Data: 2014-09-02 05:37:05

CHIUSURA FESTIVA dei negozi - proposta delle Regioni per legge di riforma

Documento della Conferenza delle Regioni del 5 agosto 2014

Orari esercizi commerciali: osservazioni su proposta di legge

(Regioni.it 2555 - 07/08/2014) La Conferenza delle Regioni e delle province autonome, nella riunione del 5 agosto presieduta da Sergio Choiamparino, ha approvato un documento di osservazioni sul testo unificato relativo alle proposte di legge in materia di disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali.
Il documento è stato pubblicato sul sito www.regioni.it nella sezione “Conferenze”.
Si riporta di seguito il testo integrale.
Regioni su pdl “disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali “ (pdl nn. 750, 947, 1042, 1279, 1240, 1627 e 1809 – testo unificato elaborato dal comitato ristretto)
La proposta di legge in esame prevede una nuova disciplina complessiva della materia degli orari degli esercizi commerciali (intendendo per tali, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, le attività commerciali, come individuate dal d.lgs. n. 114/1998 e quelle di somministrazione di alimenti e bevande).
La Conferenza ha anzitutto apprezzato il metodo di lavoro che ha previsto un preventivo confronto con le Regioni.
Rispetto al testo dell’articolato, che ad un primo approccio si valuta positivamente, sono state condivise le seguenti osservazioni, nella prospettiva di migliorarne l’applicabilità:
1. Articolo 1 (Disposizioni in materia di orari di apertura degli esercizi commerciali)
L’articolo 1 della Pdl prevede la sostituzione, all'art. 3, comma 1, del D.L. n. 223/2006 (che vieta la possibilità di prevedere una serie di limiti e prescrizioni), della lettera d-bis), che già escludeva, per le attività commerciali, l’obbligo del rispetto degli orari di apertura e di chiusura, della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale.
[color=red]La Pdl, nel ribadire tale esclusione, elenca dodici giornate che fanno eccezione all’apertura:
1) 1° gennaio;
2) 6 gennaio;
3) 25 aprile;
4) Pasqua;
5) Lunedì dell’Angelo;
6) 1° maggio;
7) 2 giugno;
8) 15 agosto;
9) 1° novembre;
10) 8 dicembre;
11) 25 e 26 dicembre.[/color]
Successivamente, al comma 1-bis, lo stesso articolo prevede che, previa concertazione effettuata a livello comunale con Associazioni delle imprese, dei lavoratori e dei consumatori, sei giornate festive possano essere sostituite con altrettanti giorni di chiusura (si immagina domenicale o festiva, anche se la Pdl non lo dice espressamente).
Infine, al comma 1-ter, si prevede che l’obbligo di chiusura nelle giornate indicate non valga per quelle tipologie di attività per le quali l’art. 13 del d.lgs. n. 114/1998 già prevedeva una deroga. Sul punto, sembrerebbe opportuno un rinvio anche alle eventuali disposizioni regionali che contengano identiche deroghe.2
La soluzione prospettata dalle Regioni può essere quella di stabilire un numero fisso di giorni festivi in cui sia obbligatoria la chiusura (per esempio dodici, come previsto dalla proposta in discussione) con proposta di lasciare alle Regioni la scelta dei giorni di chiusura in sostituzione, tenendo conto delle diverse necessità territoriali e concordandola anche con Comuni e rappresentanze economiche, sindacali e dei consumatori. Le giornate di chiusura dovrebbero essere le stesse in ambiti sufficientemente grandi per evitare forme improprie di concorrenza.
Articolo 2 (Accordi territoriali)
Il comma 1 prevede la possibilità di realizzare accordi territoriali non vincolanti, a livello comunale oppure in coordinamento con altri comuni contigui, soprattutto nelle aree metropolitane, previa consultazione con le Associazioni delle imprese, dei lavoratori e dei consumatori. Con tali accordi vengono definiti orari e chiusure degli esercizi commerciali, ferme restando le disposizioni relative agli obblighi di chiusura nelle dodici festività elencate all’art. 1 ed alla derogabilità degli stessi obblighi.
Gli accordi sono finalizzati ad assicurare elevati livelli di fruibilità dei servizi commerciali, a promuovere un’offerta commerciale in grado di aumentare l’attrattività del territorio ed a valorizzare zone a più marcata vocazione commerciale “anche attraverso l’integrazione degli orari degli esercizi relativi a funzioni e servizi affini e complementari, fornendo agli operatori indicazioni su possibili interventi atti a migliorare l’accesso e la fruibilità dei servizi da parte dei consumatori e degli utenti”.
Criticità:
• L’ultima previsione, riportata in corsivo, appare più una petizione di principio che una disposizione concretizzabile, stante anche l’esperienza già maturata in materia.
• Lo strumento giuridico dell’accordo, che richiede, per perfezionarsi, un’unanimità di consensi, ossia un incontro di volontà tra soggetti rappresentanti le Parti sociali e le Amministrazioni comunali, sembra di difficile realizzazione, a causa della divergenza degli interessi in gioco. Per tale ragione, potrebbe essere preferibile prevedere l’approvazione di “piani” o strumenti simili, deliberati a maggioranza dai Soggetti coinvolti, prevedendo anche un ruolo della Regione ai fini della definizione dei processi di adozione dell’atto conclusivo. Si ritiene essenziale che tale atto abbia valore vincolante e sia collegato ad un regime sanzionatorio che ne assicurerebbe l’efficacia.
• Si potrebbe inoltre prendere in considerazione l’opportunità che tali “accordi” tengano conto anche degli effetti che l’organizzazione degli orari di lavoro produce sui lavoratori del settore, attraverso verifiche sul trattamento economico loro riservato e sulle turnazioni delle giornate festive e domenicali lavorate, potendosi anche prevedere aperture “a rotazione”, soprattutto in relazione agli esercizi commerciali alimentari.
Il comma 3 della norma prevede che, per la predisposizione degli accordi territoriali, i Comuni consultino le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese e dei lavoratori e poi, almeno 60 giorni prima dell’entrata in vigore dell’accordo stesso, anche la popolazione residente, anche in forma telematica.
Su quest’ultimo punto, non appare coerente la consultazione effettuata “prima della data di entrata in vigore dell’accordo”, dunque presupponendo un accordo già concluso, sul quale non risulta chiaro quale potrebbe essere lo spazio di intervento da parte della popolazione residente.
Il comma 5 prevede la possibilità, per Regioni e Comuni, di stabilire incentivi, anche sotto forma di 3
agevolazioni fiscali sui tributi di propria competenza, a favore di micro, piccole e medie imprese commerciali che aderiscano agli accordi territoriali. Sul punto occorre rilevare:
o difficoltà finanziarie dei comuni (in particolare i piccoli comuni )che difficilmente potranno prevedere forme di incentivazione
o come le maggiori difficoltà di accettazione delle autoregolamentazioni delle aperture domenicali e festive si siano riscontrate da parte della grande distribuzione, mentre le piccole imprese si sono sempre dichiarate favorevoli, stante le difficoltà di gestire le attività in carenza di personale dipendente. Potrebbero quindi estendersi le agevolazioni anche alle imprese di maggiori dimensioni, per invogliarle ad aderire agli accordi.
In relazione al comma 6 , se ne propone la soppressione, in quanto la disciplina di tale comma verrebbe ad essere assorbita da quanto già esposto in relazione al comma 2, circa il ruolo delle Regioni.
Occorre infatti sottolineare:
• la rilevanza dell’impegno previsto a carico delle Regioni, soprattutto per quanto concerne la definizione di criteri, parametri e strumenti per individuare ambiti territoriali la cui definizione presuppone invece una approfondita conoscenza del territorio e delle sue esigenze e caratteristiche, più facilmente riscontrabile a livello locale;
• il coordinamento degli orari di attività diverse, soprattutto se da realizzare in ambiti ampi, appare utopico, soprattutto nelle realtà più articolate;
• sarebbe necessario specificare quali sono le organizzazioni con cui attivare le consultazioni;
• l’esperienza già maturata dalle Regioni in vigenza dell’art. 12 del d.lgs. n. 114/1998 porta a ritenere tale disposizione di difficile attuazione.
Articolo 3 (Poteri del sindaco e sanzioni)
In relazione a tale articolo si sottolinea l’opportunità, per evitare confusioni, di definire le attività commerciali come già sono state definite dall’art. 3, comma 1, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, ossia “le attività commerciali, come individuate dal d.lgs. n. 114/1998 e quelle di somministrazione di alimenti e bevande”, senza rispolverare i “pubblici esercizi”. Inoltre, al comma 2 sembra più opportuno introdurre una sanzione apposita, senza effettuare un rinvio a quella prevista dal comma 3 dell’art. 22 del d.lgs. n. 114/1998, disapplicato in molte Regioni.
Articolo 4 (Istituzione di un Fondo per il sostegno delle micro, piccole e medie imprese del commercio)
Occorre rilevare, sul punto, come la definizione di “esercizi di vicinato” non sia coincidente in tutte le Regioni (ad es., in Toscana tali esercizi hanno ovunque un dimensionamento fino a 300 mq, mentre nella bozza di legge della Regione Lazio si prevede che nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti tale dimensione possa raggiungere i 400 mq): da ciò potrebbero scaturire disparità di trattamento, per cui sembrerebbe opportuno definire in legge una dimensione univoca (ovvero fare riferimento alle norme regionali in materia, ove esistano).
Roma, 5 agosto 2014
Documento Approvato - ORARI DI APERTURA DEGLI ESERCIZI COMMERCIALI: REGIONI SU PROPOSTA DI LEGGE IN MATERIA

Fonte: http://www.regioni.it/it/show-2555/newsletter.php?id=2048&art=12882

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