Occupazione Suolo Pubblico - POTERI dell'Amministrazione
T.A.R. Lazio Roma, Sezione II Ter, 18 marzo 2014 sent. 3001
FATTO
Le ricorrenti espongono che ARP Srl gestisce da anni, in affitto d’azienda dalla Beta Omnia Service Srl, un’attività di ristorazione in via Santa Maria dell’Anima n. 18 per la quale da lungo tempo è concessionaria di un’occupazione di suolo pubblico a carattere permanente.
Roma Capitale, Municipio Roma Centro Storico, con atto del 18 maggio 2012, ha comunicato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 10 della delibera C.C. n. 75 del 2010, che non intende rinnovare, alla scadenza del 31 dicembre 2012, la concessione demaniale permanente rilasciata con determinazione dirigenziale n. 143 del 28 gennaio 2010 per mq. 22,90 per il locale sito in via Santa Maria dell’Anima n. 18 angolo via Sant’Agnese in Agone n. 19.
Il ricorso è articolato nei seguenti motivi:
Violazione degli artt. 7 e ss. l. n. 241 del 1990. Omessa comunicazione dell’avvio del procedimento. Eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, difetto di istruttoria e di motivazione.
Nessuna comunicazione di avvio del procedimento sarebbe stata inviata alle società interessate.
Mancata nomina del responsabile del procedimento. Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 6, 7 e 8 l. n. 241 del 1990. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione.
Non sarebbe stata comunicata la nomina del responsabile del procedimento.
Eccesso di potere per violazione degli artt. 26 e ss. dello Statuto del Comune di Roma, relativi alle competenze delle Circoscrizioni/Municipi comunali e per contrasto con precedenti determinazioni amministrative. Incompetenza. Violazione del procedimento.
L’adozione degli atti di programmazione e di pianificazione, qual è il piano di massima occupabilità, sarebbe di competenza del Consiglio Comunale, quale organo di indirizzo e di controllo politico-organizzativo del Comune.
Il Municipio sarebbe incompetente ad adottare il piano in questione o, comunque, dovrebbe basarsi su criteri e linee guida individuati ed impartiti dal Consiglio.
In via subordinata, l’art. 4 bis, comma 4, della deliberazione di Consiglio Comunale n. 75 del 2010 sarebbe illegittimo per violazione delle norme statutarie del Comune di Roma, per incompetenza e per violazione del procedimento.
Eccesso di potere per difetto di motivazione. Violazione del principio di trasparenza. Violazione di legge. Violazione dell’art. 3 l. n. 241 del 1990.
Il provvedimento impugnato sarebbe carente di motivazione.
Non sarebbe chiaro attraverso l’applicazione di quali criteri, tra quelli astrattamente individuati, l’amministrazione sia pervenuta alla nuova determinazione sulla OSP in discorso.
Violazione degli artt. 1 e segg. e 7 l.r. n. 21 del 2006. Violazione del regolamento regionale n. 1 del 2009, artt. 2, 11 e 12. Eccesso di potere per illegittimità originaria e sopravvenuta, errore nei presupposti. Violazione dell’art. 97 Cost. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.
La legge regionale della Regione Lazio n. 21 del 2006 avrebbe dettato una serie di rigide prescrizioni a tutela delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, vincolanti per il Comune.
Violazione di legge. Violazione della l. n. 180 del 2011 e, segnatamente, dell’art. 6, relativo alle “Procedure di valutazione” dell’impatto delle iniziative legislative e regolamentari sulle imprese. Violazione del principio di affidamento. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.
Non vi sarebbe traccia di valutazione, da parte della Commissione tecnica e del Consiglio Municipale, sugli effetti del provvedimento impugnato nei confronti delle imprese ricorrenti.
Eccesso di potere per contrasto con precedenti determinazioni amministrative. Contrasto con il protocollo d’intesa tra il Comune di Roma e le Associazioni di categoria del settore dei pubblici esercizi sottoscritto il 6 aprile 2006. Violazione del principio di affidamento.
In esecuzione degli impegni assunti con il protocollo d’intesa, l’amministrazione avrebbe dovuto aumentare la massima occupabilità nelle aree tutelate, per cui il piano municipale impugnato e i relativi atti applicativi e presupposti sarebbero illegittimi perché adottati in contrasto con il protocollo d’intesa del 6 aprile 2006.
Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria. Errore nei presupposti. Violazione del principio di buona amministrazione. Violazione del principio di affidamento (sotto diverso profilo).
Il provvedimento impugnato non conterrebbe alcuna motivazione in ordine alla scelta di introdurre nuove disposizioni restrittive nonostante gli impegni assunti con il protocollo del 6 aprile 2006.
Mancherebbe, inoltre, l’individuazione dell’interesse pubblico sotteso alla drastica riduzione operata.
Le ricorrenti, nelle premesse dell’atto con cui sono stati proposti motivi aggiunti, hanno sostenuto che, nelle more del giudizio, l’amministrazione comunale ha revocato in autotutela il provvedimento di disdetta, inviando alla ARP Srl, che ha pagato la prima rata prevista, i bollettini per il pagamento del canone Cosap per il rinnovo della concessione per l’anno 2013.
Roma Capitale, Municipio Roma I, con atto del 6 agosto 2013, ha disposto la rimozione dell’occupazione abusiva del suolo pubblico accertata dal Corpo della Polizia Locale di Roma Capitale con VAV del 30 marzo 2013, antistante l’esercizio sito in via di Santa Maria dell’Anima n. 18 angolo via Sant’Agnese in Agone n. 19 per l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a cura e spese dell’interessato nonché la chiusura del detto esercizio per un periodo pari a cinque giorni e, comunque, fino al completo ripristino dello stato dei luoghi.
Le ricorrenti hanno impugnato tale provvedimento con i seguenti motivi aggiunti:
Nullità della notificazione e conseguente invalidità del provvedimento di chiusura dell’esercizio.
La notificazione dell’atto sarebbe stata effettuata in data 4 settembre 2013 non presso la sede legale della ARP Srl, ma direttamente presso l’esercizio di somministrazione, e la consegna sarebbe avvenuta nelle mani di un dipendente della Società.
Illegittimità derivata.
La determinazione dirigenziale del 6 agosto 2013 sarebbe viziata in via derivata per illegittimità degli atti presupposti impugnati con il ricorso introduttivo del giudizio.
Il provvedimento sarebbe altresì affetto da invalidità derivata per illegittimità del presupposto verbale di accertamento di violazione del Corpo di Polizia Locale Roma Capitale, impugnato da ARP Srl innanzi al Prefetto di Roma con ricorso in opposizione.
Vizi propri della determinazione dirigenziale del 6 agosto 2013.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 16, l. n. 94 del 2009; dell’art. 20 C.d.S. e dell’ordinanza sindacale n. 258 del 27 novembre 2012. Eccesso di potere per difetto dei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di istruttoria e di motivazione. Contraddittorietà manifesta.
Non sussisterebbe l’indebita occupazione di suolo pubblico in quanto la ricorrente è titolare di concessione osp, la cui disdetta è stata impugnata con l’atto introduttivo del presente giudizio.
La disdetta, dopo la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, sarebbe stata revocata dal Comune con la nota dell’11 gennaio 2013 recante in allegato i bollettini per il pagamento del canone Cosap per il rinnovo della concessione per l’anno 2013.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 16, l. n. 94 del 2009; dell’art. 20 C.d.S. e dell’ordinanza sindacale n. 258 del 27 novembre 2012. Eccesso di potere per difetto di presupposti, contraddittorietà manifesta, violazione del principio di affidamento, contrasto con precedenti determinazioni della stessa amministrazione, in particolare con l’art. 10 regolamento Cosap, difetto di istruttoria e di motivazione.
La concessione di cui è in possesso la ARP Srl si sarebbe rinnovata tacitamente per un ulteriore triennio sino a tutto il 31.12.2014.
Roma Capitale, in rito, ha eccepito l’inammissibilità per difetto di giurisdizione dell’impugnazione, con motivi aggiunti, del verbale di violazione redatto dalla Polizia Municipale e, nel merito, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica del 26 febbraio 2014, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Roma Capitale, Municipio Roma Centro Storico, con atto del 18 maggio 2012, ha rappresentato alla Società ricorrente che, con la delibera C.M. n. 6 del 25 febbraio 2010, ha definito le aree in cui istituire il Piano di massima occupabilità, mentre, con successiva delibera C.M. n. 2 del 31 gennaio 2011, ha approvato la scheda di dettaglio del Piano di massima occupabilità municipale relativo a Via S. Maria dell’Anima, che per il locale in questione non prevede più la possibilità di rilasciare concessioni per le occupazioni di suolo pubblico.
Ha pertanto comunicato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 10 della delibera C.C. n. 75 del 2010 e s.m.i., in virtù di quanto previsto, per l’area in questione, nella delibera C.M. n. 2 del 2011, che non intende rinnovare, alla scadenza del 31 dicembre 2012, la concessione demaniale permanente rilasciata con determinazione dirigenziale n. 143 del 28 gennaio 2010 per mq 22,90, per il locale sito in Via Santa Maria dell’Anima n. 18 angolo via Sant’Agnese in Agone n, 19.
2. Il ricorso introduttivo del giudizio, con cui sono stati impugnati tale atto ed i suoi atti presupposti, è infondato e va di conseguenza respinto.
Le censure prospettate, così come quelle dedotte con i motivi aggiunti, sono state già esaminate e disattese, relativamente ad una fattispecie simile, con sentenza di questa Sezione 19 novembre 2013, n. 9918, dalle cui conclusioni il Collegio non ha ragioni per discostarsi.
2.1 Con una prima serie di doglianze, la parte ricorrente ha contestato la omessa comunicazione di avvio del procedimento e di nomina del suo responsabile.
La censura deve essere disattesa.
L’atto impugnato è stato adottato ai sensi e per gli effetti dell’art. 10 del regolamento in materia di occupazione suolo pubblico (OSP) e del canone (COSAP) e non dell’art. 9 dello stesso regolamento.
L’art. 9, rubricato “modifica, sospensione e revoca”, stabilisce al primo comma che “per sopravvenute ragioni di pubblico interesse e in qualsiasi momento, la concessione può essere modificata, sospesa o revocata, con provvedimento motivato, nel rispetto delle norme generali sull’azione amministrativa stabilite dalla legge”.
L’art. 10, rubricato “rinnovo e disdetta”, dopo avere indicato al primo comma che “le concessioni sono rinnovabili alla scadenza”, dispone al secondo comma che “salve le diverse modalità di rinnovo per le tipologie speciali di occupazioni, le concessioni permanenti possono essere rinnovate con il pagamento del canone per l’anno di riferimento, a condizione che non risultino variazioni e l’Amministrazione non abbia comunicato il proprio diverso intendimento almeno trenta giorni prima della scadenza”.
Il sistema disegnato dalla norma prevede il rinnovo automatico delle concessioni permanenti a seguito del pagamento del canone, ma attribuisce all’amministrazione il potere di procedere alla disdetta con un preavviso di almeno trenta giorni rispetto alla scadenza.
La disdetta, pertanto, postula che il provvedimento concessorio spieghi i suoi effetti sino alla scadenza e produce, alla scadenza, il mancato rinnovo della concessione, mentre la revoca determina che il provvedimento concessorio termini i propri effetti prima della sua scadenza.
Il provvedimento impugnato è da qualificare come disdetta in quanto determina il mancato rinnovo della concessione alla sua scadenza, vale a dire a decorrere dal 1° gennaio 2013, primo giorno successivo al dies ad quem della concessione (31 dicembre 2012).
Il Collegio, peraltro, ritiene che detto atto abbia natura provvedimentale e non privatistica, in quanto adottato dall’amministrazione comunale nell’esercizio autoritativo del potere pubblico.
Esso, infatti, incide su un rapporto pubblicistico, che ha la sua fonte nel provvedimento di concessione di OSP, per cui deve ritenersi ontologicamente connotato dalla stessa natura provvedimentale dell’atto da cui scaturisce il rapporto.
Nondimeno, trattandosi di atto vincolato in quanto adottato in mera esecuzione delle delibere di Consiglio Municipale n. 6 del 25 febbraio 2010 e n. 2 del 31 gennaio 2011, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, altrimenti necessaria, non è idonea a tradursi in un vizio di legittimità del provvedimento in quanto, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990, non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
2.2 Le ricorrenti hanno sostenuto l’incompetenza del Municipio Roma Centro Storico ad adottare il piano di massima occupabilità.
La prospettazione non può essere condivisa.
L’art. 7, comma 1, lett. b), della legge regionale della Regione Lazio 29 novembre 2006, n. 21 ha stabilito che, con regolamento regionale, sono dettate nel rispetto della potestà normativa dei comuni, ai sensi dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione e dell’art. 4 della legge 5 giugno 2003, n. 131, disposizioni attuative ed integrative della legge con riguardo ai criteri generali per l’adozione da parte dei comuni degli strumenti normativi e dei relativi piani finalizzati al rilascio o alla revoca delle concessioni di suolo pubblico.
Il regolamento della Regione Lazio 19 gennaio 2009, n. 1, ha dettato le disposizioni attuative e integrative della legge regionale n. 21 del 2006, stabilendo all’art 2, rubricato “criteri generali per l’adozione degli atti comunali in materia di occupazione di suolo pubblico”, che i comuni, nell’adozione degli atti in materia di occupazione di suolo pubblico, tengono conto dei seguenti criteri generali: a) salvaguardia delle aree di particolare valenza storico-ambientale o socio-economica; b) adeguatezza degli arredi urbani; c) salvaguardia e riqualificazione di zone di pregio anche attraverso la presenza di pubblici esercizi adeguati; d) garanzia dell’equilibrio tra lo svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande e le esigenze di tutela e di promozione degli aspetti storico-artistici nell’ambito dei contesti urbani in cui le suddette attività sono insediate, con particolare riferimento ai centri storici e alle aree relative alla cosiddetta città consolidata; e) promozione, nel rispetto dei diversi contesti architettonici, delle attività di somministrazione legate a tradizioni, usi e costumi locali, anche quali attrattori di flussi turistici; f) previsione e salvaguardia di adeguati percorsi ciclo-pedonali e veicolari, ivi compresi quelli relativi al passaggio dei mezzi di soccorso; g) armonizzazione delle procedure finalizzate alla concessione di occupazione di suolo pubblico con i principi di semplificazione e snellimento dell’azione amministrativa; h) revisione dei tempi di durata delle concessioni di occupazione di suolo pubblico in funzione delle necessità di programmazione delle imprese, anche con riferimento a progetti di sviluppo presentati unitariamente da più operatori; i) salvaguardia dei livelli occupazionali.
L’art. 2 della deliberazione del Consiglio Comunale di Roma Capitale n. 75 del 2010 dispone al comma 2 che “ … la Giunta Comunale individua con deliberazione le aree che non possono costituire oggetto di concessione” e il successivo articolo 4 bis prevede al comma 4 che “ … i Municipi possono subordinare il rilascio di concessioni di suolo pubblico alle prescrizioni di appositi piani che individuino la massima occupabilità delle aree di rispettiva competenza. Tali piani sono approvati dal Consiglio del Municipio …”.
Dal combinato disposto delle norme richiamate deve ritenersi che il Consiglio Municipale abbia competenza ad adottare i Piani di Massima Occupabilità in quanto tale potere è stato appositamente attribuito dal regolamento comunale in materia di occupazioni di suolo pubblico.
In particolare, dalle norme del regolamento comunale emerge che, mentre la Giunta Comunale individua in via prioritaria le aree che non possano essere oggetto di concessione, in tal modo sottraendo ai singoli Municipi la possibilità di disporre diversamente al riguardo, i Consigli Municipali possono individuare attraverso i p.m.o. la massima occupabilità delle aree di competenza, ma sempre ed esclusivamente nell’ambito di quelle aree nelle quali la concedibilità delle concessioni o.s.p. non sia stata già preclusa dalla valutazione assorbente della Giunta Comunale.
Né la scelta dell’amministrazione comunale di attribuire tale potere ai Consigli Municipali può ritenersi viziata, essendo stata evidentemente adottata in coerenza con il principio del decentramento amministrativo, principio tanto più rilevante in un Comune di grandi dimensioni quale è Roma Capitale.
La formulazione dell’art. 4 bis, comma 4, della deliberazione di Consiglio Comunale n. 75 del 2010, inoltre, non lascia dubbi sul fatto che i piani di massima occupabilità incidono sul complessivo assetto delle strade e piazze interessate e, quindi, anche sulle concessioni di occupazioni di suolo pubblico già in essere.
2.3 Con altra serie di doglianze, le ricorrenti hanno dedotto che il provvedimento sarebbe carente di motivazione.
La censura non può essere condivisa.
Il provvedimento si presenta esaurientemente motivato attraverso il richiamo alle delibere di C.M. n. 6 del 2010 e n. 2 del 2011, mentre l’attività istruttoria è stata evidentemente posta alla base degli atti generali presupposti, di cui il provvedimento individuale costituisce applicazione.
Il Municipio Roma Centro Storico, con deliberazione n. 2 del 31 gennaio 2011, ha approvato gli elaborati grafici, predisposti sulla base dei criteri approvati dalla Commissione tecnica nella seduta del 9 novembre 2010, che individuano la massima occupabilità del suolo pubblico delle prime 9 strade individuate, tra cui Via Santa Maria dell’Anima.
Nella deliberazione di C.M. n. 2 del 2001, è indicato che: “la Commissione Tecnica nei suoi lavori ha proceduto alla redazione degli elaborati grafici dei Piani di Massima Occupabilità previa individuazione delle normative vigenti e dei criteri tecnici in esse contenute da applicare per la elaborazione e redazione dei Piani di Massima Occupabilità”; “la Commissione Tecnica, nei suoi lavori ha tenuto conto del fatto che i Piani di Massima Occupabilità, poiché riguardano aree di particolare pregio, considerate come un insieme eccezionale sotto l’aspetto storico, artistico, estetico che conservano la memoria di modi di vita tradizionali e rappresentano il legame combinato tra la natura e la cultura tali da essere considerato dall’Unesco patrimonio dell’Umanità, rappresentano uno strumento straordinario di pianificazione e che, pertanto, necessitano di una più stringente e rigorosa applicazione della normativa vigente in materia e dei principi ed indirizzi di cui all’art. 4 bis, comma 4, del regolamento contenuto nella delibera C.C. n. 119/2005”; “per garantire uniformità di valutazione dei suddetti criteri nella redazione dei piani, è emersa la necessità di fissare un modello applicativo rispettoso, in maniera particolare, di quanto indicato e contenuto nelle deliberazioni sia di giunta che consiliari, con le quali sono state individuate le finalità, i criteri, gli obiettivi della regolamentazione delle Occupazioni Suolo Pubblico di cui alla delibera C.C. 119/2005 e s.m.i., nonché dei Piani di Massima Occupabilità (delibera G.C. 139/2005, delibera G.C. 568/2005) intesi come strumento straordinario di tutela delle strade, luoghi ed ambiti cittadini di particolare pregio e rilevanza storica, artistica, culturale e ambientale”; “la Commissione Tecnica nell’elaborare il suddetto modello applicativo ha tenuto in particolare considerazione le esigenze di tutela della sicurezza per la circolazione stradale, in specie per la sicurezza delle componenti deboli del traffico, quali pedoni, disabili … , applicando il principio della separazione delle componenti del traffico ed avendo riguardo alle indicazioni che provengono in tal senso dal Codice della Strada, dal PTGU e dagli enti di tutela della sicurezza stradale”; “la Commissione Tecnica ha pure tenuto conto delle esigenze di pubblica sicurezza in relazione agli spazi di rispetto per l’intervento dei mezzi di soccorso” …. ; “la Commissione Tecnica, nella seduta del 9/11/2010 ha approvato i criteri …”.
Pertanto, nell’approvazione degli elaborati grafici predisposti sulla base dei criteri tecnici, è in re ipsa che il Consiglio Municipale abbia condiviso e fatto propri gli stessi criteri tecnici.
Tali criteri, estremamente articolati, in ragione delle argomentazioni apposte accanto ad ogni singola voce e relativa proposta, traggono spunto in particolare dalla delibera di C.C. n 119 del 2005 e s.m.i., dal codice della strada, dai pareri espressi dal Comando dei Vigili del Fuoco, dalla Prefettura e dal Ministero dei Trasporti nonché da altre varie ed articolate considerazioni volte a garantire anche e soprattutto la sicurezza pubblica.
Lo stesso art. 4 bis, comma 4, del regolamento Cosap dispone che i Piani di Massima Occupabilità devono tenere conto degli interessi pubblici relativi alla circolazione, igiene, sicurezza, estetica, ambiente e tutela del patrimonio culturale.
L’iter logico-giuridico sulla cui base sono stati determinati i piani di massima occupabilità, quindi, deve ritenersi percepibile in relazione ai criteri di cui al verbale della riunione della Commissione tecnica del 9 novembre 2010, mentre sarebbe stato onere della parte ricorrente dimostrare la manifesta illogicità o il travisamento del fatto in cui l’amministrazione potrebbe essere eventualmente incorsa nella redazione dell’elaborato grafico con specifico riferimento all’area antistante il proprio esercizio commerciale.
D’altra parte, la giurisprudenza della Sezione ha già avuto modo di affermare che i piani di massima occupabilità delle vie e piazze del centro storico trovano la loro giustificazione nell’esigenza dell’amministrazione comunale di individuare forme omogenee di fruizione di spazi pubblici da parte di operatori commerciali in luoghi di notevole interesse pubblico, nell’obiettivo di garantire una rigorosa tutela del patrimonio storico, culturale, artistico ed ambientale e per garantire un equilibrio tra l'espansione delle attività commerciali, la regolamentazione del traffico urbano e la tutela della residenzialità nonché, anche, per salvaguardare il diritto alla salute dei cittadini (ex multis: TAR Lazio, II ter, 4 aprile 2013, n. 3446; TAR Lazio, II ter, 19 giugno 2012, n. 5649).
La natura dell’atto di concessione amministrativa o.s.p., di conseguenza, conferisce al Comune una serie di prerogative, volte a regolare l’uso temporaneo del bene in alcune aree della città, in prevalenza situate nel centro storico, dove l’occupazione del suolo pubblico è limitata dall’esistenza di un preponderante pubblico interesse diretto alla salvaguardia del patrimonio storico-culturale e dove, quindi, gli interessi imprenditoriali dei privati si rivelano recessivi rispetto agli interessi pubblici volti alla tutela dei beni architettonici e, in generale, del patrimonio monumentale e culturale della città.
In conclusione, il provvedimento di disdetta e gli atti connessi alla definizione del PMO si presentano congruamente motivati.
2.4 Con altre doglianze, le ricorrenti hanno sostenuto la violazione della legge regionale della Regione Lazio n. 21 del 2006, che avrebbe dettato una serie di rigide prescrizioni a tutela delle attività di somministrazione di alimenti e bevande vincolanti per il Comune, ed hanno altresì evidenziato che, in esecuzione degli impegni assunti con il protocollo d’intesa del 6 aprile 2006, l’amministrazione avrebbe dovuto aumentare la massima occupabilità nelle aree tutelate, mentre avrebbe senza alcuna motivazione introdotto nuove disposizioni restrittive.
Le censure non sono persuasive.
In proposito, giova richiamare l’attenzione sul fatto che il regolamento della Regione Lazio 19 gennaio 2009, n. 1, ha dettato le disposizioni attuative e integrative della legge regionale n. 21 del 2006, stabilendo all’art 2, rubricato “criteri generali per l’adozione degli atti comunali in materia di occupazione di suolo pubblico”, che i comuni, nell’adozione degli atti in materia di occupazione di suolo pubblico, tengono conto di determinati criteri generali, e ponendo, tra questi, al primo posto la salvaguardia delle aree di particolare valenza storico-ambientale o socio-economica.
Di talché, occorre ribadire che la natura dell’atto di concessione amministrativa o.s.p. conferisce al Comune una serie di prerogative, volte a regolare l’uso temporaneo del bene in alcune aree della città, in prevalenza situate nel centro storico, dove l’occupazione del suolo pubblico è limitata dall’esistenza di un preponderante pubblico interesse diretto alla salvaguardia del patrimonio storico-culturale e dove, quindi, gli interessi imprenditoriali dei privati si rivelano recessivi rispetto agli interessi pubblici volti alla tutela dei beni architettonici e, in generale, del patrimonio monumentale e culturale della città.
In definitiva, l’amministrazione è chiamata ad operare un bilanciamento tra importantissimi interessi e la soluzione adottata, nell’esercizio delle proprie prerogative discrezionali, pur se tale da sacrificare in parte valori ed interessi privati particolarmente rilevanti, può essere sindacata solo per manifesta illogicità o travisamento dei fatti, figure sintomatiche dell’eccesso di potere che non possono ritenersi presenti nel caso di specie, in cui sono stati prioritariamente tutelati valori ed interessi di enorme rilievo pubblico, quali quelli afferenti alla salvaguardia dello straordinario patrimonio storico-culturale della città di Roma.
Né può assumere rilievo ai fini della legittimità dell’azione amministrativa la sottoscrizione del protocollo d’intesa del 6 aprile 2006, con cui, secondo la prospettazione di parte ricorrente, il Comune avrebbe dovuto aumentare la massima occupabilità delle aree tutelate, mentre il piano municipale restringerebbe di molto l’area occupabile senza tenere conto degli obblighi assunti e del legittimo affidamento ingenerato nei privati.
Il Collegio ha appena rilevato come il regolamento della Regione Lazio n. 1 del 2009 abbia previsto che i comuni, nell’adozione degli atti in materia di occupazione del suolo pubblico, tengono conto di determinati criteri generali ponendo, tra questi, al primo posto la salvaguardia delle aree di particolare valenza storico-ambientale o socio-economica, per cui, nel delicato bilanciamento tra gli interessi coinvolti, l’amministrazione può adottare anche atti tali da sacrificare in parte valori ed interessi privati particolarmente rilevanti e l’esercizio di tale potere discrezionale può essere sindacato solo per vizi di legittimità, quale l’eccesso di potere sub specie di manifesta illogicità o di travisamento dei fatti che nella fattispecie non sono stati adeguatamente provati.
D’altra parte, se si ritenesse che la sottoscrizione di un protocollo d’intesa fosse preclusivo della possibilità di compiere scelte diverse ed ulteriori da parte dell’amministrazione, si arriverebbe alla paradossale ed inaccettabile conclusione che quest’ultima potrebbe abdicare al proprio ruolo di amministrazione attiva in quel settore, il che, come ovvio, non è neanche astrattamente ipotizzabile.
2.5 Per quanto attiene alla censura relativa alla omessa valutazione, da parte della Commissione tecnica e del Consiglio Municipale, sugli effetti del provvedimento impugnato nei confronti delle imprese ricorrenti, a prescindere da ogni altra considerazione, occorre rilevare che la norma di cui all’art. 6 l. n. 180 del 2011 è entrata in vigore il 20 aprile 2013, successivamente all’adozione degli atti impugnati.
3. Con motivi aggiunti, la parte ricorrente ha impugnato il provvedimento del 6 agosto 2013, con cui Roma Capitale, Municipio Roma I, ha disposto: 1) la rimozione dell’occupazione abusiva del suolo pubblico accertata dal Corpo della Polizia Locale di Roma Capitale con VAV del 30 marzo 2013, antistante l’esercizio sito in via di Santa Maria dell’Anima n. 18 via di Sant’Agnese in Agone n. 19 per l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a cura e spese dell’interessato; 2) la chiusura dell’esercizio sito in via Santa Maria dell’Anima n. 18 angolo via di Sant’Agnese in Agone n. 19 per un periodo pari a cinque giorni e, comunque, fino al completo ripristino dello stato dei luoghi.
L’azione di annullamento proposta con motivi aggiunti è anch’essa infondata.
3.1 Le ricorrenti hanno dedotto che la notificazione dell’atto sarebbe stata effettuata in data 4 settembre 2013 non presso la sede legale della ARP Srl, ma direttamente presso l’esercizio di somministrazione, e che la consegna sarebbe avvenuta nelle mani di un dipendente della Società.
L’argomentazione non è in grado di dare conto dell’illegittimità dell’atto.
L’eventuale nullità della notifica, infatti, può incidere sull’efficacia, ma non sulla legittimità del provvedimento e, nel caso di specie, la notifica ha comunque raggiunto il suo scopo, tanto che l’ARP Srl, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, unitamente alla Beta Omnia Service Srl ha proposto tempestivamente azione di annullamento avverso l’atto notificato.
3.2 L’infondatezza delle censure con cui la ricorrente ha sostenuto che la determinazione dirigenziale del 6 agosto 2013 sarebbe viziata in via derivata per l’illegittimità degli atti presupposti impugnati con il ricorso introduttivo del giudizio discende dall’infondatezza dei motivi di impugnativa proposti avverso tali ultimi atti, motivi esaminati nei precedenti paragrafi della sentenza.
3.3 Per quanto concerne il verbale di accertamento della Polizia di Roma Capitale, impugnato innanzi al Prefetto con ricorso in opposizione, si rivela fondata l’eccezione d’inammissibilità formulata da Roma Capitale in quanto non sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, ma la giurisdizione del giudice ordinario ai sensi della l. n. 689 del 1981.
Peraltro, tale declaratoria di difetto di giurisdizione non assume rilievo ai fini della complessiva definizione della controversia in quanto l’azione di annullamento proposta con motivi aggiunti può essere decisa a prescindere dall’esito della proposta impugnazione del verbale di accertamento.
3.4 Le censure, con cui le ricorrenti hanno dedotto vizi propri della determinazione dirigenziale del 6 agosto 2013, parimenti, non possono essere condivise.
3.4.1 Le ricorrenti hanno sostenuto che l’indebita occupazione di suolo pubblico non sussisterebbe in quanto la ricorrente è titolare di concessione osp, la cui disdetta è stata impugnata con l’atto introduttivo del presente giudizio.
La tesi è da disattendere in quanto l’avvenuta impugnazione del provvedimento di disdetta della concessione, in assenza della sospensione dell’efficacia dell’atto o del suo annullamento giurisdizionale, non incide in alcun modo sulla persistente esecutività del provvedimento impugnato.
3.4.2 Le ricorrenti hanno altresì sostenuto che la disdetta, dopo la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, sarebbe stata revocata dal Comune con la nota dell’11 gennaio 2013 recante in allegato i bollettini per il pagamento del canone Cosap per il rinnovo della concessione per l’anno 2013.
In proposito, il Collegio rileva che l’invio dei bollettini, che la stessa amministrazione ha indicato essere avvenuto per mero errore materiale, non può costituire revoca della disdetta in quanto non reca elementi tali da far ritenere venuta meno la volontà dell’amministrazione comunale di procedere alla disdetta.
3.4.3 Parte ricorrente ha ancora esposto che la concessione di cui è in possesso la ARP Srl si sarebbe rinnovata tacitamente per un ulteriore triennio sino a tutto il 31.12.2014.
Il Collegio, anche a voler prescindere dalla considerazione della tardività di tale censura, che avrebbe dovuta essere proposta al fine di dedurre l’illegittimità del provvedimento di disdetta impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio, ritiene che l’assunto non possa essere condiviso.
L’art. 5 della deliberazione del Consiglio Comunale di Roma n. 75 del 2010, regolamento in materia di occupazione di suolo pubblico (OSP) e del canone (COSAP), prevede al n. 4 che la concessione viene sempre accordata a termine.
L’art. 10, comma 2, dello stesso regolamento stabilisce che, salvo le diverse modalità di rinnovo per le tipologie speciali di occupazioni, le concessioni permanenti possono essere rinnovate con il pagamento del canone “per l’anno di riferimento”, a condizione che non risultino variazioni e l’amministrazione non abbia comunicato il proprio diverso intendimento almeno trenta giorni prima della scadenza.
Di talchè, ogni concessione permanente spiega effetto fino ad una certa data, fermo restando che, a far tempo dall’anno successivo, il suo rinnovo è possibile esclusivamente anno per anno, con scadenza al 31 dicembre di ogni singolo anno.
Ne consegue che, scaduta la concessione, originariamente rilasciata, l’amministrazione, ai sensi dell’art. 10, comma 2, del regolamento, ben poteva comunicare la propria intenzione di non rinnovare il rapporto entro il termine di trenta giorni prima della scadenza.
4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in € 2.000,00 (duemila/00), sono poste a carico, in parti uguali, delle Società ricorrenti ed a favore dell’amministrazione comunale resistente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda Ter, respinge il ricorso in epigrafe.
Condanna le ricorrenti, ciascuna per € 1.000,00 (mille/00), al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in € 2.000,00 (duemila/00), in favore dell’amministrazione comunale resistente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Maddalena Filippi, Presidente
Roberto Caponigro, Consigliere, Estensore
Giuseppe Rotondo, Consigliere
SUOLO PUBBLICO posteggio di mercato - mancato pagamento NO RUOLO
In un quesito sottoposto al Servizio Anci risponde un comune chiede di sapere, al fine di effettuare una corretta procedura amministrativa, come comportarsi nei confronti degli operatori che non pagano il canone di concessione del posteggio relativo ai banchi di mercato.
http://buff.ly/1JZCMia
CHIUSURA 5 gg per occupazione abusiva suolo pubblico - OK ordinanza Sindaco-Dirigenti
[color=red][b]TAR LAZIO – ROMA, sez. II TER – sentenza 7 gennaio 2016 n. 147[/b][/color]
http://buff.ly/22Vf1nh