Nessun mobbing in caso sporadiche persecuzioni sul posto di lavoro da parte del datore di lavoro o dei colleghi
Cass. sent. n. 19782 del 19 settembre 2014.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione, il mobbing è un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo.
Perché scatti quella forma di persecuzione psicologica chiamata appunto mobbing lavorativo, devono ricorrere, secondo la Corte, almeno questi quattro elementi:
1) una serie di comportamenti di carattere persecutorio da parte del datore di lavoro e/o degli altri lavoratori: ovviamente, la legge non dice quali comportamenti, ma sarà compito del giudice ritenere se essi abbiano un’incidenza tale da provocare un danno nel destinatario;
2) l’evento lesivo, ossia il danno alla salute nel dipendente;
3) un rapporto di causa-effetto tra le condotte persecutorie e il danno subito dalla vittima;
4) la volontà cosciente di compiere una persecuzione, cioè l'intenzione di danneggiare il lavoratore.
Perché ci sia il mobbing è necessaria la presenza di questi quattro elementi, nessuno escluso. Dunque la semplice maleducazione, il comportamento stressante o oppressivo sporadico non integra tale "persecuzione".
AM