APPARTAMENTI e RTA - destinazione d'uso e frazionamento - TAR 2/5/2004
T.A.R. Toscana, Sezione III, 2 maggio 2014 sent. 680
FATTO
I ricorrenti sono comproprietari, per quote indivise, di un edificio sito in Forte dei Marmi, via Padre Ignazio da Carrara n. 54, costituite da 24 appartamenti, inizialmente utilizzata come casa – albergo.
Con i ricorsi in esame e con i motivi ad essi aggiunti sono stati impugnati i provvedimenti, di estremi specificati in epigrafe, con i quali il Comune di Forte dei Marmi ha accertato la lottizzazione abusiva consistente nella trasformazione in della predetta struttura turistico – ricettiva in un complesso di residenze private. La convenzione del 18 luglio 1984, volta a regolare i rapporti tra le originarie proprietarie e il Comune di Forte dei Marmi, stabilisce che il mutamento di destinazione della casa - albergo richiede il consenso del Comune e definisce l’immobile in termini di necessaria unitarietà strutturale e funzionale e ne vieta il frazionamento, anche sotto l’aspetto dominicale (le originarie proprietarie sono infatti tenute a riprodurre tali clausole in eventuali atti di trasferimento, ai sensi dell’art. 5 della convenzione). Ciò del resto è conforme alle prescrizioni della l.r. n. 78/1981, che fra l’altro disciplina gli alberghi residenziali con precise caratteristiche di gestione e struttura. Veniva in seguito costituita dalle proprietarie la società Golf Hotel Residence s.p.a., alla quale veniva conferito l’immobile. Ai comproprietari venivano cedute quote indivise dell'edificio, con atti stipulati tra il 1989 e il 1990.
La licenza per l’esercizio dell’attività ricettiva è stata rilasciata alla Residence Golf s.r.l., incaricata della gestione dell’albergo.
Parte della medesima area su cui insiste l’edificio di cui sono proprietari i ricorrenti, prima soggetta a vincolo di destinazione alberghiera, veniva poi dal Comune destinata in parte alla realizzazione di un programma integrato, prevedente l’edificazione di abitazioni private e parco. La società impugnava i relativi provvedimenti con ricorso pendente n. 1726/2008 R.G.
Avverso i provvedimenti impugnati sono state dedotte, in entrambi i ricorsi, censure di violazione di legge (artt. 10, 30 e 44 d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380; 3 l. 7 agosto 1990, n. 241; 58,79,132, 133 e 136 1.r. Toscana 3 gennaio 2005, n. 1; 27 1.r. 23 marzo 2000, n. 42 e 2 Regolamento regionale 23 aprile 2001, n. 18/R), di violazione dei principi di affidamento e di proporzionalità, nonché di eccesso di potere, sotto i profili del difetto di motivazione e di istruttoria, della contraddittorietà, della violazione dell’affidamento, dell’ingiustizia manifesta.
I ricorrenti, in sostanza e in estrema sintesi, rappresentano e affermano quanto segue:
a) che in sede penale il processo per reato di lottizzazione abusiva è stato dichiarato estinto per prescrizione;
b) che gli effetti della convezione dovrebbero considerarsi superati dal nuovo assetto impresso all’area circostante quella nella quale è situata la struttura di cui trattasi, e ciò in forza dell’approvazione, con deliberazione consiliare n.105 del 6 ottobre 2003, di un programma integrato di intervento che prevedeva la realizzazione di un parco pubblico e la costruzione di 31 edifici destinali a civile abitazione;
c) che non sussisterebbero i presupposti della lottizzazione abusiva, poiché non sarebbe stato realizzato un nuovo insediamento, non vi sarebbe alcuna incidenza sul carico urbanistico della zona, l’utilizzazione dell’immobile non sarebbe residenziale (contrariamente a quanto invece affermato nel provvedimento impugnato);
d) che l’amministrazione comunale avrebbe leso il legittimo affidamento maturato dai comproprietari in ordine alla correttezza della gestione dell'immobile, sulla base del fatto che le modalità d'utilizzazione dell'edificio sarebbero sostanzialmente le stesse da oltre vent'anni senza che l’amministrazione comunale abbia mai formulato alcun rilievo, ché anzi per molti anni il Comune avrebbe richiesto il pagamento dell'ICI ai comproprietari, in relazione a ciascuna quota, a titolo di "seconda casa"; inoltre, l’area adiacente all’immobile di cui trattasi sarebbe stata sottratta dalla stessa amministrazione alla destinazione alberghiera e sarebbero state realizzate 31 abitazioni;
e) che, ai sensi dell'art. 136 della 1.r. Toscana n. 1/2005, qualora il Comune abbia approvato la disciplina delle funzioni prevista dall'art. 58, i mutamenti di destinazione d’uso senza realizzazione di opere sono puniti soltanto con sanzioni di natura pecuniaria;
f) che il provvedimento impugnato violerebbe il principio di proporzionalità, di rilievo anche comunitario.
Il Comune di Forte dei Marmi si è costituito in resistenza contestando le tesi avversarie e richiamando la giurisprudenza di questo Tribunale in materia.
Con ordinanza n. 272/2013 l’istanza cautelare avanzata nel ricorso n. 673/2013 R.G. è stata accolta, in considerazione del grave pregiudizio derivante dalla perdita della proprietà dell’immobile; ai sensi dell’art.55, comma decimo, cod. proc. amm., tenuto anche conto dei rilevanti interessi coinvolti nella controversia, si provvedeva alla sollecita fissazione dell’udienza per la trattazione del merito.
Con motivi aggiunti i ricorrenti (in entrambi i ricorsi) hanno impugnato la nota 2 luglio 2013, prot. n. 17991, con la quale il Comune di Forte dei Marmi aveva respinto un’istanza di annullamento in autotutela dell’ordinanza n. 8/2013, presentata dalla società EXA RE3 s.r.l., proprietaria di una quota parte dell’immobile in questione corrispondente al locale destinato a sala ristorante del complesso alberghiero; i ricorrenti hanno qualificato il provvedimento impugnato come meramente confermativo e dichiarato di impugnarlo per mero tuziorismo.
Avverso detta nota i ricorrenti hanno dedotto una censura volta a contestare i rilievi in essa contenuti e riprodotto i motivi di cui ai rispettivi atti introduttivi.
Il Comune ha in proposito esplicato difese sia in rito sia in merito.
Tutte le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi con memorie.
Con memoria di replica alle deduzioni del Comune i ricorrenti hanno anche sollevato questione di legittimità costituzionale della normativa applicata, così argomentando:
- risulterebbero violati gli artt. 3, 97 e 113 della Costituzione sotto il profilo della disparità di trattamento in situazioni nelle quali una medesima condotta verrebbe ad essere considerata per un verso come irrilevante dal punto di vista edilizio - urbanistico, mentre, per altro verso essa integrerebbe gli estremi di un illecito sanzionato in modo assai grave (appunto, la lottizzazione abusiva). Infatti, ai sensi dell'art. 79 della 1. r. Toscana n. 1/2005, in mancanza (come nel Comune di Forte dei Marmi) del piano delle funzioni previsto dall'art. 58, il mutamento della destinazione d'uso di un edificio senza opere non deve essere preceduto dall'acquisizione di alcun titolo edilizio, eppure, al tempo stesso, esso costituirebbe lottizzazione abusiva; ciò senza l’accertamento di elementi di fatto (ulteriori rispetto al mero mutamento di utilizzo), che attribuiscano alla fattispecie una rilevante connotazione urbanistica negativa;
- i principi costituzionali di eguaglianza e di ragionevolezza/proporzionalità risulterebbero violati anche in relazione alle fattispecie previste dall'art. 132 della 1.r. n. 1/2005 e dall'art. 31 del d.p.r. n. 380/2001, che disciplinano le opere eseguite in totale difformità dal permesso di costruire, fornendo una definizione della “totale difformità” incentrata sulla realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso di costruire; secondo i ricorrenti, sarebbe contrario ai su menzionati principi costituzionali il fatto che per tale più grave illecito edilizio sia stata prevista la "rimozione o demolizione" (art. 31, comma 2, del Testo Unico dell'edilizia e art. 132, comma 3 della 1.r. 1/2005), con l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune soltanto nella ipotesi in cui il responsabile non ricostituisca entro 90 giorni la situazione legittima;
- si avrebbe violazione anche degli artt. 23 e 42 della Costituzione, che, rispettivamente, per le prestazioni personali o patrimoniali e per l’espropriazione per motivi di interesse generale stabiliscono la riserva di legge; l’applicazione della sanzione dell'acquisizione del bene (che costituirebbe al tempo stesso una prestazione imposta e un evento di natura espropriativa) avverrebbe fuori dall'ipotesi prevista dall'art. 30 e, quindi, senza la necessaria copertura legislativa.
Alla pubblica udienza del 25 marzo 2014 i ricorsi in epigrafe sono stati trattenuti in decisione.
DIRITTO
I ricorsi in esame vanno decisi con unica sentenza, attesane l’evidente connessione oggettiva e in parte soggettiva.
Il nucleo essenziale della vicenda oggetto di controversia, come sinteticamente ricostruita in narrativa sulla base della documentazione in atti e degli scritti difensivi delle parti, è costituito dall’utilizzazione dell’immobile di cui i ricorrenti sono comproprietari in modo difforme da quello corrispondente alla destinazione d’uso dello stesso, ovvero come complesso di residenze private anziché come struttura turistico - ricettiva.
Alla mancanza di quella gestione unitaria che caratterizza le strutture di questo tipo i ricorrenti sono pervenuti attraverso un’attività negoziale perdurante nel tempo, come risulta dalla documentazione in atti dalla quale si evince che le singole unità immobiliari hanno finito per essere utilizzate come singole residenze private.
L’originaria licenza edilizia, che risale al 1970 (n. 130 del 23 giugno), era stata rilasciata per la realizzazione di un motel. Dopo una serie di concessioni in variante, il 18 luglio 1984 veniva stipulato fra le proprietarie dell’epoca, signore Bigini e Ruffini, atto pubblico di vincolo per destinazione alberghiera. Nel 1989 venivano rilasciate alle predette proprietarie due concessioni edilizie in sanatoria (n. 165 e n. 183) per opere realizzate sull’immobile, che infine otteneva l’abitabilità il 18 luglio 1989.
Con nota prot. n. 23775/int. del 19 luglio 2012 la Polizia municipale del Comune di Forte dei Marmi, all’esito di sopralluoghi sull’immobile, accertava il cambiamento di destinazione d’uso di esso, da turistico – ricettivo a residenziale, con frazionamento senza titolo delle unità facenti parte della residenza turistico – alberghiera.
Dall’istruttoria effettuata dalla Polizia municipale era emerso, infatti, un sicuro quadro fattuale caratterizzato dalla personalizzazione degli appartamenti, contenenti suppellettili, capi d’abbigliamento e altri oggetti (come, ad esempio, medicinali, elettrodomestici, attrezzi per la pulizia, generi alimentari freschi in alcuni frigoriferi) dai quali si desumeva inequivocabilmente l’utilizzazione residenziale delle singole unità. Per altro, dai registri risultava l’uso delle unità stesse anche al di fuori del periodo di apertura dell’attività di residenza turistico – alberghiera (1 maggio – 30 settembre), essendo state ritrovate dalla Polizia municipale anche riviste settimanali datate aprile 2012.
La nota richiama sopralluoghi effettuati anche durante il 2011, durante i quali era emersa la mancanza di personale (portiere, addetti alla ricezione e alla pulizia) che assicurasse la gestione unitaria della struttura, priva anche della ristorazione, essendo chiuso e inaccessibile il relativo locale.
In alcune dichiarazioni degli stessi proprietari, in atti, si ammetteva che la società di gestione Golf Residence s.r.l. era stata costituita con la finalità di dissimulare la cessione frazionata della proprietà dell’immobile a 24 soggetti diversi.
Orbene, fattispecie analoghe a quella oggi esaminata dal Collegio sono state più volte oggetto di decisioni assunte da questa Sezione, nelle quali sono stati affermati alcuni principi in materia di fenomeni di abusivismo accertati presso strutture realizzate in forza di titoli edilizi rilasciati per residenze turistico – alberghiere.
Il Collegio, che condivide detti principi, reputa opportuno richiamarli in premessa per poi verificarne la concreta applicabilità alla fattispecie che si sta trattando.
Con la sentenza n. 119 del 29 gennaio 2009 si è affermato che la destinazione a residenza turistico alberghiera di un immobile ‹‹si caratterizza con l’apertura del bene al pubblico, ovvero si esprime attraverso atti di offerta al pubblico dei servizi ad esso inerenti e la gestione unitaria dell’immobile, come precisa l’art. 27 della l.r. n. 42 del 23/3/2000 (Cons. Stato, IV, 22/11/1989 n. 824; TAR Emilia Romagna, Bologna, II, 20/4/2007 n. 426; TAR Liguria, 21/2/1987 n. 86) ›› e che ‹‹La caratteristica peculiare di tale tipologia di fabbricato è costituita dall’essere finalizzata all’accoglienza di soggetti terzi rispetto ai proprietari ed ai gestori››.
Orbene, come sottolineato in altra decisione della Sezione (n. 1458/2009), può accadere che tali residenze vengano abusivamente utilizzate a fini abitativi, previo frazionamento dell’immobile. Non è invero infrequente che costruzioni edificate in base a permessi per uso alberghiero (specie in località di vacanza) vengano poi cedute dai costruttori, o da successivi acquirenti, per quote, o, addirittura, previo frazionamento dell’immobile in appartamenti, a un prezzo di mercato simile a quello degli immobili per abitazione. Tale mutamento di destinazione d’uso può avvenire con o senza realizzazione di opere ulteriori, ma in ogni caso implica un organismo in tutto o in parte diverso da quello precedente e integra gli estremi della lottizzazione abusiva; e ciò in violazione di numerose norme (urbanistiche, tributarie, turistiche, sanitarie, di pubblica sicurezza, antincendio, ma anche penali) e con danni di natura ambientale e fiscale, derivanti dalla minore recettività delle strutture e dalla mancata assunzione di personale.
Alla luce di tali principi, le doglianze dedotte nei ricorsi e nei motivi aggiunti si rivelano infondate.
L’ordinanza n. 8/2013, recante l’accertamento della lottizzazione abusiva, l’ordine di sospensione della stessa e il divieto di utilizzare l’immobile è ampiamente motivata, con indicazione delle circostanze di fatto sulle quali essa si fonda e delle disposizione di legge ritenute applicabili; essa dà anche conto dell’adeguata istruttoria che l’ha preceduta, estrinsecatasi in ripetuti sopralluoghi volti a stabilire la natura dell’utilizzazione delle unità immobiliari.
Risultano pertanto infondate le censure di difetto di motivazione e di istruttoria.
Nemmeno meritano adesione i rilievi volti a dimostrare l’insussistenza dei presupposti della lottizzazione abusiva, sui quali molto si insiste nei ricorsi in esame e nei successivi scritti difensivi.
Da un lato vanno rammentati sia il vincolo derivante dalle previsioni urbanistiche (sul quale nessuna influenza esplica la destinazione data ad aree limitrofe, alla quale i ricorrenti dedicano molta attenzione), sia il vincolo a mantenere la destinazione ricettiva derivante dall’atto di natura convenzionale stipulato fra l’amministrazione comunale e i soggetti che all’epoca erano proprietarie dell’immobile, le quali si obbligarono a inserire la medesima clausola negli eventuali atti di trasferimento; dall’altro, occorre tenere conto di un dato fondamentale, e cioè che l’utilizzazione dell’immobile diversa da quella ricettiva si configura come lottizzazione cartolare, secondo l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 30 D.P.R. n. 380/2001 che ricomprende in tale tipo di lottizzazione anche il frazionamento e l’alienazione di un immobile già edificato, con mutamento della relativa destinazione d’uso (Tar Lazio – Latina, I, n. 412/2013, ed ivi ulteriore ragguaglio di giurisprudenza).
Quanto alla deduzione dei ricorrenti secondo cui gli effetti della convezione dovrebbero considerarsi superati dal nuovo assetto impresso all’area circostante quella nella quale è situata la struttura di cui trattasi − e ciò in forza dell’approvazione, con deliberazione consiliare n.105 del 6 ottobre 2003 di un programma integrato di intervento che prevedeva la realizzazione di un parco pubblico e la costruzione di 31 edifici destinali a civile abitazione − si tratta di circostanza irrilevante a fronte dell’utilizzazione vincolata dell’immobile di cui più volte s’è detto, mai venuta meno.
Non può poi condividersi la censura di lesione del legittimo affidamento che i ricorrenti avrebbero maturato in ordine alla correttezza della gestione dell'immobile, posto che su atteggiamenti tolleranti o negligenti dell’amministrazione riguardo a condotte dei privati integranti fattispecie di reato non può fondarsi alcun legittimo affidamento. Da alcune delle dichiarazioni dei comproprietari (in atti) si evince per altro la piena consapevolezza degli stessi della natura sostanzialmente elusiva di norme di legge della costituzione di una società nominalmente deputata alla gestione unitaria e invece utilizzata come paravento dell’utilizzazione residenziale privata dell’immobile.
Il provvedimento, inoltre, non è − contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti − in contrasto con il principio di proporzionalità, atteso che la lottizzazione abusiva costituisce reato e, come già osservato, esso comporta la lesione di numerosi e rilevanti beni giuridici della collettività, implicando, tra l’altro, una minore recettività delle strutture e la mancata assunzione di personale.
Neppure può meritare adesione la censura di violazione dell'art. 136 della 1.r. Toscana n. 1/2005, secondo cui i mutamenti di destinazione d’uso senza realizzazione di opere sono puniti soltanto con sanzioni di natura pecuniaria, qualora il Comune abbia approvato la disciplina delle funzioni prevista dall'art. 58. Nel caso in esame il mutamento di destinazione d’uso, accompagnato dalla parcellizzazione della proprietà e della gestione, integra una lottizzazione abusiva e, pertanto, le sanzioni sono quelle previste per questo tipo di abuso.
Infine, è irrilevante l’esito che la vicenda ha avuto in sede penale, atteso che non vi è stata un’assoluzione bensì, come documentato in atti, soltanto una richiesta di archiviazione del PM basata sull’intervenuta prescrizione.
I ricorsi in esame devono pertanto essere respinti, come pure i motivi aggiunti, riguardo ai quali − prescindendosi dall’esame delle eccezioni di irricevibilità per tardività e di inammissibilità per difetto di legittimazione attiva (essendo destinatario della nota impugnata un soggetto diverso dai ricorrenti), attesa l’infondatezza dei motivi dedotti − è sufficiente osservare che il diniego dell’autotutela richiesta dalla società EXA RE3 s.r.l., proprietaria della quota di immobile corrispondente alla sala ristorazione si fonda su ragioni legittime; infatti, la lottizzazione abusiva va riferita non a questa o quella unità immobiliare, bensì all’edificio complessivamente considerato e, da un puto di vista soggettivo, essa viene integrata dalle condotte concorrenti di tutti i comproprietari, incluso il soggetto che, non avendo mai attivato il ristorante, ha contribuito a sottrarre l’immobile alla sua destinazione turistico – ricettiva. Speciosa è infatti l’argomentazione dei ricorrenti secondo cui, in sostanza, la mancata attivazione sarebbe lecita in quanto non comporterebbe un mutamento di destinazione (non essendovi stata utilizzazione, non vi sarebbe stata modifica di alcuna destinazione); è infatti evidente che la mancata attivazione di uno dei servizi caratteristici della gestione unitaria di immobili con finalità ricettiva contribuisce a realizzare il risultato della illecita sottrazione del bene alla destinazione cui esso è vincolato.
Manifestamente infondata è la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30 D.P.R. n. 380/2001, sollevata dai ricorrenti con riferimento agli artt. 3, 97, 23, 42 e 113 della Costituzione.
I ricorrenti muovono i rilievi riguardanti il contrasto della disciplina di cui denunciano l’incostituzionalità con gli art. 3, 97 e 113 muovendo dal presupposto (errato, ad avviso del Collegio, come si è già avuto modo di dire) che la fattispecie in esame vada qualificata come ipotesi di mero mutamento della destinazione d’uso. Invece, contrariamente a quanto da essi sostenuto, si tratta di una lottizzazione abusiva c.d. cartolare o giuridica, con tutte le conseguenze che ciò comporta sul piano sanzionatorio. È pertanto artificiosa la comparazione fra condotte implicanti un mutamento di destinazione d’uso, per inferirne la violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e buon andamento, atteso che nel caso di frazionamento della proprietà e della gestione di una residenza turistico – alberghiera, con sottrazione della medesima alla sua destinazione vincolata, si configura, come già s’è avuto modo di dire, una lottizzazione abusiva.
Con riguardo alle considerazioni che i ricorrenti svolgono in ordine alla necessità che si accerti in modo puntuale la sussistenza di elementi di fatto (ulteriori rispetto al mero mutamento di utilizzazione) che attribuiscano alla fattispecie una rilevante connotazione urbanistica negativa, si osserva che, come già rilevato, la lottizzazione abusiva consistente nella sottrazione di una residenza turistico – alberghiera alla sua destinazione in favore di un’utilizzazione residenziale comporta la lesione di rilevanti interessi pubblici, sicché in essa è insita la rilevanza in termini di illiceità sia amministrativa sia penale.
Quanto poi alla comparazione della lottizzazione abusiva con le fattispecie previste dall'art. 132 della 1.r. n. 1/2005 e dall'art. 31 del d.p.r. n. 380/2001, che disciplinano le opere eseguite in totale difformità dal permesso di costruire, fornendo una definizione della “totale difformità” incentrata sulla realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso di costruire, il Collegio osserva che tra le due fattispecie non vi è la differenza di disciplina che rilevano i ricorrenti.
Il comma ottavo dell’art. 30 D.P.R. n. 380/2001 recita, infatti: ‹‹Trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la revoca del provvedimento di cui al comma 7, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del Comune il cui dirigente o responsabile del competente ufficio deve provvedere alla demolizione delle opere. In caso di inerzia si applicano le disposizioni concernenti i poteri sostitutivi di cui all'articolo 31, comma 8››.
Il comma terzo (prima proposizione) dell’art. 31 del medesimo D.P.R. recita: ‹‹Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune›› (nello stesso modo dispone il comma terzo dell’art. 132 l.r. Toscana n. 1/2005).
La differenza rilevata dai ricorrenti è solo apparente, in quanto anche nel caso di lottizzazione abusiva è prevista la possibilità che entro 90 giorni dall’emanazione intervenga la revoca del provvedimento recante la sospensione della lottizzazione nonché il divieto di disporre degli immobili (comma settimo dell’art. 30 D.P.R. n. 380/2001). Deve ritenersi che detta revoca sia implicitamente subordinata alle iniziative dei privati volte a ripristinare la legalità, sicché solo ove il termine spiri senza che i privati abbiano assunto alcuna iniziativa in tal senso il Comune potrà procedere all’acquisizione coattiva.
Infine, il richiamo agli artt. 23 e 42 della Costituzione e del principio della riserva di legge in essi stabilito, rispettivamente, per le prestazioni personali o patrimoniali e per l’espropriazione per motivi di interesse generale è inconferente; la sanzione dell'acquisizione del bene ha infatti la diversa natura di sanzione di un illecito. In secondo luogo, come più volte si è detto, il Collegio condivide l’interpretazione dell’art. 30 D.P.R. n. 380/2001 che lo ritiene applicabile alla peculiare fattispecie della trasformazione di una struttura turistico – alberghiera in complesso di singole unità residenziali, sicché il principio della riserva di legge non viene vulnerato, trattandosi di una conseguenza prevista dall’ordinamento.
In conclusione, i ricorsi e i motivi aggiunti in esame devono essere respinti.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sui ricorsi e sui motivi aggiunti in epigrafe, previa riunione, li respinge.
Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese in favore del Comune di Forte dei Marmi, liquidandole in complessivi € 5.000,00 (euro cinquemila/00) oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Rosalia Messina, Consigliere, Estensore
Riccardo Giani, Consigliere