Nel mio Comune vige un regolamento Locale di igiene che prevede di fatto che la ristrutturazione con cambio di destinazione d'uso debba rispettare alcuni parametri igienico-sanitari, tra i quali quello dell'altezza minima dei locali di cm . 240.
Una altezza inferiore ai 240 cm è ammessa solo se la ristrutturazione avvenga su immobili adibiti ad abitazione sia alla data dell'intervento che dell'entrata in vigore del Regolamento di Igiene [anni 1970].
Il Comune, previo parere favorevole Asl, ha concesso, a favore del medesimo proprietario, un cambio di destinazione d'uso per un primo locale, negandolo per un secondo locale nello stesso stabile (si tratta di due appartamenti posti uno sopra l'altro).
Ciò sulla base di due distinti pareri Asl, il primo negativo motivando appunto che non risulta provata la precedente destinazione d'uso alla data di entrata in vigore del vigente Regolamento di Igiene, il secondo positivo ma senza motivazione espressa, ma che implicitamente riconoscerebbe la precedente destinazione abitativa.
Ho segnalato ad entrambi gli Enti come i locali in questione formassero in precedenza un unica unità immobiliare accatastata a deposito e per tale uso effettivamente utilizzata dalla Ditta XY, essendosi solo successivamente provveduto ad un primo frazionamento di un'unica unità immobiliare di categoria C/2 [Magazzini e locali di deposito], Classe 8 [VARIAZIONE del 05.01.2001] e ad una successiva divisione del 11.10.2007, con la quale si sono ottenuti i due subalterni.
HO prodotto ovviamente la documentazione catastale a comprova di quanto asserito.
E' lapalissiano, e lo capirebbe pure un bambino, che da un locale accatastato a deposito, non si possano ricavare con un frazionamento due unità immobiliari distinte e diverse per le quali riconoscere all'una un precedente uso abitativo e all'altra negarlo.
Presentavo quindi contestualmente istanza di riesame dei provvedimenti, chiedendo di emettere un nuovo parere igienico-sanitario negativo (in quanto anche il secondo locale non rispetta i requisiti previsti dal vigente Regolamento di Igiene) e conseguentemente di annullare il Permesso di Costruire in sanatoria .
Le risposte avute dai due Enti, che cito testualmente, sono un chiaro rimpallo di responsabilità:
[u]COMUNE:[/u]
"[i]... si evidenzia che tale provvedimento è stato reso su conforme parer dell'ASL e pertanto non annullabile [u]senza una diversa decisione di tale Ufficio[/u][/i]".
[u]ASL:[/u]
"... [i]non sono emersi elementi che giustificano una revisione dei pareri precedentemente espressi dal Servizio scrivente [u]per quanto di competenza[/u][/i]".
E' importante sottolineare quel "[i]per quanto di competenza[/i]" perché a detta Responsabile ASL il suo parere riguarderebbe i soli aspetti igienico sanitari e non entrerebbe nel merito dei presupposti (di tipo prettamente urbanistico) di validità del parere.
Per essere più espliciti, se anche risultasse che i locali non erano abitazione alla data di entrata in vigore del Regolamento di Igiene e fossero di altezza inferiore ai cm 240, non ha alcuna importanza per l'emissione del parere, che, secondo l'ASL, deve essere emesso, favorevole o meno, sulla base degli altri requisiti richiesti ovvero l'oggettivo miglioramento degli aspetti igienico-sanitari e il rispetto dei requisiti di sicurezza (requisiti non precisati nelle motivazioni del parere, ma richiesti dal Regolamento di Igiene).
Sarà quindi compito del Comune, e solo del Comune, stabilire che il parere, seppur favorevole, non è utilizzabile nel caso di specie per carenza dei requisiti predetti di altezza e precedente destinazione abitativa.
Il Comune ovviamente la pensa diversamente, anche se non lo dice apertamente.
Ora vorrei con Voi capire come poter gestire la questione.
Di chi è la responsabilità?
Del Comune ai sensi dell'art. 27 del DPR 380/2001 a cui spetta la vigilanza in materia urbanistica?
Dell'ASL che non si assume la responsabilità di verificare i presupposti, negativi o positivi, per l'emissione degli atti di sua competenza?
Ribadisco una questione: le deroghe sono previste dal Regolamento di igiene e ed ivi che viene disciplinata la materia, con le distinzioni circa immobili con o senza destinazione abitativa alla data di entrata in vigore del medesimo.
Attendo Vostri preziosi consigli su quali passi possono essere intrapresi contro una situazione che ictu oculi appare di chiara illegittimità.
Grazie dell'attenzione che mi riserverete ...
Salve,
la situazione è chiaramente descritta.
al di là delle responsabilità (difficili da accertare in un contesto normativo così particolare) quel che conta è COSA FARE.
A mio avviso il Comune ha la possibilità di intervenire PRESCINDENDO dal parere ASL (anche perchè l'eventuale illegittimità del diniego si fonda proprio sull'illegittimità di tale parere).
In questi caso, se devo dare un giudizio, la ASL ha ragione al 70% nel senso che spetta sempre al Comune la verifica degli aspetti giuridico-normativi mentre la ASL deve e può limitarsi ai profili "di competenza" salvo il dovere morale ed istituzionale di segnalare eventuali criticità e problematicità.
Ovviamente siamo di fronte ad un potenziale CONTENZIOSO GIURISDIZIONALE, forse inevitabile e per il quale consiglio di rivolgersi quanto prima ad un legale per evitare che spirino i termini decadenziali per ricorrere. la richiesta di riesame potrebbe non essere sufficiente se interviene un provvedimento meramente confermativo.
Consiglio ovviamente di presentare istanza di accesso agli atti (per verificare se esiste ulteriore documentazione) ..... sempre però assistito da un legale che dovrà consigliare la soluzione tecnica migliore.
PERSONALMENTE, nei panni del Comune avvierei il procedimento per l'annullamento d'ufficio del diniego .... assegnando un termine congruo (almeno 60 giorni) a interessato, controinteressati ed ASL ... così da avere un quadro e poi decidere ed evitare possibili conseguenze negative in termini di responsabilità.