del Territorio, sicché: a) l’ordinanza sarebbe stata adottata da un Ufficio incompetente; b) la sua sottoscrizione da parte anche del Segretario Generale la renderebbe in ogni caso viziata da incompetenza, dovendosi ritenere prevalente la firma del Segretario stesso su quella del titolare del Settore;
- violazione del principio del legittimo affidamento, poiché la P.A. avrebbe dovuto dare prevalenza alla posizione dei ricorrenti, avendo questi agito in perfetta buona fede ed a tutela della pubblica e privata incolumità, al fine di ripristinare l’accessibilità al sito reso impraticabile da un movimento franoso;
Considerato che si è costituito in giudizio il Comune di Arpino, depositando memoria difensiva con documentazione allegata e resistendo alle pretese attoree;
Considerato che, in prossimità dell’udienza pubblica, i ricorrenti hanno depositato note d’udienza, nonché ulteriore documentazione, insistendo nelle conclusioni già rassegnate e chiedendo, altresì, la condanna del Comune al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c.;
Ritenuta la sussistenza degli estremi per pronunciare sentenza cd. semplificata, ai sensi dell’art. 74 c.p.a., in virtù della manifesta fondatezza del quarto motivo di ricorso;
Considerato, infatti, che nel caso di specie l’ordinanza impugnata risulta sottoscritta da due distinti organi del Comune di Arpino (il Capo Settore 6° – Urbanistica – Demanio ed il Segretario Generale del Comune), ognuno dotato di una propria esclusiva sfera di competenza, non sovrapponibile alle sfere di competenza altrui, con il corollario dell’impossibilità di imputare il provvedimento all’uno o all’altro organo, come dovrebbe invece avvenire, sulla base dell’organizzazione interna dell’Ente locale delineata dallo statuto e dai regolamenti (v. art. 107 del d.lgs. n. 267/2000);
[color=red]Considerato, più in dettaglio, che la giurisprudenza ha ritenuto ammissibile la doppia sottoscrizione del provvedimento unicamente nell’ipotesi in cui il provvedimento sia contestualmente sottoscritto anche dal responsabile del procedimento, perché la firma anche da parte di quest’ultimo non può far sorgere dubbi su quale sia l’effettiva volontà manifestata dalla P.A., evidenziata dal provvedimento, né basta a far ipotizzare contraddittorietà di valutazioni o di posizioni (cfr. T.A.R. Liguria, Sez. I, 5 febbraio 2014, n. 186). La sottoscrizione dell’atto anche da parte del responsabile del procedimento non incide, cioè, sulla posizione della P.A.;
Considerato, tuttavia, che nel caso qui in esame nessuno dei due organi firmatari del provvedimento l’ha sottoscritto quale mero responsabile del procedimento, o almeno non sono stati forniti elementi in tal senso dalla P.A., cosicché deve ritenersi che il Capo Settore 6° – Urbanistica – Demanio abbia sottoscritto l’ordine di demolizione in qualità di organo deputato in via esclusiva alla sua adozione, ai sensi dell’art. 107, comma 3, lett. g), del d.lgs. n. 267/2000;[/color]
[color=red]Considerato che la contestuale sottoscrizione del provvedimento da parte del Segretario Generale, in difetto della prova di una competenza specifica di quest’ultimo, produce l’effetto di non rendere detto provvedimento imputabile in via esclusiva all’Ufficio amministrativo ad esso preposto, con il corollario dell’illegittimità dello stesso (T.A.R. Liguria, Sez. I, 9 febbraio 2007, n. 225);[/color]
Considerato, inoltre, che, essendo stata la doppia sottoscrizione apposta da organi diversi, portatori di funzioni e compiti diversi ed autonomi, essa non può che ingenerare il dubbio su quale sia stato il potere effettivamente esercitato (T.A.R. Liguria, Sez. I, n. 186/2014, cit.);
Considerato, più in dettaglio, che qualora fosse ravvisabile una competenza esclusiva del Segretario Generale alla sottoscrizione del provvedimento, questo sarebbe comunque viziato per l’apposizione contestuale della firma da parte del Capo Settore 6° – Urbanistica – Demanio (che, si ribadisce, non pare in alcun modo averlo firmato quale mero responsabile del procedimento). Né vi sono elementi per ritenere che il Segretario Generale abbia avocato a sé la competenza alla trattazione della pratica (anzi, una simile ipotesi è esclusa dalla contestuale sottoscrizione del predetto capo Settore). Donde l’incertezza sul potere effettivamente esercitato nella vicenda in esame, mentre la firma dell’ordine di demolizione compete in via esclusiva all’organo preposto all’Ufficio deputato a trattare la pratica (art. 107, comma 3, lett. g), del d.lgs. n. 267/2000);
Considerato, ad ulteriore riprova dell’illegittimità della doppia sottoscrizione di un provvedimento, che essa rende quanto mai incerto il regime della responsabilità del dipendente conseguente alla sua adozione (proprio per i dubbi circa la competenza ad adottarlo);
Considerato che, a fronte di ciò che si è esposto, si appalesano del tutto irrilevanti le argomentazioni della difesa comunale, la quale si limita ad obiettare sul punto che anche la comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio reca la surriferita doppia sottoscrizione e che il Segreterio Generale avrebbe firmato gli atti in veste di direttore generale dell’Ente locale;
Considerato che, secondo l’orientamento (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 13 aprile 2013, n. 941) cui ha aderito anche questa Sezione (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 2 dicembre 2013, n. 925; id., 24 giugno 2013, n. 578), l’accoglimento della doglianza incentrata sul dedotto vizio di incompetenza comporta l’annullamento del provvedimento impugnato e la rimessione dell’affare al Comune di Arpino, con assorbimento degli altri motivi di impugnazione, come già previsto dall’art. 26, secondo comma, della l. T.A.R., ed ora dall’art. 34, comma 2, primo periodo, c.p.a., il quale ha statuito l’impossibilità, per il G.A., di pronunciarsi in riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati;
Ritenuto quindi, alla luce di quanto si è detto, di dover dichiarare il ricorso manifestamente fondato ai sensi dell’art. 74 c.p.a., attesa la fondatezza della censura di incompetenza avanzata con il quarto motivo e con assorbimento di ogni altra censura;
Ritenuto, perciò, di dover disporre l’annullamento dell’ordinanza impugnata e di dover rimettere la questione al Comune di Arpino per le eventuali ulteriori determinazioni;
Ritenuto, da ultimo, in base al criterio della soccombenza di dover liquidare le spese e gli onorari di causa, come da dispositivo, a carico del Comune di Arpino, tenuto conto della ridotta complessità della fattispecie e senza che ricorrano in alcun modo gli estremi previsti dall’art. 96 c.p.c. (nonché dall’art. 26, comma 2, c.p.a.), permanendo impregiudicata la sostanza dell’affare, da trattarsi in via esclusiva da parte dell’organo a ciò competente
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione staccata di Latina (Sezione I^) così definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Comune di Arpino al pagamento in favore della ricorrente delle spese e degli onorari di causa, che liquida in via forfettaria in complessivi € 1.000,00 (mille/00).
Respinge la domanda di condanna del Comune di Arpino al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c. (nonché 26, comma 2, c.p.a.).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Latina, nella Camera di consiglio del giorno 19 giugno 2014, con l’intervento dei magistrati:
Francesco Corsaro, Presidente
Davide Soricelli, Consigliere
Pietro De Berardinis, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/07/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
[img]http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Latina/Sezione%201/2009/200900775/Provvedimenti/stemma.jpg[/img]
[color=red][size=18pt]Approfondimenti
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T.A.R. Liguria, Sez. I, 5 febbraio 2014, n. 186
N. 00186/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01392/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1392 del 2011, proposto da:
Dario Tandoi, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi Piscitelli, con domicilio eletto presso Luigi Piscitelli in Genova, corso Saffi 7/2;
contro
Comune di Alassio;
per l'annullamento
anmnullamento provvedimento di diniego condono edilizio
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2014 il dott. Davide Ponte e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in esame parte ricorrente impugnava il provvedimento di cui in epigrafe, recante diniego su istanza di condono, presentata in relazione a lavori di ampliamento dell’immobile consistenti nella realizzazione nell’intercapedine di un appartamento; il diniego si basava sul carattere di volumetria rilevante in senso urbanistico dell’abuso, non rientrante quindi nelle previsioni di ammissibilità contemplate dall’art. 4 comma 1 l.r. 5 in quanto abuso in tipologia 1 in zona di vincolo ai sensi del dlgs. 42\2004 eseguito dopo il 1\9\1967.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda e gli atti procedimentali che hanno portato alla determinazione contestata, venivano quindi dedotte le seguenti censure:
- violazione degli artt. 4 l.r. 5\2004, 3 ss. l. 241\1990 e diversi profili di eccesso di potere, in quanto non vi sarebbe un volume rilevante, essendo comunque intercapedine preesistente come risultante nell’atto di acquisto;
- violazione degli artt. art. 32 comma 27 d) d.l. 269\2003 ed analoghi vizi, in quanto la norma regionale avrebbe ampliato le ipotesi di condonabilità e non risulta comunque dimostrata la contrarietà urbanistica;
- difetto di motivazione in ordine alle osservazioni formulate in sede procedimentale ex art. 10 bis l. 241 cit.;
- analoghi vizi di difetto di motivazione non essendo mai stato comunicato al ricorrente il parere negativo della commissione edilizia;
- violazione degli artt. 5 cit. e 2 l.r. 22\2009 per mancata acquisizione del parere della commissione locale per il paesaggio;
- violazione dell’art. 107 t.u.ee.ll. e 27 statuto comunale per incompetenza, a fronte della doppia sottoscrizione del provvedimento da parte del dirigente e del responsabile del procedimento.
Il Comune intimato non si costituiva in giudizio.
Alla pubblica udienza del 30\1\2014 la causa passava in decisione.
Il ricorso appare infondato.
Il diniego in contestazione riguarda la realizzazione di un appartamento nell’intercapedine sottostante la preesistente abitazione, in zona pacificamente soggetta a vincolo paesaggistico.
Le censure si dividono in due gruppi: per un verso (motivi da 3 a 6), profili di carattere prevalentemente formale (procedimentale, motivazionale e di incompetenza); per un altro verso (motivi 1 e 2), profili inerenti la consistenza dell’opera, la relativa qualificazione urbanistica e, conseguentemente, la ammissibilità del condono ai sensi della disciplina vigente.
Sul primo versante, le censure appaiono palesemente destituite di fondamento oltre che in gran parte di carattere pretestuoso.
Il procedimento svolto dalla p.a. intimata ha seguito le necessarie scansioni procedimentali, avendo messo in condizione parte ricorrente di partecipare ed interloquire in ogni fase dell’iter; ciò, in particolare, sia anteriormente al passaggio in commissione edilizia (memoria 12\5\2011 doc. 3) sia in seguito al parere di tale organo consultivo (memoria 8\11\2010 doc. 5).
Il provvedimento finale ha dato adeguato e sufficiente conto di tali passaggi e delle valutazioni conclusive, tali da escludere rilevanza alle osservazioni proposte, nel senso della chiara indicazione di quale sia il motivo del diniego (sia in termini di fatto, realizzazione di volume urbanisticamente rilevante in zona vincolata, che di diritto, indicando la normativa ostativa).
Lo stesso diniego risulta poi sottoscritto dal dirigente competente che, nel fare propri gli esiti dell’iter procedimentale, ha espresso con chiarezza l’esito della propria valutazione e le relative ragioni. Nessun autonomo e concreto vizio (che infatti neppure parte ricorrente è stata in grado di adombrare) può imputarsi alla contestuale sottoscrizione del responsabile del procedimento, non risultando alcun elemento in base al quale anche solo ipotizzare contraddittorietà di valutazioni o posizioni; né tale ultroneo elemento è in grado di far sorgere un qualsiasi dubbio su quale sia la manifestazione di volontà dell’amministrazione comunale, resa evidente dal provvedimento.
[color=red]I precedenti espressi dal Tribunale in termini di censura della doppia sottoscrizione riguardano unicamente ipotesi di organi diversi, portatori di funzioni e compiti diversi (ad esempio dirigente comunale e commissario ad acta nominato dal Giudice ovvero, per citare un caso invocato da parte ricorrente tramite richiamo giurisprudenziale, organo politico o organo gestionale), tali da ingenerare il dubbio su quale fosse il potere esercitato (se quello ordinario della p.a. o quello proprio di ausiliario del giudice ovvero se quello peculiare ed eccezionale del Sindaco ovvero quello ordinario del dirigente). Nulla di tutto ciò è rilevabile nella specie dove, all’opposto, chiara, lineare e consequenzionale – rispetto agli esiti dell’iter procedimentale – è la posizioni del Comune, espressa tramite i propri competenti organi di carattere strettamente gestionale.[/color]
Sul secondo versante, i due profili dedotti assumono valenza prima urbanistica, in termini di qualificazione dell’abuso e della relativa consistenza, e quindi di compatibilità con la normativa che ammette la condonabilità sulla scorta di puntuali presupposti.
Il profilo urbanistico riguarda la qualificazione dell’intervento abusivo. In proposito, del tutto irrilevante è l’elemento invocato da parte ricorrente a fini di dimostrazione della preesistenza di un volume; infatti, la previsione di tale elemento nell’atto di acquisto può solo essere fonte di rilevanti dubbi in ordine alla correttezza e responsabilità del notaio rogante, senza poter assumere alcuna rilevanza a fini urbanistico edilizi, rispetto ai quali unico elemento di interesse è la consistenza dei titoli in base ai quali l’abitazione risultava realizzata.
Pertanto, appare pienamente corretta e scevra dalle censure dedotte la valutazione svolta dal Comune sulla scorta degli atti edilizi vigenti: rispetto alla situazione “titolata”, l’appartamento abusivamente creato nell’intercapedine assume i chiari connotati di nuova costruzione, quale nuovo volume urbanisticamente rilevante, di carattere residenziale e quindi avente conseguente pari impatto urbanistico, a partire dai necessari standards. Se già lo stesso art. 3 t.u. edilizia in termini di principio dà rilievo ai manufatti anche interrati, quale possibile nuova costruzione, ai fini della presente decisione assume carattere dirimente il semplice raffronto fra il nulla preesistente, negli unici termini rilevanti ai fini in esame - cioè quelli ricavabili dai titoli edilizi - e l’appartamento realizzato ex novo abusivamente, oggetto dell’istanza di condono. Nel dettaglio, diversamente da quanto prospettato in ricorso, l’intervento non è limitato alla semplice apertura di finestre, avendo comportato sia lo scavo del piano originario, sia la realizzazione ex novo di un appartamento, con tutti i relativi accessori, nell’ambito di uno spazio in precdenza privo di concreta valenza ed impatto urbanistico. Sul punto tali considerazioni e gli elementi esposti dal Comune trovano immediato conforto dal semplice raffronto fra le varie tavole progettuali nonché fra le diverse fotografie raffiguranti lo stato dei luoghi.
Più in generale, la ammissibilità della trasformazione di spazi privi di consistenza autonoma ha richiesto ad esempio specifiche normative derogatorie, come in tema di sottotetti. Ciò conferma che, in carenza di ciò, appare insostenibile la pretesa di qualificare quale volume urbanisticamente rilevante una mera intercapedine (avente in genere funzione di isolamento dell'edificio), i cui caratteri costruttivi non ne consentivano alcuna possibilità di autonomo utilizzo, se non tramite un intervento di consistenza ed impatto tali, quale quello in esame, da non potersi che qualificare nei termini seguiti dal Comune nella specie.
Assodato il profilo urbanistico, in ordine alla questione della condonabilità occorre prendere le mosse dal dato normativo regionale in questione, a mente del quale: “Ai sensi dell'articolo 32, comma 26, del D.L. n. 269/2003, convertito dalla L. n. 326/2003 e modificato dalla L. n. 350/2003, e ad integrazione di quanto stabilito nel successivo comma 27, lettera d), relativamente alle opere abusive realizzate in aree assoggettate ai vincoli di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) e successive modificazioni, sono suscettibili di sanatoria, ancorché eseguiti nelle aree vincolate sopraindicate [ed in epoca successiva alla imposizione del relativo vincolo]… (come noto, la Corte costituzionale, con sentenza 8-11 ottobre 2012, n. 225, in Gazz. Uff. 17 ottobre 2012, n. 41, prima serie speciale, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, limitatamente alle parole racchiuse fra le parentesi quadre): …
…b) le opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume e gli interventi comportanti violazioni relative all'altezza, ai distacchi e alla cubatura o alla superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte dal progetto assentito, sempreché entrambe tali fattispecie non si pongano in contrasto con le specifiche discipline di tutela del relativo vincolo.”
Preliminarmente, va esclusa rilevanza a quella parte di censura che invoca il potere del legislatore regionale di ampliare le ipotesi di condonabilità in zona vincolata, come reso evidente dalla statuizione resa dalla Consulta e sopra richiamata.
In sede di memoria conclusiva parte ricorrente cerca di spostare e concentrare il tiro, rispetto all’originaria impostazione (il ricorso è anteriore infatti alla pronuncia della Consulta) reputando applicabile l’eccezione alle esclusioni di cui alla normativa statale (art. 32 comma 27 lett d come inteso in sede di circolare applicativa). L’infondatezza della prospettazione appare evidente a monte, sulla scorta delle seguenti due dirimenti considerazioni: da un lato è assodato, sulla scorta di quanto sopra analizzato, che nel caso de quo ci si trova dinanzi ad un nuovo volume urbanisticamente rilevante, in zona vincolata; dall’altro lato, la stessa Corte Costituzionale, nell’evidenziare la necessità di riconoscere al legislatore regionale un ruolo rilevante di articolazione e specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale in tema di condono sul versante amministrativo, ha ammesso l’opzione legislativa limitativa, potendo il legislatore regionale seguire fini di ulteriore tutela dei valori primari connessi alla tutela ambientale e paesaggistica. In coerenza con questa impostazione, ad esempio, è stato, tra l'altro, dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 25 dell'art. 32 del citato decreto-legge sul condono edilizio, nella parte in cui non prevedeva che la legge regionale potesse determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati nella medesima disposizione.
Al contrario, e ciò ha costituito il dictum primario della sentenza 225, è stata ritenuta di stretta interpretazione, in quanto espressione di principio generale afferente ai limiti della sanatoria, l'individuazione da parte della legge dello Stato delle fattispecie ad essa assoggettabili, di modo che le stesse non possono essere comunque ampliate o interpretate estensivamente dalla legislazione regionale.
Nella specie il legislatore regionale, nei limiti riconosciuti dalla predetta giurisprudenza costituzionale, esclude a priori la condonabilità di nuovi volumi urbanisticamente rilevanti in zona vincolata, sulla scorta di una previsione puntualmente applicata nella specie dal Comune di Alassio. Incidentalmente, va evidenziato come tale legislazione escluderebbe la condonabilità anche laddove l’intervento non dovesse essere qualificato quale volume ma come semplice superficie ex novo.
Nulla va disposto per le spese a fronte della mancata costituzione del Comune intimato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Santo Balba, Presidente
Davide Ponte, Consigliere, Estensore
Luca Morbelli, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/02/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Approfondimenti
[color=red]TAR LOMBARDIA sent. 2170/2013 sulla DOPPIA SOTTOSCRIZIONE Sindaco+Dirigente[/color]
N. 02170/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01773/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1773 del 2012, proposto da:
- Monti Minucci Del Rosso Arrighetti Emiliano, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della srl Terrealte Società Agricola, rappresentato e difeso dall'avv. Claudio Linzola, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Hoepli, 3;
contro
- Comune di Garlasco, rappresentato e difeso dall'avv. Bruno Vernaglione, domiciliato ex art. 25, co.1 lett. a) c.p.a. in Milano, c/o Segreteria del T.A.R. Lombardia;
nei confronti di
- Consorzio del Parco Lombardo della Valle del Ticino;
- sig. Paolo Grioni;
per l'annullamento
- dell’ordinanza n. 2 del 3 maggio 2012 del Sindaco e del Capo Area Territorio del Comune di Garlasco, avente ad oggetto un’ingiunzione di demolizione o rimozione di opere abusive e ripristino dello stato dei luoghi;
- della nota del Comune di Garlasco del 29 settembre 2011, prot. n. 16845, recante inizio del procedimento amministrativo nei confronti del sig. Arrighetti Emiliano Monti Minucci Del Rosso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Garlasco;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 maggio 2013 la dott.ssa Concetta Plantamura e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La società Terrealte s.r.l. è proprietaria in Comune di Garlasco, frazione San Biagio, delle aree ubicate al foglio 5, mappali 99, 100, 101, 257, 26, 27, 28, 34, 35, 274, 275, 276, 185, 187, 188, 189, 192, 193, 501, 502, 194 e foglio 6, mappali 43, 323, 52.
Le aree ricadono all'interno del perimetro del Parco Lombardo della Valle del Ticino e sono azzonate in parte in zona C2 “agricolo forestale a prevalente interesse paesaggistico”, in parte in zona G2 “pianura irrigua a preminente vocazione agricola” ed in parte in zona ZB “naturalistica parziale”.
Le predette aree sono attraversate da una strada, denominata strada vicinale “di Milano”, a cui si riferiscono gli atti oggetto di gravame.
In particolare, il Comune di Garlasco ha, con essi, dapprima avviato nei confronti del ricorrente un procedimento per abuso edilizio, avendo riscontrato la realizzazione di un deposito di materiali sulla predetta strada vicinale, all'altezza dell'incrocio con la strada vicinale Alessandrina, atto ad inibire il traffico veicolare e pedonale.
Indi, nonostante le osservazioni rese in sede procedimentale dal sig. Monti (che rappresentava al Comune la inutilizzabilità del tratto della strada vicinale di Milano in questione, in quanto da lungo tempo avvolto dalla vegetazione circostante, nonché l'utilizzabilità di un percorso alternativo), il Comune di Garlasco ha adottato l'ordinanza n. 2/2012, in epigrafe specificata, con la quale ha ingiunto la rimessione in pristino stato dei luoghi ed il ripristino del passaggio al pubblico transito sulla strada vicinale.
Contro tale ordinanza, e la comunicazione di avvio del procedimento in essa richiamata, è stato interposto l’odierno gravame, notificato il 3-5/07/2012 e depositato il successivo 11.07.2012, affidato a 5 motivi, con cui si deduce:
I) l’illegittimità per violazione degli artt. 7 e 8 della Legge 7 agosto 1990, n. 241, poiché l'ordinanza sarebbe stata adottata senza un previo contraddittorio con il suo destinatario, ignaro dell'oggetto del procedimento amministrativo avviato;
II) l’illegittimità per eccesso di potere sotto il profilo della perplessità, nonché, nullità dell'atto per violazione dell'art. 21 septies della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.; poiché non sarebbe chiaro quale potere avrebbe inteso qui esercitare l'Amministrazione, atteso che il provvedimento impugnato richiamerebbe sia le norme in materia di edilizia (T.U. e Legge regionale n. 12/2005) e beni paesaggistici (d.lgs. n. 42/2004) sia l'art. 15 del d.l. lgt. n. 1446/1918 in tema di ripristino della viabilità vicinale. Ancora, rileva sempre la medesima difesa, l'ordinanza impugnata, recando due sottoscrizioni (Sindaco e Dirigente) sarebbe perplessa pure dal punto di vista dell'attribuzione della sua paternità; anzi, la presenza di una doppia sottoscrizione impedirebbe radicalmente di individuare l'autore del provvedimento, al pari del caso in cui non vi fosse sottoscrizione alcuna;
III) l’illegittimità per violazione dell'art. 107 d.lgs. n. 267/2001, poiché la sottoscrizione del Sindaco inficerebbe la validità del provvedimento, atteso che, quale che sia il potere esercitato (sanzione edilizia o paesaggistica od ordinanza ripristinatoria della viabilità), la competenza all'adozione del provvedimento finale non può che essere del Dirigente, ai sensi dell'art. 107 del T.U. cit.;
IV) l’illegittimità per violazione dell'art. 15 del d.l. lgt. l settembre 1918, n. 1446; per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione; per violazione dell'art. 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241; poiché la via vicinale di Milano – quantomeno nel tratto in questione, compreso tra l'intersezione con via Cascina Valletta e la strada Alessandrina - non sarebbe una strada vicinale ad uso pubblico, in quanto priva dei requisiti di legge per essere considerata tale. L'iscrizione della strada nell'elenco comunale delle vie vicinali non sarebbe dirimente, in quanto priva di efficacia costitutiva o probatoria della sua soggezione a pubblico passaggio, occorrendo, a tal fine, la prova della sua permanente destinazione a soddisfare esigenze collettive. Detta strada, poi, non assolverebbe al soddisfacimento di alcuna esigenza di interesse generale, giacché non destinata a collegare due vie pubbliche o a condurre a luoghi aperti al pubblico o di interesse pubblico;
V) l’illegittimità per violazione dell'art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dell'art. 27, comma l, lett. e) della Legge regionale 11 marzo 2005, n. 12; illegittimità per violazione dell'art. 167 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
Si è costituito il Comune di Garlasco, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie e sollevando, altresì, eccezioni pregiudiziali di inammissibilità del gravame.
In particolare, il Comune ha rilevato come la pretesa sostanziale azionata con l’odierna impugnazione verta sull’accertamento della natura privata della strada vicinale Milano, sicché essa è sottratta alla giurisdizione del giudice amministrativo e riconducibile a quella dell’A.G.O., alla stregua dell’actio negatoria servitutis, finalizzata ad accertare che la strada non è soggetta all’uso pubblico.
La difesa civica ha, altresì, rilevato come il ricorso sia inammissibile per mancata impugnazione di atto presupposto, autonomamente lesivo, consistente nella delibera del Consiglio comunale n. 78/1981 di classificazione della strada de qua come vicinale d’uso pubblico.
Con ordinanza n. 1179 del 24.08.2012 è stata accolta la formulata domanda cautelare.
In prossimità dell’udienza fissata per la discussione del merito entrambe le parti hanno depositato memorie e repliche.
All’udienza pubblica del 2 maggio 2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Il Collegio rileva, in via preliminare, la pacifica sussistenza della propria giurisdizione sulla fattispecie, poiché l'impugnata ordinanza, qualificabile ai sensi dell'art. 15 del d.l. lgt. n. 1446/1918, integra una fattispecie di autotutela possessoria in via amministrativa o "iure publico" - finalizzata all'immediato ripristino dello stato di fatto preesistente di una strada, volto a reintegrare la collettività nel godimento del bene (cfr. Cons. St., Sez. V, sent. 8 gennaio 2009, n. 25; T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, Sent. 20-03-2013, n. 341; T.A.R. Salerno, Sez. I, sent. 29 maggio 2012, n. 1058; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, sent. 8 aprile 2011, n. 184).
La giurisdizione del g.a. non viene meno ancorché gli venga richiesto di accertare, in via incidentale, la sussistenza o meno del diritto della collettività sul suolo pubblico o soggetto ad uso pubblico. Se è vero, infatti, che non rientra nella giurisdizione del Giudice Amministrativo l'accertamento in via principale di una servitù pubblica di passaggio, essendo detta questione devoluta alla giurisdizione del Giudice Ordinario, è altrettanto vero che ricorre la giurisdizione del Giudice Amministrativo qualora l'esistenza della servitù pubblica risulti costituire un presupposto dell'atto eventualmente impugnato, cosicché la valutazione della sua sussistenza si ponga come questione da valutare, incidenter tantum, al limitato fine di verificare la legittimità degli atti gravati, non ravvisandosi alcuna pregiudiziale obbligatoria, in siffatte questioni, a favore del Giudice Ordinario (cfr. in tal senso, sempre T.A.R. Piemonte, Torino Sez. I, Sent., n. 341/2013; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia Sez. I, n. 184/2011; Cass. SS.UU. 2.10.1989, n. 3950, 23.1.1991, n. 596, 7.11.1994, n. 9206).
Si può, a questo punto, prescindere dall’esame della residua questione preliminare, essendo il ricorso infondato nel merito.
In tal senso, re melius perpensa rispetto a quanto deciso in sede di cognizione sommaria, preme al Collegio evidenziare come l’ordinanza di cui trattasi, pur richiamando nelle proprie premesse almeno un duplice ordine di presupposti normativi (da un lato, il d.P.R. n. 380/2001, la l.reg. n. 12/2005 e il d.lgs. n. 42/2004 e, dall’altro, l’art. 15 del d.l.lgt. n. 1446/1918), radichi, di fatto, la disposta ingiunzione sull’esercizio del potere di autotutela possessoria, spettante al Sindaco ai sensi dell’art. 15 del d.l.lgt. n. 1446/1918.
In effetti, è proprio sul potere in esame che risulta calibrata la motivazione del provvedimento, che, dopo avere descritto lo stato della strada interessata dal cumulo di materiale inerte, richiama, nelle premesse, nell’ordine, la delibera del Consiglio comunale recante l’elenco delle strade vicinali ad uso pubblico, i presupposti applicativi dell’art. 15 cit. e, quindi, il prevalente interesse pubblico al ripristino della preesistente viabilità. In siffatte circostanze, reputa il Collegio che il provvedimento in questione costituisca esplicazione del predetto potere di autotutela e come tale debba essere valutato, tenendo conto della normativa ad esso applicabile.
Non va dimenticato, infatti, che l’esatta qualificazione giuridica del provvedimento amministrativo impugnato, fondandosi sull'analisi del suo contenuto effettivo e della sua causa reale, spetta al giudice investito dalla controversia, il quale può, addirittura, legittimamente prescindere dal nomen iuris formalmente attribuito dall'amministrazione all'atto adottato (cfr. ex multis, da ultimo, T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 22-05-2013, n. 5144).
Su tali premesse, il primo motivo di ricorso appare inammissibile, prima ancora che infondato, poiché non riferibile all’ordinanza che qui ci occupa, così come correttamente intesa alla stregua di provvedimento adottato nell’esercizio del potere di autotutela possessoria delle strade vicinali, potere di spettanza sindacale. Esso, a ben vedere, appare riferito ad un ipotetico provvedimento, conclusivo del procedimento avviato con la comunicazione del 29.09.2011, per l’abusiva trasformazione permanente del suolo in edificato, non ravvisabile - a parere del Collegio - nell’ordinanza per cui è causa. Quest’ultima, proprio in virtù della sua specifica connotazione, non necessita di previa comunicazione di avvio, rivestendo natura tipicamente cautelare e urgente, diretta a recuperare nell’immediato l’uso pubblico della strada di cui trattasi (cfr. Cons. di Stato, sent. 1.12.2006 n. 7081).
Analogamente infondato si appalesa, poi, il secondo motivo, atteso che, la presenza di una doppia sottoscrizione (del Sindaco e del Dirigente) non fa di certo venire meno l’assunzione della paternità dell’ordinanza al soggetto ex lege legittimato alla sua adozione (nel caso di specie, il Sindaco, ex art. 15 cit.), così rendendo l’atto in questione soggettivamente perfetto e immune dalle dedotte censure.
Da ciò si ricava anche l’infondatezza del terzo motivo, atteso che l’art. 107 del d.lgs. n. 267/2000 non ha inteso privare il Sindaco delle competenze ad esso specificamente attribuite dalle previgenti previsioni normative, laddove si resti comunque al di fuori dei compiti di gestione (cfr. artt. 107, co. 5 e 50, co. 4 d.lgs. n.267/2000). Infatti, in disparte la circostanza che l’ordinanza in esame non rientra tra i “compiti” espressamente attribuiti, ai sensi del comma 3 dell’art. 107 cit. alla competenza dirigenziale, in ogni caso essa non è riconducibile fra i “compiti di attuazione degli obiettivi o dei programmi definiti con gli atti di indirizzo”.
Ne consegue che, legittimamente l’ordinanza in esame reca la firma del Sindaco, in conformità del chiaro disposto di cui all’art. 15 d.l.lgt. cit.
Si può, così, passare all’esame del quarto motivo, con cui si lamenta, in sostanza, il difetto dei presupposti di cui all’art. 15 richiamato.
Ebbene, tale norma (introdotta con il d.l.lgt. 1-9-1918 n. 1446, convertito in legge dalla L. 17 aprile 1925, n. 473, le cui disposizioni - delle quali l'art. 2, d.l. 22 dicembre 2008, n. 200, aveva previsto l’abrogazione a decorrere dal 16 dicembre 2009 - sono state sottratte all’effetto abrogativo in base al comma 2 dell’art. 1, d.lgs. 1° dicembre 2009, n. 179), così dispone:
“Le funzioni di vigilanza e polizia sulle strade vicinali sono esercitate dal sindaco, a cui spetta ordinare che siano rimossi gli impedimenti all'uso delle strade e all'esecuzione delle opere definitivamente approvate e che siano ridotte nel pristino stato le cose abusivamente alterate.
Per le strade soggette ad uso pubblico, il sindaco dispone l'esecuzione dei lavori occorrenti a spese degli interessati, quando vi sia urgenza o non si adempia entro il termine prefisso agli ordini ricevuti. La nota di spese è resa esecutoria dal prefetto, sentiti gli interessati, ed è riscossa nelle forme e con i privilegi fiscali. Sono altresì applicabili per queste strade gli artt. 374 a 377 della legge sulle opere pubbliche.
Per le strade non soggette ad uso pubblico il sindaco può solo provvedere quando ne sia richiesto, e può autorizzare il Consorzio ad eseguire i lavori di ripristino anche in pendenza di ricorsi”.
Come chiarito da tempo dalla giurisprudenza, i presupposti che legittimano l'esercizio del potere di autotutela possessoria delle strade vicinali, attribuito al Sindaco ai sensi della su riportata norma, sono:
a) la preesistenza di fatto dell'uso pubblico della strada, anche se questa sia del tutto privata;
b) la sopravvenienza di un'alterazione del preesistente stato di fatto, che abbia frapposto impedimenti all'uso pubblico della strada medesima (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 151 del 09-05-1983; di recente, T.A.R. Emilia-Romagna Parma Sez. I, Sent., 21-01-2013, n. 20).
Applicando le suesposte coordinate ermeneutiche al caso di specie, si ricava che, quanto al primo aspetto, è dirimente la deliberazione del Consiglio comunale n. 78 del 9.04.1981, allegata in atti (sub n.10 di parte resistente), che inserisce la strada in questione, ivi incluso il tratto interessato dall’ordinanza de qua, nell’elenco delle strade vicinali, rappresentata graficamente con la linea n. 21. Che si tratti di strada vicinale di uso pubblico si comprende, poi, ancora meglio, esaminando la deliberazione dello stesso Consiglio del 12.11.1968 (pure allegata, sub n.8 della produzione comunale) avente ad oggetto la classificazione tra le strade comunali della strada vicinale di uso pubblico “Via Milano”, nel tratto compreso tra la provinciale Bereguardo-Garlasco e il Ponte sul Canale Cavour. Si ricava, infatti, da essa che, benché il tratto che qui rileva non sia stato classificato come comunale, nondimeno, esso viene chiaramente definito come strada ad uso pubblico, e ciò è sufficiente a legittimare l’ordine di ripristino in esame.
Come correttamente rilevato dalla difesa comunale, infatti, l’iscrizione della strada nel tratto che qui interessa nell’elenco delle strade vicinali soggette ad uso pubblico, comporta, per la sua natura dichiarativa, in adesione a consolidata giurisprudenza (cfr. Cons. di Stato sez. V, sent. 22.06.2010 n. 3891), una presunzione della sussistenza del diritto di pubblico transito sulla strada, che può essere vinta solo con l’esperimento dell’actio negatoria servitutis di fronte al giudice ordinario, ai sensi del disposto dell’art. 20, II comma dell’all. “F” alla legge n. 2248 del 1865.
Al contempo, quindi, alla stregua del medesimo indirizzo giurisprudenziale, la sussistenza di tale iscrizione costituisce il presupposto che fonda la legittimazione del Comune all’esercizio del potere di ripristino dell’uso pubblico stesso, estrinsecazione del potere di autotutela possessoria, di cui all’art. 15 copra richiamato.
Non si può dire, infatti, che la parte ricorrente abbia adempiuto all’onere probatorio conseguentemente ravvisabile a suo carico, in ordine alla prova della mancanza di un uso pubblico della strada de qua, essendosi la difesa attorea limitata a richiamare, al riguardo, l’attuale stato di inservibilità della strada.
Sennonché, giova osservare al riguardo come, sempre per giurisprudenza consolidata, i provvedimenti sindacali di autotutela possessoria delle strade (emanati ai sensi dell'articolo 378 dell'allegato F della legge 20 marzo 1865 n. 2248, ovvero ai sensi degli articoli 15 e 17 del d.l.lgt. 1 settembre 1918 n. 1446) ben possono essere emanati anche quando da tempo la strada non è stata utilizzata dalla collettività ed anche quando sia diventata impraticabile al carreggio (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 522 del 07-04-1995).
Per completezza, è utile richiamare anche quanto recentemente affermato dal Consiglio di Stato (cfr. Sez. V, Sent., 14-05-2013, n. 2611), secondo cui:
“La circostanza che il Comune non sia intervenuto tempestivamente nell'assumere iniziative per il ripristino della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione delle opere abusive realizzate in loco, non solo non può ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della strada discendente dalla sua iscrizione nell'elenco delle strade pubbliche (giusta delibera comunale n. 57 del 1969), ma, secondo i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza, non è in grado di assumere alcun significato nella vicenda in esame, i cui elementi significativi sono l'esistenza di una strada vicinale iscritta come tale nell'elenco delle strade comunali, l'uso da parte della collettività uti cives, la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse per il collegamento con la pubblica via del santuario dell'acqua nera e l'interruzione e trasformazione da parte del ricorrente, proprietario di suolo confinante, a mezzo della realizzazione sull'area stradale di opere edilizie abusive (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 giugno 2012, n. 3531; sez. V, 4 febbraio 2004, n. 373; sez. V, 24 ottobre 2002, n. 5692; Cass. civ., sez. II , 10 ottobre 2000, n. 13485; 7 aprile 2000, n. 4345; Sez. I, 3 ottobre 2000, n. 13087, cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d) c.p.a.)”.
In tal senso, giova notare, ad abundantiam, come la difesa comunale abbia indicato una serie di circostanze, nel loro complesso idonee a confermare l’esistenza dell’uso pubblico della strada in discorso (cfr. quanto allegato e documentato a pg. 17 della memoria illustrativa del 20.08.2012, nonché la documentazione prodotta sub nn. 7 e ss.), nonché a fornire plurimi indizi circa la collocazione temporale del cumulo di materiale per cui è causa, in epoca successiva all’acquisto della proprietà da parte dell’odierno ricorrente (cfr. quanto riportato nelle osservazioni del ricorrente del 7.11.2011, in relazione a quanto emergente dal rapporto informativo del Consorzio del Parco del 18.09.2008 e dal verbale di sopralluogo del Comune dell’11.10.2008).
Quanto, infine, all’ultimo motivo, osserva il Collegio come esso risulti inammissibile, analogamente al primo, in precedenza scrutinato, poiché riferito all’esplicazione dei poteri repressivi di abusi edilizi che, come detto, non rappresenta la reale essenza del provvedimento qui gravato.
Per le suesposte considerazioni, quindi, il ricorso in epigrafe specificato deve essere respinto.
Sulle spese il Collegio, in considerazione dell’andamento complessivo della causa, ravvisa valide ragioni per disporne l’integrale compensazione fra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 2 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Stefano Celeste Cozzi, Primo Referendario
Concetta Plantamura, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N.d.r. La competenza a provvedere in materia di rilascio o diniego di concessione o autorizzazione edilizia, o permesso di costruire, nonché in materia di repressione di abusi edilizi spetta non più al sindaco (ai sensi dell'art. 107 d.lg. 18 agosto 2000 n. 267), ma al funzionario dirigente addetto al relativo ufficio comunale.
Su tale questione, in un caso dove la concessione edilizia era firmata sia dal tecnico sia dal sindaco, il Tar Lazio, dopo aver motivato in merito al valore dell'atto recante doppia sottoscrizione, sancisce l'illegittimità dell'atto impugnato in quanto la disciplina in materia, a giudizio del collegio, sottrae tassativamente al sindaco qualsiasi influenza o interferenza.
[color=red]Tribunale amministrativo regionale Lazio (Roma) Sez. II bis 4 gennaio 2005 n. 55[/color]
FATTO
Con ricorso notificato in data 10 ottobre 1997 il signor ------ ha impugnato la concessione edilizia n. 70 in data 15 luglio 1997 rilasciata dal Sindaco di ------ al signor -------- per l'esecuzione di lavori mirati al cambio di destinazione d'uso di un locale di proprietà di quest'ultimo da taverna a laboratorio artigianale per la produzione di pasticceria secca con annessa rivendita.
Nel premettere che i lavori autorizzati insistono su un villino bifamiliare, del quale risultano comproprietari il ricorrente e il controinteressato, il signor ---- asserisce che il provvedimento concessorio sarebbe affetto da un triplice vizio di illegittimità in quanto:
- la concessione edilizia è stata rilasciata da organo incompetente, e cioè dal sindaco anziché dal funzionario comunale a ciò deputato in base all'art. 51, comma 3, della legge 8 agosto 1990, n. 142, come modificato dall'art. 6, comma 2, della l. 15 maggio 1997, n. 127;
- l'autorità comunale non ha fatto corretta applicazione dell'30 delle N.T.A. del Comune di ----, avendo omesso di valutare in termini urbanistici l'incidenza della trasformazione funzionale dell'insediamento esistente;
- la medesima autorità non ha compiuto alcuna istruttoria e valutazione sul carattere molesto e nocivo dell'attività artigianale da intraprendere.
Costituendosi nel giudizio il Comune di ------ e il controinteressato ---- hanno replicato alle tesi contenute nel ricorso, chiedendone il rigetto.
Alla pubblica udienza del 18 novembre 2004 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. - Assorbente e fondato è il primo motivo di ricorso con il quale è dedotto il vizio di incompetenza del sindaco del Comune di ------ nell'adozione di un provvedimento concessorio (concessione edilizia, che ora ha assunto la nuova denominazione di «permesso di costruire»: art. 10 del T.U. 6 giugno 2001, n. 380), riservato alla sfera di attribuzioni della dirigenza comunale, ai sensi dell'art. 51, comma 3, lett. f, l. 8 giugno 1990, n. 142, nel testo sostituito dall'art. 6 l. 15 maggio 1997, n. 127.
2. - Rammenta la Sezione che una delle più significative innovazioni introdotte dalla legge n. 142 del 1990, che ha ridisegnato l'ordinamento delle autonomie locali, è stata quella di frapporre una precisa delimitazione delle sfere di competenze attribuite agli organi elettivi e alla dirigenza amministrativa. Ai primi infatti è stata riservata l'attività di determinazione degli obiettivi generali da raggiungere, con i connessi poteri di direzione politica e di verifica dei risultati conseguiti; alla seconda sono state affidate le funzioni di direzione amministrativa negli uffici e nei servizi e la gestione amministrativa dell'Ente.
Il principio della distinzione dei compiti tra amministratori e dirigenti - uno dei principi di fondo che ha animato la legge di riforma delle autonomie locali - trova la sua ragion d'essere nell'intento di evitare commistioni o sovrapposizioni tra gli ambiti operativi di riferimento, nella sottesa considerazione che ciò costituisca necessario presupposto per l'attuazione dell'altro più ampio principio del buon andamento dell'amministrazione, enunciato dall'art. 97 della Costituzione.
La legge generale sulle autonomie locali del 1990 è stata poi incisivamente integrata con l'importante riforma operata dalla legge 15 maggio 1977, n. 127 (c.d. Bassanini bis) che ha dato piena attuazione al principio di separazione fra politica e amministrazione, ulteriormente ridefinendo la dirigenza degli enti locali e accentuandone l'autonomia rispetto agli organi politici.
3. - In coerente applicazione dei principi ispiratori della riforma delle autonomie locali, l'art. 51 della legge n. 142/1990 ha ridisegnato l'organizzazione degli uffici e del personale degli enti locali, puntualizzando le attribuzioni della dirigenza. Nell'intento di metterne più compiutamente a fuoco i compiti, la legge n. 127 del 1997, modificando il precitato art. 51, ha partitamene enunciato la sfera di competenza dei dirigenti attribuendo ad essi, per quel che qui interessa menzionare, «i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto dei criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie» (art. 51, comma 3, lett. f, cit. legge n. 142/1990 nel testo sostituito dall'art. 6 della legge n. 127/1997).
4. - Alla stregua di quanto precede e del chiaro disposto legislativo cui si è fatto riferimento, e certamente in vigore al momento dell'adozione della concessione edilizia qui gravata, non può residuare alcun dubbio sul fatto che detta concessione andava rilasciata dal dirigente comunale e non dal sindaco.
Tale approdo interpretativo è del resto conforme all'orientamento giurisprudenziale affermatosi in subiecta materia secondo cui, ai sensi dell'art. 51, comma 3, lett. f), l. 8 giugno 1990, n. 142, nel testo novellato dall'art. 6, comma 2, l. 15 maggio 1997, n. 127, rientra nella competenza esclusiva dei dirigenti, e non del sindaco, il rilascio della concessione edilizia (Cds, V, 6 marzo 2000, n. 1149; Tar Campania, Napoli, III, 7 maggio 2003, n. 5181; Tar Lazio, II bis, 12 aprile 2002, n. 3153; Tar Emilia, Parma, 21 febbraio 2002, n. 114; Tar Lombardia, Brescia, 12 novembre 1999, n. 961; Tar Puglia, Bari, 1 settembre 1999, n. 1015).
5. - La conclusione a cui perviene la Sezione, che porta a ritenere fondato il dedotto vizio di incompetenza del sindaco nel rilascio dell'atto concessorio, resiste all'argomentazione del controinteressato secondo cui la legge n. 127/1997 non prevederebbe alcun effetto immediatamente abrogativo dell'art. 1 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, che radica in capo al sindaco la competenza al rilascio della concessione edilizia, differendo tale effetto alla successiva ed eventuale adozione di apposito regolamento comunale.
Deve in proposito osservarsi, riconfermando peraltro valutazioni già operate sul punto dalla Sezione (cfr. sentt. 26 novembre 2002, n. 10683 e 17 luglio 2000, n. 5959; cui adde: Tar Parma n. 114/2002 cit.) che l'attribuzione del potere concessorio in questione ai dirigenti non può ritenersi subordinato alla previa adozione dello statuto e dei regolamenti del Comune.
Ciò nella considerazione che la previa adozione della normativa di dettaglio, specificamente prevista per regolamentare l'esercizio dei poteri dirigenziali di cui al precitato art. 51, comma 3, lett. f, della legge n. 142/1990 (normativa di dettaglio richiamata nella seconda proposizione di detto comma 3), deve ritenersi richiesta unicamente per gli atti discrezionali e non anche per quelli vincolati, in quanto soltanto la discrezionalità amministrativa, come scelta finalizzata all'ottimale ponderazione fra interessi pubblici e privati, determina inevitabilmente linee di indirizzo operativo, destinate a influire sulla conduzione a livello politico dell'Ente. Con la conseguenza che inerendo gli atti discrezionali alla sfera politica, solo per essi si giustifica il richiamo alle «modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente».
Diversamente, per gli atti vincolati la predetta normativa deve ritenersi immediatamente precettiva in quanto, trattandosi di atti legati a precisi parametri normativi, essi non sono idonei a incidere autonomamente sul versante politico; per tali atti quindi non si pone l'esigenza di una previa disciplina da parte dell'organo politico.
Tanto premesso, nessun dubbio può porsi sul fatto che la concessione edilizia rientri nel novero degli atti vincolati in quanto essa costituisce un atto di mero controllo sulla conformità del progetto alla normativa urbanistica ed edilizia vigente in una zona del territorio comunale (cfr. Cds, V, 17 febbraio 1999, n. 167; id, 10 gennaio 1997, n. 28); sicché, in coerente applicazione delle considerazioni sopra svolte, la sua adozione spetta al dirigente dell'ente locale.
6. - Non è poi concludente - ai fini della confutazione della rilevata incompetenza del sindaco di Colleferro nel rilascio del provvedimento in contestazione - l'argomentazione del controinteressato volta a sostenere pur sempre la legittimità della concessione edilizia con la considerazione che quest'ultima «evidenzia non solo la firma del sindaco del Comune di -------, ma anche la sottoscrizione del responsabile dell'Ufficio tecnico del Comune medesimo, nel pieno e attuale rispetto dell'art. 1 L. 10/77» (pag. 3 della memoria di costituzione in giudizio).
Invero, quale che sia il valore da attribuirsi alla sottoscrizione apposta dal responsabile dell'Ufficio tecnico comunale (fosse anche di ratifica dell'atto adottato dal sindaco con l'intento di emendarne il vizio di incompetenza), è certo che la contestualità delle sottoscrizioni e l'oggettiva imputabilità formale dell'atto ad ambedue i soggetti firmatari inducono a ritenere che l'amministrazione abbia volutamente inteso emanare un atto a firma congiunta (quale atipico atto complesso), in palese contrasto con i principi ordinamentali più sopra esposti, che sottraggono in modo tassativo al sindaco qualsiasi influenza o interferenza in materia (così sul punto, e condivisibilmente, Tar Liguria, I, 29 ottobre 2002, n. 1061). Il che, per altro verso, conferma l'illegittimità del provvedimento impugnato per difetto di competenza dell'autorità procedente.
7. - Per le considerazioni che precedono il ricorso va accolto.
Per l'effetto, ai sensi dell'art. 26, comma 2, l. 6 dicembre 1971, n. 1034, va disposto l'annullamento della concessione edilizia in epigrafe con rimessione dell'affare all'autorità competente, come individuata in motivazione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione seconda - bis), pronunciando sul ricorso in epigrafe, l'accoglie per incompetenza dell'autorità procedente e, per l'effetto, ai sensi dell'art. 26, comma 2, l. 6 dicembre 1971, n. 1034, dispone l'annullamento della concessione edilizia in epigrafe e rimette l'affare all'autorità competente, come individuata in motivazione
Compensa tra le parti le spese di lite.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 novembre 2004.
Patrizio Giulia presidente
Massimo L. Calveri consigliere est.
Il presidente Il consigliere est.
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